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coordinamenta

“Pretoriani”

di Elisabetta Teghil

Riaffiora continuamente nella sinistra una teoria che potremmo chiamare della “democratizzazione” che, in parole poverissime, pretenderebbe che lo Stato si muovesse su binari così detti “democratici” e si scandalizza e si flagella quando questo non avviene. E parla di regressione autoritaria, di deriva reazionaria e via dicendo.

Pensando che si possano chiamare ad una “democraticità” più fattiva gli apparati esistenti, si dimentica che lo Stato è lo strumento e l’emanazione della classe dominante, si cassa ogni considerazione sulla natura di classe dello Stato stesso, presentandolo come neutrale e necessario per le “oggettive” esigenze di direzione della società. L’idea della non neutralità dello Stato, una delle acquisizioni fondamentali del marxismo, è dimenticata, non soltanto nel revisionismo tradizionale e nel neo revisionismo, ma anche in molti spazi antagonisti. E questo vale a tutti i livelli sia che si parli di tribunali e di giustizia, sia che si parli di gestione della piazza e del dissenso, sia che si parli delle modalità con cui viene affrontato il sociale…

Da qui l’inconsistenza degli appelli dei partitini di sinistra per il ritorno a Keynes, che fanno finta di non accorgersi che non è vero che lo Stato si è ritirato. Si è ritirato per quanto riguarda lo stato sociale ma è sempre più presente nel supportare, finanziare e far crescere l’apparato militare industriale.

Lo Stato borghese è profondamente innestato, tramite i rapporti della connessione circolatoria, al movimento fondamentale della riproduzione dei rapporti di produzione capitalistici. In questo legame, appunto, consiste la specificità della forma politica borghese e, pertanto, bisogna abbandonare l’idea della neutralità delle forze produttive rispetto ai rapporti di produzione. Non legare la forma statale borghese alla forma dei rapporti di produzione capitalistici, incarnati nelle forze produttive, ci impedisce una chiara individuazione dell’avversario.

Questo perché si dimentica che il modo di produzione capitalistico mette in luce le sue diverse articolazioni e che c’è un rapporto dialettico fra lo specifico e il momento unitario.

I rapporti di produzione capitalistici sono inscritti nei processi di lavoro e si traducono nei ruoli e, questi, compresi quelli sessuati, si riproducono continuamente nella divisione sociale capitalistica del lavoro.

Ma questa condizione non si realizza a partire dall’automatismo in sé, ma ha le radici dentro le condizioni sociali, cioè nella natura della società.

C’è una tendenza negli articoli e nelle prese di posizione della sinistra dopo gli avvenimenti che hanno segnato, ad esempio, la manifestazione del 25 marzo a Roma, a porre l’accento sulla deriva autoritaria con cui sono state condotte le operazioni di polizia nel controllo così detto “preventivo”, nel controllo della piazza, nella preparazione mediatica dell’opinione pubblica, nella demonizzazione del movimento. Si parla di fascistizzazione del paese, di gestione sudamericana e si parla di spazi democratici venuti meno.

Invece siamo di fronte ad un passaggio epocale che si è esplicitato in maniera particolarmente evidente nella gestione da parte della forza pubblica della piazza del 25 marzo. La polizia si è mossa autonomamente dal punto di vista delle scelte e degli obiettivi, è passata dall’essere entrata nel salotto buono alla dimostrazione di messa in atto di un’idea di società.

Il neoliberismo forma compiuta e attuale del capitalismo progetta una società sul modello dello Stato/Capitale dove le risorse destinate alla collettività, pensioni, sanità, istruzione, ammortizzatori sociali…vengono totalmente eliminate e destinate all’apparato militare e a quello poliziesco. L’apparato militare porta un attacco a tutto campo ai paesi del terzo mondo e a quelli asimmetrici rispetto agli interessi delle multinazionali anglo-americane e l’apparato poliziesco rende irrealizzabile da parte degli oppressi l’aspirazione ad una società più giusta ed equa. I ruoli tra l’altro diventano interscambiabili perché i territori interni vengono militarizzati e l’esercito assume caratteri di polizia interna e la polizia assume caratteri di forza di occupazione militare. La Nato allo stesso tempo assume il nuovo ruolo di polizia internazionale sancito dal neocolonialismo.

L’apparato militare industriale e quello poliziesco penitenziario diventano volano dell’economia anche perché devono reprimere le resistenze e le rivolte messe in preventivo.

Pertanto la strategia terroristica del capitale è divenuta la forma costruttiva del dominio. Una condizione scelta per la riproduzione del rapporto di produzione capitalistico.

