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Dietro e oltre la crisi1

Guglielmo Carchedi*

La crisi finanziaria del 2007-2010 ha riacceso la discussione sulle crisi, sulla loro origine e sui loro possibili rimedi.2 Oggigiorno, la tesi più influente nella sinistra identifica le cause della crisi da una prospettiva sottoconsumista e raccomanda politiche redistributive e politiche di investimento Keynesiane come soluzioni. Questo articolo sostiene che la giusta prospettiva per capire la crisi dovrebbe essere la legge della caduta tendenziale del tasso di profitto medio (TPM) di Marx, in breve la legge. La sua caratteristica è che il progresso tecnologico diminuisce il TMP piuttosto che aumentarlo, come si pensa comunemente. Vediamo perché.


I. La legge in poche parole
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le seguenti sono le caratteristiche essenziali della legge.

1. I capitalisti competono tra di loro attraverso l’introduzione di nuovi mezzi di produzione che incorporano nuove tecnologie. Questo non è l’unica forma di competizione ma è di gran lunga la più importante per capire le dinamiche della crisi.3

2. I nuovi mezzi di produzione aumentano l’efficienza (l’output di valori d’uso per unità di capitale investito) dei leader tecnologici nei settori produttivi.


3. Allo sesso tempo, queste tecnologie sono pensate per rimpiazzare i lavoratori con mezzi di produzione. Quindi la proporzione di capitale investito dai leader tecnologici in mezzi di produzione relativamente a quello investito in forza lavoro, in breve la composizione organica del capitale, aumenta. Il risultato è la disoccupazione.

4. Siccome solo il lavoro crea valore, meno forza lavoro impiegata significa meno (plus)valore creato dai capitali ad alta tecnologia. Ceteris paribus il TMP cade. “Il tasso di profitto cade non perché il lavoro diventa meno produttivo ma perché diventa più produttivo”.4 Si noti che è il tasso di profitto e non la massa dei profitti che cade. Quest’ultima può aumentare mentre il primo diminuisce. L’economia convenzionale non può capire che è la dinamica stessa del sistema, cioè la competizione tecnologica, che causa la caduta del TMP e quindi le crisi perché implicitamente o esplicitamente ragiona solo in termini fisici, cioè di valori d’uso.

5. Ne consegue che una maggior quantità di valori d’uso incorpora una minore quantità di (plus)valore e cioè che tassi di profitto decrescenti e output crescenti sono le due facce della stessa medaglia.

6. I leader tecnologici percepiscono la loro maggiore produttività come il modo per realizzare maggiori tassi di profitto. Essi non sanno che i loro lavoratori producono meno plusvalore e che essi incrementano il loro tasso di profitto perché appropriano plusvalore da altre fonti. Primo, da altri settori se i nuovi prodotti o se gli stessi prodotti a minor prezzo attraggono potere d’acquisto da altri settori. I primi a soffrire da questo drenaggio di potere d’acquisto (valore) sono i capitali più deboli di questi settori. Secondo dai capitali tecnologicamente arretrati nel loro stesso settore perché i leader tecnologici possono vendere allo stesso prezzo unitario un output maggiore di quello dei capitalisti arretrati. Il tasso di profitto dei primi aumenta mentre quello dei secondi e il TMP diminuiscono. Ad un certo punto, i capitalisti che non possono introdurre le innovazioni soffrono una perdita sui loro investimenti e falliscono.

7. Come tutte le leggi di movimento, anche questa è tendenziale. Lo stesso fattore, le innovazioni tecnologiche, determinano sia la tendenza (l’aumento della composizione organica e quindi la caduta del tasso di profitto) che le controtendenze. Diverse controtendenze possono coesistere.

8. La tendenza è tale perché è fermata o rallentata dalle controtendenze. Ma essa emerge quando le controtendenze esauriscono la loro capacità di impedire alla controtendenza di manifestarsi. A questo punto emerge la crisi. Essa è un improvviso aumento di fallimenti e disoccupazione la cui vera dimensione non aveva potuto manifestarsi a causa delle controtendenze.

9. Ne consegue che la tendenza continua a operare anche quando è temporaneamente impedita di manifestarsi dalle controtendenze. Ciò diventa empiricamente visibile quando il TMP è calcolato eliminando le controtendenze.

