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La tragedia della lotta al terrorismo

Riccardo Petrella

Quanto più gli Stati, soprattutto Usa e Ue, intensificano e ampliano le proprie azioni di guerra contro il terrorismo – in particolare di matrice islamica, jihadista – all’interno dei paesi considerati i focolai principali del terrorismo globale, più si assisterà alla distruzione di vite umane, alla devastazione economica e ambientale, senza neanche riuscire ad eliminare le cause del problema. Anzi, il contrario.

La tragedia si è consumata di nuovo durante il G7 a Taormina (26 e 27 maggio) in cui l’unico risultato di cui possono rallegrarsi i capi di Stato e di governo partecipanti è la “Dichiarazione comune sulla lotta contro il terrorismo”. Cosi, la prima ministra britannica May si è scapicollata a tornare nel suo paese per vendere come un gran successo la firma della dichiarazione. Gli attentati di Manchester e le elezioni politiche di giugno dettano le priorità. Dal canto suo, il guerrafondaio presidente americano Trump, ha riportato a casa non solo quella firma, ma anche numerosi contratti di vendita di armi all’Arabia Saudita, siglati il 21 maggio, per un valore di 110 miliardi di dollari. Secondo i firmatari, le costose armi sono assolutamente necessarie per aiutare l’Arabia saudita a sconfiggere il terrorismo nella regione e difendersi dalle “minacce” dell’Iran. Va tutto bene pure per gli altri capi di Stato e primi ministri europei, membri Nato, che hanno votato il 25 maggio a Bruxelles (ivi compreso il dittatore turco) per l’entrata della Nato nella “coalizione mondiale contro Daesh”, contravvenendo alle regole dello Statuto. Quante “iniziative” militari in soli cinque giorni! Ma tutto è permesso se fatto nel nome della lotta globale al terrorismo, per la “nostra” sicurezza.

Piccola digressione. Già da qualche mese, nella regione del Corno d’Africa, le popolazioni dei paesi vicini all’Arabia Saudita come lo Yemen, la Somalia e, un pochino più in là, il Sud Sudan e il Nord della Nigeria, stanno patendo la carestia e la siccità più gravi della storia dal 1945. Sono morte decine di migliaia di persone, soprattutto bambini e donne. Secondo l’Igad (Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo), l’autorità regionale dell’Africa orientale, 11,2 milioni di persone vivono in condizioni igieniche e di salute pessime. Per evitare che più di 24 milioni di persone rischino di morire, bisognerebbe disporre di 4,4 miliardi di dollari entro luglio 2017 (così afferma Stephen O’Brian, responsabile umanitario Onu). Verosimilmente, né l’Arabia Saudita né gli Usa, né tantomeno i membri Ue e il resto dei paesi Nato spenderanno nulla per soccorrere quelle genti. Questa è la prima espressione della tragedia della lotta al terrorismo: quando si parla di antiterrorismo (armamenti, guerre, sicurezza, militarizzazione delle città…), girano miliardi e miliardi senza essere vincolati alle rigide norme budgetarie. Al contrario, quando si tratta di spese sociali, nazionali o per la cooperazione internazionale, sono intrappolate nella ghigliottina dell’austerity. Scandaloso.

In secondo luogo, il terrorismo spesso è servito e serve tutt’oggi come alibi per gli Usa e l’Ue, per giustificare la loro militarizzazione crescente, legata invece all’obiettivo del rafforzamento dell’industria bellica per il ruolo vitale che essa gioca sempre di più per l’egemonia mondiale e la crescita economica.

La tecnologizzazione intensiva degli armamenti e delle operazioni militari (si pensi ai droni e agli effetti che hanno su numerosi settori economici civili) ha fatto si che l’economia bellica (industria, commercio, finanza), soprattutto quella illegale, sia divenuta un settore sempre più strategicamente rilevante e redditizio. I potenti fanno sempre più guerre e mirano a un “mondo armato”, non tanto per eliminare il nemico quanto per accrescere i profitti dei detentori di capitali, anche pubblici. Maggiore è la vendita e l’uso delle armi ad alta sofisticazione e potenza distruttrice, maggiore è l’introito dei produttori e dei commercianti. Gli americani, gli inglesi, i francesi, i russi, i tedeschi (e domani i cinesi) accrescono le loro ricchezze impoverendo quelle degli altri. Altro che lotta al terrorismo! Abbiamo casi esemplari come la guerra in Iraq (2003), in Libia (2011), in Siria (intervento della coalizione internazionale anti-jihadista nel settembre 2014) tutt’oggi in corso.

