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carmilla

Château Macron

di Alessandra Daniele

Il 66% raccolto da Emmanuel Macron alle presidenziali francesi dice poco del suo reale consenso nel paese. Al primo turno aveva totalizzato il 23%, e sono quelli gli unici elettori che davvero l’avrebbero voluto presidente, tutti gli altri si sono tappati il naso per evitare la Le Pen, e di certo non credono che l’aristocratico banchiere li proteggerà da tutti i mali come ha promesso nel suo discorso della vittoria davanti alla Piramide, che ricordava “La cura” di Battiato:

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
dalle ossessioni delle tue manie.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto.
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono.

Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare.
Ti salverò da ogni malinconia
perché sei un essere speciale, ed io avrò cura di te
Io sì, che avrò cura di te.

Il compito assegnato dall’establishment a Macron in realtà è rinsaldare l’asse politico economico UE Francia-Germania a spese anche dell’Italia, e questo rende particolarmente patetico l’entusiasmo lecchino di politici e opinionisti italiani per la sua vittoria.

Da Renzi a Padellaro, da Augias a Berlusconi, tutti s’arruolano nell’armata del giovane Monti con la mascella dei Kennedy, e l’appoggio dei Rothschild. Dall’Alpi alla Piramide, è tutto un Banca, Banca, Banca, Macron, Macron, Macron.

Tutti fedeli all’Europa, anche quando l’Europa non c’è, perché l’UE della quale favoleggiano non è mai esistita, e l’elezione di Macron non la rende più reale, anzi.

L’UE di Macron è un castello carolingio, una cittadella fortificata la cui prima cerchia sarà ristretta a Francia e Germania, e la seconda solo a qualche vassallo.

Una fortezza che innalza anche i muri al proprio interno, fra le classi, e che si prepara all’inasprimento della guerra (non solo) commerciale con Trump, e Putin.

Il conte Gentiloni in questo contesto è appena un maggiordomo. Eppure Renzi lo invidia, trama ogni giorno per fargli le scarpe, riprendersi la poltrona che è stato costretto a cedergli, e questo meschino contorcersi come uno scarafaggio schienato dà la misura del suo fallimento, personale e politico.

Mentre si sbraccia per applaudire “l’amico Macron”, e sgomita per farsi i selfie a pagamento con Obama come un turista coi centurioni del Colosseo, Matteo Renzi continua quindi a spedire i suoi fedelissimi a caccia di voti fascisti.

Basata sullo stesso principio giuridico delle leggi razziali, la tesi della Serracchiani che uno stupro sia più grave se commesso da un profugo immigrato non è certo una gaffe isolata, ma parte d’una tattica precisa, insieme alle retate di Minniti, e alle grottesche leggi sulla licenza di uccidere notturna.

La deriva fasciorazzista giova a tutte le oligarchie, perché sposta il fuoco della rabbia popolare dai veri colpevoli – le classi dirigenti – a un facile capro espiatorio già completamente emarginato, e privato di qualsiasi potere e di qualsiasi diritto.

Sacrificabile.

La Storia ci ha insegnato che non c’è nessun crimine di massa davanti al quale i padroni del Castello si fermino pur di mantenere il loro potere e i loro privilegi.

La Storia ci ha anche insegnato che in fondo alla strada sulla quale stanno trascinando ormai l’intero pianeta c’è l’abisso.

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