10. La crisi crea le condizioni per la ripresa. La ripresa emerge quando queste condizioni sono sufficientemente forti. Periodi di crescita si alternano a periodi di crisi.

11. Siccome la competizione tecnologica costituisce la dinamica del capitalismo, l’economia tende necessariamente verso l’aumento della composizione organica del capitale, la diminuzione del TMP, e le crisi. Ma la forma concreta e specifica del TMP è il risultato della interrelazione della tendenza e delle controtendenze.



II. L’evidenza empirica.
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Inizialmente, mi concentrerò su i profitti realizzati piuttosto che prodotti nei settori produttivi. Essi sono i profitti che possono essere capitalizzati come un incremento del capitale produttivo e questa capitalizzazione (o la sua mancanza) è la base per l’accelerazione o la decelerazione dell’economia e quindi del ciclo. Inoltre, una delle tesi di questo lavoro sarà che la crisi finanziaria è determinata dalla debolezza della redditività dell’economia reale (i settori produttivi). Il computo del TMP per tutta l’economia non provvederebbe un supporto empirico per tale tesi. Il calcolo del TMP per tutta l’economia non servirebbe a sostenere questa tesi. Il grafico 1 si focalizza sui settori produttivi (si veda l’appendice). Questo grafico evidenzia sia una caduta secolare (dal 1948 al 2009) del trend del TMP che un aumento secolare del trend della composizione organica del capitale (c/v), come previsto dalla legge.6 Nei grafici 1, 2 e 3 che seguono il TMP è indicato con il suo nome in Inglese, ARP, ovvero average rate of profit.

Grafico 1. Il tasso medio di profitto (ARP) e la composizione organica (c/v) nei settori produttivi, 1948-2009.



Il TMP culmina nel 1950 (22%), scende ad un minimo del 3% nel 1986, aumenta fino al 14% nel 2006, e cade verticalmente fino al 5% nel 2009.

All’interno del trend secolare discendente, si possono osservare due cicli più brevi ma di lungo periodo, dal 1948 al 1986 e dl 1987 al 2009. Il trend del TMP cade nel primo periodo ma cresce nel secondo. Alcuni autori hanno concluso che se l’economia può essere in una crisi (finanziaria) mentre il TMP cresce, come nel 1987-2009, la legge può essere scartata come una spiegazione delle crisi (Housson, 2010). Altri autori (Kliman 2010, Freeman 2010) rigettano giustamente questa critica ma da un punto di vista metodologico diverso da quello che io considero la metodologia di Marx come riassunta negli undici punti più sopra.

Il grafico 1 evidenzia la causa ultima della crisi, cioè la tendenza della composizione organica a crescere e quindi la tendenza del TMP a diminuire per tutto il periodo secolare. I due trend si muovono necessariamente in direzioni opposte come previsto dalla teoria di Marx. Ma in ciascun momento e per periodi più corti, la dimensione della composizione organica determina il movimento del TMP attraverso l’interazione della prima con le controtendenze, cioè dipende da se la tendenza prevale sulle controtendenze o viceversa. Ne consegue che

12. non vi è una inversa relazione meccanica in ciascun punto nel tempo tra un aumento della composizione organica e una diminuzione del TMP (e viceversa) e

13. la tendenza discendente secolare continua a muovere l’economia verso la crisi anche quando nei periodi più corti il suo effetto è sospeso temporaneamente e invertito dalle controtendenze, cioè la tendenza verso la crisi persiste fino a quando la composizione organica continua a aumentare, cioè fino a quando il TMP cadrebbe nell’assenza delle controtendenze.


