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losguardo

Note di lettura su forza-lavoro, lavoro e algoritmo

di Ubaldo Fadini

R. Ciccarelli, Labour Power. Virtual and Actual in Digital Production, Springer 2021

La recente pubblicazione di Labour Power. Virtual and Actual in Digital Production (Springer 2021), che riprende in parte l’indagine iniziata con Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale (DeriveApprodi 2018), a cui sono da affiancare Capitale disumano. La vita in alternanza scuola lavoro (Manifestolibri, 2018) e Una vita liberata. Oltre l’apocalisse capitalista (DeriveApprodi 2022), consente la messa a fuoco di un percorso di ricerca tra i più significativi e stimolanti degli ultimi anni. Il suo autore, Roberto Ciccarelli, si impegna infatti su un motivo centrale di qualsiasi impresa teorica che voglia qualificarsi come radicalmente critica nei confronti degli assetti e delle configurazioni in trasformazione della nostra società di segno capitalista in cui la questione dell’algoritmo e della sua pervasività nel nostro mondo storico-sociale si inserisce a pieno titolo. Tale motivo è quello della forza lavoro da intendersi marxianamente (e - sullo sfondo - spinozianamente: come si sottolinea nelle prime pagine di Labour Power) soprattutto come potenza.

Si sa come per la più consapevole formulazione di progetti di critica radicale si debba ancora tenere presente l’osservazione di Mark Fisher, che ricordava come sia sempre «più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo». Al cosiddetto ‘realismo capitalista’, Ciccarelli contrappone un punto di vista analitico concretamente materialista, fondato pure sul recupero di elementi rilevanti di quelle tradizioni di pensiero che hanno accompagnato e cercato di favorire i tentativi di realizzazione di una nuova e alternativa idea di società, di solidarietà e libertà. Tale operazione di rilancio ha alla base una convinzione non di poco peso, cioè che nel postfordismo il lavoro non è più rivestito dagli ordini abituali, ben determinati a livello spazio-temporale, della produzione puntuale, ‘passo dopo passo’, in quanto gli strumenti più importanti del lavoro vivo, ad esempio i mezzi che consentono di agire comunicativamente e relazionalmente, sono contenuti nel corpo vivente del soggetto di lavoro, con l’effetto conseguente che così non si smette mai di lavorare e che il lavoro cattura il soggetto per le 24 ore della giornata e per tutti i sette giorni della settimana.

Risulta in ogni caso ancora qui decisiva la distinzione tra forza lavoro e lavoro, che Marx coglie e sottolinea a partire dalla sua critica ai ‘classici’ dell’economia politica (da Smith a Ricardo): l’oggetto dello scambio tra il capitalista e l’operaio non è il lavoro, bensì la forza lavoro, la merce decisiva della società capitalistica in quanto il suo valore, il lavoro in essa oggettivato e che le consente di darsi e riprodursi, è cosa differente dal lavoro vivo, che si può trarre da tale merce. Come ricordava opportunamente Claudio Napoleoni, «il fondamento della produzione capitalistica sta nel fatto che da una determinata forza-lavoro avente un certo valore, il capitalista può trarre più lavoro di quello che è in esso oggettivato. Questo pluslavoro si oggettiva dunque in un plusvalore che, in quanto appartiene al capitalista, costituisce il suo profitto» (C. Napoleoni, Lezioni sul Capitolo sesto inedito di Marx, Bollati Boringhieri, 1972, p. 22).

Questa distinzione tra la forza lavoro e il lavoro è tradotta da Ciccarelli nel senso di individuare nella forza lavoro una potenzialità di esistenza, una facoltà di fatto sempre attiva che esprime al meglio i caratteri propri della vita umana, del suo combinato corpo-mente, a livello individuale e collettivo, e questo vale, in Labour Power, anche negli scenari sociologici aperti dall’estrema capillarità del lavoro digitale e dal ‘potere’ ambiguo degli algoritmi nei processi di produzione o digital production, come recita il sottotitolo. Sempre ricordando la lezione di Marx, che indica nella forza lavoro o capacità di lavoro il combinarsi delle «attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità», nella «personalità vivente» dell’uomo, che messe per così dire in movimento producono valori d’uso di qualsiasi genere, l’autore di Labour Power osserva come proprio l’insieme di facoltà e capacità - la facoltà che consente di produrre valori d’uso di qualsiasi genere e la capacità di lavoro da portare al mercato, per la sua vendita - sia appunto la forza lavoro, la ‘personalità vivente’ del corpo umano. Tale combinato è da distinguersi dal ‘capitale’, poiché nell’atto della vendita della forza lavoro il soggetto si distacca certo dalla capacità ma ciò non significa che perda addirittura complessivamente la facoltà della forza lavoro così movimentata/mobilitata. È su questa base che si delinea non tanto una filosofia del lavoro, quanto una rinnovata riflessione sulla forza lavoro a partire cioè dalla questione non di cosa sia attualmente il ‘lavoro’ ma di cosa oggi possa una forza lavoro (questione ribadita nella sua centralità anche nelle pagine conclusive del testo: «What Can Labour-Power Do?»).

