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Tre cosette sulle elezioni

di Leonardo Mazzei

Dunque, anche le elezioni comunali 2023 sono alle nostre spalle. Sul piano generale nulla di davvero importante da segnalare. La stabilità del quadro politico italiano è inversamente proporzionale all’instabilità generale del pianeta: un dato decisamente curioso, ma non per questo meno reale.

Lasciamo dunque perdere analisi generali che avrebbero la durata di uno yogurt, e dedichiamoci piuttosto ad un dato, ahimè ormai consolidato, che riguarda l’area del dissenso nel suo complesso.

Credo che non si rifletterà mai abbastanza sul disastro provocato dai generali della sconfitta il 25 settembre, quelli che prima dicevano che si sarebbero uniti dopo, e che dopo affermavano che sì non era andata benissimo, ma era solo l’inizio…

Domenica scorsa si è votato in 595 comuni, ma l’area del dissenso o “antisistema "era in qualche modo presente solo in 3 città: Vicenza, Massa e Pisa. Rispetto alle comunali dello scorso anno, più che una ritirata un’autentica disfatta.

Ma com’è andata in queste tre città?

Il dato migliore è stato quello di Vicenza, dove la lista “Contiamoci” ha ottenuto il 2,21%. Un risultato dignitoso, ma assolutamente insufficiente ad entrare in Consiglio comunale.

Le cose sono andate peggio nelle due città toscane. Nel capoluogo apuano “Massa Insorge” (Carc + altri) ha ottenuto l’1,52%. In quella lista era candidato Giulio Milani, personaggio piuttosto conosciuto in città soprattutto per il ruolo avuto nel movimento No Green pass, ed assurto alle cronache nazionali grazie all’innocuo “buffetto pedagogico” (questa la sua definizione) a Giuseppe Conte. Risultato? Quarantasette preferenze (47), quarto tra i candidati della lista…

Ancora peggio a Pisa. Qui, con il simbolo “Comitato Libertà Toscana” si è presentato come candidato sindaco l’ineffabile avv. Edoardo Polacco. A detta di molti del “nostro” mondo un autentico personaggione. Risultato? 77 voti (settantasette) alla lista (0,20%); 87 al candidato sindaco (0,22%). Insomma, un successone…

Questi risultati non sono una sorpresa. Già a febbraio, nelle elezioni regionali della Lombardia e del Lazio, nessuna lista di quella che convenzionalmente definiamo anche qui “area del dissenso” era riuscita a presentarsi. Un segnale diverso era arrivato ad aprile dal quasi 4% raggiunto dalla lista “Insieme liberi” in Friuli Venezia Giulia, ma le comunali del 14 maggio ci mostrano come il dato friulano sia stato solo l’eccezione che conferma la regola. Ed a questo punto un primo bilancio sul dopo 25 settembre si impone.

Almeno tre sono le considerazioni che ci sentiamo di fare.

La prima è che l’aver perso l’occasione del 25 settembre ha innescato conseguenze di lungo periodo ben lungi dall’essere riassorbite. Su questo eravamo stati facili, quanto inascoltati, profeti. Il fatto, poi, che i generali della sconfitta abbiano rifiutato non dico un’autocritica (quando mai!), ma perfino una minima riflessione su quella debacle, è una cosa mai vista nella storia della politica italiana, che pure ne ha viste di tutti i colori! Sta di fatto che, mentre Vita si è semplicemente liquefatta, tanto Italexit che Italia sovrana e popolare (Isp) sono scomparse da tutti gli ultimi appuntamenti elettorali, alla faccia dei proclami del post 25 settembre.

E, tanto per esser chiari, lo stesso dato in controtendenza del Friuli è stato sì il frutto di una lista unica (sebbene non unitaria) sulla scheda elettorale, ma quella lista (Insieme liberi) è risultata l’unica solo perché l’altra che si stava allestendo in contrapposizione – uno strano inciucio tra Isp (ora Dsp) e l’antipolitica più sfrenata – non è riuscita a raccogliere le firme…

La seconda considerazione riguarda uno dei fondamentali della politica, vale a dire la corretta valutazione dei rapporti di forza. Se nelle piazze si continua a dire (e magari perfino a pensare) che “noi siamo il popolo” e che il regime è disperato, non solo non si va da nessuna parte, ma si alimenta nel nostro campo una diseducazione all’analisi concreta della situazione concreta che alla fine diventa disperante oltreché stucchevole. Il movimento degli ultimi anni ha segnato sì un vero risveglio, e chi lo nega è davvero fuori dalla realtà, ma al tempo stesso chiaro è il suo riflusso, chiarissima la sua deriva se non saprà sposarsi con una prospettiva politica dotata ad un tempo di visione e concretezza.

La verità è che, sia pure con mille problemi e contraddizioni, il regime sta tenendo, ed in qualche modo sta pure ricostruendo la sua forma bipolare dell’alternanza tra due poli intercambiabili sotto l’egida del famoso “pilota automatico”. Sul piano elettorale, questa tendenza sta sbaragliando pure le formazioni a sinistra del centrosinistra (vedi i risultati al lumicino del Prc, di Pap, di Unione Popolare).

Ne consegue – terza considerazione – che bisogna cambiare registro. L’Era Covid è finita. Certo, di quel periodo restano ancora diverse conseguenze da non sottovalutare, ma politicamente siamo ormai da tempo in una fase diversa. Attenzione, dunque, a non fare la fine di quegli ultimi soldati giapponesi nelle isole del Pacifico in un dopo-guerra che ignoravano (o volevano ignorare) fosse arrivato.

Oggi il tema centrale è quello della guerra. E lo è sotto ogni punto di vista, a dispetto del fatto che nella nostra società ancora non suscita la risposta che meriterebbe. Ma la guerra è anche sociale. Non solo, però, nel senso classico dell’attacco alle condizioni di vita del popolo lavoratore, che pure è pesantissimo. Se fosse “solo” così, prima o poi rinascerebbe una qualche “sinistra” in grado quantomeno di dare una rappresentanza al mondo degli sfruttati in senso classico. Oggi l’attacco è più complesso e complessivo, mirando direttamente allo stesso essere umano in quanto tale. È questa la lezione ed il lascito fondamentale dell’intera “Operazione Covid”.

È partendo da questa consapevolezza che ha preso le mosse la proposta del Fronte del Dissenso, a cominciare dal suo Manifesto recentemente approvato dall’assemblea nazionale di Chianciano Terme. Solo una lettura profonda dei processi in atto può consentirci la giusta messa a punto di una linea politica efficace. Una linea in grado di costruire una nuova opposizione ed una proposta di alternativa sociale veramente rinnovata.

Non sarà questa una strada facile, ma per cominciare a percorrerla bisognerà intanto separare i cialtroni dalle persone serie, gli egocentrici da chi crede al lavoro ed alla costruzione collettiva. Sappiamo bene che, specie al punto in cui siamo giunti, ci salveremo solo con una rivoluzione. Ma sappiamo anche che la rivoluzione è innanzitutto lotta politica, da qui la necessità di sconfiggere le varie tendenze della cosiddetta “antipolitica”, quel virus (altro che Covid!) che il sistema ha intelligentemente diffuso ed infiltrato nelle nostre file. Per cambiare registro, per cominciare a porsi all’altezza dell’oggi, è da lì che si deve partire.

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