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Il populismo delle classi dominanti e l’elezione di Macron

di Pier Giovanni Pelfer

Le oligarchie economiche e finanziarie sono le classi dominanti in Europa e controllano la politica europea attraverso l’establishment, rappresentato da Bce, Ue e Fmi, oltre che da associazioni (Bilderberg), centri di ricerca e università, attraverso i quali si impone il pensiero unico ultraliberista. Tali oligarchie hanno inoltre il controllo dei media (tv, giornali, case editrici, ecc.) che esercitano con intelligenza e spregiudicatezza, ma non con minor decisione. L’unico medium che sfugge al loro controllo totale è per ora il web. Farsi un’opinione di quanto stia realmente accadendo a livello locale e globale è veramente difficile. E questo è sempre stato vero: le idee dominanti sono sempre state le idee delle classi dominanti.

Da un po’ di anni però la situazione è cambiata. L’enorme potere finanziario e mediatico accumulato nelle mani di queste oligarchie ha permesso loro di saltare ogni mediazione politica e di attaccare, per distruggerli, i corpi sociali intermedi: i partiti, i sindacati, le associazioni di cittadini che permettevano di mediare gli interessi diversi e di dare loro una certa rappresentanza.

Fino a ora si era lasciata almeno la forma della democrazia rappresentativa, pur con riforme istituzionali ed elettorali che l’avevano sempre più ridotta a un vuoto schema. L’elezione di Macron in Francia rappresenta però una svolta fondamentale nel rapporto fra oligarchie dominanti e elezione dei rappresentanti istituzionali. La scelta è una forma di “autocrazia diretta”, in cui i candidati vengono scelti direttamente dagli “uffici elettorali” delle organizzazioni economiche e finanziarie, saltando ogni mediazione e ogni rito democratico, anche quello formale delle “elezioni primarie” e rivolgendosi direttamente al “popolo”. Il candidato, supportato economicamente da una potente campagna mediatica, deve ignorare o addirittura attaccare duramente ogni corpo intermedio e ogni mediazione, negare l’appartenenza a questo o a quello schieramento politico, rivolgersi direttamente agli elettori, con una narrazione più o meno convincente e appelli drammatizzanti, quali, per esempio, «la patria è in pericolo».

Il vantaggio del candidato che così viene lanciato nell’agone politico è che nel frattempo, sempre con una potente campagna di stampa, ma anche con le politiche liberiste, si sono creati a destra e a sinistra movimenti antisistema che vengono bollati come pericoli mortali per la società nazionale.

Una situazione simile precedette la presa del potere dei movimenti fascisti in tutta Europa: il pericolo mortale a quei tempi erano i movimenti socialisti e comunisti. Ora che il comunismo è morto e che il socialismo “non sta molto bene”, i nemici mortali debbono essere trovati altrove. E perché no nei movimenti di protesta di quei gruppi sociali annientati dalla crisi e dalle politiche liberiste? La scelta è molteplice: destra nazionalista, nuovi movimenti di sinistra, partiti islamisti (in futuro?).

E vediamo ora il metodo che viene seguito per ottenere il risultato voluto. Si sceglie accuratamente un candidato “nuovo” e possibilmente poco conosciuto dall’opinione pubblica, ma ben noto agli ambienti economici e finanziari. Il candidato deve essere quanto più neutro possibile, giovane, di cultura modesta, di idee abbastanza banali e con una storia che possa piacere e ispirare buoni sentimenti.

Cosa ci può essere di meglio di un uomo giovane, con una moglie che per la sua età potrebbe essere sua madre e che così viene presentata dai media? Il candidato si dichiara né di destra né di sinistra, anzi intende muoversi fuori e contro i partiti tradizionali, ridimensionando il potere dei sindacati e dei corpi intermedi, tanto più quanto sono rappresentanti di interessi particolari. Il candidato rappresenterà se stesso e difenderà l’interesse generale e per questo chiederà direttamente al popolo la delega in bianco, sulla fiducia. I tempi sono difficili, bisogna fare presto e non si può perdere troppo tempo dietro ai riti consunti della democrazia rappresentativa.

Dopo l’elezione farà un bel discorso, proponendosi come il nuovo uomo della provvidenza che risolverà ogni problema presente e futuro, dichiarando: «io farò, io dirò, io aiuterò».

Molte delle frasi dei suoi discorsi cominceranno con “io”. Nel discorso fatto al Louvre, subito dopo i risultati elettorali, Macron ha usato “je” la bellezza di 22 volte.

Il governo sarà composto dal più vecchio e “sputtanato” personale politico preso a destra e a sinistra, per una politica di lacrime e sangue: questo chiede il nuovo processo rivoluzionario eversivo.

E l’Europa? In questo caso la nuova concezione è quella del nazional-europeismo: «Francia first», ma in Europa; così come è stata fino a ora «Germania first», sempre in Europa. Di nuovo, l’asse Francia-Germania. Per gli altri paesi dell’Ue, vedremo come sapranno adeguarsi a questa politica.

Rimane un problema: la presenza di un’Assemblea legislativa e le elezioni dell’11 giugno prossimo. Così come è nato, Macron non ha un partito. Previsione: la potente macchina mediatica e l’infinito potere economico e finanziario delle classi dominanti si metteranno in moto per creare un partito leggero personale di Macron, con pochi iscritti ma con molti addetti alla propaganda nei media.

Un nuovo partito virtuale, i cui candidati saranno scelti con gli stessi criteri con cui è stato scelto Macron, di destra, di centro, di sinistra e da ogni dove, in grado di fargli ottenere la maggioranza dei seggi all’Assemblea nazionale in alcune settimane. Il circolo così si chiude.

Se questa operazione funziona per la Francia, può essere estesa a tutti i paesi europei dove si terranno elezioni, naturalmente con le dovute differenze legate ai differenti ordinamenti istituzionali e leggi elettorali, e in questo scenario può pesare per esempio una maggiore complessità politica e articolazione dei bacini elettorali in Italia rispetto ad altri paesi europei.

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