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sollevazione2

Peggio di un complotto

di Leonardo Mazzei

davos soll 600x391Covid e Grande Reset viaggiano in coppia, proprio come i carabinieri. Senza il virus, il violento piano di ristrutturazione (e distruzione) sociale della cupola oligarchica sarebbe evidentemente improponibile. Perlomeno oggi, quantomeno nei termini desiderati da lorsignori. Questo è un fatto.

Con il virus ciò che era improponibile diventa all’improvviso altamente probabile, per molti addirittura inevitabile, per i non pochi ultras del “nulla sarà come prima” addirittura auspicabile. E questo è un altro fatto.

Che ad oggi i più vedano solo il virus e non ancora l’orribile disegno sociale che gli si staglia dietro è un terzo fatto, che certo non possiamo negare. Questo è anzi lo snodo decisivo, perché l’epidemia svolge la duplice funzione di cortina fumogena e di nave rompighiaccio, quella che deve aprirsi la strada verso il “nuovo mondo” distopico del Grande Reset.

Secondo alcuni questi tre fatti sarebbero la prova di un vero e proprio complotto. Una cospirazione che avrebbe avuto come prima mossa la deliberata diffusione del virus stesso. Possiamo escludere a priori una tale ipotesi? Assolutamente no. Chi scrive è lontano mille miglia dalla forma mentis del complottista, tuttavia anche i complotti esistono e – pur non spiegandola nei suoi flussi profondi – possono talvolta contribuire a fare la storia.

Ma qui avanziamo un’altra ipotesi, per molti aspetti peggiore, di sicuro più inquietante di quella del “semplice” complotto. Un’ipotesi che il complotto non lo esclude del tutto, ma che da esso è comunque indipendente.

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sbilanciamoci

Se il capitale si concentra

di Claudio Gnesutta

Tra crisi della pandemia e nuove politiche keynesiane, le trasformazioni del capitalismo prendono la strada di un maggior potere della finanza, una crescente centralizzazione del capitale, nuovi rischi per la democrazia nel libro di Emiliano Brancaccio ‘Non sarà un pranzo di gala’

getImageI pesanti riflessi della crisi sanitaria provocata dal Covid-19 sull’economia sono stati affrontati in un’ottica “keynesiana” sostenendo dei redditi e prevedendo investimenti pubblici (Next Generation EU). Si tratta di interventi che, per noi europei, innovano la politica di austerità prevalsa negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2007-08, ma non è dato sapere se sono espressione dell’eccezionalità del momento o indicano un nuovo orientamento della politica economica europea. In quest’ultimo caso si tratta di capire se politiche “keynesiane”, per quanto serie possano essere le loro attuazioni, siano sufficienti a mettere ordine nel nostro mondo, e quale ordine. 

È una questione che va oltre il contingente; la cui risposta può essere formulata solo con una visione generale del processo sociale. Prova a offrirla Emiliano Brancaccio nel suo recente libro (Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione, Meltemi Editore, 2020) nel quale raccoglie le interviste e gli interventi in dibattiti ai quali ha partecipato negli ultimi cinque anni. Il messaggio dell’autore – come riprende Russo Spena nell’introduzione – è che “le politiche economiche ordinarie non solo pregiudicano lo sviluppo e il benessere sociale ma rischiano anche di preparare il terreno per una violenta revanche oscurantista”; una tesi che, disseminata in tutti i saggi, trova un’esposizione sistematica nell’ultimo, quello che si presta come sottotitolo del libro.

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cumpanis

Crisi dell’organizzazione capitalistica, della produzione, della circolazione delle merci, della distribuzione e dei modi di vita. E coronavirus

di Vittorio Gioiello

gioiello foto mondo dopo coviddownloadPremessa

L’attuale pandemia da Covid-19 ha aggravato la crisi capitalistica a livello internazionale.

L’ONU informa che il costo globale della pandemia da Covid-19 sarà intorno ai 220 miliardi di dollari.

L’aspetto economico principale di questa crisi consiste nel fatto che è la prima vota che il sistema si blocca sia dal lato della produzione, cioè dell’offerta, che dal lato della domanda.

Il blocco della produzione ha a sua volta prodotto il blocco degli investimenti che, sommato ai licenziamenti di massa, ha fatto precipitare le economie occidentali in una recessione molto simile ad una grande depressione. Questo è successo nei paesi sviluppati. Le ripercussioni su quelli molto più poveri sono state, ovviamente, più disastrose.

Questa crisi, quindi, è legata a doppio filo all’organizzazione capitalistica della produzione, della circolazione delle merci, della distribuzione e dei modi di vita.

Non è vero che questa crisi da pandemia giunga inaspettata. Fu prevista, per esempio, nel 2005, sulla rivista Foreign Affairs, in un articolo preveggente sulla prossima pandemia.

La crisi mette in evidenza il rapporto perverso tra società e natura.

Il primato di una produzione tesa all’estremo al fine di una estrazione di profitto si è andato ad accompagnare ad un approfondimento della devastazione ambientale e della diseguaglianza globale.

Il carattere della crisi è, inoltre, strettamente connesso con il processo di globalizzazione.

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micromega

Capitalismo e democrazia, catastrofe o rivoluzione

di Paolo Ortelli

  • Wolfgang Streeck, Jürgen Habermas, Oltre l’austerità. Disputa sull’Europa, a cura di Giorgio Fazio, Castelvecchi, Roma 2020.
  • Emiliano Brancaccio, Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione, a cura di Giacomo Russo Spena, Meltemi, Milano 2020.

Katastrophe 640x420«Se, in nome della giustizia e della libertà di restituire significato e unità alla vita, fossimo mai chiamati a sacrificare una quota di efficienza nella produzione, di economia nel consumo, o di razionalità nell’amministrazione, ebbene una civiltà industriale potrebbe permetterselo.»

