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dinamopress

Sul populismo: ovvero della lotta per riappropriarsi di parole rubate dal nemico

di Franco Piperno

Continua il dibattito verso il seminario organizzato da Euronomade dal 16 al 18 giugno a Roma, presso l'Atelier autogestito ESC (via dei Volsci 159)

'Populismo' è uno di quei termini il cui uso mediatico ha finito col stravolgerne e mistificarne il significato originario. È una parola semanticamente frantumata, monca, perché privata della sua origine. Certo non è facile definire una parola d'uso comune - perché, a vero dire, può essere logicamente determinato, in modo coerente e completo, solo ciò che non ha storia, che risulta semanticamente povero, es. il triangolo rettangolo. Per i concetti del senso comune, ridondanti di significati, l'unico metodo adeguato è quello logico-storico: ricostruire la biografia di un'idea, di un evento, di una parola.

Ora, con ogni evidenza, il populismo è un movimento etico-politico che nasce nella seconda metà dell'Ottocento, più o meno contemporaneamente, nella Russia imperiale e negli Stati centro-occidentali degli USA. Qui ci limiteremo a ricordare per sommi capi il populismo russo - i narodnki - per via della influenza diretta e indiretta esercitata da questi ultimi sulla cultura europea e massimamente sul movimento operaio. Quanto al populismo americano, di gran lunga meno incisivo sul vecchio continente, basterà annotare, per le considerazioni che svilupperemo nel seguito, la sua origine economica-sociale: la lotta dei farmers contro lo sconvolgimento del mercato delle derrate agricole introdotto dalla rete ferroviaria.

Ma anche risalendo all'origine, non si riesce a sottrarsi ad una sostanziosa dose di indeterminazione: in russo la parola 'populista' ha uno spettro di significati che comprendono qualsiasi condotta etico-politica, da quella di un terrorista rivoluzionario a quella di un mite filantropo slavofilo. In verità, quel che rende l'indeterminazione irreversibile è l'assenza di eredi intellettuali capaci di richiamarsi al populismo e difenderne l'esperienza - il populismo è stato sconfitto e i vincitori hanno imposto, come d'uso, nei media e addirittura nei libri, l'accezione spregiativa del termine.

Perfino la relazione introduttiva a questo seminario partecipa del main stream mediatico - nel senso di assimilare al populismo le strategie e le condotte, spesso deprecabili, dei soggetti politici che agiscono sulla scena nazionale come su quella occidentale. Così il trasformismo, la demagogia, il qualunquismo, il parlamentarismo, il fallimento della rappresentanza; insomma le tare caratteristiche - ab initio, dalla unificazione della penisola - della vita morale e civile del nostro paese vengono attribuite all'onnivoro populismo, svuotando il termine di ogni potenza esplicativa, rendendolo una mera astrazione gergale, un frammento della chiacchiera pubblica, un coriandolo del «cielo della politica», dove il “buon senso” ha scacciato il senso comune. Viene in mente che, forse, la critica del modo di produzione capitalistico contemporaneo dovrebbe farsi carico, preliminarmente, di una resistenza alla degenerazione semantica, tornando all'origine, ricostituendo la memoria autentica del populismo, l'esperienza dei narodnki.

Per il pensiero critico, il populismo russo ha compiuto una grande impresa teoretica ha avuto un esito decisivo, ha comportato una rottura epistemologica nella ricerca di Marx, il Marx maturo, quello della Critica al programma di Gotha; e questo con ragione, perché i narodnki, al contrario dei socialdemocratici, rifuggono dalle utopie donchisciottesche, quelle che puntano ad una società socialista tramite la costruzione dell'uomo del futuro, homo novus; nei populisti russi pulsa una sorta di “immediatismo”: le condizioni materiali di produzione e i rapporti umani corrispondenti ad una società senza classi, più equa, esistono di già - anche se spesso in forma latente - nelle sterminate campagne russe: si tratta del modo di produzione asiatico, del comunismo primitivo dei contadini organizzati attorno al Mir, l'istituzione di democrazia diretta la cui invenzione collettiva affonda nella notte dei tempi, in epoche arcaiche.