Questo articolo considera tre controtendenze. La prima è una diminuzione della composizione organica. Le nuove tecnologie diminuiscono il valore unitario dell’output, compresi i mezzi di produzione prodotti. Nel periodo susseguente, i prezzi di produzione meno cari possono causare una diminuzione della composizione organica e quindi l’aumento del TMP. I critici concludono che l’effetto delle innovazioni tecnologiche sulla composizione organica e quindi sul TMP è indeterminato.7 Ora, il grafico 1 evidenzia incontrovertibilmente la crescita secolare della composizione organica nonostante le controtendenze di più corto periodo. La ragione è data da Marx nei Grundrisse: “ciò che diventa più a buon mercato è la macchina singola e i suoi componenti, ma si sviluppa un sistema di macchine; lo strumento non è semplicemente rimpiazzato dalla singola macchina ma da tutto un sistema … nonostante la diminuzione del prezzo degli elementi singoli, il prezzo di tutto l’aggregato aumenta enormemente” (citato in Brenner e Probsting, 2008, p. 66). Per quanto riguarda le materie prime, la loro produzione meno cara contribuisce ad un innalzamento del TMP quando diventano gli input di altri processi di produzione. Tuttavia, questa è la controtendenza che è sopraffatta da un aumento della composizione organica sia del processo di cui essi sono gli output che degli altri processi di cui essi diventano gli input dove il crescente capitale fisso aumenta anche il capitale circolante.

Consideriamo ora il tasso di sfruttamento. Il grafico 2 evidenzia che il TMP (ARP nel grafico) e il tasso di sfruttamento hanno approssimativamente lo stesso andamento. Ciò indica che tra il 1987 e il 2009, nonostante la crescita della composizione organica, il TMP aumenta a causa dell’aumentato tasso di sfruttamento.

Grafico 2. TMP e tasso di sfruttamento (P/V) nei settori produttivi, 1948-2009



Quale sarebbe stato il TMP nell’assenza di un incremento del tasso di sfruttamento? Per rispondere a questo quesito, ho calcolato il tasso medio di sfruttamento per il periodo 1948-1986 e ho calcolato il TMP per tutto il periodo secolare secondo questa media, quindi compreso il periodo 1987-2009. Questa procedura mostra quale sarebbe stato il TMP nel periodo 1987-2009 se il tasso di sfruttamento non fosse aumentato al di sopra della media del periodo precedente e quindi isola il corso del TMP dall’aumento dello sfruttamento nel periodo 1987-2009. Il grafico 3 evidenzia che il TMP sarebbe caduto drammaticamente. Quindi il TMP è cresciuto perché il tasso di sfruttamento è cresciuto di più di quanto non sia cresciuta la composizione organica, perché la controtendenza ha sopraffatto la tendenza. Nel 2006 il TMP era del 14% ma sarebbe stato del 8% senza l’aumento del tasso di sfruttamento.8

Grafico 3. TMP nei settori produttivi se il tasso di sfruttamento fosse continuato secondo il trend del 1948-1986



Messo nei termini più semplici, la causa dell’aumento dal 1987 del TMP è stato un salto senza precedenti nel tasso di sfruttamento9. Ciò indica la grandezza della sconfitta della classe lavoratrice nell’era neo-liberale. La triste peculiarità è che la classe lavoratrice non è stata ancora in grado di risollevarsi e esigere una fetta maggiore del nuovo valore da essa stessa prodotto. L’attacco continua. Negli USA la cosiddetta ripresa dopo la 2007-2009 Grande Recessione, i lavori con salari medi erano ancora l’8.4% al di sotto dell’occupazione di prima della recessione mentre le percentuali per i lavori con alti salari e bassi salari erano del 4.1% e dello 0.3% rispettivamente. Ora sono i salari pagati mediamente che sono sotto attacco. “Delle perdite occupazionali nette tra il primo trimestre del 2008 e il primo trimestre del 2010, il 60% erano lavori a salari mediamente pagati, il 21.3% erano occupazioni a bassi salari e il 18.7% erano occupazioni a alti salari” (National Employment Law Project, 2011).

L’opinione che l’aumento del tasso di sfruttamento non può essere considerato una controtendenza perché dura dal 1987 si basa su un malinteso. Una controtendenza è tale indipendentemente dalla sua durata. Persiste fino a quando persistono le condizioni della sua esistenza, in questo caso la sconfitta della classe lavoratrice degli USA e mondiale.

Come in casi precedenti, anche questa bordata contro la legge è stata sparata con cartucce a salve. Il problema è che alcuni credono che le cartucce siano vere.

