Print
Hits: 985
Print Friendly, PDF & Email

linterferenza

Nè con Trump nè con Soros (e neppure con Putin e Xi Jinping)

Michele G. Basso

Giornalisti che fino a ieri lanciavano accuse incendiarie a Killary Clinton e a Obama, ora raccomandano di non partecipare alle manifestazioni contro Trump, perché sarebbero tutte organizzate da Soros.

E’ vero, il vecchio golpista, immerso nella CIA fino al collo, è sempre presente con le sue ONG fasulle, i suoi divi del cinema “progressisti” e con le sue donnine d’avanspettacolo (le Pussy riot candidate alla bronchite, perché devono girare sempre mezze nude anche quando si muore di freddo), ma sarebbe opportuno inalberare cartelli e striscioni contro Obama, Hillary e Soros, meglio con la la protezione di un proprio buon servizio d’ordine. In altre parole, il proletariato non può mai abdicare alla sua indipendenza, accettare una tregua in attesa che il nuovo burattino del capitale dimostri “la sua volontà di cambiare”. E costui cambierà molte cose, accentuerà la frattura all’interno della borghesia, sempre se quelli dell’altra fazione borghese non lo facciano fuori prima, politicamente o fisicamente.

Se il battito delle ali di una farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas, l’ascesa di Trump, che non è certo una farfallina, può provocare movimenti tettonici, non solo in Texas, ma anche in Cina. Segnali importanti troviamo in due dichiarazioni, alle quali i media hanno dedicato molto spazio, ma, come al solito, senza collegarle fra di loro e collocarle nel giusto contesto. Si tratta dell’intervento di Xi Jinping a Davos e delle dichiarazioni apparse sul tabloid Global Times, prodotto dal quotidiano ufficiale del Partito Comunista Cinese. E’ finito per sempre il basso profilo mantenuto per decenni dal governo cinese.

Ora il gigante comincia a mostrare la sua forza.

Per quanto riguarda Davos.

Xi Jinping è il primo presidente cinese venuto a Davos. E per non deludere banchieri, economisti e politici terrorizzati dallo smottamento trumpiano dell’ordine mondiale, si è eretto a paladino della globalizzazione dei pilastri del liberalismo. Ha fatto un discorso quasi interamente rivolto a Washington, difendendo gli accordi sul clima e la globalizzazione; definendo il protezionismo “una stanza buia che tiene fuori la pioggia e il vento ma anche il sole”; mettendo in guardia da una guerra commerciale che “non ha vincitori”; promettendo di non manovrare il renminbi (la moneta cinese) al ribasso – uno degli strumenti principali con cui Pechino droga l’export e irrita il resto del mondo.

I banchieri, i capitalisti e i loro portaborse l’hanno applaudito. I presunti demiurghi dell’economia hanno bisogno di essere rassicurati e, pur sapendo che la Cina pratica il dumping su scala vastissima, hanno gradito le litanie liberaloidi. Come il fedele, quando ad officiare è un prete notoriamente pedofilo, ritiene tuttavia valida la messa, perché il rito ha valore di per sé indipendentemente dalla moralità di chi lo celebra, proprio come per i presenti a Davos la ripetizione del credo liberale è gratificante pure se in bocca a un protezionista matricolato. Anche il grande capitalista, come il piccolo borghese, ama farsi prendere per i fondelli. Ma quest’ultimo avrà serie difficoltà se continuerà a sostenere il carattere antimperialista del governo cinese o di quello russo o di entrambi, perché le dichiarazioni di Xi indicano anche una scelta politica: tra i due fronti trasversali in America, sceglie quello liberista (di fatto Obama – Clinton – Soros – Bush…) mentre la Russia è schierata con Trump. E’ un indizio chiarissimo di una divaricazione tra Russia e Cina, di cui troviamo conferma nelle dichiarazioni del Global Time. Anche se le dichiarazioni di Mosca tendono a ridimensionare la gravità dei fatti.

La notizia, diffusa dal quotidiano cinese in lingua inglese Global Times, riguarda il dispiegamento di una brigata di missili balistici intercontinentali cinesi Dongfeng-41 (“Vento dell’Est”) nella provincia nordorientale di Heilongjiang, alla frontiere con l’estremo oriente russo. Il portavoce presidenziale russo Dmitrij Peskov ha dichiarato

“La Cina è un alleato strategico della Russia”. Qualsiasi azione sul versante dello sviluppo delle forze armate cinesi” riporta la Tass, “se l’informazione (sul dispiegamento) corrisponde a realtà, noi non la percepiamo come una minaccia per il nostro paese”. Peskov ha ricordato che Pechino, oltre che alleato strategico, è anche “nostro partner politico ed economico-commerciale”.

Eppure, il fatto che Peskov abbia avuto la notizia dal Global Times, come un qualsiasi osservatore o giornalista, e non direttamente dal governo cinese, la dice lunga sulla solidità dell’alleanza russo cinese e, data la stazza delle due potenze, possiamo parlare di deriva politica di continenti. L’assicurazione di Peskov ricorda quella del cancelliere tedesco Bülow sulla fedeltà dell’Italia alla Triplice Alleanza: “… in un matrimonio felice il marito non ha ragione di diventare subito rosso se la sua signora una volta fa un innocente giro di valzer con un altro”. Si sa come è andata a finire. Qui è chiarissimo che l’avvertimento riguarda pure Mosca, che si sta avvicinando troppo a Trump.

