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alfabeta

Verità e simulazione

Franco Berardi Bifo

“Informazioni false producono eventi veri”
(A/traverso, 1977)
“there is nothing more fictitious than reality."
(Umberto Eco: Here I am, not a fiction, interview with Alex Coles, in
Design fiction, Sternberg Press, Berlin, 2016)

La Germania è sempre all’avanguardia quando si tratta di ristabilire il bene contro il male, il giusto contro l’ingiusto e il vero contro il falso. Infatti il Parlamento di quel paese ha legiferato contro la falsità.

“Vasto programma” disse il generale De Gaulle a chi si proponeva di abolire l’imbecillità dalle vicende umane. Ma la mente semplice del popolo gotico non si ferma davanti alle quisquilie filosofiche, e legifera. Chi dice bugie verrà multato. Era ora. Purtroppo è pericoloso che lo stato si attribuisca il diritto di distinguere tra ciò che si può pubblicare perché vero, e ciò che non si può pubblicare perché falso. Chi decide la differenza tra falso e vero? E per essere più radicali: esiste da qualche parte la verità?

Poco dopo le elezioni che hanno portato Trump alla Presidenza degli Stati Uniti, in un’intervista al Washington Post un fabbricatore professionale di falsi di nome Paul Horner si attribuì il merito della vittoria di Trump.

“I miei siti sono stati ripresi continuamente dai sostenitori di Trump. Penso che abbia vinto le elezioni grazie a me. I suoi sostenitori non controllano niente, postano qualsiasi cosa, credono in qualsisia cosa.”

Horner è quello che ha inventato titoli che sono divenuti virali come “Gli amish si impegnano a votare per Trump”, e “il presidente Obama firma un ordine esecutivo che vieta l’inno nazionale a tutti gli eventi sportivi nel paese.”

Nessuno dei due era vero.

Alcuni se la sono presa con Zuckerberg per il ruolo svolto dai social media nella gara elettorale. Ma non è chiaro cosa dovrebbe fare Facebook: censurare notizie e commenti che non corrispondono alla verità? E come si può decidere la differenza tra notizie vere e false, o tra commenti legittimi e illegittimi?

Sul New York Times del 5 dicembre Kenan Malik scriveva: “Il panico sulle notizie false ha dato forza all’idea che viviamo in un’era post-verità. L’Oxford English Dictionary ha perfino fatto di “post-truth” la parola dell’anno, definendola come quei casi in cui i fatti obbiettivi sono meno rilevanti nel formare la pubblica opinione che gli appelli alle emozioni e le convinzioni personali. Ma la verità, ammesso che si possa usare questa parola, è cosa molto più complessa di quanto si pensi.” (Gatekeepers and the rise of fake news).

Quando in Europa qualcuno cominciò a pensare che occorre ristabilire la verità per legge, zerohedge.com, la rivista degli intellettuali trumpisti ridicolizzò questa campagna.

“Un gruppo di burocrati non eletti, di cui nessuno si fida dovrebbero sedersi e decidere fra loro quali notizie siano false e quindi rimuoverle dalla circolazione…….Presto sarà Bruxelles a decidere quali contenuti siano appropriati per il consumo europeo…”

 

L’estinzione della mente critica

Sia ben chiaro: non intendo negare che l’informazione falsa sia in crescita esponenziale né che questo sia dannoso per la democrazia e utile per i tipi malintenzionati. Ma il falso non è una novità nel discorso pubblico. Quel che è nuovo è la velocità, l’intensità e quindi l’enorme quantità di informazione (falsa o vera) che sia cui è esposta la mente sociale.

L’accelerazione dell’infosfera e l’estrema intensificazione del ritmo delle stimolazioni info-nervose hanno saturato l’attenzione e di conseguenza hanno disattivato le capacità critiche della società. Qui sta il punto: la capacità critica non è un dato naturale, ma il prodotto di un’evoluzione della mente nella storia. La facoltà cognitiva che chiamiamo “critica” si sviluppa soltanto in condizioni particolari. La critica è la capacità di distinguere tra enunciazioni false ed enunciazioni vere, e anche di distinguere tra atti moralmente buoni e cattivi.

Per poter decidere criticamente la mente deve elaborare l’informazione per poter soppesare e decidere, ma la capacità critica implica una relazione ritmica tra stimolo informativo e tempo di elaborazione.

Quando la stimolazione informativa supera un certo livello di intensità, lo stimolo non è più ricevuto e interpretato come enunciazione giudicabile, ma è piuttosto percepito come un flusso indifferenziato di stimolazione nervosa: assalto emozionale sul cervello.

La facoltà critica, essenziale per lo sviluppo dell’opinione pubblica nell’epoca borghese, fu l’effetto di una speciale relazione tra mente individuale e info-sfera, particolarmente la sfera di circolazione dei testi stampati.

