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Fenomenologia del canditato perfetto (a mezzo stampa)

Ludvine Bérnard intervista Alain Accardo

Nelle settimane che hanno preceduto il voto per le presidenziali in Francia, le bacheche Facebook di mezzo paese abbondavano di accuse alla stampa. “Venduti!”, “merdias” (“medias”, media + “merde”, che altro non significa che merda), “journalopes” (“journalistes” + “salopes”, troie) si leggeva, molto spesso in riferimento all’ampio spazio dedicato da giornali e televisioni al candidato [ e nuovo Presidente della Repubblica francese] di En Marche! Emmanuel Macron.

Macron ha effettivamente goduto di una copertura mediatica superiore a quella degli avversari, e in occasione del secondo turno ho voluto parlare proprio del ruolo dei media nelle elezioni con il sociologo Alain Accardo, senior lecturer a Bordeaux 3 specializzato in giornalismo e funzionamento dei media mainstream.

Secondo Accardo, “l’errore più grande e al contempo più diffuso in cui possiamo incorrere quando parliamo di media è ritenere che svolgano una funzione a beneficio di tutta la popolazione: fornire delle informazioni ai cittadini, così come vengono fornite ai cittadini anche acqua, gas ed elettricità. Nella pratica i media non sono che incidentalmente dei fattori di utilità pubblica: oggi sono semplicemente una parte, e non la più piccola, del dispositivo di difesa del sistema".

Nonostante questa sua posizione, però, Accardo non è certo convinto che i giornalisti siano fantocci al servizio di un qualche azionista o che la stampa stia tramando per diffondere disinformazione e fake news. Quello che vuole sostenere è che i giornalisti hanno un retroterra comune, così come una comune prospettiva e un tornaconto dallo status quo che ha permesso loro di individuare in Macron un terreno sicuro. Gli ho chiesto di parlarmene.

* * * *

In campagna elettorale (e anche prima) la stampa ha dato ampio risalto a Emmanuel Macron. Pensa che l’informazione abbia una qualche responsabilità nella creazione del personaggio Macron, un personaggio che fino a tre anni fa era praticamente sconosciuto?

Sì, penso si possa effettivamente dire che i giornalisti hanno “creato il personaggio Macron,” così come hanno creato tutto il resto. Ancora più precisamente, possiamo dire che i media sono stati decisivi nel presentare Macron come un candidato credibile, capace di “unire al di là delle vecchie divisioni dei partiti,” come si è detto spesso.

L’hanno fatto affidandosi unicamente ai proclami di Macron, che per sua impazienza ha bypassato il consueto processo di investitura di un grande partito. Trattandosi di una novità nel panorama politico, non aveva ancora accumulato il capitale politico specifico dei suoi principali avversari. Così ha fatto quello che fanno spesso i nuovi soggetti all’interno di una competizione sociale: ha tentato il colpo di mano per accumulare tutto in una volta il capitale distintivo necessario a battersi con gli altri candidati. Non volendo perdere tempo ed energie, ha corso il rischio di presentarsi da “indipendente”. Un fatto che limita la forza della sua strategia a quel “né di destra né di sinistra” che, nella Francia odierna, non è nemmeno una grossa novità—basti pensare a Giscard [ Presidente della Repubblica a cavallo tra anni Settanta e Ottanta]. Trent’anni di alternanza tra destra e sinistra hanno fatto il resto, deteriorando la fiducia degli elettori tanto da una parte quanto dall’altra. Che poi, se vogliamo dirlo, il proclama “né di destra né di sinistra” è sempre indicatore di una preferenza, per quanto dissimulata o imbarazzata, per la destra.

In circostanze normali, il rischio di questi candidati è di essere sopraffatti da avversari più navigati. Ma Macron ha beneficiato di una combinazione di fattori inimmaginabile, che nessun istituto di sondaggi avrebbe potuto prevedere—dalla disfatta di Fillon alla sconfitta di Valls alle primarie socialiste. All’improvviso, i due grandi partiti prediletti nel sistema di alternanza erano stati azzoppati. Così i conservatori si sono buttati su Macron per metterlo in condizione di farcela. Perché? Perché Macron appariva come il candidato ideale delle forze liberali e conservatrici contro la minaccia estremista e populista del Front National di Le Pen.