La terza controtendenza è la migrazione del capitale produttivo verso i settori non produttivi dove i singoli capitalisti realizzano più alti tassi di profitto e il TMP sale ma solo a certe condizioni. E’ opportuno distinguere tra settori commerciali, finanziari e speculativi.

Consideriamo il capitale commerciale per primo. Il processo di produzione di plusvalore capitalista è allo stesso tempo un processo lavorativo, una trasformazione di valori d’uso in valori d’uso differenti (una trasformazione reale) e un processo che produce plusvalore, l’erogazione di lavoro da parte dei lavoratori per un tempo più lungo del tempo necessario per la riproduzione della loro forza lavoro. Il capitale commerciale non trasforma valori d’uso (i suoi lavoratori trattano le merci senza cambiarle, quindi non operano una trasformazione reale) e conseguentemente non è produttivo. Il valore che ad esso proviene non può che essere appropriato dai settori produttivi. Se i lavoratori commerciali comprano merci al di sotto del loro valore, le vendono al loro valore e se le comprano al loro valore devono venderle al di sopra di quel valore. Più guadagna un settore, più perde un altro settore e vice versa. La trasformazione eseguita dal lavoro commerciale è formale perché trasforma (a) un valore reale nella sua rappresentazione, denaro, e vice versa e (b) una forma di rappresentazione di valore in una forma differente.

Per esempio, consideriamo un lavoratore che annota una compravendita (per esempio un titolo di proprietà di una casa). Si potrebbe sostenere che la carta su cui è scritto il contratto vale di più del pezzo di carta bianco a causa dell’inchiostro consumato e del lavoro dell’impiegato che sono stai impiegati nello scrivere il contratto. Tuttavia quel pezzo di carta ha un maggior valore a causa del valore che rappresenta. Senza quella casa, quella carta non avrebbe alcun valore. Il notaio potrebbe chiedere una commissione per quattro piuttosto che per due ore di lavoro perché il lavoro improduttivo si presenta come lavoro produttivo ed è compensato in termini di durata di lavoro. Ma questo non lo rende lavoro produttivo. Dato che il lavoro appropriato dal capitale improduttivo deve essere maggiore del valore della forza lavoro impiegata, il profitto del capitale improduttivo aumenta nella misura in cui il lavoratore improduttivo lavora più intensamente e più a lungo. Il lavoratore commerciale è sfruttato nel senso che si appropria per conto del capitale commerciale, piuttosto che produrlo, di più plusvalore del valore della sua forza lavoro.

La questione ora è se i profitti commerciali possano alzare il TMP e costituire quindi una controtendenza.

14. Se i capitalisti commerciali acquistano merci dai capitalisti industriali al loro valore o al di sotto di esso e le vendono ad altri capitalisti al di sopra del o al loro valore, vi è una redistribuzione di valore nella sfera capitalista e il TMP non cambia.

15. Se il capitale commerciale le vende ai lavoratori al loro valore, non vi è redistruzione di valore ma la realizzazione del valore dei mezzi di consumo.

16. Se il capitale commerciale le vende ai lavoratori al di sopra del loro valore, vi è uno scambio di valore per una maggior quantità di rappresentazione di valore (moneta). In questo caso, vi è una appropriazione di (una rappresentazione di) valore dai lavoratori, il TMP cresce e il capitale commerciale ha una funzione di controtendenza.


Consideriamo ora il capitale finanziario. Se la redditività cade nei settori produttivi, il capitale emigra nei settori finanziari dove maggiori profitti possono essere realizzati. Questo movimento alimenta la bolla speculativa e alla fine la crisi finanziaria. L’origine della crisi finanziaria si trova quindi nella sfera produttiva. La tesi opposta sostiene che la crisi finanziaria incomincia nei settori finanziari (e.g. Housson, 2010, p.13; Chesais, 2009-2010, p.11; Cockshott e Zachariah, 2010). Questa tesi si basa su tre argomenti:

17. Il primo argomento è che la crisi finanziaria è esplosa in un periodo di redditività crescente cosicché la sfera produttiva non può essere la causa della crisi finanziaria, contrariamente a quanto è sostenuto da Marx. Questa tesi è già stata confutata più sopra.

