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ilsimplicissimus

Europa chiama Diaz

di ilsimplicissimus

Non si può certo dire che il neoliberismo liberi la fantasia e tanto meno che l’immaginazione sia una qualità delle oligarchie europee, le quali per cancellare l’assoluta prevedibilità da cui sono intrise, si limitano a imprigionare quella altrui fra le sbarre invisibili dei media: avrei scommesso qualsiasi cosa che in vista delle celebrazioni per i trattati Roma e il vertice europeo di due giorni dopo sarebbe scattato l’allarme terrorismo. Infatti  è puntualmente accaduto perché questa volta la posta in gioco sul tavolo  della paura è particolarmente allettante: non solo riattizza le angosce per la violenza  che viene da lontano, ma serve anche ad affiancarle quella che proviene dalle opposizioni allo status quo che chiedono l’uscita dall’euro e dalla Nato, due temi apparentemente diversi, ma intimamente connessi. Così mentre a Parigi risorge la caccia l’uomo, mentre in Germania l’anti islamismo vede alla sua testa una Merkel alla caccia dei consensi perduti, in Italia il ministero dell’interno comincia a bombardare i sudditi con allarmi di ogni tipo sulla manifestazione di Roma del 25: si parla ovviamente di black bloc stranieri, di infiltrazioni violente (basta vedere da che parte, intelligenti pauca) e insomma si imbastisce un’operazione di denigrazione  e ghettizzazione preventiva del dissenso allegandola d’ufficio al capitolo violenza.

Nell’intero continente si cerca in qualche modo la chiave per indurre le opinioni pubbliche a mettere psicologicamente quasi sullo stesso piano il terrorismo e l’opposizione all’oligarchia contro la quale occorre una guerra di civiltà. Ci vuole una bella faccia tosta dopo un mese di recrudescenza di stragi dovunque, compresa quella di decine di rifugiati con tanto di carta dell’Onu, ma comunque tutti i segnali che vengono dal potere sono nel segno di Genova. Non si tratta solo della creazione di zone chiuse in cui i riti  dei “grandi” in via di marcescenza e dei loro valletti possano essere celebrati nell’assoluta separazione dalla gente comune perché questa ormai è una tradizione, ma del nuovo decreto di massima sicurezza che concede poteri mai visti alla polizia e di fatto trasforma la normale dialettica democratica in reato a prescindere; anche solo essere in piazza con uno striscione può essere motivo di arresto o di pestaggio. Forse non si rendono ben conto che queste cerimonie sono ormai messe di suffragio a priori, ma poiché non possiedono la capacità di immaginare altro, se non la repressione per chi chi si è salvato dal contagio dell’egemonia culturale, continuano su questa strada. La violenza reale o immaginaria che sia, ancorché marginale è l’alleata perfetta del potere non solo perché mantiene la paura in caldo, ma anche  perché tutto il clima di allarme che crea serve benissimo a marginalizzare se non cancellare qualsiasi dibattito sulle idee che animano i manifestanti: prima gli allarmi sono utilizzati come prevenzione contro la discussione delle ragioni degli antagonisti, poi, dopo gli eventi non si parla d’altro che della violenza, anche minima se c’è stata o della violenza che stranamente non c’è stata. Inoltre l’assoluta sproporzione tra fatti e repressione è destinata a creare un senso di paura sia nel protestare, sia nel denunciare il brigantaggio legale e istituzionale che fa sempre più parte della “vita democratica”.

Insomma è evidente la trasformazione di questo Paese come degli altri dell’Europa Felix , in stato di polizia. E’ francamente miserevole lo spettacolo dei coreuti ciechi,  privi della benché minima sensibilità storica e attaccati come caciocavalli alle favolette atlantiche, ma sostanzialmente carenti di moralità intellettuale che continuano a esaltare come dischi rotti ‘l’Europa la quale ci avrebbe regalato 70 anni di pace. Intanto sono 60 a contare dai trattati di Roma, 40 se si tiene conto delle guerre iugoslave, ovvero lo stesso periodo di pace concesso dal periodo ultranazionalista del continente, ma non si può non capire che tutto questo è stato dovuto logiche del mondo bipolare e al ruolo marginale, passivo, a sovranità ridotta del continente. Una volta esauritasi questa fase la guerra è tornata eccome, sia nei Balcani, sia nelle numerose guerre fatte altrove, ma forse giuste o non importanti per questi ipocriti aedi, e tuttavia anche all’interno dell’Europa stessa. Una guerra non condotta con gli eserciti, cosa impossibile in presenza del padrone americano, ma con altri mezzi, quelli economico – istituzionali.  Una conseguenza paradossale, ma fin troppo ovvia per l’europeismo post bellico che vedeva solo nell’integrazione economica guidata dalle elites, non nella civiltà dell’eguaglianza, dei diritti e della speranza, l’unica strada contro la guerra.

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