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manifesto

La Seta nera dei contractors

Simone Pieranni

Erik Prince è finanziatore di Trump ed ex boss dei mercenari Blackwater. Oggi è a capo di un’azienda partecipata dalla cinese Citic che ha aperto due campi di addestramento in Cina. Per sfruttare il piano di Pechino «One Belt One Road»

Da tempo negli Usa si discute del nuovo progetto lanciato dalla Cina, «la nuova via della Seta», nota come «One Belt One Road» (Obor). Un progetto mastodontico che rappresenta la proposizione «globale« della Cina. Oltre 60 paesi coinvolti, metà della popolazione mondiale, per un giro d’affari di miliardi di dollari, una banca di investimenti a guida cinese, la Aiib, e un fondo creato ad hoc da Pechino. Per la Cina si tratta di una piattaforma a disposizione di tutti, nella logica del «win-win», che potrebbe inaugurare il cosiddetto «imperialismo dei corridoi», il modo con cui Pechino intende la «globalizzazione»: come ha scritto Giorgio Grappi sul numero di Limes dedicato ai rapporti tra Usa e Cina alla luce dell’arrivo di Trump alla Casa bianca, «possiamo riassumere l’emergere di una politica dei corridoi intorno ai seguenti elementi: la definizione di una rete centrale che ne costituisce l’ossatura; la creazioni di corpi misti per la realizzazione e la governance degli spazi coinvolti, la definizione di regolamenti interni, pratiche gestionali e standard comuni (…) la messa in sicurezza dei siti strategici».

LA NUOVA VIA DELLA SETA è dunque una piattaforma; la Cina offre a tutti la possibilità di entrarci a varie condizioni:

che i territori toccati dalle rotte marittime e terrestri siano «pacificati», presumendo dunque l’assenza di interventi politici interni nei vari paesi, secondo il principio di «non ingerenza» da sempre caro a Pechino.

Un’altra condizione è dovuta all’obbligo di sottostare ai passaggi geografici e commerciali che Pechino ha contrattato e concluso con le diverse controparti. E tutti questi progetti che possono «inserirsi» sul percorso – porti, infrastrutture, oleodotti, logistica – contribuiscono ad allargare il giro d’affari e richiedono aziende interessate a partecipare alla grande novità.

NEGLI USA la domanda principale riguardo la Obor è la seguente: come possono gli Stati uniti inserirsi in questa logica? Come sfruttare a proprio vantaggio un progetto dal quale sarebbe un suicidio tirarsi fuori per mere questioni ideologiche? Analogamente si registra una rinnovata attività cinese in molte parti del mondo: non solo economica, ma anche militare. Secondo il Financial Times in Cina si assisterebbe a un nuovo fenomeno: la crescita dell’industria privata relativa a servizi di sicurezza. Ci sarebbero almeno 3.200 dipendenti di aziende di sicurezza private cinesi in giro per il mondo.

Nella maggioranza dei casi si tratterebbe di ex soldati dell’esercito di liberazione nazionale. Pechino sarebbe molto cauta con questo fenomeno, per evitare fenomeni negativi come quello della Blackwater americana. Ma evidentemente non tutto è andato per il verso giusto, oppure Pechino ha deciso di prendersi un rischio clamoroso per formare il proprio personale, perché secondo alcune inchieste e una serie di documenti pubblici, proprio l’ex capo della Blackwater avrebbe creato due campi di addestramento in Cina, ricalcando lo stile della sua ex azienda nota per offrire mercenari alla politica militare americana e nota per alcuni clamorosi scandali.

LA RISPOSTA alla domanda che si pongono negli States, quindi, sembra essere arrivata attraverso l’analisi delle attività di un’azienda che offre servizi di sicurezza e logistica, la Frontier Service Group. Buzzfeed di recente ha prodotto una inchiesta al riguardo, utilizzando alcune fonti interne, ma in realtà le attività della Frontier sono conosciute da tempo. Solo nell’ultimo periodo una nota stampa ha ufficializzato quanto da tempo si sospettava: l’apertura di due campi di addestramento in Cina in Yunnan e Xinjiang, per ex soldati dell’esercito popolare di liberazione. Lo scopo: inserirsi nella strategia della Obor attraverso l’addestramento di personale che dovrà poi mantenere in sicurezza eventuali «snodi» della traiettoria commerciale terrestre e marittima ideata dalla dirigenza cinese.

NATURALMENTE C’È DI PIÙ: cos’è infatti la Frontier? È un’agenzia quotata alla borsa di Hong Kong, partecipata dalla cinese Citic (il più grande gruppo di investimenti pubblici cinesi) e presieduta da Erik Prince. Non proprio uno qualunque: è l’ex capo della discussa Blackwater, azienda di «formazione» e invio nei territori di guerra di mercenari già finita in diversi scandali tra Medio oriente e America Latina, considerata dai più come una sorta di braccio armato della Cia.

ERIK PRINCE è anche il fratello dell’attuale ministra dell’istruzione americana Betsy DeVos. E ancora: Prince è stato finanziatore della campagna elettorale di Trump, con 100mila dollari regalati al Trump Victory Committee e ai repubblicani, nonché ospite fisso del sito Breitbart news, di sovente intervistato dall’anima nera dell’amministrazione americana targata Trump Steve Bannon (che di recente ha prospettato uno scontro militare con la Cina nel Pacifico entro dieci anni). Prince è da sempre considerato un «suprematista cristiano», ha finanziato diversi candidati conservatori nel corso della sua vita, pur definendosi un «libertario», intendendo con questo termine di appartenere a quella deriva di destra, capitalista e razzista che ora con Trump sembra essere tornata al potere.

