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scenari

I “Quaderni neri” e l’etica della lettura

Donatella Di Cesare

Intervengo su questo tema senza molto entusiasmo, perché non ho una particolare predilezione per le polemiche. Da quando ho pubblicato il primo articolo su questo tema (Heidegger, das Sein und die Juden, “Information Philosophie” 2, 2014), e quindi il libro Heidegger e gli ebrei. I “Quaderni neri”, Bollati Boringhieri, Torino 2014, mi sono resa conto della necessità di prendere parte a un dibattito, talvolta anche acceso. E così è stato. In questo periodo non passa d’altronde giorno che in Italia, in Francia, in Germania, in Israele (meno, per ora, negli Stati Uniti), la discussione critica non coinvolga nuove voci e non si estenda a temi ulteriori. L’apice è stato forse il convegno “Heidegger et le juifs” che si è tenuto a Parigi tra il 22 e il 25 gennaio.

Certo, per dibattere, devono essere date le condizioni. Non sembra questo il caso del breve scritto pubblicato da Andrea Zhok, infelice già nel titolo: “La deludente verità dell’antisemitismo di Heidegger”. C’è un antisemitismo la cui verità sarebbe deludente?

Ma torniamo alla tesi di Zhok. Dopo fumose argomentazioni, improbabili traduzioni (Menschentümlichkeit = modo d’essere dell’umanità, Machenschaft = dominio manipolativo), un linguaggio filosofico impreciso (fatale e destinale usati come sinonimi), giudizi sommari e non motivati, si evince la sua tesi nelle ultime righe: “La deludente verità dell’antisemitismo di Heidegger non è nulla di demoniaco ed indicibile, nulla di controverso, ma magari ardimentoso, no, si tratta, mestamente, dell’unica cosa che a un filosofo non si può perdonare: la superficialità”.

Non vorrei spendere troppe parole sulla categoria del “perdono” usata in abbondanza da Zhok in tutto il breve articolo – come se noi dovessimo ergerci a giudici di Heidegger e perdonare oppure no l’antisemitismo. “Ciò che emerge con impietosa chiarezza dagli Schwarze Hefte non è semplicemente l’antisemitismo o il nazismo di Heidegger. Gli verrebbero perdonati” [!!]. E non vorrei neppure soffermarmi su quel suo mettere sullo stesso piano nazismo e antisemitismo (quest’ultimo ha una lunga tradizione nella storia della filosofia).

Per Zhok l’antisemitismo di Heidegger non è “demoniaco ed indicibile” – ma chi e dove lo ha mai affermato? – non è “controverso”, né “ardimentoso” – bensì “superficiale”. Questa è la sua tesi.

Zhok non sembra aver ritenuto opportuno considerare – come ha fatto invece Stefano Cardini – quel che è già stato pubblicato sull’argomento. Non ha letto il mio libro di 350 pagine (che pure è in italiano), e nemmeno quello di Trawny. Non si inserisce in una discussione critica. E perciò non sarebbe forse necessario neppure replicare alle sue affermazioni. Il rischio è, però, che chi legge potrebbe prenderle per buone.

Vorrei fare solo un esempio. “Ciò che emerge in modo clamoroso – scrive Zhok – è la povertà delle categorie storiche con cui Heidegger opera”. Se c’è un punto in cui, pur offrendo interpretazioni diverse, tutti concordano – come è parso evidente nei congressi di Wuppertal e di Parigi e nei saggi pubblicati – è che il tratto peculiare dei Quaderni neri sta nell’attenzione per gli avvenimenti storici, spesso peraltro riportati con cura e esaminati con giudizio politico.

Da dove viene allora la bizzarra affermazione di Zhok? Parliamo della stessa opera? E qui si affaccia un altro dubbio. Ma ha davvero letto i Quaderni neri? O non ha ripreso qui e là i passi che circolano in queste settimane sui giornali? Che i giornalisti parlino dei Quaderni neri senza averli letti, può purtroppo non sorprendere più; che lo facciano i filosofi, pur se in un intervento semigiornalistico, è imbarazzante e avvilente.

Nei Quaderni neri che vanno dal 1938 al 1941 i termini Jude, jüdisch, Judentum compaiono quattordici volte e non otto, come sostiene Zhok. Ma non si tratta solo di numeri. Heidegger segue la strategia adottata anche da Schmitt e rinvia agli ebrei evitando di menzionarli. L’attacco diretto diventa superfluo. Grazie ai codici della retorica antisemita, insinuazioni, sottintesi, richiami, sebbene impliciti, sono facilmente decifrabili. A chi abbia letto i Quaderni neri è chiaro che ben di più sono i passi in cui Heidegger affronta il tema dell’ebraismo. Ne fanno parte termini come: Verwüstung, Entrassung, Entwurzelung, Vorschub, Herdenwesen, Rechenfähigkeit, Beschneidung des Wissens, Gemeinschaft derAuserwählter, desertificazione, derazzificazione, sradicamento, favoreggiamento, essenza gregaria, abilità di calcolo, circoncisione del sapere, comunità degli eletti. E l’elenco potrebbe proseguire. La metafisica dell’Ebreo che Heidegger delinea va dunque letta all’interno di questa più estesa rete speculativa.

Heidegger avverte che il tema dell’ebraismo va affrontato nella storia dell’Essere. Qual è il rapporto tra l’Essere e l’Ebreo? Ecco dunque la novità dei Quaderni neri. L’Ebreo è insediato nel cuore del pensiero di Heidegger, nel centro della questione per eccellenza della filosofia.

L’antisemitismo metafisico, che esclude l’Ebreo dall’Essere, si inscrive nel progetto del nazismo che è stato il primo progetto di rimodellamento biopolitico dell’umanità. E nel non-essere dell’ebreo risuona già l’annientamento. Come emerge dai nuovi Quaderni neri, che stanno per essere pubblicati in Germania (il volume 97 della Gesamtausgabe uscirà ai primi di marzo), nella posizione di Heidegger c’è ben poco di superficiale. Piuttosto nelle sue pagine si spalanca l’abisso della Shoah.

Ne ho anticipato alcuni passi nella “Lettura” del “Corriere della Sera” lo scorso 8 febbraio. In linea con il suo antisemitismo metafisico Heidegger indica nello sterminio un “autoannientamento”, una Selbstvernichtung. Scrive nel 1942: “Solo quando quel che è essenzialmente ‘ebraico’, in senso metafisico, lotta contro quel che è ebraico, viene raggiunto il culmine dell’autoannientamento nella storia”. Gli ebrei si sarebbero autoannientati. Nessuno potrebbe allora essere chiamato in causa, se non gli ebrei stessi.

D’altronde nei Quaderni neri del 1940 e del 1941, quando viene avanzata l’esigenza di una “purificazione dell’Essere”, fa la sua comparsa il termine “autoannientamento”. In tal senso lo sterminio degli ebrei rappresenterebbe quel momento apocalittico in cui ciò che distrugge finisce per autodistruggersi.

Se gli ebrei hanno un ruolo di primo piano nei precedenti Quaderni neri, che vanno dal 1931 al 1941, se la “questione ebraica” è strettamente connessa alla questione dell’essere – come ho mostrato nel mio libro recente – non può sorprendere che Heidegger parli della Shoah e la consideri sia sotto l’aspetto filosofico sia sotto quello politico.

Temi così complessi e delicati dovrebbero suggerire serietà, correttezza e soprattutto un’etica della lettura. Pagine come quelle di Zhok non favoriscono la riflessione, non contribuiscono alla discussione critica. Alzano solo un polverone intorno a una questione che dovrebbe essere meditata nella sua profondità.

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