A quanto dicono i giornali, i missili cinesi potrebbero raggiungere gli Stati Uniti in 30 minuti. Non è consolante sapere che USA e Cina si possono distruggere reciprocamente, ed è noto che da molto tempo la stessa cosa è possibile con la Russia, anche se molti militaristi sembrano dimenticarlo. Lo scontro diretto sembra improbabile, a meno che non si affidino in maniera cieca a un controllo esclusivamente elettronico, escludendo il controllo umano. Le guerre per procura, le rivoluzioni colorate, le guerre finanziarie e commerciali, le sanzioni, ecc. potranno così continuare.

Il fatto politicamente rilevante è che Pechino – a quanto pare – non ha più bisogno dell’ombrello atomico di Mosca, e quindi potrà perseguire i propri interessi, senza tanti riguardi verso il grande vicino del nord. Si capisce bene anche come tutto il baccano propagandistico contro il pericolo coreano fosse in realtà diretto contro la Cina, così come, qualche anno fa, si voleva far credere che le batterie puntate sulla Russia fossero dirette contro l’Iran. La menzogna è la norma nei rapporti tra stati borghesi ma, quando si parla di questioni militari, raggiunge vette incredibili.

Sulle dichiarazioni di guerra all’Isis di Trump, Pechino non sembra entusiasta. Se in Siria e in Iraq, invece dello Stato islamico, fossero rimaste truppe americane, la via della seta non sarebbe certo più sicura. E ancor meno felice Pechino lo è per la pressione militarista sull’Iran, suo gran fornitore di petrolio. Si capisce, quindi, la necessità di Xi e dell’Iran di combattere Trump, anche con concessioni ai cosiddetti liberisti americani, mentre per Putin è proprio il contrario.

Dal punto di vista proletario, è enormemente importante un’altra considerazione: al momento attuale, se si presentasse in un paese una situazione di lotta che mettesse in pericolo il potere borghese, gli Stati Uniti potrebbero intervenire in qualsiasi continente per riportare “l’ordine”, mentre altri paesi avrebbero margini d’azione più limitati. Una grave crisi interna agli USA, con forti lotte politiche, potrebbe ridurre la loro capacità d’intervento; questo periodo sarebbe favorevole alla ricostituzione del movimento operaio rivoluzionario, a cominciare dagli Stati Uniti stessi. Non si deve perdere tempo, perché altri paesi stanno ponendo la loro candidatura al ruolo di gendarme a livello continentale o globale, e sappiamo che le controversie tra borghesie sono messe da parte quando si tratta di colpire il proletariato. Non sarebbe neppure favorevole al proletariato una divisione di sfere d’influenza tra grandi potenze. In altre parole, ogni tipo di ordine consolidato, sia basato su una o più potenze, è un disastro per i lavoratori e le masse sfruttate. Solo il periodo di disgregazione dei vecchi equilibri può creare situazioni vantaggiose.

Un’altra notizia importante riguarda i Paesi Baltici. Da tempo, i governi e la Nato terrorizzano la popolazione, prospettando un’invasione russa,

L’Estonia sta addestrando un esercito partigiano pronto alla guerriglia, la Lituania distribuisce nelle scuole manuali per la resistenza armata e la Lettonia visori notturni e armi da tenere in casa. Tutto per difendersi da soli dalla Russia […] lo scenario al quale si stanno preparando i tre piccoli Paesi ex sovietici è chiaro: fronteggiare da soli l’orso russo in casa, immaginando una veloce disfatta militare, senza l’intervento degli alleati occidentali e facendo affidamento su azioni di guerriglia e sabotaggio della popolazione […] A Riga è stata costituita una guardia nazionale composta da volontari a cui si sta pensando di dare armi e visori notturni da tenere in casa. Tutti pronti alla battaglia contro i soldati russi. Tallin si sta invece organizzando con un esercito partigiano di 25mila uomini che ogni domenica imparano a costruire esplosivi fatti in casa e usare armi improvvisate. Grossi numeri, per un Paese che può contare su un esercito di 6mila uomini.

[…] Con Trump alla Casa bianca, chi è pronto a scommettere sull’applicazione dell’articolo 5 del trattato Nato che prevede l’intervento dell’Alleanza in caso di aggressione a uno dei suoi membri? […] una simulazione di pochi mesi fa dava alle forze armate russe appena 36 ore per prendere Riga e Tallin e meno di tre giorni per occupare Estonia e Lettonia, sbaragliare la difesa della Nato e lasciare l’Occidente davanti al fatto compiuto. (3)

E’ ovvio che i governi oltranzisti dei tre paesi soffiano sul fuoco per avere l’appoggio americano e che Putin, almeno per il momento, non vuole rischiare. Ma la descrizione dei rapporti di forza in caso di guerra è vicino alla realtà. Non è una prospettiva solo baltica, perché di fronte all’enorme potenziale bellico delle grandi potenze, le possibilità di difesa di stati medi e piccoli è minima.

Anche in occidente, un governo con un certo grado di indipendenza può scegliere di addestrare la popolazione alla guerriglia contro qualsiasi aggressione (e non è detto che venga necessariamente da est), e questa sarebbe una buona soluzione anche per proletariato, perché senza addestramento militare sarebbe difficile trasformare la guerra in rivoluzione proletaria, soprattutto in presenza di eserciti professionali o mercenari. Ma una borghesia decrepita e asservita come quella italiana sceglie la via opposta, con l’acquisto di costosissime bare volanti, come gli F35, criticati aspramente pure dal Pentagono e che, in caso di un attacco serio, potrebbero essere abbattuti in una giornata. Non sarebbe un grosso problema per la nostra borghesia, pronta a genuflettersi nei confronti di qualsiasi potenza, lo sarebbe per il proletariato, che dovrebbe difendersi, senza avere avuto un addestramento militare, da due avversari, almeno fino a che nell’esercito invasore avesse successo la parola d’ordine della trasformazione della guerra in rivoluzione.

Web Analytics