IL QUADRO che si comporrebbe sarebbe il seguente: gli Usa di Trump fanno affari con la Cina attraverso uno degli uomini più discussi in tema di sicurezza, mercenari e contractors, tanto da diventare il simbolo del fallimento di Bush in Iraq.

La Frontier, inoltre, nel caso offrisse servizi di natura militare, violerebbe le leggi americane al riguardo, oltre a porre in una situazione discutibile gli ottimi rapporti che sembrano intercorrere tra Prince e Trump; almeno così potrebbe sembrare dato l’atteggiamento anti cinese tenuto da Trump nel corso della campagna elettorale. Ma business is business, come ha dimostrato la richiesta fatta da Trump a Pechino (che ha accettato) per approvare 38 suoi marchi e la loro possibilità di arrivare sui mercati cinesi. In casa Trump fa il protezionista, all’estero fa il liberale: la traiettoria di Trump con la Cina è ancora tutta da scoprire. Secondo la nota stampa della Frontier, fornita da una fonte a Buzzfeed, «una base operativa è stata aperta nella provincia cinese dello Yunnan e un’altra in Xinjiang». Nella stessa comunicazione è riportata, in coda, un’affermazione di Prince secondo il quale la Frontier punta proprio a partecipare alle immense possibilità offerte dalla One Belt One Road.

Nell’inchiesta di Buzzfeed si legge: «In una e-mail inviata a BuzzFeed News, un portavoce di Frontier Services Group ha fornito una dichiarazione (la nota stampa citata in precedenza ndr) ma ha contestato il fatto che l’azienda stia per diventare una nuova Blackwater, insistendo che tutti i suoi servizi di sicurezza consistono in personale non armato (non militare dunque, ndr). I servizi di Fsg non comportano personale armato o la formazione di personale armato; la formazione presso le basi cinesi sarebbe finalizzata ad aiutare il personale non militare a offrire servizi di protezione, senza l’uso delle armi». Un’affermazione – secondo alcuni ex soci di Prince sentiti da Buzzfeed – «ridicola»: cosa utilizzeranno, si chiedono, «poteri psichici»?

DEL RESTO IL «CORE BUSINESS» di Prince è proprio la formazione di paramilitari, servizi per i quali avrebbe già collaborato con la Cina in Africa (a questo proposito un articolo di Forbes del 2014 è intitolato: «Abbiamo creato un mostro, ex boss della Balckwater diventa colonialista con la Cina»). E secondo alcuni osservatori i servizi della Frontier servirebbero alla Cina per sviluppare servizi di sicurezza cui il proprio personale non sarebbe ancora all’altezza. In questo senso va specificato che molti analisti militari cinesi ancora oggi invocano un maggior finanziamento alle proprie forze armate, proprio per colmare un gap nei confronti degli americani. Xi Jinping dal canto suo ha proceduto nella sua direzione, che mira a fare soprattutto della marina il fiore all’occhiello delle forze armate cinesi. Frontier è inoltre in partnership con altre aziende cinesi per quanto riguarda assicurazioni e servizi di aviazione. Come ha scritto nella nota stampa, «la sfida unica che si presenta con la nuova via della seta è quella di offrire servizi e prodotti per nuovi mercati». La nuova via della Seta apre nuove traiettorie commerciali ma ha bisogno di tanti accordi.

LA CONSUETA CAPACITÀ CINESE di dialogare con chiunque, come dimostrato dalla visita dell’anno scorso di Xi Jinping tra Arabia Saudita, Egitto e Iran, potrebbe incontrare qualche intoppo. Secondo molti osservatori non è detto che tutti i desiderata di Pechino si potranno ottenere. Xi Jinping ha visitato decine di capitali, in Africa, in Medio oriente, in Asia, oltre che in Europa e ha provato a concretizzare le attività cinesi anche con l’Afghanistan.

A settembre dell’anno scorso Kabul e Pechino hanno inaugurato il primo servizio ferroviario tra i due paesi, un passo storico. «Senza la connettività afgana, non vi è alcun modo per collegare la Cina con il resto del mondo», ha detto Yao Jing, ambasciatore cinese in Afghanistan, celebrando il primo treno che ha collegato i due paesi. Un tratto ferroviario da Nantong in Cina a Hairatan in Afghanistan, passando per il cuore dell’Asia: due settimane di viaggio su rotaie, anziché sei mesi utilizzando strade e passaggi spesso ostici.

LA CINA da anni ragiona su grandi piani di investimento per mettere mano alla ricchezza di risorse dell’Afghanistan, che secondo le stime d Kabul varrebbero più di 3 miliardi di dollari. Il Metallurgical Corp. of China Ltd. ha ricevuto una licenza nel 2007 per estrarre dal più grande deposito di rame in Afghanistan e la China National Petroleum Corp. ha vinto un contratto nel 2011 per il petrolio. E non solo, perché stando a rumors, specie nel settore minerario, la Cina avrebbe addirittura ottenuto il semaforo verde dai talebani che controllerebbero la zona della miniera di Mes Aynek. Secondo i talebani, la Cina avrebbe promesso oltre 3 miliardi di dollari per far ripartire il progetto minerario della zona.

IL GOVERNO DI KABUL ha negato l’accordo, sostenendo che i talebani starebbero «vendendo fumo». Sarà, intanto la scorsa settimana una delegazione talebana è stata ospitata a Pechino: si è trattato del secondo incontro in dieci mesi. A Bloomberg Sayed Masood, professore alla Kabul University, ha detto che gli investimenti cinesi in Afghanistan stanno diventando ingenti, facendo della Cina «il principale partner commerciale del paese». Investimenti che andranno protetti. Con i propri soldati o con quelli addestrati da qualcun altro, magari la Frontier del suprematista Prince.

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