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Euro-crack: l’Italia è ora in prima linea

di Federico Dezzani

Sfumato lo scenario di una conflagrazione “politica” dell’Unione Europea sull’onda di una vittoria elettorale di Marine Le Pen, tornano alla ribalta le forze centrifughe di natura economica: l’Italia si trova adesso in prima linea. Gli allarmanti dati su debito pubblico, disoccupazione, crescita e sofferenze bancarie, suggeriscono che la situazione, complice la prossima instabilità politica, possa precipitare anche prima del rialzo dei tassi da parte della BCE: è quasi certo che, come nel bollente autunno del 2011, Mario Draghi ed Angela Merkel, spalleggiati dal neo-presidente francese Emmanuel Macron, tenteranno di commissariare l’Italia, spingendola verso un “salvataggio” del FMI/ESM. Rimane da capire se la nostra classe dirigente, incalzata da una società sempre più insofferente, cederà al ricatto.

 

Un nuovo 2011 alle porte

Le presidenziali francesi rappresentavano la principale, e forse unica, occasione del 2017 per una conflagrazione “politica” dell’Unione Europea: se il Front National, sospinto dalla disoccupazione record e dalle montanti tensioni sociali, avesse conquistato l’Eliseo, l’intera architettura europea sarebbe crollata nel volgere di pochi mesi, travolta dall’esplosione del motore franco-tedesco. La strategia dell’oligarchia finanziaria per insediare l’ex-Rothschild Emmanuel Macron alla presidenza della Repubblica (frantumazione della sinistra, eliminazione di François Fillon attraverso il Penelopegate, strategia della tensione ed appello al “fronte repubblicano” contro la destra) si è però rilevata vincente ed il candidato dell’establishment ha trionfato con ampio margine. Dato per scontato che le prossime legislative tedesche non regaleranno nessuna sorpresa di rilievo (grazie alla provvidenziale chiusura della “via balcanica” nella primavera dello scorso anno ed al conseguente arresto dei flussi migratori verso la Germania), si può dire che il potenziale rivoluzionario del 2017 si è esaurito, perlomeno per quanto concerne l’aspetto elettorale.

Torna quindi alla ribalta la situazione economica-finanziaria dell’eurozona che, insieme all’emergenza migratoria, è la principale fonte da cui i movimenti populistici traggono la loro forza: a distanza di nove anni dall’avvio della Grande Recessione (2008) e di sette dall’inizio dell’eurocrisi (2010), non era azzardato ipotizzare che le forze anti-sistema avessero guadagnato un impeto sufficiente da rovesciare l’oligarchia euro-atlantica con una serie di elezioni decisive. Fallita l’impresa, il focus torna sull’insostenibilità di un regime a cambi fissi come l’euro, sui danni prodotti dalle politiche di svalutazioni interna per riequilibrare l’eurozona, sulla crescente disoccupazione nel Sud-Europa necessaria per abbattere i salari, sulla mole allarmante di debito pubblico che si accumula a causa dell’infinita recessione, sull’esplosione delle sofferenze bancarie generate da una caduta verticale del PIL. Il quesito da porsi oggi è: occorre aspettare ancora altri anni perché i movimenti populistici conquistino un Paese chiave dell’eurozona oppure le forze centrifughe di natura economica prenderanno il sopravvento prima?

Tutto lascia propendere per la seconda ipotesi e che il collasso dell’eurozona si consumi nei prossimi nei prossimi 12-24 mesi per cause economiche/finanziarie: il “puntellamento” politico dell’Unione Europea, con l’installazione di Emmanuel Macron all’Eliseo, non scioglie, infatti, nessuno dei nodi finora accumulatosi. Il “nein” tedesco al trasferimento di denaro dall’euro-centro all’euro-periferia permane, sia che si chiami garanzia unica sui depositi bancari o assegno europeo di disoccupazione: lo stesso Macron sarà molto presto costretto a somministrare alla Francia l’amara medicina dell’austerità, indispensabile perché l’Esagono smetta di “vivere al di sopra dei propri mezzi”. È una ricetta che l’Italia ha già sperimentato nel biennio 2011-2013 con l’esecutivo di Mario Monti ed i suoi effetti sono noti a tutti: la bilancia commerciale è tornata positiva (fermando il “deflusso” di euro sotto forma di merci), ma a costo di un’esplosione del debito pubblico, della disoccupazione e delle sofferenze bancarie. Il nostro Paese si colloca quindi ad uno stadio successivo dell’eurocrisi rispetto alla Francia e si trova ora, svanito lo scenario di una dissoluzione “politica” dell’Unione Europea, all’avanguardia di quella “economica”.

