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riv.anarchica

Doppio movimento

di Cosimo Scarinzi

C'è quello politico, bloccato (alla faccia della vittoria referendaria). E quello sociale, quasi fermo. Ma con segnali di combattività. Nella scuola e a Genova, per esempio.

Può valere la pena di tornare, rapidamente, al referendum costituzionale del 4 dicembre. Dal punto di vista politico si è trattato indubbiamente di un evento di portata notevolissima. Un referendum senza quorum ha visto, infatti, un'affluenza del 65% in netta controtendenza rispetto alla consolidata crescita dell'astensione; con la vittoria del No con il 59,1% dei voti si è avuto, a maggior ragione vista l'affluenza, un risultato che non ha permesso le classiche interpretazioni secondo le quali tutti, in qualche misura e per qualche ragione, hanno vinto.

Anche la distribuzione del voto è interessante, con l'eccezione della provincia di Bolzano, il Sì ha vinto solo nelle province di Arezzo, Firenze, Forlì Cesena, Modena, Pisa, Pistoia, Ravenna, Reggio nell'Emilia e Siena e ha perso arrivando quasi al pareggio solo nelle province di Livorno e Perugia. Con ogni evidenza, se consideriamo anche le province in cui il Sì ha perso nettamente ma non in misura disastrosa, ha retto l'insediamento storico del PCI - PDS - DS - PD; il che dimostra che molti hanno un po' esagerato nel fare il funerale al sistema dei partiti e della loro capacità di orientare l'opinione pubblica, quantomeno nelle zone in cui i partiti non sono ridotti a semplici clientele.

D'altro canto, un'interessante articolo de “Il Sole 24 ore”1 del 5 dicembre “Referendum: a dire no sono stati giovani, disoccupati e i meno abbienti” rileva che vi è una sostanziale coincidenza fra orientamento elettorale nelle diverse province e reddito medio e tasso di disoccupazione con una forte astensione e una prevalenza del No nelle province a più basso reddito e a più alto tasso di disoccupazione. D'altro canto, ricerche più puntuali su una serie di città hanno rilevato come le periferie hanno votato No e i centri Sì, i ceti popolari No e i ceti borghesi Sì.

A meno di immaginare che i cittadini italiani si siano improvvisamente scoperti seguaci di Montesquieu, attenti lettori de “Lo spirito delle leggi” e rigorosi fautori della divisione dei poteri dello stato, si è di fronte a un voto che esprime un malessere sociale profondo solo parzialmente contenuto da tradizionali fedeltà ad uno schieramento politico.

È anche vero, d'altro canto, che non si tratta di un malessere omogeneo: quando il No stravince, per fare un caso, a Vicenza e Treviso, zone di forte insediamento leghista e ad alto reddito, è evidente che le ragioni dello scontento sono probabilmente legate ad una politica di “accoglienza” dei migranti ritenuta troppo blanda e a una rivolta della piccola impresa contro la pressione fiscale e che, passato il referendum, se si scorporano le ragioni del No, non vi è affatto un blocco elettorale che lo rappresenti; ma questa è un'altra questione rispetto a quella che ritengo di maggior interesse.

La domanda che sorge spontanea a questo punto è in quali comportamenti concreti, in quali azioni, in quali forme di organizzazione il “vento della rivolta” manifestatosi nel voto referendario si sia tradotto e si traduca; la suggestiva scoperta che facciamo sta nel fatto che, al momento, non si traduce in nulla o quasi o, meglio, che se vogliamo interrogare il sociale servono criteri di misurazione di natura diversa da quelli che utilizziamo per interpretare i comportamenti che si manifestano nella sfera politica2.

Proverò, in mancanza di ricerche a mio avviso adeguate, a utilizzare due esempi che, nella loro evidente diversità, possono funzionare da scandagli.

 

La “scomparsa” del movimento dei lavoratori della scuola

Partiamo dall'immersione in acque profonde del movimento dei lavoratori della scuola dopo il grande sciopero del maggio 2015 contro la riforma Renzi-Giannini.

Si giocò allora una partita la cui forza, apparente, e la cui debolezza, reale, fu l'unità sindacale nella mobilitazione.

Mancava infatti a quel movimento, nella sua imponenza, un robusto endoscheletro costituito dalla necessaria rete di comitati di scuola e territorio capaci di produrre elaborazione, iniziativa, lotta.

Il movimento, invece, venne “tenuto assieme” e, nei fatti, controllato prima e liquidato poi dagli apparati sindacali che dopo essergli saltati in groppa si disimpegnarono rapidamente nel settembre 2015, proponendo una “resistenza” (peraltro su contenuti subalterni all'offensiva di parte governativa) nelle singole scuole che consegnò la categoria, in questo modo atomizzata, all'iniziativa del Ministero.

