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manifesto

Autobiografia della miseria della politica

Paolo Favilli

So benissimo quanto sia poco elegante autocitarsi, con il sottointeso, inoltre, di suggerire: «vedete che avevo la vista lunga». Per ragionare, però, su quello che abbiamo oggi sotto gli occhi dobbiamo ragionare anche su quello che ci avevamo ieri e che la politica politicante aveva ignorato e che continua ad ignorare. «Molti commentatori odierni, purtroppo anche da sinistra, scambiano una partita di poker (…) con un mutamento strategico. Scambiano cioè la spuma di superficie mossa da venti incostanti, con il fluire costante delle correnti profonde (…). È sulle culture che lo ispirano, sulle strutture di ogni tipo che lo sorreggono, che vanno misurate le ragioni del ’lungo Nazareno’, non sulle necessità contingenti della tattica» (Le radici profonde del Nazareno, il manifesto, 10 febbraio 2015). Di fronte alla nuova partita di poker dei nostri giorni i cui risultati sembrano invertire la «svolta a sinistra» renziana relativa al metodo di elezione di Mattarella (così fu considerata dai sostenitori del centrosinistra «buono»), si potrebbero usare gli stessi termini dell’articolo di due anni e mezzo fa. E del resto non si sono certo modificate le coordinate che vengono da lontano e che si concretizzano, come ci spiega autorevolmente un ex economista critico, fortemente pentito proprio della dimensione «critica», nella consapevolezza che «entrambi i leader» hanno del «nesso che lega (…) indirizzi europei (…) alle riforme interne che dovranno essere attuate al fine di adeguarsi ad essi» (Il riformismo dei moderati Renzi e Berlusconi, Corriere della sera, 20 maggio 2017).

Su questo punto, quello davvero dirimente per l’analisi «critica» e le politiche che intendono ispirarvisi, fin dagli anni ’90 le logiche dell’alternanza tra governi Berlusconi e governi di centrosinistra non sono mai state conflittuali se non su questioni marginali o su tattici aggiustamenti legati alla contingenza. L’ideologia economica condivisa e vissuta come seconda natura giustifica il «pilota automatico» che guida l’attuale fase dell’accumulazione. I due leader «riformisti» devono assicurarsi che niente interferisca con tale centro di controllo dell’economia e della società, ed una volta garantito il meccanismo possono dedicarsi in tutta libertà ai più gratificanti giochi dell’esercizio del potere. Giochi tutt’altro che innocenti peraltro.

Da «quali fragilità della nostra storia» (G. Orsina) sia derivato quel fenomeno che è stato chiamato berlusconismo sono ormai noti i lineamenti generali. Attenti studiosi (A. Gibelli, P. Ginsborg, N. Tranfaglia…) hanno impostato in termini storici, e dunque nei tempi della storia, l’ascesa e la pervasività del fenomeno. Se la commistione politica-affari attiene in generale alla tendenza «regressiva» che interessa l’Occidente nel suo complesso da più di trent’anni, i modi del «berlusconismo» sono connotati dalla storia italiana, dalla particolare estensione della sua «zona grigia». In nessun altro paese analogo l’accumulazione di ricchezza e potere personale avrebbe avuto spazi fuori legge tanto vasti. In nessun altro paese analogo le condanne definitive ed infamanti ai principali esponenti (Berlusconi, Previti, Dell’Utri) di un’operazione politica di tale centralità non avrebbe lasciato segno sulla continuità dell’operazione stessa.

Questo non è avvenuto perché la cornice politico-culturale seguita all’eclissi (parziale) di Berlusconi altro non è stata, e non è, che una nuova forma di berlusconismo. Uno stato della «miseria della politica» a cui Berlusconi ha dato corpo ed immaginario, ma che trascende la sua persona.

Ora questo quadro politico con un nucleo centrale sostanzialmente compatto, un nucleo centrale che è espressione di un reticolo di strutture anch’esso sostanzialmente compatto, si appresta a cercare conferma in una tornata elettorale assai vicina. Una tornata elettorale importante anche per una definizione non provvisoria, non immediatamente funzionale alla scadenza, del processo di costruzione (ahimé infinito e ed ancora inficiato da insopportabili tatticismi) di un campo di sinistra radicalmente critico e politicamente efficace. Un appuntamento importante, certo, ed è necessario lasciare un segno nei risultati, ma non è il caso di farsi eccessive illusioni su spazi elettorali facili da conquistare. Il risultato francese di Melenchon, quasi il 20%, ha alle sue spalle una durissima lotta sociale durata mesi e sostenuta dalla Cgt. Non mi pare che ci possano essere paragoni con la situazione italiana. Per ora possiamo contare solo su una credibilità che deve venire da chiarezza di analisi e di obbiettivi. Leggo che il 29 maggio la capogruppo Mdp al Senato ha dichiarato: «… noi ragioniamo nell’ottica di un centrosinistra coalizionale». Ebbene chiarezza e credibilità significano ragionare esattamente nella maniera opposta.

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