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La bellezza di resistere

di Paolo Cacciari

Come non farsi travolgere dalla gravità dei problemi e cadere nel catastrofismo? Come non scivolare nella illusoria soluzione della “digitalizzazione”, tutt’altro che immateriale? Il cambiamento di mentalità e di pratiche di cui abbiamo bisogno passa prima di tutto per recuperare il controllo del nostro tempo e per le reti di comunità, ma per farlo nostro abbiamo bisogno non di istanze etiche ma di bellezza. “Quello che serve – scrive Wolfgang Sachs, allievo sodale di Ivan Illich, in Economia della sufficienza. Appunti per resistere all’Antropocene – è raccontare alla gente come potrebbe essere un’economia più sensibile alle esigenze della vita, quali nuove qualità ne deriverebbero e quali pregi e vantaggi essa ci offrirebbe…”

Segnaliamo un graditissimo ritorno di Wolfgang Sachs con un libro in italiano, Economia della sufficienza. Appunti per resistere all’Antropocene (Castelvecchi, 2023), che raccoglie cinque brevi saggi tradotti dal tedesco e dall’inglese: Dall’efficienza alla sufficienza; Ricchi di cose, poveri di tempo; Sostenibile è bello, ma il bello è sostenibile?; Un altro benessere è possibile; Sufficienza. Verso una prosperità frugale. I temi sono quelli cari al coautore dell’indimenticato Dizionario dello Sviluppo (Gruppo Abele, 1998) e all’animatore del Wuppertal Institut per il clima, l’ambiente e l’energia (vedi: Wuppertal Institut, Futuro sostenibile.

Le risposte eco-sociali alle crisi in Europa, a cura di Wolfgang Sachs e Marco Morosini, Edizioni Ambiente, 2011). Per Sachs l’idea di una crescita materiale infinita e la nozione stessa di sviluppo lineare sono figlie di una concezione coloniale destinata a un fallimento certo. Ma anche il sintagma “sviluppo sostenibile” è un inganno semantico. Non basta ingentilire l’economia di mercato con qualche aggettivo green e smart per far rientrare l’“astronave Terra” in un’orbita compatibile con i limiti degli equilibri planetari. È necessario cambiare le logiche di fondo, strutturali del modello socioeconomico produttivista.

Il suo approccio scientifico, ma anche il carattere personale del nostro autore, che è stato allievo sodale di Ivan Illich, lo portano a non farsi mai travolgere dalla gravità dei problemi e cadere nel catastrofismo. Per Sachs è sempre possibile organizzare in modo ecologico ed equilibrato l’uso della natura. Ma per riuscirci serve un generale “cambiamento di mentalità” che guidi le popolazioni del Nord globale a una forma di “autocontrollo” dei propri bisogni per “tornare padroni dei propri desideri”. Se inanelliamo le parole più significative che compaiono nei capitoli del libro troviamo: sufficienza, semplicità, calma, frugalità, bastevole, uso appropriato, cautela, parsimonia, accuratezza, ponderazione, misurazione. Riprendendo le osservazioni dei sociologi comportamentali, Sachs mette in evidenza il potere simbolico dei beni di consumo, succedanei del vero benessere psicofisico che è possibile trovare solo riprendendo il controllo del proprio tempo. “Quando le merci diventano simboli culturali, non c’è fine all’espansione economica”. E ancora: “L’arte di vivere richiede una scelta oculata nell’uso delle ricchezze materiali. In altre parole esiste qui un rapporto nascosto fra l’austerità e l’edonismo”. L’auspicata “economia dell’abbastanza” – teorizzata da Sachs – si presenta quindi come un compiuto “progetto di civilizzazione” che va oltre gli aspetti tecnologici ed economici e diventano politici e personali.

In uno dei capitoli – a mio modo di vedere – più innovativi, Sostenibile è bello, ma il bello è sostenibile?, Sachs riprende una antica questione che ha attraversato l'esperienza dei movimenti verdi: l’ambientalismo – per affermarsi – deve farsi desiderare, deve essere convincente. Secondo il nostro autore, non sono le paure delle catastrofi, non sono nemmeno le istanze etiche che porteranno le persone a imboccare la via della sostenibilità, ma il bisogno di bellezza.

