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Le verità (sull’euro) della classe dominante

di Militant

La verità o la ricerca della verità non è monopolio delle classi subalterne. Anche all’interno delle classi dominanti la verità può essere funzionale alla lotta tra classi dominanti contrapposte. La concorrenza, quando è vera competizione e non scontro simulato, finisce per superare i recinti del socialmente opportuno trasformandosi in verità generale. L’intervista all’ex governatore della Banca d’Inghilterra Mervyn King sull’euro e le conseguenze della Brexit – apparsa ieri sul Fatto Quotidiano – conferma questa dialettica marxiana. King riflette sul processo di separazione della Gran Bretagna dall’Unione europea. Nel farlo esplicita alcune verità sulla natura politica ed economica dell’euro da cui ogni forza concretamente antagonista non può più prescindere. Sono verità che da tempo un pezzo di sinistra va costantemente affermando, ma che espresse da parti di quell’apparato dominante del capitalismo finanziario assumono tutt’altra forza narrativa.

Mantenere l’euro, per l’ex governatore inglese, «è una scelta politica: dipende da quanta disoccupazione la gente è disposta ad accettare e per quanto tempo». La perdita di competitività ha imposto ai governi della Ue – in particolare ai paesi della “periferia”, ma la dinamica è speculare anche nei paesi del “centro” – l’abbassamento forzato dei salari – unica possibilità di reggere la competizione internazionale continuando, al contempo, a indebitarsi sui mercati finanziari. Lo strumento con il quale è stata imposta la stretta salariale è stata la disoccupazione di massa. Il mantenimento della moneta unica, sempre secondo il banchiere inglese, imporrà un altro decennio di bassa crescita e alta disoccupazione. Non c’è via di scampo, perché se la scelta dell’euro è tutta interna agli interessi politici delle classi dominanti, le ricadute sociali sono oggettivamente date dalla natura economica della gabbia monetaria: paesi a differenti regimi di produttività, di strutture produttive e di popolazione non possono condividere un’unica moneta a tassi di cambio fissi, pena la polarizzazione produttiva in corso in questi anni. Difatti, «l’unica cosa che permette ai Paesi periferici di continuare a finanziarsi è avere bassa crescita e alta disoccupazione», e il motivo per cui questa traiettoria finanziaria è possibile può essere compreso solo squarciando il velo di ipocrisia su cui si basa la natura della moneta unica: «I mercati sanno che non stanno finanziando davvero voi [l’Italia], ma la Germania, la Bce e tutta l’Unione monetaria». Ai “mercati”, detto altrimenti, non interessa finanziare l’Italia, e men che meno lo fanno perché fiduciosi delle capacità italiane di ripagare il debito o di avviare un periodo di sostanziosa crescita economica. Più prosaicamente, ai “mercati” interessa mantenere questa particolare forma di dominio economico-finanziaria sul continente europeo, perché l’unica che garantisce alta disoccupazione e moderazione salariale senza gli impicci della mediazione politica con gli interessi dei ceti subalterni.

Gli scenari possibili per il futuro prossimo dell’Unione sono così indicati: 1) continuare così con alta disoccupazione nei paesi periferici in eterno. E’ la scelta destinata ad avversarsi in assenza di forti mobilitazioni di classe, soprattutto nei paesi mediterranei che vivono materialmente la desertificazione industriale e la ritirata produttiva determinata dalla moneta unica. 2) Accettare l’inflazione in Germania. Scelta questa incomprensibile per i governi tedeschi – di qualsiasi colore od orientamento fossero – perché senza crisi economiche evidenti nessun dirigente politico tedesco invertirà mai la rotta tracciata in questi anni. 3) Germania e Olanda pagano per gli altri. Idem come sopra: in assenza di malcontento sociale e disaffezione politica, nessun politico dotato di senno cambierà mai la rotta economica di un paese che ha il più grande surplus commerciale del mondo. Perché farlo, d’altronde? Solo perché qualche economista cacadubbi ne intravede le contraddizioni? Figuriamoci. 4) Rompere l’euro. Questo è lo scenario paradossalmente più probabile, ma a realizzarlo non saranno le spinte popolari determinate dall’impoverimento generalizzato, ma le contraddizioni interne alla borghesia europeista. L’euro e l’Unione europea costituiscono un progetto egemone ma non totalizzante gli interessi di tutta la borghesia continentale. Le contraddizioni tra i diversi pezzi e le diverse anime di questa rappresentano un problema difficile da “normalizzare” in questa fase. Non è detto che nel futuro più o meno prossimo non verranno piegate definitivamente le resistenze di questa borghesia, ma al momento lo scontro è in atto e la vicenda inglese lo esemplifica egregiamente. Nello scontro tutto interno alla borghesia continentale, un pezzo di questa ha deciso di fare i bagagli e salutare la Ue, una rottura a suo modo epocale ma che non ha riguardato neanche per un istante gli interessi delle classi popolari. Segno questo che lo scontro è vero e non simulato, ed è proprio all’interno di questo scontro che ambedue le borghesie saranno sempre più portate ad esprimere frammenti di verità al fine di colpire e delegittimare gli interessi della parte avversa. Questa intervista è una delle più esplicite porzioni di verità finora lette sull’argomento.

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