Karl Polanyi[1]

È da almeno dieci anni che una minoranza di studiosi sociali invoca la necessità di un cambio di paradigma economico, una minoranza che si è rinfoltita con qualche ritardo rispetto allo sgretolamento del sistema sociale che ha governato i destini del mondo negli ultimi quarant’anni. Ci è voluto un decennio di stagnazione perché tornassimo «tutti (nuovamente) keynesiani», realizzando però che ormai abbiamo perso il controllo sulle leve necessarie per applicare politiche keynesiane.

Oggi che la pandemia di Covid-19 sta facendo sentire le sue incommensurabili conseguenze economiche, anche nell’establishment istituzionale e accademico si parla finalmente di cambiare paradigma. Ma forse è a quei pochi capaci di uscire dal coro già in tempi non sospetti che dovremmo rivolgerci per trovare la bussola in questa crisi, la quale rischia di rivelarsi tanto più disastrosa quanto più, dopo lo shock pandemico, ci si illuderà di poter “tornare alla normalità”. Attenzione però, potremmo scoprire che capitalismo e democrazia sono ormai irreversibilmente incompatibili.

Wolfgang Streeck ed Emiliano Brancaccio sono tra gli studiosi sociali che hanno offerto gli strumenti analitici più preziosi in quest’epoca incerta e minacciosa.

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sinistra

2001-2016: Centralizzazione del capitale e crisi finanziaria, oppure Crisi, da cui centralizzazione del capitale?

di Gianni De Bellis e Mario Fragnito

Osservazioni e critiche sull’omonimo lavoro di Emiliano Brancaccio, docente dell’Università del Sannio, ed altri (Centralization of capital and financial crisis: a global network analysisof corporate control).

imageNella letteratura non solo marxista, a partire almeno da mezzo secolo fa, non sono rare affermazioni come: “quasi 3 miliardi di persone .. quasi metà della popolazione terrestre vive con meno di 2 dollari al giorno” .. “il 20% delle persone più ricche detiene l’80% della ricchezza mondiale”; e, successivamente: “il 15% delle persone più ricche detiene l’85% della ricchezza mondiale”. E, più recentemente, a gennaio 2016, un rapporto di Oxfam diffuso in occasione del Forum economico mondiale di Davos: “Nel mondo 62 persone detengono la ricchezza di metà della popolazione più povera, mentre solo 6 anni fa erano 388 .. l’1% della popolazione mondiale possiede più del restante 99% .. l’1% più ricco degli italiani .. in possesso del 23,4% della ricchezza nazionale” ..

Certo, ricchezza e capitale non si identificano perfettamente; capitale è quella “ricchezza” che è in grado di produrne altra: una villa o uno yacht di lusso sono ricchezza ma non capitale. Però la ricchezza è sempre legata al capitale. Quindi l’idea che il capitale vada sempre concentrandosi nelle mani di chi è già ricco, mentre la maggior parte della popolazione del mondo impoverisce (al di la delle illusioni dei ludopatici e di quanti vengono influenzati fortemente dalle illusioni che il capitalismo potentemente semina ad ogni piè sospinto) soprattutto dopo la crisi di un decennio e mezzo fa, ormai appartiene non solo agli ambienti marxisti, ma va abbastanza oltre. E ciò anche nelle ricche nazioni imperialiste, dove ormai la povertà colpisce strati sempre più ampi della popolazione. Il fenomeno sembra così evidente che sembrano strane le prime parole con cui Emiliano Brancaccio e gli altri ricercatori aprono il loro scritto:

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resistenzealnanomondo

Pandemizzare il mondo per vaccinare tutti

ID 2020: una nuova operazione AktionT4 si appresta all’orizzonte

di Costantino Ragusa

tracciatiÈ inutile girarci tanto intorno, quello che si va non tanto preparando, ma piuttosto predisponendo, la fase preparatoria è già avvenuta da tempo, è un progetto di manipolazione del vivente quando non direttamente di annientamento dello stesso che non ha precedenti per ampiezza e portata. ID2020 Digital Identity Alliance è di un portato tale da far passare come piani di poco conto quelli effettuati dai nazisti con l’operazione T4 destinati all'”eutanasia” nella Germania nazista. I piani Aktion T4 e dell’ Agenda ID20201 hannonon poche similitudini, prima fra tutte è sicuramente la non segretezza. Assenza di segretezza non significa che vi fosse chiarezza su quello che erano gli obiettivi ultimi dei progetti nazisti, anche se questi si svolgevano in rispettabili ospedali con complicità o indifferenza molto allargate. La scelta del momento, la preparazione dei malati o presunti tali, la corrispondenza con i familiari, il disbrigo di richieste importune, tutti questi problemi venivano risolti autonomamente dalle amministrazioni statali e cittadine, dalle direzioni e dai gestori dei singoli istituti, in una forma del tutto cordiale ed estremamente collaborativa con lo svolgersi del piano Aktion T4. Anche se non di massa non sono state poche le selezioni atte a far assassinare tutti coloro ritenuti inutili per la società, a partire da disabili, malati cronici, anziani non autosufficienti e soggetti affetti da presunte malattie psichiatriche.

Se il clima e il contesto del tempo fossero stati più favorevoli, senza le guerre in corso e le prime seppur marginali voci critiche, sicuramente simili progetti non sarebbero stati ritirati strategicamente.

Tanta conoscenza vi è intorno ai capannoni destinati a lager, ma poco si sa, nel sapere diffuso, su quello che erano certe rinomate cliniche e centri di ricerca che per tanto tempo ancora hanno continuato ad ispirare e insegnare al mondo intero anche a fine guerra e quindi a nazismo finito.

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ist onoratodamen

La pandemia come metafora della crisi epocale della società capitalista

di Giorgio Paolucci

Basta capitalismo! Via libera a un altro mondo, a un’altra umanità

micco peste napoliOspedali al collasso, locali pubblici, fabbriche e uffici chiusi, volti coperti da mascherine, miliardi di persone chiuse in case, bare accatastate in attesa di una sepoltura. Siamo in stato di guerra si ribadisce a ogni pie’ sospinto: guerra sanitaria, economico-finanziaria, politica e sociale. Una guerra che non ha precedenti perché non provocata dagli uomini ma dalla natura contro l’umanità nella sua interezza. Per alcuni sarebbe una sorta di sua rivalsa contro la smisurata volontà di potenza dell’uomo che lo induce a pretenderne il possesso come pure cosa inanimata e non cuore pulsante della vita e di cui egli stesso è figlio e parte integrante. Comunque, un accidente, una sorta di gigantesca meteorite caduta dal cielo imprevista e imprevedibile.