Ciccarelli mette soprattutto in evidenza come la forza lavoro sia insieme una forza produttiva consegnata al capitalista, all’utilizzo voluto da quest’ultimo, e una facoltà non riducibile pienamente a tale uso, riferito, come detto, alla produzione delle merci. A questo punto si può anche apprezzare uno degli sfondi dell’indagine, quello propriamente filosofico, visto l’utilizzo del tema deleuziano della sintesi disgiuntiva, di un’unità che non si dà come chiusa ma apre invece a delle articolazioni ulteriori, di fatto imprevedibili, proprio in virtù del suo porsi come un rapporto connettivo e disgiuntivo, capace di differenti modulazioni, che riguardano pure gli elementi che lo compongono. Va qui ricordato che Ciccarelli è autore di testi importanti che a mio modo di vedere supportano gli sviluppi appunto più propriamente filosofici delle pagine sulla forza lavoro e sul mitologema così ormai ampiamente diffuso del cosiddetto ‘capitale umano’, che rimuove il fatto che quest’ultimo non è altro che la stessa forza lavoro ricompresa nella logica della valorizzazione del capitale: tra gli altri, Immanenza e politica in Spinoza (Roma, Aracne 2006) e l’essenziale Immanenza. Filosofia, diritto e politica della vita dal XIX secolo al XX secolo (Bologna, Il Mulino 2008).

In questo senso, la forza lavoro si mostra come facoltà di tutte le altre facoltà individuabili nel soggetto vivente. Si può anche dire così: la forza lavoro è il soggetto come facoltà capace di produrre qualsiasi valore d’uso e ciò significa che c’è un venir prima di carattere produttivo, ontologico, ‘etico-politico’ della forza lavoro rispetto alla forza lavoro considerata soltanto dal lato del suo essere forza produttiva ‘di’ capitale. È d’altronde vero che oggi tutte le facoltà dell’essere umano sono messe a valore, ‘mobilitate’, ma ciò avviene in modalità tali da consegnarle di fatto a un presente di loro alienazione e oggettivazione predefinita in un pacchetto dato/predeterminato di capacità. Labour Power descrive con puntualità ed efficacia tutte quelle politiche attive del lavoro, della formazione continua, del capitale umano che negli ultimi tempi hanno contribuito a rendere ancora più automatici, di fatto irriflessi e quasi-naturali, processi di (auto) sfruttamento che vengono presentati come inevitabili. Si vedano in particolare il quinto e il sesto capitolo: The Dwarf of History e The Entrepreneurial Self, soprattutto in riferimento agli sviluppi delle piattaforme digitali, del capitalismo delle piattaforme, e al loro protagonismo sempre più sfrenato.

Al di là dell’analisi dettagliata e preziosa dei meccanismi sempre più sofisticati di espropriazione delle facoltà, del divenire-uomo del capitale in ambito algoritmico-digitale, Ciccarelli delinea una ricerca sulla forza lavoro che non schiaccia quest’ultima sulla teleologia del lavoro stesso all’interno dei processi odierni di sua subordinazione alle dinamiche della valorizzazione capitalista. L’insistenza sull’eccedenza costitutiva della forza lavoro, sulla sua ‘potenza’, si traduce poi nella individuazione del carattere multiverso degli stessi rapporti di potere (classe, razza, sesso, etc.) che appunto coltivano la pretesa di restituire la soggettività unicamente in modalità rigidamente subordinate. Si sottolinea così che la forza lavoro come soggetto non può essere considerata pienamente contenuta nel lavoro e nella formula corrente del ‘capitale umano’ e dunque non va riferita al suo impiego produttivo dato. È la differenza specifica della forza lavoro, da considerarsi come forza produttiva a disposizione del capitale e fattore di suo superamento, a permettere di riflettere su possibili condizioni di pratiche originali di libertà, di emancipazione individuale e collettiva, da svilupparsi in direzioni politicamente, giuridicamente, eticamente, diverse da quelle presenti.

In effetti, la questione centrale che anima la ricerca complessiva di Ciccarelli è quella di pensare un processo di superamento della realtà/mondo dell’odierna soggettività neoliberale a partire da una rinnovata sperimentazione di una potenza, la forza lavoro, che non può essere fatta rifluire all’interno del racconto della fine di tutte le fini. È in quest’ottica che si prende posizione a favore di un prospettivismo storico delle dinamiche di liberazione contro il riproporsi incessante delle illusioni di una apocalisse prossima ventura. Prassi della liberazione sociale e politica, quindi, irriducibile al soggettivismo e alla rappresentazione del mondo prevalenti anche nelle culture critiche contemporanee.

La potenza può essere liberata quando è concepita nella forma concreta, individuata e storica, della forza lavoro, contro la raffigurazione delle soggettività sotto la veste dei ‘capitalisti umani’, vera e propria parola d’ordine della ‘rivoluzione passiva’ (per ricordare Gramsci) appunto di segno neoliberale, da intendersi proprio come politica della passività organizzata.

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