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micromega

Siria e Iraq: le stragi di civili delle bombe americane e l’ipocrisia dell’Occidente

di Fulvio Scaglione

Forse stupiti per l’ostinato rifiuto dei media (liberi, indipendenti e democratici, va da sé) di occuparsene, sono stati gli stessi dirigenti del Pentagono ad annunciare che le bombe americane in Siria e in Iraq stanno facendo una strage di civili. Nei mesi di marzo e aprile 2017, si legge nell’ultimo rapporto diffuso dalle autorità militari americane, i bombardamenti contro l’Isis sarebbero costati le vite di 332 persone innocenti. A chi come me ha cercato per mesi di attirare l’attenzione sul problema, vien da dire: finalmente qualcuno ne parla! Anche se…

Anche se la stampa atlantista senza se e senza ma è andata per le spicce: ha censurato il Pentagono e buonanotte. Anche se l’ammissione dei militari Usa è una frottola: il numero delle vittime civili ammazzate dalle bombe della coalizione internazionale messa insieme da Barack Obama è di sicuro assai più alto di quanto ora dichiarato. Basta ricordare questo: il 26 marzo 2017 gli Usa ammisero di aver fatto fuori più di 200 persone in un colpo solo distruggendo un palazzo di Mosul che “avrebbe ospitato” anche una postazione dell’Isis. Come possono ora dire che in due mesi le famose “vittime collaterali” sono appena 332? Anche se le più credibili organizzazioni di monitoraggio dei combattimenti avanzano ben altre cifre. Airwars, una Ong con sede nel Regno Unito, parla di “almeno 3.817 civili uccisi dalle bombe della coalizione”  https://airwars.org/) da quando sono iniziati i raid contro l’Isis, nel 2014. E l’Osservatorio iracheno per i diritti dell’uomo (http://reliefweb.int/organization/iraqi-observatory-human-rights) denuncia addirittura 4 mila civili iracheni uccisi negli scontri intorno a Mosul dal febbraio scorso a oggi (http://www.rudaw.net/english/middleeast/iraq/260320171).

E poi c’è l’anche se più grosso. I giornali, le Tv, le Ong e i propagandisti vari che per settimane hanno parlato a ruota libera di “olocausto” per quanto di atroce avveniva ad Aleppo a opera dell’esercito siriano e dell’aviazione russa, dovrebbero ora fare discorsi analoghi per quanto avviene a Mosul e a Raqqa. Ma non ce la fanno, non ne hanno le palle. Così ne hanno studiata una nuova: è colpa di Donald Trump. Prima, cioè quando lui non era presidente, i morti erano molti meno. Prima, quando l’illuminata guida di Barack Obama reggeva le azioni della coalizione militare internazionale, tutto andava meglio.

Si tratta, ovviamente, di una spregevole invenzione. E qui non si tratta di proteggere quel pasticcione ondivago di Donald Trump, ma di conservare un minimo di senso comune e di amore per la verità.

Tra l’estate del 2014 (irruzione dell’Isis in Iraq) e l’autunno del 2016 (inizio dell’attacco per la riconquista di Mosul) i bombardamenti della coalizione internazionale hanno colpito soprattutto la sabbia. Infatti l’Isis se n’è stato tranquillo per quasi tre anni (bastarono tre mesi a far fuori la Jugoslavia di Milosevic e tre settimane a schiantare l’Iraq di Saddam Hussein), al punto che ancora nel dicembre scorso Al Baghdadi poteva distaccare migliaia di miliziani da Mosul per mandarli a riconquistare la città siriana di Palmira.

Appena i combattimenti e i raid si sono avvicinati alle città sono cominciati i massacri di civili. E questo accade non perché Donald Trump dica o faccia qualcosa, ma perché è ciò che succede sempre in queste situazioni. A Fallujah, nel 2004, ci furono più di 2 mila morti quando i marines, usando anche bombe al fosforo, strapparono la città ai riballi qaedisti. A Gaza, nel 2014, l’esercito di Israele uccise quasi 1.500 civili palestinesi. Ad Aleppo sappiamo com’è andata. Per non parlare dei ricorrenti massacri di civili nelle città dello Yemen colpite dai caccia dell’Arabia Saudita. Da questo punto di vista ha ragione John Mattis, segretario Usa alla Difesa, che a fine maggio, comparendo in Tv, ha cinicamente sostenuto che “le vittime civili sono un fatto della vita, in determinate circostanze”.

Un sistema per non provocare simili atrocità però esiste ed è semplice: non fare guerre come queste. E per non fare guerre come queste bisogna smettere di smantellare con ogni pretesto e a suon di bombe i regimi che non ci sono graditi (vedi Iraq, Libia e Siria) e insieme smettere di sostenere i regimi che, pur essendo altrettanto o ancor più sgradevoli (veri Arabia Saudita), restano nostri amici e ricevono tutto il nostro sostegno. L’esatto contrario, per dire, di quanto hanno fatto Barack Obama e Donald Trump (il secondo ha strappato al primo il record di vendite di armi ai sauditi), Theresa May (corsa di recente a rendere omaggio a re Salman, che è il miglior clienti dell’industria degli armamenti del Regno Unito), Emmanuel Macron (da ministro dell’Industria firmò grossi contratti per armi con i sauditi) e in generale tutti i leader dell’Occidente.

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