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marx xxi

Francia: sulla vittoria di Macron

di Fosco Giannini

Riceviamo dal compagno Fosco Giannini della segreteria nazionale e responsabile del dipartimento esteri del Partito Comunista Italiano (PCI), e volentieri pubblichiamo

La "Repubblica” è l’unico quotidiano “nazionale” italiano, nel senso che si vende, certo in modo differenziato, in tutte le regioni italiane. Non è prettamente “lombardo” come il “Corsera”, né emilano-romagnolo come il “Resto del Carlino”, o laziale  come “ il Messaggero”. Dunque, il giornale fondato da Eugenio Scalfari, costruisce, ben più di altri, senso comune di massa, dirige la testa di milioni di persone. Nacque ( per ammissione - vent’anni dopo - dello stesso Scalfari) per aiutare il PCI a sciogliersi, per essere l’organo politico dell’ “occhettismo”. Oggi, conseguentemente, è molto vicino al PDR, il Partito Democratico di Renzi. Ed è molto importante, detto ciò, vedere come “La Repubblica” ha commentato la vittoria di Emmanuel Macron, in Francia. E’ presto detto, basta citare il titolo di prima pagina, a caratteri cubitali: “ Macron, la svolta dell’Europa”. Ce lo aspettavamo, questo commento, che dobbiamo analizzare, proprio perché costruisce l’orientamento di vaste masse, anche a “ sinistra”.

Affrontiamo la questione di petto: con Macron ci sarà una svolta nell’Unione Europea? Per nulla, anzi sarà il contrario, nel senso che all’Unione Europea iperliberista, antipopolare, antioperaia e antidemocratica  saranno stretti i bulloni. A cominciare da una delle proposte più vendute, nel mercato politico, da Macron, durante la propria campagna elettorale: la ricostruzione di un forte polo franco-tedesco ( cioè il polo Macron-Merkel, poiché, allo stato delle cose, molto verosimile appare una vittoria della cancelliera di ferro alle prossime elezioni tedesche) diretto a rilanciare con forza l’UE di Maastricht, del contenimento dei debiti a scapito del welfare, dei fiscal-compact, del continuo giro di vite sui lavoratori dei Paesi deboli dell’UE, delle sanzioni agitate come punizioni da Inquisizione contro gli Stati e i popoli da parte della Commissione Europea.

Se le politiche storiche ed immutate dell’ UE sono state e rimangono quelle iperliberiste, da “Chicago Boys”, che significherebbe “una svolta per l’Europa”? Significherebbe, conseguentemente, un’inversione di rotta, l’inaugurazione di politiche sociali. C’è questo, nel programma di Macron? C’è questa possibilità nelle sue “corde” politiche e teoriche? No, c’è esattamente il contrario, c’è una chiara accentuazione delle politiche liberiste, una linea “tatcheriana”.