L'incontro con i narodniki comporterà la svolta anti-socialdemocratica di Marx; e il successivo suo ripudio dello sviluppo storico concepito in termini deterministici e lineari - così come teorizzato nel primo libro del Capitale - sviluppo che dal feudalesimo portava al capitalismo e da lì, finalmente, al socialismo. Da questo punto di vista, la dottrina politica dei narodnki può apparire una sorta di anticipazione ottocentesca di quegli studi post-coloniali a noi contemporanei.

Conviene aggiungere che non bisogna confondere la grande trasformazione sociale in corso, lo smarrimento sentimentale che essa induce, con l'emergere nel senso comune del 'populismo' volgarmente inteso, questa regressione di destra o di sinistra che sia, dove una sorta di primitivismo culturale mescola il trasformismo al qualunquismo; in altri termini, alla radice di questa regressione che chiamiamo populismo non c'è, primariamente, la crisi dei partiti e della rappresentanza. Ciò che è in gioco è altro e di più. Viviamo in un tempo nel quale la parabola descritta dalla sostituzione della macchina intelligente al lavoro umano tocca il suo apice. Infatti, non è il processo di globalizzazione a provocare le strazianti doglie della governance capitalistica nonché della democrazia rappresentativa. Certo l'unificazione del mercato mondiale è ancora in corso ed è destinata ad affermarsi attraverso resistenze, arresti bruschi e perfino,in qualche caso, dei ritorni all'indietro, e.g. il sovranismo.

E tuttavia, nel medio periodo, l'unificazione capitalistica del mercato mondiale va data come se fosse interamente compiuta. Questo vuol dire che la capacità di invadere nuovi mercati, essenziale per sfuggire alla trappola della saturazione produttiva, sarà quella di inventarli "ex novo", consegnando le sorti del progresso alla innovazione forsennata di procedure e di prodotti. In altri termini, l'innovazione avviene a risparmio di lavoro umano, quindi sempre di più estranea e nemica della cooperazione lavorativa e in fatale dipendenza dalla applicazione, del tutto contro-intuitiva, della tecno-scienza alla produzione. Già oggi si è creata una «sproporzione enorme tra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto, tra il lavoro salariato evaporato in astrazione alienante e la potenza della produzione che esso stesso sorveglia».

Il rifiuto del lavoro salariato da prassi sovversiva operaia ha subito un stravolgimento ed una successiva trasmutazione, riapparendo come uno dei dispositivi della governance capitalistica. Del resto, solo ieri, già era accaduto tutto questo ai cavalli: il loro numero si è contratto drasticamente - erano centinaia di milioni - con l'invenzione del motore a scoppio; così oggi l'automazione, la cosiddetta intelligenza artificiale, rende via via marginale il lavoro vivo e con esso quelle passioni tristi che sempre lo accompagnano. Come è avvenuto con i contadini, i salariati diverranno una modesta anzi insignificante frazione della popolazione attiva. E paradossalmente, padroni e sindacalisti, si affanneranno a inventare lavori, non già per ragioni produttive, dal momento che risultano in gran parte parassitari, ma per garantirsi il consenso ovvero per questioni di ordine pubblico.

Se questo è l'orizzonte degli eventi, se le cose stanno così, il pensiero critico deve abbandonare ogni ricerca di una classe, definita dalla centralità produttiva, alla quale affidare le sorti della rivoluzione; e ancor più lasciar cadere ogni prassi di gradualità nella trasformazione sociale, ogni residua tentazione di usare le istituzioni della rappresentanza, di prendere il potere per far del bene per forza, per compiere la rivoluzione tramite i dispositivi statuali.

I compiti davanti ai quali siamo gettati sono radicalmente diversi; per esempio, come usare questo immenso tempo già liberato dal lavoro salariato per svolgere un “lavoro attraente”, o meglio una attività gratificante, di auto-realizzazione, che racchiuda in sé il suo scopo, dove mezzo e fine finalmente si convertano l'uno nell'altro. Insomma, fare emergere le comunità elettive, i variegati modi di produzione di valori d'uso, spesso inconsapevoli, che dormono latenti nel capitalismo della tecno-scienza.

Forse conviene fare un passo indietro per meglio saltare: dare una torsione al seminario di giugno sul populismo per introdurre a ottobre un seminario sul comunismo.