Così non c’è questione che vada via via ponendosi che non venga ricondotta al Covid-19, quel nemico terribile ed invisibile che non risparmia nessuno. Ormai non si contano più i neologismi composti con la combinazione del termine “Covid-19” o “corona” in ogni campo: scientifico, medico-sanitario ed economico-sociale. Il tutto per costruire una narrazione secondo cui non vi sarebbe alcuna relazione fra la devastante crisi che si annuncia con l’antefatto, vale dire con lo stato delle cose prima del diffondersi della pandemia.

E così, fatto del tutto eccezionale nella storia moderna, una guerra scoppia prima della crisi.

Si potrebbe obiettare che la storia non si ripete mai uguale a sé stessa e che per ogni cosa c’è sempre una prima volta.

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micromega

Perché una nuova Bretton Woods non basterà a superare la crisi economica post Covid

di Enrico Grazzini

crisi economica mondiale covidLa crisi del coronavirus colpisce duro, ma non basta: incombe già una nuova terribile crisi finanziaria globale. Le soluzioni per uscire dalla crisi economica sono, almeno sulla carta, abbastanza semplici: forte sostegno pubblico al welfare e all'economia; cancellazione e/o ristrutturazione delle montagne di debito privato e pubblico; finanziamenti pubblici per le imprese e per sostenere i redditi famigliari; monetizzazione dei debiti pubblici da parte delle banche centrali; riduzione generalizzata dell'orario di lavoro per abolire la disoccupazione dilagante. Queste le misure che i governi del G20[1] riuniti in una nuova Bretton Woods dovrebbero prendere urgentemente per superare la crisi portata dalla diffusione, per ora ancora incontrollabile, del coronavirus. Ma la politica internazionale è ferma e paralizzata dai nazionalismi – prima di tutto quello di Donald Trump -. Per quanto riguarda l'eurozona il Next Generation Plan quasi certamente si rivelerà insufficiente: “troppo poco e troppo tardi”. Allora il governo italiano, senza aspettarsi “aiuti” da nessuno, potrebbe (e dovrebbe) emettere subito dei titoli-moneta complementari all'euro per rilanciare gli investimenti pubblici e privati, finanziare la ripresa e un'Italia verde e sostenibile.

 

Il mondo post-covid sarà molto più povero, pieno di debiti e di disoccupati

Il mondo post Covid sarà molto più brutto di quello precedente: molte aziende falliranno, molte banche avranno grandi buchi di bilancio, la disoccupazione salirà alle stelle, la povertà colpirà (e colpisce) milioni di persone anche nel ricco mondo occidentale e le diseguaglianze aumenteranno a dismisura, tra le nazioni e dentro le nazioni.

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ist onoratodamen

Analisi di una crisi che cambierà il quadro imperialistico mondiale

di Lorenzo Procopio

Altro che Covid-19, questa crisi epocale è stata determinata dalle contraddizioni operanti nel modo di produzione capitalistico. E’ il capitale il vero ed unico virus che occorre combattere ed il vaccino lo si trova nella lotta di classe per il comunismo

coviddiUna lettura superficiale della crisi che si è aperta nei primi mesi del 2020 nell’ambito del sistema capitalistico su scala mondiale, porta molti osservatori, anche in quella variegata area che si richiama al marxismo rivoluzionario, ad interpretarla come la conseguenza dello scoppio della pandemia che ha colpito il pianeta a causa della diffusione del Covid-19. Come se per il capitalismo globalizzato, prima della diffusione del coronavirus, le cose andassero bene, e soltanto in seguito alla diffusione della pandemia si sarebbero inceppati, in maniera così grave e devastante, i processi d’accumulazione su scala mondiale.

Non saremo certamente noi a negare l’esasperazione della crisi in conseguenza della diffusione del coronavirus nell’ambito dell’economia capitalistica, saremmo sciocchi e miopi nel voler negare una tale evidenza, ma ci sembra metodologicamente importante e politicamente necessario ricollocare nelle contraddizioni del modo di produzione capitalistico le ragioni ultime di tale epocale crisi. La pandemia ha soltanto accelerato ed ingigantito gli effetti dell’attuale crisi economica, ma già prima della diffusione del coronavirus erano evidenti, per chi sapeva cogliere a filo di materialismo storico le contraddittorie dinamiche operanti nei processi d’accumulazione, i segnali che il capitalismo stava marciando diritto verso una nuova e pesantissima recessione globale. Questa crisi non è stata quindi innescata dal coronavirus, ma dalle contraddizioni nel modo di produzione capitalistico che trovano nelle difficoltà di remunerare la massa ingente di capitale fittizio prodotto in questi ultimi decenni una delle più moderne manifestazioni.

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la citta futura

Che fare nella crisi?

Ascanio Bernardeschi intervista Alan Freeman

La crisi del capitalismo ha come cause la questione ecologica, la natura dell’accumulazione capitalistica e le crescenti diseguaglianze fra nazioni. L’immissione di liquidità non può risolvere questi problemi. Serve il ritorno del protagonismo delle classi lavoratrici e una politica estera indipendente

gas mask 2545867Alan Freeman, uno dei principali economisti della Greater London Authority ai tempi di Ken Livingstone, è stato docente universitario ed è uno dei massimi esponenti della scuola del Temporary Single System Interpretation (TSSI). Ha pubblicato, come autore e curatore, diversi libri sulla teoria del valore di Marx. Attualmente è condirettore del Geopolitical Economy Research Group e anche in tale veste è autore di diversi libri sui cambiamenti che stanno intervenendo a livello geopolitico. Le sue pubblicazioni si possono trovare qui.