Sul versante del debito pubblico, è sufficiente ricordare come l’ultima “A” assegnata ai nostri titoli di Stato sia stata tolta dall’agenzia canadese Dbrs lo scorso gennaio1. Il versante bancario è persino più preoccupante: pesano i 205 mld di sofferenze bancarie2 ed il misterioso stallo nel salvataggio pubblico di Monte dei Paschi di Siena, ormai fermo dallo scorso dicembre. È forte il sospetto, come già anticipammo mesi fa, che il braccio di ferro tra Germania ed Italia sull’istituto senese sia tutt’altro che risolto, lasciando aperta la strada del “bail in” o a perdite particolarmente severe per gli obbligazionisti. Sia la salute delle finanze pubbliche che quella gli istituti privati è aggravata dall’assenza di crescita economica (stimata dalla Commissione Europea al +0,9% per il 2017 ed al 1,1% nel 20183): è un’attività economica così debole da poter scivolare facilmente nella recessione qualora il governo dovesse attuare le ulteriori misure d’austerità imposte dall’Europa, il quadro globale dovesse deteriorarsi o la BCE riducesse la politica monetaria ultra-espansiva, rafforzando l’euro e facendo lievitare gli interessi sul debito pubblico.

Già, molti collocano nel biennio 2018-2019, con la dell’allentamento quantitativo e la scadenza del mandato di Mario Draghi, il termine ultimo dell’Italia per “rimettersi in carreggiata”. In realtà, il precipitare della situazione italiana potrebbe essere questione di sei-nove mese, in coincidenza delle (ineludibili) elezioni legislative: se esistono pochi dubbi sulla vera  natura del Movimento 5 Stelle, classico esempio di partito populista “addomesticato”, sono alte però le probabilità che dalle prossime urne esca un parlamento “impiccato”, incapace di esprimere una chiara maggioranza a causa della tripartizione quasi perfetta dello schieramento politico. È quanto sta sperimentando dallo scorso ottobre la Spagna, dove Mariano Rajoy si è visto costretto a formare un governo di minoranza che presto sarà sottoposto al battesimo di fuoco della legge finanziaria. Se il governo Gentiloni dovesse cadere entro l’autunno, l’attuale parlamento fosse incapace di esprimere una legge elettorale od il prossimo di formare un saldo esecutivo, bisogna attendersi che la speculazione sul debito pubblico riesploda, come nell’estate del 2011.

Gli squali della City e di Wall Street agirebbero, proprio come allora, coordinandosi con i tre principali alfieri dell’establishment euro-atlantico in Europa: la Banca Centrale di Mario Draghi. la Germania di Angela Merkel e la Francia di Emmanuel Macron (che ricopre il ruolo che Nicolas Sarkozy ebbe nel 2011). Andrebbe in onda una leggera variante di quanto sperimento sei anni fa dall’esecutivo Berlusconi: Francoforte invierebbe “una lettera” suggerendo le riforme strutturali inderogabili per continuare ad acquistare i titoli di Stato (lettera che “filtrerebbe” al Corriere della Sera in pochi giorni), Berlino chiederebbe all’Italia di accettare un prestito dal Fondo Monetario Internazionale e/o dall’ESM così da mettere al riparo le finanze pubbliche, Parigi si adagerebbe alla linea tedesca, conscia che è l’unico modo per continuare ad avvalersi dello scudo politico offerto dal “motore franco-tedesco”.

L’Italia, svuotata di qualsiasi sovranità, sarebbe così rimessa alla mercé della Troika sulla falsariga di quanto sperimento dalla Grecia. Con una significativa differenza, però: il piatto è molto più appetitoso, grazie al tessuto produttivo più diversificato, imprese pubbliche più floride, un patrimonio immobiliare dello Stato più ricco e risparmi privati più cospicui. Sarebbe così portato a compimento il grande saccheggio dell’economia italiana iniziato nel biennio 1992-1993 e consumato, prima, per agganciarci all’euro e, poi, per scongiurare la nostra uscita: da quinta economia del mondo che era nei primi anni ‘90, l’Italia scivolerebbe verso il rango di Stato semi-fallito, depauperata della sua industria, dei suoi giovani, dei suoi capitali.