La mente alfabetica elaborava un flusso lento di parole disposte sequenzialmente sulla pagina. Il discorso pubblico si fondava allora su valutazioni coscienti e discriminazioni critiche, e la scelta politica era fondata sul giudizio critico e il discernimento ideologico. Era l’epoca della razionalità borghese. Ma da quando l’accelerazione del flusso ha saturato l’attenzione collettiva, la distinzione tra vero e falso è divenuta pressoché impossibile, la tempesta di stimoli info-neurali confonde la visione e la gente tende a rinchiudersi in reti di auto-conferma: echo-chambers. Il rumore bianco ha preso il posto del silenzio delle folle su cui si fondava la sovranità della Ragione.

Il problema del mediascape contemporaneo non è la diffusione delle false notizie, ma la decomposizione della mente critica, e quindi la tendenza delle folle mediatizzate a cercare auto-conferme identitarie.

La regressione culturale del nostro tempo non è dovuta all’eccesso di bugie che circolano nell’infosfera, ma è un effetto dell’incapacità della mente collettiva di elaborare distinzioni critiche, di valutare in modo autonomo la propria esperienza, e di creare percorsi comuni di soggettivazione.

Per questo la gente vota per manipolatori mediatici che sfruttano la stupidità in espansione. Nella citata intervista al Washington Post, Horner diceva: “Onestamente debbo dire che la gente è sempre più stupida. Si limitano a far circolare quel che gli arriva. Nessuno controlla la verità dei fatti. Voglio dire questo è il modo in cui è stato eletto Trump.”

 

La verità è fondata sui fatti. Ecco una frase che non significa niente

Maurizio Ferraris, che nei decenni passati scrisse importanti libri su Nietzsche ora promuove un movimento di “nuovo realismo” fondato sull’asserzione che i fatti sono la fonte della verità. Secondo lui gran parte della decadenza politica attuale, particolarmente l’ascesa di ciarlatani e media moghul come Berlusconi in Italia e Trump in America, si dovrebbe ricondurre al pensiero post-fattuale il cui nucleo è la convinzione che nella sfera del dialogo sociale ci sono solo interpretazioni ed interpretazioni di interpretazioni e non autentici fatti.

Il nuovo realismo proposto da Ferraris vuole ristabilire i diritti della verità contro il regime post-fattuale e contro la relativizzazione postmoderna, ma per quanto si possa capire la disperazione di intellettuali e giornalisti per il flusso di falsità e di odio e violenza verbale, questo non significa che qualche autorità politica o filosofica possa stabilire la verità.

Cosa intendiamo quando diciamo realtà, quando usiamo la parola “fatti”?

Il fatto è ciò che è stato fatto nella sfera delle convenzioni umane. Fatto è il prodotto della semiosi fattuale. E con la parola “realtà” possiamo intendere il punto di intersezione psicodinamica di innumerevoli flussi di simulazione che procedono da organismi umani e da macchine semiotiche.

“Non c’è nulla di più fittizio della realtà” dice Umberto Eco in un’intervista con Alex Coles (Here I am, not a fiction, Sternberg Press,Berlin, 2016).

La realtà non pre-esiste all’atto di semiosi e di comunicazione.

Sarebbe bello se le cose stessero come le immagina il Bundestag cui Dio non rivelò mai la sua scomparsa. Ma purtroppo, anche se nessuno gliel’ha detto, le prove della morte di dio sono dappertutto. E se Dio è morto allora tutto è possibile, come dice Dostoevskij. La successione delle cause e degli effetti è sconvolta, il fondamento della verità è cancellato. Ciò significa che la scelta etica non può fondarsi su qualche certezza teologica o su qualche fondamento ontologico. La scelta etica si fonda sul conflitto delle sensibilità, e sulla coscienza ironica della relatività della simulazione (o progetto di realtà).

 

L’etica non si fonda sul vero ma sulla solidarietà

La fede nella verità non può motivare la scelta etica. Solo l’empatia e la solidarietà possono farlo: la condivisione del dolore e del piacere sono il solo fondamento di un’etica (scettica) che non vuole trasformarsi in dogmatismo conformismo o violenza.

Il problema di oggi non è, come credono gli spiriti semplici, che la verità viene violata dai malintenzionati: il problema è che è venuto meno il principio empatico della solidarietà, per cui non vi è più alcun terreno comune della scelta conoscitiva e della scelta etica.

Nel tempo moderno che sta alle nostre spalle, abbiamo potuto fondare l’azione etica sulla solidarietà: sulla base della percezione empatica dell’altro era possibile distinguere e scegliere tra bene e male perché la solidarietà sociale era fondamento di attese condivise (valori comuni se volete chiamarli così).

Quel tempo è finito, sembra.

La solidarietà sociale è stata distrutta dalla diffusa precarizzazione e dal culto della competizione. Così l’azione politica è impotente e inefficace. La politica era fondata sulla possibilità di scegliere decidere e governare, ma se la scelta è sostituita dalla previsione statistica, se la decisione è sostituita dagli automatismi tecnolinguistici, se il governo politico è sostituito dalla governance automatizzata, allora il fondamento del giudizio etico viene meno, e siamo precipitati nella fogna del comportamento. Solo la violenza può decidere, nonostante le buone intenzioni della legge.

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