Chi è Macron, qual è al sua biografia politica, l’abbiamo visto: inizia la propria militanza nell’ala liberal del Partito Socialista; entra, nel 2007, nel gruppo dei “ Gracques” ( formato da alti funzionari dello Stato e del sistema bancario-industriale francese ) e poi, dal 2008, inizia a lavorare, con compiti e ruoli sempre più importanti, per la banca d’affari Rothschil, attraverso la quale si occupa, tra l’altro,  di una transizione di 9 miliardi di euro che gli permette, sul piano personale, di divenire ricchissimo.  Il 26 agosto del 2014 viene chiamato a svolgere il ruolo di ministro dell'Economia, dell'Industria e del Digitale nel secondo governo guidato da Manuel Valls. E in questo ruolo inizia a mostrare tutta la sua inclinazione liberista, specialmente indirizzata contro il mondo del lavoro. Più avanti, fiutando il declino inarrestabile del Partito Socialista, Macron mette in campo un proprio movimento, “En marche!”. Alla fine del 2016 il responsabile della comunicazione di questo movimento dichiara pubblicamente cheper la sua candidatura alle presidenziali, Macron ha già ricevuto quasi quattro milioni di euro di donazioni, più del doppio rispetto al budget a disposizione di Alain Juppé e di François Fillon per le primarie della destra. Oltre queste generose donazioni, l’inclinazione a sorreggere il leader di “En Marche!” da parte dei media di massa ( giornali e Tv) dimostra che la borghesia francese ha scelto il proprio rappresentante. E non c’è niente di meglio, per gli interessi della classe dominante francese, in questi tempi ( in altri, la borghesia non si è peritata e non si periterebbe ancora di utilizzare il fascismo) di poter contare su di un’avversaria fascista da demonizzare : Maria Le Pen, che fascista è e come tale va combattuta ma che, dialetticamente, rappresenta il miglior servizio ( con la sua sola presenza, con la storia orrenda che rappresenta e col proprio razzismo) agli interessi, elettorali, politici e d economici, del grande capitale finanziario e industriale francese, che ha bisogno di un leader presentabile che combatta contro il mostro fascista: Macron, appunto. Da questo punto di vista, dal punto di vista, cioè, della costruzione del personaggio “buono e tranquillizzante”, molto funzionale risulta essere - ed è usata a piene mani - la storia del suo amore con la sua ex professoressa, ben più anziana di lui, a dimostrazione della “caratura spirituale” del nuovo presidente del popolo francese. Uno squalo, in verità, nelle vesti di un damerino, se partiamo invece dalle sue concezioni sociali.

E quali sono, infatti, le proposte con le quali Macron  va alle presidenziali e le vince? Innanzitutto, l’abbiamo già ricordato, la proposta “forte” di ricostruire l’asse franco-tedesco, anche nell’ottica di “rimettere al loro posto” i nani della storia europea, come l’Italia ma, soprattutto, nell’obiettivo di rilanciare - “contro i populismi” e le “brexit” - il nocciolo duro e primigenio di quell’UE che punta ad una nuova accumulazione capitalistica originaria funzionale alla ripresa della lotta interimperialistica per la conquista dei mercati mondiali, accumulazione da ottenere, innanzitutto, attraverso l’abbattimento dei salari e dei diritti del movimento operaio complessivo dell’intera UE ( tranne in Germania, naturalmente, dove infatti la disoccupazione, a fronte del 52% di quella greca, è del 6%). Sul mercato del lavoro, conseguentemente, Macron ha le idee chiare, le stesse che aveva tentato di mettere in pratica da Ministro dell’Economia: maggiore flessibilizzazione nelle contrattazioni aziendali e nelle assunzioni, assumendo totalmente una delle “raccomandazioni” principali che all’intera UE aveva inoltrato la Commissione Ue nel 2015; mantenimento e consolidamento della “Loi de Travail” ( il jobs act francese, contro il quale, senza esiti, c’ era stata - almeno ‘era stata, poiché in Italia nulla - una grande lotta della CGT, del PCF e della sinistra francese); una “Loi de Travail” da rafforzare, sul piano liberista, con la filosofia e la prassi della “ flexsecurity”, cavallo di Troia, già proposta anche in Italia, per nuove modalità di espulsione dal lavoro e per estendere la precarizzazione, specie nel comparto del pubblico impiego, ancora di vaste proporzioni in Francia e dunque da colpire premeditatamente. Misure contro il lavoro che Macron, da ministro, aveva già fatto passare, nella lotta contro la sinistra del Partito Socialista. Naturalmente, una politica iperliberista non è completa se oltre l’attacco al lavoro non si lancia un duro attacco allo stato sociale: nel programma di Macron spicca, dunque, un progetto volto ad un taglio di 60 miliardi per la spesa pubblica, con la soppressione di 120 mila posti di lavoro nel pubblico impiego. Ma, come si sa, la costruzione di una UE come neo polo imperialista da gettare nella “bagarre” economica interimperialista per la conquista degli spazi commerciali planetari non può fare a meno - almeno agli occhi delle potenze economiche dell’UE - di un esercito, di un forte apparato militare che accompagni la scalata economica mondiale. E, naturalmente, Macron non si sottrae a questo compito storico che il grande capitale transnazionale europeo affida all’UE: una proposta pregante del programma dell’ex uomo forte ( ora ancor più forte?) della Rotschil è quella di un significativo spostamento di risorse francesi per la costituzione di un fondo europeo “che finanzi lo studio e lo sviluppo di armamenti europei”.