Dopo l’intervista a Domenico Moro, continuiamo con Alan, che ringraziamo per la disponibilità, le nostre interviste a economisti e lavoratori militanti sulla situazione che si va affermando a seguito della pandemia che ha investito il modo e soprattutto i paesi a conduzione liberista, molto più impreparati ad affrontare l’emergenza sanitaria.

* * * *

Domanda (D). Alan, la pandemia da Covid-19 ha senz’altro fatto da detonatore della crisi economica e l’ha inasprita. Noi riteniamo però che essa sia intervenuta in un momento già critico per l’economia mondiale e che pertanto non possa essere considerata l’unica responsabile dei problemi economici che stiamo vivendo. Per te qual è la natura di questa crisi?

Risposta (R). Tutte le crisi sono la conseguenza di una combinazione di cause. Il problema non è di utilizzare questo fatto ovvio in una maniera facile e superficiale per evitare decisioni difficili, come fanno molti commentatori, ma, per poter agire, di identificare in ciascuna crisi particolare quali cause particolari operano.

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il rasoio di occam

‘È il virus economico, stupido!’. Naturalizzazione della crisi e ritorni al futuro del capitalismo zombie

di Fabio Vighi

La risposta globale alla crisi da coronavirus ha visto, da una parte, la richiesta incondizionata del ritorno a una fantomatica ‘normalità’, e dall’altra l’intervento massiccio delle banche centrali impegnate nell’esercizio, ormai dilagante, della creazione di fiumi di denaro dal nulla. Ma mentre il futuro torna al passato e la crisi si naturalizza, il capitalismo va esaurendo i conigli da estrarre dal proprio cilindro

zombie 945622 1920 1Nel mettere in ginocchio la catena di montaggio globale, il virus ci ha posto di fronte a una scelta ontologica, di quelle che capitano una sola volta nella vita: o tornare alle condizioni preesistenti, o iniziare a politicizzare forme di socializzazione alternative a quelle che ci hanno portato il contagio. Per quanto rivelatasi illusoria, l’apertura dello sguardo sul possibile di ‘un altro mondo’ è stata senza dubbio l’unica conseguenza entusiasmante dell’isolamento da pandemia. In questo senso, però, è significativo osservare come tutti i dibattiti mediatici su Covid-19 siano stati predefiniti dal mandato ideologico del ripristino dello status quo ante. Per quanto la crisi possa aver prodotto, nel nostro immaginario, scenari sociali diversi da quelli imposti dalla circolazione del capitale, in modo fin troppo prevedibile ha trionfato l’esigenza del ritorno al business as usual. Almeno una cosa, dunque, è certa: la risposta globale alla pandemia conferma la nostra rinuncia a mettere in discussione le basi materiali e ideologiche di una società del lavoro ormai avviata all’implosione. Evidentemente, si dirà, non siamo ancora pronti a investire energie e passioni politiche nella progettazione di un altro modello sociale – ma, si potrebbe controbattere, se non ora, quando? L’irresistibile bisogno di ‘normalità pre-covidiana’ sembrerebbe ratificare la nostra perversa sottomissione ai diktat di una forma esausta di razionalità economica che continua a essere vista come l’unica strada percorribile, nonostante le voragini che ormai ci inghiottono. In estrema sintesi, l’accumulazione capitalista deve continuare ad absurdum.

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milanofinanza

La crisi? Inizierà a settembre. E assomiglia purtoppo al 1929

di Maurizio Novelli, Lemanik

chiuso per fallimentoL’esasperazione del modello basato sui profitti generati da un eccesso di leva finanziaria e da una finanza fuori controllo ha fallito. E ha prodotto il risultato opposto: la nazionalizzazione del sistema causata da eccessi di speculazione finanziaria, esattamente quanto accaduto dopo la crisi del 1929

La fine del lockdown può certamente indurre a pensare che la crisi sia ormai in fase di superamento e da qui in avanti possiamo iniziare a scontare una ripresa dell’attività economica ed un ritorno alla normalità. Ma in realtà, la crisi inizia adesso.

Più passa il tempo e più emerge chiara la sensazione che il settore finanziario non sembra aver capito l’impatto e le implicazioni di lungo periodo di questi eventi né di quello che accadrà all’economia reale.

Sebbene le analisi di consenso si concentrino in prevalenza sui rischi di ricadute dovute a possibili ritorni del contagio, è molto più importante pensare alle conseguenze economiche che ci attendono senza ulteriori ipotesi.

Ipotizzare altri danni provenienti dai rischi di un ritorno dei contagi non credo sia un esercizio utile, anche perché se dovesse accadere, tutti siamo consapevoli di quello che potrebbe accadere. È molto più interessante invece cercare di capire cosa ci si puo’ attendere, dando per scontato che il problema pandemico sia risolto, e ipotizzando quindi uno scenario “virus free”.

L’economia mondiale è arrivata all’appuntamento con il Covid 19 nella peggiore delle situazioni possibili, con alta vulnerabilità al debito e alla leva finanziaria speculativa, e la pandemia ha avuto un effetto catalizzatore su tutta una serie di problemi che ormai erano evidenti da tempo.

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illatocattivo

Dialogo sopra un libro, un virus ed altri “smottamenti”

Il Lato Cattivo intervista Raffaele Sciortino

sciortinoòlatocattI nostri quattro lettori sanno che non siamo usi a piaggerie. Ma quando – in ambito teorico o pratico – qualcosa di proficuo, valido o stimolante da altri viene fatto, e fortuna vuole che ce ne giunga notizia, non esitiamo certo a darne atto.

È già da qualche tempo che avevamo intenzione di parlare del libro di Raffaele Sciortino, I dieci anni che sconvolsero il mondo. Crisi globale e geopolitica dei neopopulismi (Asterios, Trieste 2019). Si tratta di un contributo importante per la teoria comunista, uno dei rari provenienti dall’arido contesto italiano. Contributo importante – dicevamo – perché riesce a tenere assieme, in una visione articolata e di ampio respiro, il corso economico del modo di produzione capitalistico nel decennio inaugurato dalla crisi mondiale del 2008, con quello delle relazioni internazionali e della lotta di classe nelle sue forme di manifestazione peculiari, in un fertile tentativo di comprendere come questi diversi piani agiscano gli uni sugli altri. In ciò risiede la differenza rispetto alla gran parte della pubblicistica consacrata a questi temi ognuno per sé, non da ultimo per la capacità dell’Autore di intuire il punto di caduta verso cui si dirige il movimento reale – nel bene e nel male, ovvero nei suoi esiti possibili tanto potenzialmente sovversivi quanto eventualmente disastrosi.