Ai giornali, perfettamente rodati, non è rimasto che fare il loro lavoro e presentare il salvatore della Repubblica, il redentore Macron.

 

C’è da dire che siamo in un momento di profonda sfiducia nei confronti della stampa. Stando così le cose, ovvero se la stampa conta così poco, come ha fatto Macron ad arrivare al ballottaggio?

Non penso che la sfiducia sia ancora così profonda. Tutti i principali soggetti—che si tratti di carta stampata, televisione o radio—sono virtualmente parte di entità mediatiche più grandi e con forti interessi capitalistici. Queste entità producono informazione per il mercato e al tempo stesso producono un mercato per l’informazione. Sono come qualsiasi altra azienda che produce automobili, profumi o barbecue. Un’azienda stimola il desiderio di un barbecue e poi produce il barbecue che il pubblico desidera. Se la stampa è parte di questo sistema capitalistico, la sua missione di fondo è mantenerlo in piedi.

Ovviamente in tutto ciò i media devono mostrare di rispecchiare i valori su cui si basano la nostra Repubblica e la nostra Costituzione—la democrazia e la laicità, no? Ed è per questo che danno l’impressione di aprire a istanze diverse in ottemperanza a un pluralismo e una diversità di facciata. Jean-Luc Mélenchon otterrà il suo spazio, ma nella narrativa dei media il suo nome sarà sempre accostato a quello di Chávez. Un candidato minore come Philippe Poutou verrà invitato a dire la sua, ma sarà sempre descritto come poco rilevante e privo di progettualità. Quanto ai candidati più tradizionali, quelli che non rappresentano una minaccia per la struttura capitalista, questi verranno presentati in maniera positiva o neutrale, senza connotazioni dannose. Prese una per una queste connotazioni potrebbero apparire minime o irrilevanti, ma il fatto che vengano ribadite a questa frequenza contribuisce a creare tutta una narrativa intorno a un candidato o alle sue idee.

 

Finora abbiamo parlato di grandi gruppi editoriali. Ma a livello di singoli giornalisti?

I giornalisti hanno quasi tutti un background—sociale, culturale, morale—che rispecchia perfettamente la domanda dell’attuale ordine capitalistico. Chi lavora nel giornalismo è generalmente qualcuno che arriva dalla classe media e aderisce al sistema ideologico dominante fatto di edonismo dei consumi, individualismo, europeismo incondizionato, preferenza del privato al pubblico e ostilità verso il sindacalismo di classe.

Ad accomunare la categoria c’è poi anche quell’analfabetismo politico che li porta a ridurre la politica a ciò che le personalità politiche dicono di fare, di aver fatto o di voler fare. La stampa, coi suoi giornalisti e i suoi sondaggisti, trasforma continuamente la vita politica in un teatrino in cui i protagonisti si producono in un’infinita giostra verbale che potremmo chiamare—mi si perdoni il termine— parlocrazia.

In Francia, più di trent’anni di “consenso repubblicano” tra una destra dichiarata e una sinistra mascherata da “sinistra di governo” hanno dimostrato che non c’era granché da aspettarsi dalla solita ricetta. I francesi stanno iniziando ad aprire gli occhi. Perciò è comprensibile tutta questa fiducia e sete di un cambiamento annunciata—non importa quale cambiamento, basta salvare il sistema in pericolo e permettere la riproduzione dello status quo.

 

Macron è stato spesso definito la scelta “moderna”. Cosa pensa di questa caratterizzazione?

Come dicevo, Macron si è ritrovato nel posto giusto al momento giusto, mentre i candidati dei partiti tradizionali stavano cadendo uno dopo l’altro. C’era bisogno di riempire quel vuoto, ed ecco Macron. Un presunto outsider giovane e ambizioso che al contempo rappresenta il sistema—ha frequentato le scuole giuste, ha lavorato in banca.

Tuttavia, è da ingenui pensare che se non ci fosse stato Macron l’establishment si sarebbe lasciato mettere da parte. Ci sono centinaia di potenziali candidati come Macron, persone che si sono formate nelle nostre scuole e nelle nostre organizzazioni politiche e che sono pronte a scendere in campo, se necessario, ognuna con le sue piccole sfumature del caso.

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