Diversi esegeti del Macron-pensiero hanno tentato, in questa fase, di stabilire un nesso tra le proposte, in campo economico, del nuovo presidente francese con quelle volte ad un neo protezionismo americano da parte di Trump. In verità, nel programma di Macron, qualcosa di questo tipo appare, qualcosa, cioè, che possa essere messo, erroneamente, in connessione con Trump. Ma, a ben vedere, questo parallelo non esiste, poiché mentre Trump tende a proteggere l’economia USA con alcune chiusure alle spinte della mondializzazione e in difesa dei posti di lavoro, in Macron appare sì, dentro molta nebbia, un disegno appena accennato di “difesa dell’interesse nazionale europeo”, ma si tratta di pura propaganda e/o un tentativo di lucrare sugli stessi motivi populisti della vittoria di Trump, poiché è del tutto evidente che un “ interesse nazionale europeo” non può esistere per il semplice fatto che l’UE non è uno Stato unico e sovrano e perché tale, confusissima proposta, si scontra con lo stesso progetto liberista di Macron volto - innanzitutto - a privilegiare il grande capitale europeo sia contro “ il piccolo capitale europeo” e contro l’intero mondo del lavoro, contro l’occupazione.

La campagna elettorale francese e lo scontro Macron- Le Pen hanno oggettivamente fornito nuovi ed importanti elementi di analisi per le forze comuniste e di sinistra dell’UE. Jean-Luc Mélenchon ha giustamente evitato di cadere nella trappola di un antifascismo di maniera ( peraltro, la sconfitta di Maria Le Pen era stata da tempo e molto verosimilmente annunciata),  che avrebbe dovuto far schierare il fronte di classe a favore di Macron, scegliendo invece la strada di un’accumulazione di forze operaie, studentesche, sociali, politiche e culturali volte alla ricostruzione di ciò che oggi manca in tanta parte dei Paesi dell’UE dominati dalla Troyka: una più che mai necessaria, per una vera lotta contro il grande capitale transnazionale europeo e la sua creatura politica ( l’UE), opposizione di classe e di massa. Un progetto strategico che certo sarebbe stato inficiato dallo schierare il fronte di classe al fianco di Macron. Mélenchon, con tutte le sue qualità e i suoi limiti, l’ha capito. Stupisce che qualcuno, a sinistra, non l’abbia capito in Italia, dove si è riproposta - fuori tempo massimo- la concezione migliorista dell’appoggio al meno peggio, una concezione ed una prassi che se ha avuto una propria verosimiglianza, l’ha avuta in tempi in cui un “meno peggio” era dotato, tuttavia, di alcuni segni democratici. Questa volta, con Macron, era solamente “un altro peggio”; una concezione, quella migliorista e, in tempi molto più vicini, neomigliorista, che tanto male ha già fatto al movimento operaio italiano - politico e sindacale - e che, nelle nuove e disperate condizioni sociali e politiche in cui esso ora versa, sarebbe letale. Mentre, davvero, centrale è ricostruire, in Italia come nei paesi UE, un nuovo ciclo di lotte che faccia uscire il movimento operaio complessivo dalla palude, anche sindacale, in cui sta affogando; rilanciandolo in una lotta volta non solo a minime minime, quanto spesso inessenziali e nominalistiche,  difese di sé, ma al cambiamento dei rapporti di forza tra capitale e lavora, unica base materiale per rilanciare quella soggettività rivoluzionaria organizzata da troppo tempo assente dal conflitto. Macron ha vinto, Le Pen è stata battuta, ma una spia importante, per valutare l’essenza politica e sociale di questo voto francese è sicuramente il fatto che quasi il 26% dell’elettorato non si è recato alle urne ( e, oltre ciò, che per il 12%  le schede siano state bianche o nulle), ricusando sia la destra economica del grande capitale e dell’UE che quella fascista. Forse, questa grande parte di popolo, come l’intero mondo del lavoro e della disperazione del non lavoro, cerca altro.

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