La rilevanza accordata al piano delle relazioni internazionali non mancherà di far storcere il naso a qualcuno, e vale la pena spendere qualche parola al riguardo per difenderne la legittimità. In termini generali, la rinnovata intensità della contesa nell’arena geopolitica è in tutta evidenza un tratto saliente del periodo aperto dalla crisi del 2008. Tutte le questioni che la mondializzazione, nella sua fase ascendente, sembrava aver spazzato via per sempre tornano all’ordine del giorno in forme anche inedite. È in questo quadro complessivo che si inscrive il cosiddetto “ritorno della geopolitica”: guerra dei dazi fra Cina e Stati Uniti, tensioni crescenti all’interno dell’Unione Europea fra paesi del Sud e paesi del Nord, riconfigurazione in divenire di tutta l’area denominata MENA (Middle East North Africa)… la lista non è esaustiva, ma basta a rendere l’idea.

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la citta futura

Idee e proposte per affrontare la prossima crisi economica

di Emiliano Gentili

Una lunga riflessione sulla fase attuale di crisi vista nella prospettiva dei comunisti

d2fb689e74a907951fbcf16d13cc9a19 XLPremessa

Ad avermi spinto a scrivere questo articolo è stata senz’altro la voglia di veder tornare i comunisti nuovamente competitivi nell’arena politica. Lontano dall’idea di redigere un improbabile “ricettacolo” politico, ho cercato – ed è questa la prima caratteristica di queste pagine – di stimolare il lettore comunista ad un’auto-riflessione sulle modalità della propria personale attività di militanza, e del contesto nel quale essa è inserita. Una delle ragioni della vastità degli argomenti trattati, così come della grande varietà degli input forniti nonché del modo disorganico con cui vengono forniti, sta proprio nel carattere pedagogico di questo lavoro, che lascia ai lettori parte della responsabilità di collegare dati e riferimenti e trarne indicazioni utili, semplici idee, ma anche riflessioni autonome. Partendo da una descrizione critica della situazione politica ed economica attuale (La situazione attuale, La gestione capitalista della crisi) si passa a considerare l’odierno attivismo comunista, mostrando alcune ragioni delle nostre difficoltà politiche e tentando di individuare problematiche e insufficienze da risolvere (L’atteggiamento dei comunisti oggi). Nell’ultima sezione (Proposte pratiche), analizzando le recenti innovazioni tecnologiche del sistema produttivo e i mutamenti organizzativi che queste stanno generando al suo interno, si individuano nella “rete delle competenze” e nell’accorciamento della filiera produttiva due elementi fondamentali per riflettere in maniera innovativa su come articolare le future lotte politiche. Se questo, in breve, è lo scheletro di questo lavoro, il suo obiettivo dichiarato (nel finale) è quello di stimolare ulteriori contributi da parte di altri militanti.

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lacausadellecose

Il vecchio di fronte al thàlatta

di Michele Castaldo

turnerChe sia, quello attuale, un periodo confuso e di magra per le sparute forze ideali che si richiamano al comunismo è fuori discussione. Che si allunghi perciò la lista di chi scrive necrologi nei confronti degli oppressi e sfruttati, pure. Che gli intellettuali e professoroni di “sinistra” facciano la fila per la respirazione bocca a bocca al capitalismo in crisi, passi, è una storia che si ripete. Ma che si pretenda addirittura di impartire lezioni su cosa sia o debba essere un movimento di massa, beh, è troppo! Dunque, per dirla con Totò, ogni limite ha una pazienza! E in certi casi la si perde, come in questo periodo, nei confronti di personaggi circondati da aureola di cartone.

Mi riferisco al professor Gianfranco La Grassa, un nome una garanzia, che in un articolo su questo sito suona la campana a morto per la lotta degli oppressi e sfruttati. Dopo un corposo articolo in cui cincischia fra autori alla ricerca del tempo che fu, scarta l’economia – da “bravo” economista - per ergersi a consigliere politico e sparare nel mucchio. Sentiamolo: «[…] Sottolineo che si deve attaccare a più non posso l’economicismo, l’assenza totale di ogni analisi dell’evoluzione politica e sociale in quest’epoca di sempre crescente disordine e conflittualità internazionale». Ovvero in una fase di caos dell’economia e della politica, molti direbbero della “geopolitica”, come se a un certo punto la storia la facesse la geografia piuttosto che le forze sociali in rapporto ai mezzi di produzione, ecco che il professorone tira fuori dal profondo dell’anima liberaldemocratica l’anatema: «Non si cerchi però, nel breve (e forse medio) periodo, di voler riproporre la “riscaldata minestra” del conflitto sociale o addirittura “di classe”».

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blackblog

Il dilemma del debito

di Michael Roberts

MAD MARX 3Molte volte, ho accennato su questo blog a come l'aumento del debito globale riduca la capacità delle economie capitalistiche ad evitare collassi e a trovare un modo rapido per poter recuperare . Come ha spiegato Marx, il credito è una componente necessaria per oliare le ruote dell'accumulazione capitalistica, rendendo possibile il finanziamento relativo a progetti più ambiziosi e più ampi, nel momento in cui solo i profitti riciclati non sono più sufficienti; e a fare circolare il capitale in maniera più efficiente per gli investimenti e la produzione. Ma il credito diventa debito, e per quanto esso aiuti ad espandere l'accumulazione di capitale, se i profitti non si materializzano in una maniera che sia sufficiente a soddisfare quel debito (vale a dire, a ripagarlo insieme agli interessi per i finanziatori) ecco che allora il debito diventa un fardello che comincia a rosicchiare i profitti e la capacità di espandersi del capitale).

