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Czexit, la Repubblica Ceca si sgancia dall'Euro

di Leonardo Mazzei

Un nuovo segnale del tramonto dell'euro: la Repubblica ceca annulla il cambio fisso tra la sua valuta nazionale e l'euro. Sorpresa: la Corona si rivaluta

Dunque, la Banca centrale ceca ha deciso di sganciare la valuta nazionale (la Corona) dall'euro. L'aggancio, in vigore da tre anni, avrebbe dovuto essere il primo passo verso un futuro ingresso nell'eurozona. Adesso il passo c'è stato, ma nella direzione opposta di quella sperata dagli euristi.

Come leggere questa decisione? Si tratta solo di una mossa contingente, dovuta alla spinta dei mercati finanziari, come si tende a far credere, o siamo invece di fronte alla prima tappa di un percorso che potrebbe condurre all'uscita dall'Unione?

Chi scrive propende per la seconda ipotesi, ma in ogni caso la decisione di Praga merita qualche commento. Anche perché il silenziamento della notizia, da parte dei media mainstream, è davvero impressionante.

Pare che negli ultimi tempi la speculazione finanziaria avesse preso di mira la corona, scommettendo sul suo rialzo sull'euro, costringendo così la banca centrale ceca a consistenti vendite di corone in cambio di euro al fine di difendere il peg, cioè il cambio fisso ancorato alla moneta unica europea. Un po' quel che era successo negli anni scorsi al franco svizzero, sganciatosi a sua volta dalla moneta che porta la firma di Draghi all'inizio del 2015.

In entrambi i casi, dopo lo sganciamento, le due monete nazionali si sono immediatamente rivalutate: in maniera più consistente il franco svizzero, attestatosi adesso su un apprezzamento attorno al 10%; in una misura per adesso più modesta (+ 1-2%) la corona ceca. Ovvio, però, che in quest'ultimo caso è troppo presto per capire quale sarà il livello di assestamento futuro.

Ma veniamo a quattro considerazioni suggerite da questa vicenda.

La prima è che, in tutta evidenza, da un regime di cambio fisso si può uscire eccome. E si può uscire senza troppi scossoni sia per rispondere all'esigenza di rivalutare come a quella di svalutare.

La seconda è che non è vero che un Paese piccolo abbia necessariamente più difficoltà a farlo di uno grande. Quel che conta sono semmai i fondamentali dell'economia più che le dimensioni della stessa.

La terza - lo so che per la stragrande maggioranza dei nostri lettori è una banalità, ma è una banalità che va sempre ricordata contro la propaganda diffusa a reti unificate h24 - è che non è vero che l'uscita da un'area monetaria più grande debba sempre comportare una catastrofica svalutazione della "piccola" moneta in uscita. Con la corona ceca abbiamo addirittura una rivalutazione nei confronti dell'invincibile eurone, e tanto dovrebbe bastare a chiudere il discorso.

Ma - e questa è la quarta considerazione - la rivalutazione non è sempre un bene. A volte, come nel caso in esame, può essere il male minore. Ma non è quasi mai il risultato voluto. Tant'è che a Praga, come prima in Svizzera, i banchieri centrali hanno a lungo tentato di mantenere l'aggancio con l'euro non perché innamorati di Draghi (tutt'altro) ma per difendere la competitività delle rispettive merci. Vedete che "strano", la lotta per mantenere basso il cambio è quasi sempre più difficile e impegnativa di quella per alzarlo. Un dettaglio che mi pare giusto ricordare a quelli che considerano la svalutazione come il male assoluto.

Adesso mi aspetto le obiezioni, tutte sintetizzabili in una: uscire da un cambio fisso non è come uscire da una moneta unica. Una diversità che ci viene graziosamente ricordata da Vito Lops sul Sole di stamattina. Tante grazie, ne eravamo già informati, ma non per questo le quattro considerazioni di cui sopra perdono la loro validità generale.

Tutti i problemi connessi con l'uscita dall'euro sono in realtà gestibili. Indubbiamente più complessi, ma gestibili. E' gestibile la rapidità del passaggio, che è essenzialmente un problema di volontà e determinazione politica. E' risolvibile quello della ridenominazione in base alla lex monetae. E' affrontabile quello del contrasto alla fuga dei capitali, questione che - ricordiamolo ancora una volta - esiste comunque sempre ogni qualvolta (con o senza "monete uniche") una svalutazione si annuncia all'orizzonte.

Su tutte queste questioni abbiamo già scritto in abbondanza, anche di recente, e non è il caso di tornarci sopra in questo articolo dedicato al significato della scelta della Repubblica Ceca.

Il primo significato sta nell'aver ribadito l'importanza della sovranità monetaria, che a Praga avevano parzialmente, ma che con la scelta dello sganciamento si sono ripresi integralmente.

Il secondo significato, per certi aspetti più importante del primo, è che la costruzione dell'euro ha comunque perso un tassello. E stando a certe indiscrezioni un altro potrebbe perderlo con il possibile sganciamento della Danimarca.

Il terzo è più politico. La Repubblica Ceca non solo, al pari della Gran Bretagna, non ha sottoscritto il fiscal compact (e questo già ci dice molto), ma fa pure parte del gruppo di Visegrad che contrasta l'idea dell'«Europa a più velocità». Se, come diceva Agatha Christie, tre indizi fanno una prova (il terzo è appunto lo sganciamento dall'euro), qui siamo di fronte ad un percorso d'uscita non solo dai vincoli dell'euro ma dalla stessa Unione.

Chi vivrà vedrà, ma non appare fuori luogo iniziare a parlare di una possibile Czexit.

Il sospetto deve aleggiare anche nelle redazioni dei giornaloni euristi. Anche se la decisione di Praga è del 6 aprile, in Italia (fatta eccezione per il Sole 24 Ore) la stampa sembra se ne sia accorta solo oggi. Ma "accorta" è un parolone. Il Corsera, quello che ieri decideva di terrorizzare i propri lettori con le solite idiozie euriste, stavolta per bocca di Ferruccio de Bortoli, dedica oggi alla scelta ceca un articoletto a fondo pagina 33 di ben 93 parole (novantatre).

Evidentemente le raccomandazioni europee su come trattare le notizie - che talvolta consiglia il non trattarle proprio - ha da noi dei veri e propri primi della classe...

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