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Kim Jong-un, psicopatico o leader razionale?

di Marina Zenobio

“Il leader nordcoreano Kim Jong-un non è un irrazionale, pensa a Saddam e soprattutto a Gheddafi ed è convinto che senza armi nucleari anche lui avrebbe fatto la stessa fine”. Stralci di un articolo di Lankov pubblicato sul Foreign Policy

Per molti la Corea del Nord è un paese “di pura follia” che minaccia gli Stati Uniti con azioni belliche e, a livello interno, “organizza brutali esecuzioni” mentre destina enormi risorse allo sviluppo delle armi nucleari a detrimento dello sviluppo economico del suo paese. E’ una sintesi estrema da cui parte un lungo articolo pubblicato sul Foreign Policy statunitense da Andrei Lankov, russo, studioso delle realtà asiatiche, in particolare della Corea del Nord.

Lankov però precisa, fin dalle prime righe, che tale approccio non può essere più lontano dalla realtà: “Se questo approccio si usa come guida per capire le politiche della Corea del Nord, tali analisi sono semplicemente sbagliate. Come guida per l’elaborazione delle politiche di Washington verso Pyongyan può essere catastrofico.”

Visto da fuori il modello politico della Corea del Nord può sembrare strano o “irrazionale” ma i Kim, scrive Lankov, sono “sopravvissuti politici” le cui azioni hanno sempre avuto un proposito chiaro: “conservare lo status quo, ossia un regime guidato dalla loro famiglia, e per decenni ci sono riusciti”. Gli ultimi 25 anni però “non sono stati facili” per il paese asiatico. La Corea del Nord ha vissuto una forte carestia, ha subito la perdita di tutti i suoi alleati internazionali, escluso la Cina, e lo scontro con gli Stati Uniti. Nonostante tutto i Kim sono sopravvissuti e sono rimasti al potere, “a riprova della loro razionalità e implacabile determinazione” scrive il professore aggiungendo che ora è il turno del giovane Kim Jong-un di conservare il potere e che, a giudicare dalle sue politiche, ha identificato tre possibili minacce e sta lavorando metodicamente per neutralizzarle.

La prima minaccia è un attacco straniero. In questo senso il leader nordcoreano ha sempre ben presente gli esempi di Saddam Hussein, dei leader talebani in Afghanistan e, in particolare, il destino di Muammar Gheddafi che, ricorda Lankov, chiuse il programma nucleare della Libia nel 2003, in cambio di alcuni benefici economici. Ciò nonostante nel 2011 si realizzò l’intervento della Nato che segnò il destino del colonnello libico

Così, per quanto riguarda le armi nucleari, Kim Jong-un considera il suo programma come puramente difensivo, afferma Lankov precisando anche che il leader nordcoreano sa bene che qualsiasi attacco contro la Corea del Sud o contro gli Stati Uniti “finirebbe molto male” e Kim Jong-un non è certo un suicida. Allo stesso tempo però pensa che nessuna grande potenza correrebbe il rischio di attaccare uno stato che abbia capacità di risposta a livello nucleare.

Per l’autore dell’articolo “Le armi nucleari sono una polizza sulla vita per le autorità nordcoreane e nessuna pressione o offerta cambierà la loro posizione perché sono convinti che, senza queste armi, i loro giorni sarebbero contati”.

Anche il linguaggio forte delle dichiarazioni usato dalla Corea del Nord ha un suo fine. Ricordando costantemente l’esistenza delle ami nucleari Pyongyang crea, forse deliberatamente, l’immagine di un paese “irrazionale e pericoloso contro il quale è meglio non mettersi” scriver il professor Lankov che ben conosce la realtà nordcoreana insegnando, tra l’altro, presso l’Università di Kookmin a Seul

La seconda minaccia, per il regno di Kim JJoug-un, è un colpo di stato militare interno. Il leader nordcoreano è giovani e “ha buone ragioni per sospettare che i suoi generali non lo appoggino totalmente data la sua età e la mancanza di esperienze”. D’altronde, secondo Lankov, il giovane Kim sarà sicuramente consapevole che i golpe militari in un regime non democratico sono molto comuni e spesso riescono con successo.

Si può teorizzare che le politiche interne nordcoreane – tra cui Lankov nomina “il terrore, le purghe e le esecuzioni” cercano proprio di prevenire un golpe militare o un consolidarsi delle élite che si oppone al giovane leader. Il confermarsi delle implicazioni di Pyongyan nel recente assassinio di Kim Jong-nam, fratellastro di Kim Jong-un, rientra proprio in questo quadro. Però, continua Lankov: “l’idea principale è che Kim non sta supervisionando un regno irrazionale del terrore. Un nordcoreano medio non sembra avere maggiori possibilità di essere arrestato per un crimine politico più di quanto avvenisse prima. L’obiettivo della repressione interna riguarda i suoi ufficiali miliari”.

La terza minaccia è una rivolta popolare. Il più grande problema della Corea del Nord è il ristagnare della sua economia e la mancanza di una soluzione praticabile per risolvere tale crisi. Qualsiasi tentativo di liberalizzare e aprire l’economia – considera Lankov – porterebbe la popolazione nordcoreana a comparare il suo benessere con quello di altri paesi, come la prospera vicina Corea del Sud, rendendosi conto della cattiva gestione delle sue autorità. A sua volta tale rivelazione porterebbe ad una sollevazione popolare e alla riunificazione delle Coree sotto la tutela della parte meridionale della penisola. E’ chiaro che questo significherebbe la fine della élite nordcoreana, sia fisica che formale.

Rendendosi conto di questo pericolo, Kim Jong-un prova a rendere la vita più “tollerabile” per il suo popolo, permettendo più indipendenza lavorativa e finanziaria. Una politica questa che, riporta Lankov, ha portato ad una certa rinascita economia: la maggior parte degli esperti concordano che la crescita annuale del PIL della Corea del Nord negli ultimi anni è stata intorno al 3%. L’era della fame è terminata e il livello di vita sta crescendo gradualmente non solo nella capitale ma in tutto il paese.

Quindi, conclude Lankov, le politiche di Kim sono rischiose ma non sono “irrazionali”. Finora hanno funzionato e potrebbero funzionare ancora molti altri anni e “il mondo dovrebbe dimenticarsi di ‘soluzioni rapide’ e della denuclearizzazione di Pyongyang ma concentrarsi a promuovere tendenze positive, come i risultati economici nel paese asiatico. La miglior speranza per un cambiamento drastico nel paese è proprio il popolo nordcoreano. Kim Jong-un è razionale ed anche il suo popolo lo è”.

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