Per il resto, sono due le cose che accadono: per far fronte a quelli che sono gli obblighi per il debito esistente, le imprese più deboli sono costrette a chiedere più prestiti per coprire i servizi del debito, di modo che così il debito si impenna a dismisura. Inoltre, il ritorno per quello che è il rischio sul prestito per i creditori, ora può sembrare ancora più elevato, rispetto all'investimento in capitale produttivo, soprattutto se il beneficiario è il governo, un debitore molto più sicuro. In questo modo, la speculazione sulle attività finanziarie, fatta sotto forma di obbligazioni e di altri strumenti di debito, aumenta. Ma se c'è una crisi nella produzione e negli investimenti, questa forse è in parte causata dagli eccessivi costi dei servizi di debito, ed ecco che allora la capacità delle imprese capitaliste di riprendersi, e di dare inizio ad un nuovo boom, viene indebolita dall'onere del debito.

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sinistra

1918 + 1929 = 2020? Senza mappa in terre economiche sconosciute

di José A. Tapia*

o.563700Una crisi economica senza precedenti è ora iniziata. Il 23 aprile è stato comunicato che nel corso delle ultime cinque settimane, oltre 26 milioni di persone avevano presentato domande di disoccupazione negli Stati Uniti. Questi 26 milioni facevano parte dei 159 milioni di americani che erano stati impiegati a febbraio, poco prima che le politiche per mitigare l'epidemia di coronavirus avessero fermato l'economia domestica. Picchi simili di disoccupazione si verificano sostanzialmente in ogni paese del mondo.

Naturalmente, ora tutti "sanno" che la causa di questa crisi economica mondiale è la pandemia di COVID-19, e sarà difficile discuterne, allo stesso modo è difficile argomentare con l'idea che l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando nel giugno 1914 fu la causa della prima guerra mondiale, o gli embargo dell'OPEC furono la causa della crisi economica globale della metà degli anni '70, o la mancanza di regolamentazione e le frodi nei mercati finanziari furono la causa della Grande Recessione. L'idea che la nostra economia sia intrinsecamente stabile e che solo eventi esterni la spingano verso l'instabilità e la crisi è il principio guida dell'economia tradizionale ed è anche molto radicata nella psiche comune dei nostri tempi. Ma i fatti forniscono una prova evidente che è il contrario: la nostra economia è intrinsecamente instabile e tende a destabilizzarsi abbastanza frequentemente, circa una volta al decennio nei tempi moderni, con o senza innescare eventi come pandemie, "shock" nei mercati petroliferi o " frode "di banche e operatori finanziari.

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contropiano2

"Perché il sistema capitalistico è praticamente morto"

di Francesco Piccioni

capitalismo mortoTrovare un titolo così su un quotidiano economico dedicato specificamente alla finanza, diciamolo, è sorprendente. Scorrendolo, poi, abbiamo riscontrato notizie e spiegazioni delle trasformazioni avvenute nei “mercati” che mettono a fuoco esattamente i problemi sistemici.

Ancora più sorprendente, per un lettore italiano cresciuto ad editoriali stile Giavazzi-Alesina-Giannini-Cottarelli, è il fatto che questa attenzione ai fattori strutturali sia opera di un investitore istituzionale, a capo di un importante fondo di investimento svizzero. Non di un professorino cresciuto come un pollo in batteria alla Bocconi e passato direttamente dai banchi di studente alla tribuna di “teorico” grazie all’abilità nel maneggiare modellini econometrici (matematica applicata, insomma, non economia).

Il mestiere dell’autore si vede dall’attenzione a passaggi di tecnica finanziaria davvero poco noti ai non addetti ai lavori, e questo può distrarre l’attenzione del lettore non “addestrato”. Ma i passaggi sintetici, e i giudizi espressi sulle “svolte” dell’economia capitalistica degli ultimi 30 anni, sono quasi da saggio marxista. Chiari, semplice, soprattutto veri.

Marxismo inconsapevole, certo. Ma se così è vuol dire che è la realtà economica ad affermarsi, con tale evidenza che anche chi è stato formato su altri princìpi teorici (neoliberisti, in questo caso) è costretto ad arrivare alle stesse conclusioni.

C’è un perché questo riesca “naturale” ad un investitore istituzionale, uno che mette le mani quotidianamente nei “mercati” comprando e vendendo, speculando e guadagnando (oppure non più), e invece risulti impossibile ai “commentatori” ed editorialisti prima citati. Un investitore gioca con soldi veri, deve avere risultati tangibili. Gli altri sono pagati – anche dagli stessi investitori – per raccontare un mondo diverso da quello reale, in cui gli investitori possano liberamente sguazzare.

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sinistra

Default totale. Per un’uscita anticapitalistica dalla crisi

di Giulio Palermo*

debito875In questo articolo, propongo una riflessione ad ampio raggio sul ruolo che può avere il ripudio del debito pubblico in Europa in questa crisi economica e finanziaria. Ben inteso, la crisi è mondiale e l’Europa non ne è certo l’epicentro. Anzi, l’Unione europea sta mostrando la sua subalternità nei rapporti imperialistici mondiali e la sua impreparazione rispetto a questa accelerazione delle contraddizioni che già viveva prima del coronavirus.

Dallo scoppio della crisi del debito pubblico europeo, nel 2009, la strategia del capitale finanziario è stata quella di isolare e colpire gli stati, uno a uno, per costringerli ad accentuare lo sfruttamento dei lavoratori. Ora questa strategia è saltata. Ora è l’intero capitale finanziario europeo ad essere in crisi e il suo salvataggio richiede un forte aumento del debito pubblico di tutti gli stati europei. Molti dei quali, subito dopo i salvataggi, in un contesto di blocco produttivo senza precedenti nella storia del capitalismo, si ritroveranno, tutti assieme, con livelli di debito tecnicamente inesigibili.