“Il movimento ambientalista è stato generato da un impulso estetico, ossia dal rifiuto del dilagare del brutto, del pericolo e del degrado, tutte antitesi alla bellezza”.

Bisognerebbe quindi far leva su una “estetica della misura”. L’ecologia, infatti, è quel modo di vedere l’antroposfera e la biosfera in equilibrio dinamico armonico, come nella metafora della “danza della vita”. In tal modo Sachs lancia una sfida ai movimenti ecologisti.

“Tutti gli appelli sulla necessità di ridurre il consumo di risorse, infatti, nella migliore delle ipotesi possono informare, ma certo non entusiasmano nessuno. Quello che serve, semmai, è raccontare alla gente come potrebbe essere un’economia più sensibile alle esigenze della vita, quali nuove qualità ne deriverebbero e quali pregi e vantaggi essa ci offrirebbe. La voglia di cambiare e di sperimentare, l’impegno individuale scattano solo quando si coinvolgono le speranze e le prospettive delle persone, quando i cambiamenti nei vari campi della vita cominciano ad acquistare dei contorni concreti, quando si delineano novità accattivanti e in armonia coi limiti biologici e fisici dell’ecosfera. Ecco perché il dibattito sul futuro dell’umanità e del pianeta non può esimersi da una verifica anche estetica degli stili di vita più sostenibili”.

In altre parti del libro, il nostro autore ci richiama alla ambivalenza delle soluzioni tecnologiche. Se da una parte “la civiltà dell’energia solare di domani” è vista – da Sachs stesso – con grande ottimismo come “l’energia della libertà” (per via della produzione distribuita che dà poteri alle comunità locali), dall’altra, molto realisticamente, ricorda che la “digitalizzazione” è tutt’altro che immateriale e ha un costo altissimo. “C’è un rovescio della medaglia. Il fabbisogno di energia globale [a causa della digitalizzazione] è stimato aggirarsi intorno al 21%!”.

Quali le prospettive? Di fronte alla crisi della globalizzazione, alla rottura delle catene lunghe di approvvigionamento, alla diminuzione degli investimenti esteri, alla stagnazione dei profitti delle imprese e, soprattutto, alle crisi ecologiche incipienti, Sachs pensa che il sistema economico debba cambiare e vede due possibili traiettorie. Da una parte: “il capitalismo pertanto deve affrontare una prova particolare: solo se riuscirà a creare valore con quantità decrescenti di beni potrà sopravvivere al Ventunesimo secolo.”; dall’altra, “dopo il trionfo della globalizzazione adesso si annuncia la rinascita delle regioni”. Il reshoring – il reinsediamento delle catene di produzione delocalizzate all’estero. Sulla strada della riterritorializzazione dell’economia “i cittadini possano svolgere molte attività in modo autonomo e responsabile”.

“La regionalizzazione del fabbisogno energetico e alimentare ha raggiunto il livello più avanzato. I mercati agricoli, l’agricoltura solidale e la lavorazione regionale dei generi alimentari sono i tratti distintivi di una nuova coscienza di appartenenza territoriale. (…) Nella produzione di energia, le cooperative energetiche e le aziende municipalizzate, con i loro impianti fotovoltaici, eolici e bioenergetici dotati di reti intelligenti, si stanno adesso sostituendo alle imprese di distribuzione multinazionali. Il principio alla base della produzione distribuita di energia può poi essere esteso sia all’artigianato sia alla piccola e media impresa”.

Sacsh propone un “modello economico locale” capace di generare non solo beni, ma valori. Benessere autentico. Reti di comunità. Liberare spazi di vita dal mercato.

“Oggi essere locali significa restare ancorati alla comunità del luogo, pur aperti alla circolazione globale di idee e pratiche. Le reti di prossimità stimolano la struttura sociale di una località, le reti più vaste connettono una regione al resto del mondo.”

Ma anche il positivo ottimismo del nostro amico Wolfgang è attraversato da una nebbia nera: “Tutto sembra a portata di mano e poi scoppia la guerra e nessuno nemmeno sa quanta CO2 viene immessa

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