Diversi elementi indicano che sia questo il prossimo futuro dell’Italia: il governatore della BCE, l’ex-Goldman Sachs Mario Draghi, ha più volte sottolineato che l’uscita dalla moneta unica non è contemplata dai trattati ed ha ammonito che, in ogni caso, tutti i debiti contratti da Bankitalia con la BCE (si parla di 350-400 mld sul sistema Target2) devono essere saldati. È chiaro che Draghi farà di tutto per impedire l’Italexit, usando la liquidità della banca centrale come arma di ricatto (lo stesso schema applicato nel 2015 in Grecia). I consiglieri economici di Angela Merkel hanno già “suggerito” all’Italia, in occasione del salvataggio di MPS, di chiedere soccorso al Fondo salva-Stati (ESM) ed al FMI4: al coro si è aggiunto anche il ministro delle finanze, Wolfgang Schäuble, che ha recentemente ribadito la necessità di potenziare l’ESM per aggirare i Parlamenti nazionali ed evitare che “l’Europa si disgreghi5al riesplodere della speculazione. Da ultimo, il neo-presidente Emmanuel Macron non ha alcun interesse a sposare la causa dell’Italia o dell’Europea mediterranea e preferisce venderci alla Troika così da guadagnare altro tempo per la Francia: la “modernizzazione” dell’economia transalpina, a colpi di austerità e liberismo, deve ancora iniziare e si preannuncia drammatica.

Non c’è alcun dubbio che l’attuale od il prossimo parlamento, se lasciati liberi da qualsiasi vincolo esterno, voterebbero per il commissariamento dell’Italia da parte della Troika: la soluzione sarebbe in continuità con la linea “europeista” della Seconda Repubblica e diversi centri di potere (il presidente Sergio Mattarella, la Bankitalia di Ignazio Visco, la Confindustria di Vincenzo Boccia, i sindacati, il salotto di RCS, etc. etc.) premerebbero per mantenere lo status quo anche a costo di vedere il FMI e l’ESM installarsi stabilmente a Roma, svuotando di qualsiasi significato le nostre istituzioni. Il parlamento italiano dovrà però tenere conto degli umori di una società che, sfibrata dalla peggiore depressione economica dai tempi dell’Unità, è tanto esausta quanto insofferente: qualsiasi opportunità di ribellione (che si tratti del referendum costituzionale o del referendum sul salvataggio di Alitalia) è ormai prontamente sfruttata per gridare un “No!” in faccia all’establishment. C’è da chiedersi quale sarebbe la reazione della società italiana di fronte a nuova austerità, nuove umiliazioni, nuovi saccheggi.

È pronto il parlamento italiano ad affrontare uno scenario simile, o probabilmente peggiore, a quello greco? È pronta la nostra fallimentare classe dirigente a mantenere l’ordine con la violenza, dopo aver trascinato nel baratro il Paese? È pronto il nostro establishment a giocare fino in fondo la partita, col rischio di spezzarsi l’osso del collo?

Sono interrogativi che troveranno una risposta nei prossimi mesi. Nel frattempo il deflusso di capitali, ben visibile su Target 2, continua mese dopo mese. L’eurozona è sempre più polarizzata tra area marco (con la Francia in posizione ancillare) e area mediterranea: le tensioni finanziarie, nonostante la morfina della BCE, sono molto più gravi del 2011-2012. Il momento della verità si avvicina e l’Italia è (contro la sua volontà) in prima linea.

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Note
1 http://www.lastampa.it/2017/01/13/economia/anche-dbrs-declassa-il-rating-dellitalia-persa-lultima-a-ecco-che-cosa-cambia-DDp2zOO6eMAqdnv3HahuUI/pagina.html

2 http://finanza.lastampa.it/News/2017/05/10/banche-sofferenze-stabili-a-marzo-accelerano-prestiti-a-privati/MTM3XzIwMTctMDUtMTBfVExC

3 http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2017/05/11/ue-modesta-ripresa-italia-pil-09_2f35da0e-7b74-43d7-95dc-39c4aa7b56b6.html

4 http://www.ilgiornale.it/news/politica/ora-berlino-chiama-troika-litalia-chieda-aiuto-allesm-1339760.html

5 http://www.repubblica.it/economia/2017/05/11/news/scha_uble_cosi_francia_e_germania_cambieranno_la_ue-165144892/?ref=RHPPBT-VE-I0-C6-P7-S1.6-T2

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