Questo riduce drasticamente i margini di attuazione del vecchio motto “divide et impera”. Il capitale finanziario dovrà colpire simultaneamente gli stati in crisi di solvibilità e questo è oggettivamente un punto di debolezza per il capitale. Ma la sua debolezza principale è che, in questa fase, la crisi colpisce innanzi tutto le banche e le imprese e non è affatto detto che gli stati dell’Unione possano o debbano salvarle.

In questo passaggio decisivo della crisi del capitale, è importante esplicitare gli interessi della classe lavoratrice che, come sempre, subisce le decisioni senza poter prendere parola. Anche se non è certo sul terreno della finanza pubblica che i lavoratori sono abituati a lottare, è proprio da qui che proviene l’attacco frontale che il capitale finanziario sta sferrando contro di loro.

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ilcomunista

Econ-apocalypse: aspetti economici e sociali della crisi del coronavirus

di Riccardo Bellofiore

Il testo è la sbobinatura di un intervento orale svolto online il 10 aprile 2020 per la Confederazione Unitaria di Base, con qualche piccola correzione e aggiunta, ma mantiene lo stile colloquiale. Mi sono giovato di alcuni commenti di Francesco Saraceno. (R.B.)

coronavirus 169984.660x3681. La crisi non è ‘esogena’: natura e forma sociale.

Quello che proverò a fornire è un inizio di scrematura dell’orizzonte problematico in cui leggo questa crisi. Vado per punti, in un discorso che si articola in diversi movimenti.

Primo movimento. Questa crisi non è, come spesso si legge, una crisi ‘esogena’, cioè qualcosa che da un esterno (la natura) investe la sfera economica. Se vogliamo, questa è una crisi ‘semi-esogena’ perché per un aspetto è indipendente dalla forma sociale, ma nella grande sostanza è invece legata a doppio filo all’organizzazione capitalistica della produzione, della circolazione delle merci, della distribuzione e dei modi di vita. Non è vero neanche che questa crisi giunga inaspettata. Una crisi del genere di quella che stiamo attraversando fu prevista, per esempio, nel 2005, sulla rivista Foreign Affairs, in un articolo preveggente sulla prossima pandemia.

Questa crisi mette in evidenza il rapporto perverso tra società e natura, che è peraltro già stato al centro della discussione, negli ultimi anni, in merito al cosiddetto ‘cambiamento climatico’, ma non è mai stato veramente preso sul serio dalla politica e dalla politica economica. Certo, si potrebbe dire che il problema non è il capitalismo, ma la struttura industriale. Le cose però non stanno proprio così. Il primato di una produzione tesa all’estremo al fine di una estrazione di profitto si è andato ad accompagnare ad un approfondimento della diseguaglianza globale, in alcuni casi in modo anch’esso estremo, dunque a malnutrizione, a forme di agricoltura e allevamento intensivi, al sovraffollamento abitativo, ad una urbanizzazione eccessiva. Tutto ciò ha fatto sì che trasmissioni virali che avrebbero altrimenti avuto una evoluzione lenta hanno visto una drammatica accelerazione.

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la citta futura

Il Coronavirus detonatore di una nuova crisi globale

di Zosimo

Dal cuore del capitalismo globale, gli USA, matura una crisi economica di proporzioni inedite che dovrebbe porre fine ad un trentennio di dominio assoluto del neoliberismo

4bfe9873ff58983fca7af755db4ae8e4 XLL’avvento dell’emergenza COVID-19 negli USA sta mettendo a nudo la realtà e le contraddizioni del sistema politico ed economico. Dopo aver cercato in tutti i modi di ignorare e posticipare l’entrata nella crisi, quando la gravità’ della situazione ha messo la classe politica con le spalle al muro ecco che allora si è messo in moto anche qui il processo che già è stato vissuto in Cina e in Europa, ma naturalmente tutto in salsa americana.

Innanzitutto la direzione politica della crisi ha evidenziato le divisioni e le differenze esistenti nel paese: il Presidente Trump, sia per atteggiamento personale e politico di fondo, sia sotto la pressione di molte potenti lobbies, ha cercato fino all’ultimo di non interrompere del tutto il rituale capitalistico della produzione e del consumo. Non che le sue controparti democratiche si siano comportate in modo differente. Magari in modo meno eclatante e visibile ma anche loro sono rimasti ad osservare finché hanno potuto. Poi alcuni, e tra questi si è distinto il Governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, hanno capito che era il momento di intervenire con risolutezza, per non rimanere del tutto travolti dalla valanga dell’emergenza sanitaria in arrivo. Ed hanno scavalcato Trump che poi nei giorni e settimane successive è stato costretto ad inseguire per non perdere credibilità’ di fronte alla gran parte della popolazione.

Un’emergenza sanitaria che negli USA è esplosa in modo fragoroso nei numeri e nella velocità di diffusione tanto da assicurare nel giro di pochi giorni alla potenza imperialista per eccellenza del capitalismo globalista contemporaneo la triste e non invidiabile leadership mondiale per numero di contagi.

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contropiano2

Dal coronavirus alla crisi mondiale: il tempo della necessità è arrivato

di Paolo Azzaroni

corona virus economia mondialeIl 24 gennaio 2020 si sarebbe verificato in Germania il primo caso europeo di COVID-19.

Nel marzo 2020 le borse mondiali iniziano a crollare. La crisi sistemica è aperta.

Nessuno può con certezza definire il livello di correlazione di questi due avvenimenti. Nessuno può comunque negare che i due fatti siano correlati.

Se, malgrado i soliti rumori ricorrenti, non ci si poteva aspettare l’arrivo del Covid-19, tutti si aspettavano però l’esplosione della bolla finanziaria.

La risposta globale alla crisi del Covid-19 è diventata uno scenario all’interno del quale si cominciano a cercare i rimedi alla crisi mondiale.

E’ nella produzione d’angoscia e nella repressione che i grandi argentieri del Globalismo e dell’Unione Europea cominciano a pianificare i rimedi per uscire indenni dalla crisi.

Per meglio capire la gravità della situazione vorrei fare un passo indietro.