18. Il secondo argomento è che le attività finanziarie e speculative producono valore e plusvalore perché in questi settori il denaro è investito in capitali che generano più denaro di quello investito. La distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo dovrebbe quindi essere abbandonata e quindi anche la distinzione fatta da Marx. Questa tesi ignora che non vi sono trasformazioni reali in questi settori (si veda più sopra).10 Essa dovrebbe spiegare perché due parti che si scambiano la stessa merce allo stesso prezzo oppure a prezzi crescenti aumentano il valore e plusvalore della merce.

19. Il terzo argomento è che la crisi finanziaria è emersa prima nella sfere finanziaria e speculativa a causa dei debiti saliti smisuratamente e di errori di politica economica (la deregolamentazione e la conseguente bolla edilizia e la crisi dei mutui spazzatura del 2007). Da lì, si è estesa alla economia reale. Questa è una teoria soggettiva della crisi. Ma se gli stessi errori continuano ad essere fatti volta dopo volta, ci devono essere forze oggettive che forzano gli agenti economici a ripetere quegli errori. Per di più, la crisi finanziaria può avere un effetto sulla economia reale solo se quest’ultima si trova già in una situazione precaria.


Il capitale finanziario può essere suddiviso in capitale monetario e capitale di prestito. Nel capitale monetario, il denaro, una rappresentazione di valore, diventa una merce che può essere comprata e venduta oppure scambiata per altre rappresentazioni di valore. Queste sono trasformazioni formali, da una forma di valore in un'altra forma di valore, come lo scambio di valute. Questo lavoro è improduttivo.

Il capitale di prestito, o capitale obbligazionario, differisce dal capitale commerciale e da quello monetario perché l’oggetto delle sue transazioni è una rappresentazione di debito piuttosto che di valore. Le sue trasformazioni sono da una rappresentazione di valore (per esempio, denaro) ad una rappresentazione di debito (obbligazioni, derivati, ecc.) da una rappresentazione di debito ad una differente rappresentazione di debito (per esempio, da ipoteche a titoli garantiti da ipoteca), a da una rappresentazione di debito ad una rappresentazione di valore (la vendita di un ipoteca). Queste rappresentazioni di debito sono chiamate da Marx capitale fittizio: “con lo svilupparsi del capitale obbligazionario e del sistema creditizio, sembra che tutto il capitale si raddoppi e qualche volta che si triplichi, attraverso diversi modi in cui … appare in forme differenti in mani diverse. La maggior parte di questo ‘capitale monetario’ è puramente fittizio” (Marx, 1967b, p. 470). Per esempio lo stesso capitale (monetario) appare prima come un mutuo e poi come un titolo garantito da ipoteca. Considerare queste rappresentazioni di debito come attività (finanziarie), come ricchezza, significa assumere il punto di vista del capitale finanziario per il quale un debito è ricchezza. Non c’è da stupirsi quindi che la teoria economica consideri la creazione del credito, e quindi del debito, come una creazione di denaro dal nulla, una nozione assurda.

I titoli di credito/debito non hanno nessun valore intrinseco. Tuttavia essi hanno un prezzo. Consideriamo una obbligazione. Il suo prezzo è dato dalla capitalizzazione di interessi futuri e quindi dipende dal tasso di interesse. Per Marx questa è “la forma più feticistica” del capitale perché sembra che sia il capitale che crea plusvalore e non il lavoro (1967b, p.390). Ma la ragione per cui il capitale creditizio è capitale fittizio non è che il suo prezzo è dato dalla capitalizzazione di interessi futuri. La ragione è che è una rappresentazione di debito.11

Se il capitale creditizio è fittizio, anche i profitti del capitale di credito sono fittizi. Sono fittizi non perché non esistono (come in certe pratiche contabili fraudolente). Essi sono la appropriazione di una rappresentazione di valore (denaro) e in questo senso essi sono reali. Ma essi sono fittizi perché questa appropriazione deriva da una relazione di debito/credito piuttosto che di produzione. Il capitale finanziario vende titoli di credito senza un valore intrinseco in cambio di moneta. Si appropria di valore. Se il denaro è appropriato da altri capitali, il TMP non cambia. Se è appropriato dai lavoratori, il TMP aumenta. Facciamo un esempio.12

