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La faglia tellurica sotto le chiacchiere sull'”Industria 4.0″

di The Industrialist

Le riflessioni che in questi giorni hanno gravitato intorno alla “rivoluzione industriale 4.0”, si prestano a un più ampio tentativo d’analisi focalizzato sul nostro paese che proveremo a dettagliare di seguito, cercando di privilegiare da un lato la sintesi e dall’altro la connessione con il rapidissimo evolversi degli eventi.

 

Il quadro industriale

Del ruolo interessatissimo che il capitale tedesco potrebbe ritagliarsi nell’opera di svecchiamento della manifattura nazionale è stato già scritto e l’intuizione pare confermata dai fatti.

Qui vogliamo sottolineare come questa presunta nuova opportunità per l’economia nazionale certifichi senza appello la subalternità del nostro sistema produttivo ad interessi materiali “altri”.

Stante, dunque, la situazione attuale, il lavoro in Italia ha due sole alternative:

– la svendita a prezzo di costo fino ad esaurimento scorte (vedasi Almaviva, Alitalia, Ilva);

– il vassallaggio nei confronti del grande capitale centro europeo.

Niente, dunque, per cui stare allegri o ancor peggio esultare come invece vorrebbero gli apologeti del made in italy (basti pensare alle sorti di alcuni grandi marchi dell’automobilismo o della moda).

 

Il quadro politico

Quanto enunciato al punto precedente è il risultato di scelte trasversali, seppur mosse da tatticismi differenti, all’intero arco politico che affondano le proprie radici in un’atavica predisposizione della nostra classe dirigente alla subordinazione piuttosto che al perseguimento di una linea indipendente.

Per fortuna la storia s’è incaricata di dimostrare che “la nostra gente” è capace di balzi intellettuali e di lotta inimmaginabili per quanti, a livello di potere, avrebbero voluto o hanno provato a rappresentarci; è una questione di cui va tenuto conto, soprattutto oggi, dove la necessità di una rappresentanza politica all’altezza della situazione si fa sempre più impellente a fronte di una metamorfosi costante delle istituzioni in soggetto sempre più autoreferenziali.

 

Il quadro estero

La crisi dell’ordine economico impostosi nell’ultimo quarto di secolo, parallelamente al declino dell’unipolarismo statunitense, ha ricondotto lo scacchiere internazionale in una fase di competizione globale in costante escalation. Anche queste argomentazioni, unite al ritorno in auge di concetti come “caduta tendenziale del saggio di profitto” e “imperialismo”, sono state estesamente trattate su queste pagine.

Ciò su cui le presenti righe vogliono focalizzare l’attenzione è il posizionamento nazionale rispetto alla questione citata.

A parere di chi scrive, l’Italia si trova sopra una delle linee di faglia che stanno disgregando l’ordine internazionale nato dal crollo dell’URSS, ed è candidata a subirne in toto le scosse telluriche.

La motivazione a sostegno di questa tesi risiede negli interessi conflittuali che nella Penisola potrebbero trovare il proprio campo di battaglia “ideale”.

L’Italia, infatti, come membro debole dell’UE è sempre più politicamente ed economicamente assoggettata al capitale continentale, segnatamente tedesco, mentre militarmente e istituzionalmente è cooptata da interessi atlantici ben lontani dal voler cedere il passo (è di questi giorni la notizia del progetto americano di ampliamento della base di Camp Darby).

La competizione tra polo imperialista statunitense e tedesco/UE, dunque, non potrà fare a meno di riverberarsi anche nello scenario italiano.

 

Il quadro sociale

Uno scenario che se in questi anni sta registrando il definitivo “disonore delle armi” per la classe borghese indigena (e diciamo chiaramente che di questo ci importa il giusto, dunque nessuna apertura di credito nei confronti di qualsivoglia “fronte nazionale” tricolore), dall’altro assiste alla disaffezione sempre più marcata nei confronti del sistema di vastissime aree dell’universo sociale subalterno.

Verso queste, l’azione tesa a marginalizzare il ribellismo nichilista e senza prospettive del “vaffa”, ricostruendo scenari progressivi concreti e praticabili per l’orizzonte materiale collettivo, appare la condizione imprescindibile per delineare qualsiasi sbocco rivoluzionario.

A tal fine, pensiamo che un punto da cui muoversi sia contenuto nei recenti saggi del compagno Formenti dedicati alle modifiche subite dalla composizione di classe dove si azzera l’impatto progressista del cognitariato e soprattutto s’identifica il fenomeno populista come il magma verso cui va tenta un’opera di egemonizzazione a sinistra, rifiutando le demonizzazioni liberali che ad oggi hanno condotto lo scontento di massa nelle braccia della destra reazionaria o del contraddittorio immobilismo grillino.

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