Comments

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Claudio
Wednesday, 31 May 2017 23:11
Sotto l’aspetto culturale niente da eccepire, ma le conclusioni politico/sociali sono da rifiutare in toto, a cominciare da dove pronuncia le seguenti bestemmie: “E paradossalmente, padroni e sindacalisti, si affanneranno a inventare lavori, non già per ragioni produttive, dal momento che risultano in gran parte parassitari, ma per garantirsi il consenso ovvero per questioni di ordine pubblico”. Una caterva di idiozie senza senso, che solo un rivoluzionario di nome, ma reazionario di fatto, come lui, poteva escogitare. Insomma, per il “raffinato” conoscitore di Marx, F. Piperno, la produzione è parassitaria e il profitto cade dal cielo, come la pioggia…
Se dessimo retta a costui, non ci sarebbe alcun bisogno di lottare contro i soprusi del capitale, perché padroni e sindacalisti ci daranno tutto e di più! Una posizione di chi veste ancora una posizione di immeritato privilegio e della quale, da grande opportunista, s’accontenta, fregandosene sfrontatamente di chi, ogni giorno, deve fare i conti con la dura realtà della vita. Il suo è un modo di fantasticare sugli effettivi problemi, di chi ha la pancia piena e per continuare ad averla, studia in che modo poter diffondere queste panzane ideologiche ai proletari e al resto delle classi subordinate, che un giorno potrebbero finalmente svegliarsi dal grande sonno e mettersi seriamente ad organizzarsi e a lottare per cambiare radicalmente le cose. E lo fa, come vari altri suoi compari, citando, da saputello, il grande Marx. Una posizione la sua, che urta frontalmente con la concezione marxiana e soprattutto con la vita sempre più miserevole di chi è sfruttato e sottopagato, come avviene ogni giorno per moltissimi salariati che faticano nei luoghi di produzione, per non palare di chi è costretto a doversi assoggettare a mansioni da semischiavo nel lavoro nero. Se invece d’aver vissuto in modo più o meno parassitario, avesse frequentato per davvero quei luoghi, penso che non avrebbe mai escogitato queste corbellerie reazionarie. Va bene che chiarisca origini e significato del populismo, ma se questo deve essere la scusa per diffonde a piene mani sonniferi pro-sistema, va considero uno dei peggiori nemici di chi lavora, dei giovani disoccupati e precari, degli struttati in generale, nonché di tutte le classi subordinate che vedono le loro condizioni di vita peggiorare ogni giorno di più, e tutto questo, anche per mantenere questa razza d’intellettuali…
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Mario Galati
Saturday, 27 May 2017 09:22
Si, certo. Basta creare le nostre mir e il comunismo si realizzerà. Abbiamo già visto all'opera questa organizzazione rivoluzionaria comunitaria nelle comuni sessantottesche.
Si continuano a ripetere assurdamente, come dei mantra, luoghi comuni perfettamente in linea con l'ideologia tardo capitalistica, irresponsabilmente utopistici, rinunciatari, adagiati placidamente sulla trasfigurazione della realtà del ricco occidente, sostanzialmente anticomunisti, e a spacciarli come pensiero avanzato e innovativo, addirittura agganciato al Marx più maturo. Si vede che Lenin non aveva capito niente di Marx e dei narodnik.
Ci troviamo già nel regno della libertà e ancora non lo abbiamo capito. Questo regno è il capitalismo della tecno - scienza. Non c'è nemmeno bisogno di scalzarlo dal potere. Basta ignorarne l'organizzazione concreta, a iniziare da quella politico-istituzionale. Dobbiamo soltanto prenderne coscienza e autorganizzarci, magari chiedendo allo "stato" un reddito garantito, come da apologeti di queste teorie esplicitamente sostenuto. Il capitalismo della tecno - scienza si estinguerà da solo di fronte al lavoro concreto, all'attività auto-realizzativa, dei rivoluzionari disoccupati assistiti dal reddito garantito o dalla produzione cooperativa comunitaria. Spargete il verbo tra gli estrattori di coltan africani e i fabbricatori di scarpe o di congegni elettronici asiatici. I nostri muratori, raccoglitori di arance e di pomodori si trovano avvantaggiati dalla contiguità spaziale, dalla vicinanza, con l'area cognitiva rivoluzionaria.
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