Pure, nel corso dell'anno passato, non tutto ha funzionato bene dal punto di vista dell'avversario. Accanto a casi importanti anche se, purtroppo, isolati di esplicito rifiuto del bonus3 c'è stata una vera e propria resistenza passiva, una non collaborazione diffusa che ha significativamente, anche se non sufficientemente, limitato l'impatto della riforma. Nei fatti, il “premio ai meritevoli” è stato concesso al 39% degli insegnanti, oltre il doppio rispetto a quanto era nella logica del premio stesso che avrebbe dovuto andare a meno del 20% ed essere, di conseguenza, assai più consistente. Con ogni evidenza, di regola, i dirigenti scolastici hanno scelto di “accontentare” il maggior numero possibile di docenti per ridurre le tensioni. Un risultato, dal nostro punto di vista, certo non esaltante, ma indicativo di difficoltà dell'avversario.

 

Un brindisi agli autoferrotranvieri

Il 21 dicembre 2016 è stato firmato, per poi essere votato da una grande assemblea degli autoferrotranvieri che lo hanno accettato, dopo quattro giorni di sciopero totale dell'Atp (l'azienda di trasporto pubblico nella provincia di Genova) un accordo che prevede un significativo recupero di parte di quanto perso dai lavoratori negli ultimi anni.

È bene ricordare che il sindaco progressista e di sinistra di Genova, nonché Marchese, Patrizio Genovese e Conte di Montaldeo, Marco Doria, aveva affermato “Un fatto gravissimo, di una gravità assoluta. Non è accettabile che i cittadini siano tenuti in ostaggio e che delle leggi sacrosante che garantiscono il diritto di sciopero, ma anche un servizio pubblico ai cittadini, siano infrante in questo modo” e aveva rifiutato di trattare con gli autoferrotranvieri.

Al di là del giudizio tecnico sull'accordo, in ogni caso una vittoria rispetto alle pretese dell'azienda, è importante rilevare che lo sciopero è stato illegale, che la mobilitazione è stata massiccia, che è stata spezzata nei fatti la gabbia d'acciaio costituita dalla legislazione antisciopero che ha reso, inutile nasconderlo, sostanzialmente ineffettuali gli scioperi nei servizi pubblici.

Da questo punto di vista va detto che l'accordo prevede che l'azienda non avvii provvedimenti disciplinari contro gli scioperanti, una riprova del fatto che quando l'illegalità è di massa fonda nuove regole del gioco, come ci insegna il famoso “discorso del Ciompo4”.

 

Guardando nello specchio

Cos'è successo nel frattempo sul terreno della questione sociale? Come sovente avviene, i movimenti dell'avversario, rispecchiando la sua lettura dello stato della nostra parte, forniscono utili elementi di conoscenza.

Il 30 novembre dell'anno scorso il Governo e CGIL-CISL-UIL, finalmente - dal loro punto di vista - affratellati, hanno concluso un accordo sui contratti del pubblico impiego, basato sullo scambio esplicito fra un rinnovato riconoscimento del ruolo istituzionale dei sindacati concertativi, in cambio di aumenti salariali assolutamente lontani dal recupero di quanto abbiamo perso in questi anni e destinati in parte significativa a finanziare fondi pensione e un welfare integrativo gestito congiuntamente da Governo e sindacati istituzionali.

Il 25 novembre FIM, FIOM e UILM avevano firmato con Confindustria il contratto dei metalmeccanici; la FIOM, dopo anni di isolamento e di rottura con FIM e UILM, poneva fine all'anomalia che aveva rappresentato e accettava, guarda caso, aumenti salariali modesti e, mi ripeto, destinati in parte significativa a finanziare fondi pensione e un welfare integrativo gestito congiuntamente dal padronato e dai sindacati istituzionali.

Accordi che restaurano quella concertazione o, se si preferisce, quel corporativismo democratico che per varie ragioni dal tentativo della FIOM di giocare un ruolo di opposizione a quello del Governo Renzi di mettere a cuccia la burocrazia sindacale, era in crisi.

Accordi mediante i quali i diversi poteri reali si sostengono a vicenda di fronte a una situazione sociale di forte tensione, a volte effettuale e a volte sottotraccia.

Accordi che comunque rendono più chiaro il quadro politico e sociale, i posizionamenti, le scelte di fondo e che permetterebbero, laddove ve ne fossero le capacità, un'iniziativa forte dell'opposizione sociale. È su questo terreno che, a mio avviso, sui vari piani - politico, culturale, sindacale - si deve lavorare, si devono porre in rete conoscenze e valutazioni, si devono concordare iniziative.

Un percorso non facile, ma necessario pena l'irrilevanza.


Note
  1. http://www.infodata.ilsole24ore.com/2016/12/05/referendum-dire-no-stati-giovani-disoccupati-meno-abbienti/.
  2. Ho ritenuto di utilizzare i dati del referendum costituzionale perché, a mio avviso, particolarmente chiari e di facile interpretazione, ma l'andamento delle ultime elezioni con la crescita delle elezioni e l'entrata in scena del Movimento 5 Stelle confermano la tendenza pienamente manifestatasi in occasione del referendum.
  3. Vedi l'articolo Scuola, i professori che rifiutano il bonus: “A tutti o a nessuno, così è un'elemosina” su “La Repubblica” del 29 giugno 2016 http://www.repubblica.it/scuola/2016/06/29/news/_chi_lavora_di_piu_ha_diritto_a_degli_extra_-143032739/.
  4. Niccolò Machiavelli, Istorie fiorentine.                   

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