Commentando un mio recente articolo «Brexit, lotte di classe in Francia e il “che fare” che ci aspetta», un compagno commentava :

Lo sviluppo capitalistico richiede una crescente quantità di capitali da investire nella produzione per mantenere il profitto nonostante la caduta tendenziale del suo saggio, tanto più in una fase di trasformazione profonda del modo di produzione.”

La mia risposta:

La caduta tendenziale del saggio di profitto, evocata in questo intervento, è probabilmente all’origine del grande mutamento che, a più riprese, ci ha ricordato lo stesso compagno: riunione della commissione trilaterale (1975) e ristrutturazione profonda del tessuto industriale mondiale.

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sbilanciamoci

Coronavirus: cigno nero o neoliberismo al capolinea?

di Fabrizio Venafro, Salvatore Bianco

Un evento imprevedibile di cui l’uomo non è responsabile, che impone soluzioni emergenziali a costo di infrangere le libertà democratiche, e che si trasforma in un’ennesima occasione di profitto capitalistico. Questa la vulgata dominante sulla pandemia, da contrastare in nome di un nuovo paradigma

black swanUn nuovo strano spettro si aggira per il mondo: è il cigno nero del coronavirus. Secondo questa curiosa interpretazione, che riprende la fortunata formula adoperata dall’epistemologo ed ex trader Nassim N. Taleb per intendere ogni evento non prevedibile a impatto catastrofico (Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita, Il Saggiatore, 2008), il Covid-19 sarebbe un accadimento altrettanto casuale e improvviso, al pari di un qualsiasi cataclisma naturale che si abbatta sulla terra. Eppure, se proviamo ad azionare a ritroso la macchina del tempo e neppure di molto, scopriamo negli ultimi vent’anni uno stillicidio di Sars, Mers, Ebola.

Al Forum di Davos, nel 2018, l’Oms lanciava l’ennesimo allarme, dichiarando che era in arrivo una nuova pandemia, che gli Stati erano impreparati e che, soprattutto, «non c’era modo di fermarla». A nulla poi sono serviti i pareri di illustri epidemiologi che hanno bollato come «prevedibilissima» l’attuale pandemia, per arrestare l’uso alquanto disinvolto dell’espressione mutuata da Taleb. Quello stesso giorno a Davos, nel tempio della finanza mondiale dove ancora risuonavano le parole della rappresentante dell’Oms, Sylvie Briand, i convenuti non persero l’occasione per imbastire una narrazione celebrativa intorno alle magnifiche sorti e progressive del neoliberismo.

Ebbene in queste settimane con forza crescente si sta riproponendo, con lo spauracchio del cigno nero esibito, una forma analoga di racconto oggettivo e asettico, che cela un intento neutralizzante.

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nuovadirezione

Scenari della “grande frattura”

di Andrea Zhok

winter sharp wing hole window glass 855684 pxhere.com Assistere ad un evento di portata storica, sapendo che è tale, è un privilegio raro. Spesso gli eventi storici si celano sotto spoglie oscure e solo a posteriori si scopre che una soglia decisiva è stata passata. Nel caso dell’epidemia di Covid-19 possiamo dire con ragionevole certezza che si tratta di una soglia storica decisiva, che si sta dispiegando davanti ai nostri occhi.

Il privilegio di questa nostra posizione è che di principio potremmo esercitare qualche influenza sul percorso: oggi si fa la storia.

Nell’analisi storica, anche della storia corrente, previsioni e profezie sono roba da scommettitori, ma ciò che si può esaminare razionalmente sono le tendenze di fondo. E dunque, quali tendenze possiamo rintracciare negli eventi cui stiamo assistendo?

 

1) Il mondo di ieri

L’irruzione dell’epidemia sul palcoscenico mondiale ha creato le condizioni per una planetaria rottura dell’inerzia, un brusco risveglio. Le coscienze occidentali hanno vissuto nell’ultimo mezzo secolo in una dimensione di artificio crescente, con l’opprimente impressione di abitare un vortice in perenne accelerazione e senza via d’uscita. Il processo noto come “globalizzazione” (o più correttamente, “seconda globalizzazione”, dopo quella che precede la prima guerra mondiale) è stato presentato con i caratteri di un ‘destino ineluttabile’. È stato così presentato costantemente e ricorrentemente dall’intellighentsia progressista, liberale, neoliberale, ma anche dalla maggior parte dei sedicenti ‘conservatori’.

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lordinenuovo

Il covid-19, l'inadeguatezza del capitalismo e la necessità della pianificazione

di Domenico Moro

chiuse attività essenzialiUna crisi potenzialmente più profonda di quella del 1929

Quella davanti a cui ci troviamo è una sorta di “tempesta perfetta”, che dimostra l’inadeguatezza storica del modo di produzione dominante, quello capitalistico. Infatti, la Pandemia del Covid-19 interviene in un momento delicato per l’economia mondiale, in cui la ripresa ciclica perdeva vigore anche a causa di eventi come la Brexit, i dazi protezionistici e il rallentamento dell’economia tedesca. In gran parte del mondo più avanzato e industrializzato le attività sono bruscamente rallentate e in certi settori fondamentali sono del tutto o quasi del tutto ferme. Metropoli come New York, Madrid e Milano sono in quarantena.

Solo in Italia si calcola che il 60% delle attività produttive sia bloccato. Ciò significa che ogni settimana si perdono 10-15 miliardi di Pil. I primi decreti del governo hanno bloccato a casa quasi otto milioni di lavoratori pari al 44% dei dipendenti attivi, ma tale percentuale è destinata a crescere per i nuovi blocchi previsti dal governo. L’entità della perdita di Pil e soprattutto di aziende e posti di lavoro dipenderà dalla durata della serrata che, a sua volta, dipenderà dalla durata della pandemia. Gli esperti dicono che anche dopo il superamento del picco bisognerà mantenere in atto misure di contenimento, che continueranno a gravare sull’attività produttiva anche perché prima di avere la disponibilità di un vaccino passerà un anno e c’è la possibilità che a dicembre prossimo si verifichi una recrudescenza della pandemia influenzale. Secondo le parole di Draghi le conseguenze economiche e lavorative della pandemia saranno “bibliche”.