Supponiamo che una banca commerciale conceda un credito ad un mutuatario per l’acquisto di una casa. Fino a prima della deregolamentazione della fine degli anni 1990, la banca commerciale poteva usare i depositi dei suoi clienti per finanziare un mutuo che poi sarebbe stato ripagato dai debitori. In caso di inadempienza il rischio era a carico della banca. In seguito e grazie alla deregolamentazione introdotta nel 1999, le banche hanno potuto adottare una strategia diversa al fine di scaricare il rischio di inadempienza su altri, e cioè sul pubblico. Una strategia usata comunemente è la seguente. La banca commerciale (o un agente) concede mutui e poi li vende (cioè vende il diritto di incassare il capitale e gli interessi) ad un’altra banca, una banca di investimento. La banca commerciale rinuncia al diritto di ricevere dai mutuatari il capitale e gli interessi ma riceve subito il capitale di cui ha bisogno per pagare i mutuatari dalla banca di investimento. La banca commerciale accetta uno sconto sul suo credito perché può introitare ora piuttosto che nel futuro evitando allo stesso tempo il rischio in caso di inadempienza dei mutuatari. In breve, la banca commerciale impresta denaro che non è suo. La banca di investimenti deve fornire quel capitale alla banca commerciale. Ma anche la banca di investimenti non lo ha. Per reperire quel capitale, la banca di investimenti crea una società finanziaria a cui trasferisce quei crediti (i contratti dei mutui) in cambio del capitale di cui ha bisogno per pagare la banca commerciale. A sua volta, la società finanziaria emette sulla base di quei mutui delle obbligazioni che poi vende al pubblico. Gli acquirenti possono essere persone private ma anche fondi speculativi, fondi pensione, ecc. In questo modo la compagnia finanziaria raccoglie il denaro che poi trasferisce alla banca di investimento. Questa usa quel capitale per pagare la banca commerciale che infine lo impresta ai mutuatari. In breve il capitale necessario per i mutui viene procurato indirettamente dai possessori di obbligazioni e i mutuatari pagano la società finanziaria cha sua volta adopera quel denaro per ripagare il capitale e gli interessi ai detentori di obbligazioni. Se vi è sufficiente domanda per quelle obbligazioni, il loro prezzo eccede il loro valore (il flusso futuro del capitale e degli interessi) e l’emittente delle obbligazioni ricava un guadagno. Questi titoli sono le obbligazioni garantite da ipoteca (mortgage backed securities) cioè i mutui sono diventati obbligazioni (securities), sono stati cartolarizzati. Queste obbligazioni sono una delle tante forme di derivati, contratti che derivano il loro valore da una risorsa sottostante (in questo esempio, la casa su cui è stato fatto il mutuo).13 Il vantaggio per i detentori di tali obbligazioni è che, in teoria, essi possono essere venduti facilmente (per lo meno, questo è quanto si fece credere) in caso per esempio di difficoltà nel mercato immobiliare. In realtà, nel caso di inadempienza, il mutuo perde il suo valore e diventa un mutuo spazzatura (subprime mortgage). In questo caso, il flusso di pagamenti verso la compagnia che ha emesso quelle obbligazioni cessa e la compagnia non può adempiere al proprio obbligo di redimere le proprie obbligazioni. Se la compagnia fallisce, i detentori delle obbligazioni perdono il loro capitale. Se i detentori sono i fondi pensioni, i lavoratori perdono la loro pensione.14 Questo è il contenuto di classe di questo tipo di derivati. Questo schema è sintetizzato nella Tabella I qui sotto.

