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lindice

L’Eros dimenticato dell’ora di lezione

Simona De Simone

Massimo Recalcati, L’ora di lezione, pp. 162 , €14, Einaudi, Torino 2014

Che cos’è un maestro?

Se lo chiedeva più di quarant’anni fa Pier Paolo Pasolini, ripensando alla figura di Roberto Longhi, il maestro a cui doveva la sua “fulgurazione artistica”, e se lo chiede oggi Massimo Recalcati, psicanalista di fama internazionale, nel suo ultimo saggio “L’ora di lezione” edito da Einaudi. Diverso, ovviamente, l’orizzonte, identica l’urgenza: Pasolini, “oppresso” eumiliato” da una Scuola-Edipo fondata sull’auctoritas della tradizione, inclinata all’uniformità identitaria, tesa a sorvegliare e punire le viti storte ed il pensiero critico, rivendicava un maestro che non fosse un “alienato” o un modesto “travet” organico al sistema, ma un uomo in cui la cultura si fosse come “incarnata”. Recalcati, invece, segnato dalla Scuola-Edipo ma consapevole dei mali prodotti dall’attuale Scuola-Narciso, rivendica con forza un maestro, che rifiuti di improvvisarsi amico, padre o psicologo e torni a riappropriarsi del suo ruolo.

È, dunque, ai maestri che Recalcati si rivolge, e non da luminare che dispensa presunte pillole di saggezza, ma da uomo, che conserva nitido il ricordo del bambino di un tempo, un bambino considerato “idiota” da una maestra monocorde che “ripeteva il suo sapere morto”, bocciato in seconda elementare “perchè giudicato incapace di apprendere” e costantemente esposto alla tentazione dell’abbandono scolastico.

 È ai maestri che si rivolge nella prima parte del saggio, una disamina del sistema-scuola condotta con la chiarezza ed il rigore argomentativo che gli sono consueti, e soprattutto nella seconda, interamente dedicata all’ora di lezione e condotta, invece, “distillando” le parole, “masticando” le cose fino all’osso, “spremendo” i concetti “come se fossero limoni per estrarne tutto il succo”, forse in omaggio al bambino “un po’ ebete” del passato.

E, ovviamente, nel ripensare la nostra scuola smarrita Recalcati torna a Socrate, il filosofo-maestro che nelle sue lezioni, trascritte solo a-posteriori da Platone, squadernò per primo la dimensione erotica del sapere, e non esitò ad impiegare una pratica didattica a dir poco straniante -teste il discepolo Agatone-, centrata sulla spinta, sulla tensione erotica, sul trasporto verso il sapere. Socrate partiva dall’assunto che il sapere non fosse un tutto-pieno da riversare in un tutto-vuotocome fa l’acqua nelle coppe”, non temeva di “aprire vuoti” nelle teste dei suoi discepoli senza riempirli, non esitava a sedurli senza concedersi, non si stancava di renderli soggetti a tal punto desideranti da partorire da soli il sapere. In una parola, Socrate applicava all’insegnamento la vecchia cara arte della maieutica, quella che oggi tutti i docenti conoscono ma che solo pochi praticano, perché soverchiati da programmi interminabili e da richieste sempre più assurde o, peggio, perché imbrigliati da quel narcisismo egotico che impedisce di rinunciare a sentirsi eromenoi (oggetti amati in quanto sapienti) per riscoprirsi erastai, ossia soggetti ancora e sempre desideranti.

Recalcati recupera la lezione socratica e ne ribadisce la straordinaria modernità, come aveva già fatto qualche anno fa Edoardo Sanguineti nei suoi mirabili “Appunti di didattica letteraria” (ora in La missione del critico, pp. 230, €18,59, Marietti, Genova, 1987). Anche Sanguineti, col suo fare ironico, provocatorio e dissacrante, ricordava ai docenti che da Socrate in poi non si è fatto (e non si può fare), in effetti, un passo in più; anche lui ricordava che il docente è valente solo se riesce a “corrompere” il giovane discente, se lo stimola “demonicamente” alla perdita dell’ignoranza,se lo spinge ad “ingravidarsi di corsa”, se lo induce ad “amorazzare” con questa o quella pratica intellettuale, se lo provoca fino a farlo “procreare”.

La seduzione erotica del sapere, però, vive di oralità e non può che dispiegarsi nell’ora di lezione, l’unica chance riservata all’oralità in un fare scuola che va facendosi sempre più pragmatico. La riscoperta dell’ora di lezione diventa, quindi, passaggio obbligato di qualunque maestro, che aspiri ad essere “riconosciuto” come tale, e di qualunque scuola, che voglia mantenere salda la sua funzione. E’ solo nell’ora di lezione, secondo Recalcati, magari in un’aula diversa da tutte le altre, magari in un’aula “fuori dall’entropia scolastica”, che il sapere prende vita, torna ad accendere il desiderio e si fa corpo, incarnandosi nel gesto, nella voce, nella parola di un maestro. E’ solo nell’ora di lezione, talora persino vilipesa dai fautori dell’iper-cognitivismo, che il maestro può impratichirsi nell’arte del “corruttore” e del “levatore”, che può “in-segnare” nel senso etimologico del termine. E’ solo nell’ora di lezione che l’economicismo, il culto dell’efficienza, l’edonismo fatuo del nostro tempo si fanno pallide ombre davanti ad una parola che seduce, prepara gesti, produce destini.

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