Tutti sanno che Sarkozy ha deciso autonomamente di bombardare la Libia per mere ragioni politiche interne. La devastazione della Siria, alla quale hanno contribuito tutte le parti in gioco, ha poco a che fare con la lotta al terrorismo. Secondo il rapporto Chilcot della Commissione d’Inchiesta del 2009 voluta dal governo britannico, la decisione di Tony Blair (allora primo ministro) di invadere l’Iraq “fu presa senza neanche aver considerato delle opzioni pacifiche e senza una preparazione adeguata rispetto alle possibili conseguenze”. Il rapporto è chiaro: “La guerra non era necessaria. Saddam Hussein non rappresentava una minaccia imminente”. La guerra ha distrutto un intero paese (città, villaggi, infrastrutture, strade, risorse idriche, ospedali) ed ha provocato danni anche alle regioni circostanti. I morti sono stati circa 134.000 civili iracheni, 11.000 poliziotti e militari iracheni, 4.488 militari americani e alleati, per un costo totale di 1,5 mille miliardi di euro. Non parliamo poi dell’esodo di massa e della orribile tragedia che migliaia di bambini sono rimasti orfani. Ancora oggi, milioni di rifugiati vagano alla ricerca di un posto dove vivere. Lo stesso vale per i  siriani. Più di 13 milioni di persone hanno dovuto abbandonare la propria terra. L’Onu ha stimato che più di 4,8 milioni di rifugiati siriani risiedono in soli 5 paesi, ovvero la Turchia, il Libano, la Giordania, l’Iraq e l’Egitto. Le loro condizioni di vita sono disumane, ma i potenti hanno manifestato poca disponibilità ad “aiutarli”. I 5 paesi del Golfo, compresa l’Arabia Saudita, non hanno offerto nessun luogo di accoglienza per i rifugiati siriani. La Germania si è impegnata per accoglierne più di 43.431. Il resto dei membri Ue ha offerto 51.205 posti per i programmi di ammissione e accoglienza, vale a dire che i paesi più ricchi “ospitano” appena l’1% dei rifugiati siriani! Questo è il presente. Ma in futuro? A chi sarà affidato il compito di ricostruire l’Iraq, la Libia, la Siria? Non è difficile da immaginare. Che presa in giro!

Infine, la terza espressione della tragedia. Quanto più gli Stati, che a detta loro sono coinvolti nella “lotta contro il terrorismo mondiale”, intensificano la battaglia provocando disastri devastanti soprattutto dal punto di vista umano, proprio come abbiamo constatato poco fa, più operano una rivoluzione copernicana a livello emotivo, del dolore, della pietà, della colpa. Le persone morte negli attentati terroristici in Europa e negli Stati Uniti diventano (com’è giusto che sia) sempre più delle vittime innocenti sull’altare delle libertà e dei valori. Ovunque si ergono memoriali, monumenti, si incoraggiano manifestazioni per gli anniversari tentando di condividere il dolore collettivo, i ricordi comuni… La commozione e le iniziative di solidarietà tra di noi, sono notevoli. Nei nostri paesi, l’immaginario delle giovani generazioni è colmo di episodi di attentati, e vi è una confusa mescolanza che mette sullo stesso piano gli arabi, i musulmani, gli islamisti, i terroristi e gli jihadisti. Le nostre televisioni ci propinano continuamente reportage commuoventi sulle innocenti vite spezzate dagli attentati di Parigi, Bruxelles, Manchester, Nizza, Berlino. Ma dove sono i memoriali, i monumenti, le ricorrenze degli anniversari, le cerimonie di condivisione del dolore e dei ricordi per la morte dei 135.000 civili iracheni uccisi dall’inutile invasione anglo-americana? Quanti telegiornali hanno raccontato di migliaia di bambini libici morti a causa dei bombardamenti voluti dal presidente francese? E allo stesso modo, dove sta la commozione per le decine di migliaia di bambini siriani rimasti orfani? Possiamo accettare che le nostre vittime siano ricordate mentre le loro siano dimenticate, ignorate, messe in secondo piano perché farebbero  parte dell’“asse del male”, in cui l’ex presidente americano Bush Jr ha murato il divenire di milioni di arabi-musulmani?

Dopo oltre 30 anni di lotta, il terrorismo si è fortificato. Accrescendo soprattutto l’abisso che separa le popolazioni arabe e musulmane da quelle cristiane, cattoliche, laiche. Più la lotta si militarizza, più lontano sarà l’avvicinamento tra i popoli e gli appartenenti alle diverse comunità che compongono l’umanità. Il terrorismo si nutre di odio e di violenza, ma non è certo con l’odio e con la violenza che lo si riuscirà a combattere. I dirigenti dei paesi coinvolti non danno segno di voler ammettere questa verità, almeno per ora. La tragedia si perpetrerà. Pertanto, ogni qualvolta che i potenti dicono: “Vinceremo”, si comportano alla stregua di banditi criminali.

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