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TTIP contro Commercio Equo e Solidale

Più del 97% degli intervistati di un sondaggio ufficiale dell’Unione Europea ha respinto l’accordo TTIP dopo che Barack Obama e 29 capi di governo dell’Unione europea l’avevano sostenuto lo scorso anno.

TTIP under pressure from protesters as Brussels promises extra safeguards, Guardian, 19 febbraio 2015

I profitti della crescita economica vengono sempre più spesso captati da un ristrettissimo numero di persone – nel 2016 l’1% della popolazione mondiale possiederà più del restante 99% – in grado di manipolare a proprio vantaggio i processi decisionali sempre meno trasparenti delle istituzioni internazionali.

Quello di cui abbiamo bisogno è una società equa e solidale che promuova un commercio, consumo, produzione, finanza equi e solidali. Ossia: più decentramento (autonomia, federalismo), più open source (trasparenza), redistribuzione delle ricchezze mondiali e fine del giogo debitorio, più partecipazione democratica, più giustizia (la legge sia uguale per tutti) e, non ultimo, maggiore senso di responsabilità nei confronti del nostro pianeta e degli esseri viventi che lo abitano.

L’esatto contrario dei principi che informano il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, TTIP (Che cos’è il TTIP, spiegato bene, Huffington Post, 6 novembre 2014): accentramento, opacità, neoliberismo, oligarchismo, giustizia cooptata per tutelare i profitti delle multinazionali a discapito di nazioni e popoli, deregulation su ambiente, alimentazione, sicurezza, sfruttamento, ecc. (Commercio mondiale: il Ttip e la lotta di classe al contrario, Fatto Quotidiano, 19 agosto 2014; Trattato Usa-Ue su commercio, campagna dei gruppi d’acquisto contro il Ttip, Fatto Quotidiano, 31 gennaio 2015; Ue frena su accordo commerciale con Usa: troppi rischi, Repubblica, 12 settembre 2014; Trattato Usa-Ue, lo spauracchio del “pollo al cloro”, Linkiesta, 21 maggio 2014).

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Chi vuole stare dalla parte di Monsanto?

Dopo aver firmato un accordo del tutto analogo al TTIP, il North America Free Trade Agreement, entrato in vigore il 1 gennaio 1994, il Canada ha scoperto che nessuna delle promesse che potevano giustificare il suo assenso si è materializzata. Al contrario, le minacce di azione legale da parte delle multinazionali ai danni del governo canadese hanno bloccato misure legislative a tutela dei consumatori che regolamentavano o bandivano l’uso di certi agenti chimici per la biancheria, di certi farmaci e pesticidi o mettevano in discussione certi monopoli e brevetti (Corporate Sovereignty’s Chilling Effects, TechDirt, 21 novembre 2014)- Le dispute legali costerebbero ai contribuenti decine di miliardi di euro (The True Cost Of Corporate Sovereignty For The EU: €3.5bn Already Paid, €30bn Demanded – Even Before TAFTA/TTIP, TechDirt, 4 dicembre 2014), un ammontare superiore alla stima dei benefici economici generati in Europa da un tale accordo (che non include i costi sociali).

Abbiamo dunque un precedente assolutamente negativo che, “stranamente”, non viene quasi mai citato (Did this historic trade deal help Canada? No, Globe & Mail, 6 ottobre 2012).

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Mettiamo a confronto le reali finalità di questo accordo con gli obiettivi del Commercio Equo e Solidale:

  • prezzo equo, tale cioè da consentire ai lavoratori e alle loro famiglie il soddisfacimento dei bisogni essenziali ed un livello di vita dignitoso; il prezzo viene preferibilmente stabilito insieme dal produttore e dall’importatore e non imposto dall’agente che si trova in posizione di maggiore forza, come avviene nel tradizionale mercato capitalistico;
  • piena dignità del lavoro, che vuol dire un ambiente di lavoro salubre e la non discriminazione sul lavoro di alcuni gruppi della popolazione (ad esempio donne o disabili); dignità del lavoro, inoltre, significa non accettare, in assoluto, il ricorso allo sfruttamento del lavoro minorile;
  • democrazia nel processo di lavoro, poiché tutti i prodotti provengono da comunità, villaggi e cooperative attente alla reale partecipazione alle decisioni da parte di tutti i lavoratori, favorendo così la loro responsabilizzazione; inoltre, non si ammettono divergenze eccessive nelle retribuzioni fra quanti ricoprono incarichi anche molto differenziati all’interno della struttura produttiva;
  • prefinaziamento dei propri partner commerciali, perché al momento in cui viene effettuato l’ordine l’importatore anticipa fino al 50% del pagamento complessivo, così da consentire ai lavoratori di far fronte alle loro esigenze, senza diventare ostaggi di usurai o intermediari locali, senza subire in pieno le oscillazioni dei mercati borsistici, senza vivere le incertezze legate alle difficoltà di collocazione delle proprie merci;
  • solidarietà, attraverso progetti di rilevante impatto sociale di cui possa beneficiare tutta la comunità (es. scuole, ospedali, miglioramento delle condizioni e delle tecnologie di lavoro, ecc.);
  • trasparenza, perché il consumatore sia consapevole e pienamente informato di dove va a finire il prezzo che paga. A tal fine la gran parte dei prodotti è accompagnata da schede che, in dettaglio, riportano la composizione delle varie voci di spesa che vanno a costituire il loro costo finale.

FONTE: http://www.domusaequa.org/commercio-equo-solidale.php

WazArs sta dalla parte del prezzo giusto, nei modi e tempi giusti (H&M a Trento vs. Salewa a Bolzano: moda etica, consumo critico, WazArs, 21 ottobre 2014).

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