Il neoliberismo è la forma a cui è approdato il capitalismo nella sua necessità di autoespansione. Non c’è nessuna crisi, bensì il neoliberismo è una precisa ideologia e la così detta crisi non è un effetto collaterale sgradito, qualcosa sfuggito di mano, bensì una scelta precisa e voluta.

L’ iper borghesia transnazionale, la nuova aristocrazia borghese nella fase imperialista, sta conducendo una lotta senza quartiere alle classi subalterne e a vasti strati della borghesia così come l’abbiamo finora conosciuta.

L’impoverimento della media e piccola borghesia, la sua proletarizzazione è un’operazione scelta scientemente, in una lotta di classe all’interno della classe condotta senza alcuno scrupolo e senza esclusione di colpi. In questa situazione mentre vengono buttati a mare quegli strati sociali che costituivano l’ossatura della borghesia così come tradizionalmente la conoscevamo, altre soggettività vengono fatte entrare nei posti di comando. Sono gli esponenti dell’apparato militare e poliziesco.

La crescita esponenziale di mezzi, di finanziamenti e di strutture che caratterizza l’apparato militare industriale e quello poliziesco fa sì che questi sistemi di servizio acquistino nella struttura gerarchica neoliberista sempre più peso e il potere che viene loro dal ruolo di gestione del dissenso, del controllo territoriale e sociale fornisce una posizione estremamente importante. Tanto importante da controllare ormai e tenere sotto scacco anche la stessa politica.

Le polizie nelle varie accezioni, nella struttura borghese tradizionale, erano situate in una collocazione di servizio e di subalternità alla politica. Ne eseguivano le direttive. Perfino durante il fascismo, in cui la repressione poliziesca era parte fondante del sistema, la sua subalternità alla politica era evidente. Le scelte, la volontà, i percorsi erano politici e la polizia faceva sì che potessero trovare gambe con cui camminare senza l’intralcio di dissidenti, fomentatori e ribelli. E questo anche nelle azioni e nei momenti polizieschi più sporchi. Nella dichiarazione alla Camera dei deputati del 26 maggio 1927, conosciuta anche come il <discorso dell’Ascensione> Mussolini affermava <Signori: è tempo di dire che la polizia non va soltanto rispettata, ma onorata. Signori: è tempo di dire che l’uomo, prima di sentire il bisogno della cultura, ha sentito il bisogno dell’ordine: In un certo senso si può dire che il poliziotto ha preceduto nella storia il professore (…) Ed era chiara la subalternità della polizia al progetto di ordine fascista.

Sta avvenendo una mutazione genetica, la polizia si sta svincolando dalla politica, va per conto suo, ha messo in atto una dichiarazione di indipendenza, di autonomia che apre scenari nuovi che ci ricordano il ruolo dei pretoriani.

E la politica è in palese perplessità. Non aveva nessun interesse il 25 marzo a presentare le manifestazioni contro l’UE come pericolose, ma anzi avrebbe voluto una città senza particolari problematiche mentre l’apparato poliziesco ha fatto chiaramente capire che la situazione di tranquillità o di ferro e fuoco sarebbe dipesa solamente dalle sue scelte.

La politica non voleva a nessun costo porre l’accento sulle manifestazioni di protesta contro l’Unione Europea mentre la questure e gli organi di gestione del così detto ordine pubblico si premuravano di creare un clima di terrore tra negozianti e cittadini in vista della “calata dei barbari”. Anche durante la manifestazione abbiamo assistito ad un tentativo di minimizzare le manifestazioni di dissenso da parte dei media mentre la polizia in piazza cercava ogni pretesto possibile per poter dare il via a quello che aveva attivamente propagandato nei giorni precedenti.

Il neoliberismo è una società di stampo nazista per il governo diretto dei potentati economici, per l’affossamento di tutte le situazioni di mediazione tra cittadini e Stato, per la pretesa di ridurre il dissenso a rivendicazioni corporative gestite dall’associazionismo collaborazionista, per la pretesa di incidere e di legiferare su ogni aspetto della vita, anche il più privato, imponendo uno Stato etico, appunto, di nazista memoria di cui il decreto Minniti è l’ultimo esempio, ma quello che sta succedendo nei rapporti tra polizia e politica è un’altra cosa. È il prodotto della lotta di classe interna alla borghesia che ha sostituito buona parte degli strati sociali che la costituivano con gli apparati polizieschi e militari.

E’ importante riconoscerlo perché ci permette di non pensare che quello che sta accadendo nella gestione dell’ordine pubblico sia una deriva reazionaria, un arretramento, una regressione della democrazia bensì ci dà modo di inquadrarlo come momento insito ed integrante del progetto neoliberista.

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