Tabella 1. Titoli garantiti da ipoteca



Il capitale creditizio si intreccia con il capitale speculativo. Secondo Saber (1999), l’origine del moderno capitale speculativo può essere ricondotta alla caduta nel 1971 degli accordi di Bretton Woods, cioè del sistema dei tassi di cambio fissi ancorati al dollaro statunitense. In essenza, i dollari derivanti dalle esportazioni di altri paesi negli USA venivano comprati dalle banche centrali che esse usavano per comprare oro dalla Federal Reserve. Questo sistema funzionò fino a quando gli USA detennero la supremazia economica assoluta e quindi ebbero i vantaggi competitivi. Ma crollò sotto il peso del deterioramento della bilancia commerciale degli USA in seguito al declino relativo dell’economia USA. Nel 1971 le banche centrali straniere avevano 50miliardi di dollari di riserve mentre il valore della scorta di oro ammontava a soli 10 miliardi (Saber, 1999, p.106). Il sistema di tassi di cambio fluttuanti che emerse pose le condizioni per il moderno capitale speculativo. Le sua caratteristiche basilari sono

20. Mobilità estrema da un settore dell’economia (‘mercato’) all’altro, cioè alta volatilità.

21. La sua enorme massa, anche maggiore delle finanze di molti stati.

22. Una dipendenza quasi totale dal capitale creditizio, cioè alti livelli di indebitamento.

23. L’arbitraggio come la sua forma specifica di speculazione

24. Un movimento auto distruttivo. Il capitale speculativo elimina le opportunità che sono alla sua origine.


La speculazione moderna sarà considerata di nuovo più oltre quando si considereranno le bolle speculative. Qui è sufficiente menzionare che gli argomenti sostenuti qui sopra riguardanti il capitale produttivo sono del tutto validi anche in questo caso.


III. Mancanza di domanda o mancanza di profitti?


Attualmente, la legge di Marx è contestata dal sottoconsumismo, cioè la tesi che la crisi è il risultato di una decrescente domanda di beni di consumo che, a sua volta, è causata da un caduta di lungo termine dei salari a fronte di un aumento della produttività di lungo termine. I bassi salari causano beni salario invenduti, una perdita per i produttori di queste merci, una bassa redditività in questo settore, fallimenti, disoccupazione, la propagazione di queste difficoltà nel settore che produce beni di investimento e la generalizzazione della crisi. I bassi salari, a loro volta, sono imputati alle politiche economiche neo-liberali.15 Marx aveva già inficiato questa tesi in Il Capitale, volume II, quando aveva messo in evidenza che le crisi sono sempre precedute da periodi di alti salari. Tuttavia egli non aveva elaborato teoricamente il perché i bassi salari non possono essere la causa delle crisi. La ragione è la seguente. Dividiamo l’economia in due settori, il settore I che produce mezzi di produzione e il settore II che produce mezzi di consumo. Supponiamo una riduzione generalizzata dei salari. Il potere d’acquisto dei lavoratori cade e essi non possono comprare i mezzi di consumo il cui prezzo corrisponde al taglio salariale. Ci sono due casi limite.

25. Se tutti i mezzi di consumo rimangono invenduti perché ciò che non è comprato dai lavoratori è comprato dai capitalisti, i più bassi salari implicano maggiori profitti in entrambi i settori. Il TMP aumenta. I minori salari non possono causare la crisi.

26. Se i capitalisti non comprano nessuno dei mezzi di consumo che avrebbero dovuto essere comprati dai lavoratori (cioè se tutti quei beni rimangono invenduti), il settore I trae profitto dai minori salari e non è influenzato da una mancata realizzazione perché non produce beni di consumo. Nel settore II i maggiori profitti provenienti dai minori salari sono compensati dalle minori vendite ai suoi lavoratori. Quindi i suoi profitti non crescono in questo caso. Tuttavia questo settore subisce una perdita a causa dei minori acquisti di mezzi di consumo da parte dei lavoratori nel settore I. Questa perdita è equivalente ai maggiori profitti nel settore I a causa dei minori salari in quel settore. A conti fatti, il settore I guadagna ciò che il settore II perde. Il numeratore del TMP non cambia. Tuttavia, il denominatore cade a causa dei minori salari. Il TMP cresce anche in questo caso estremo. Il sottoconsumo non abbassa il TMP.


A ciò può essere obiettato che le riduzioni salariali causano una concatenazione di effetti, e cioè minori vendite da parte del settore II di beni di consumo al settore I, minori vendite di mezzi di produzione da parte del settore I al settore II, perdite nel settore I e possibilmente una riduzione del TMP. Tuttavia, la vendita dei mezzi di consumo per il consumo personale dei lavoratori è differente e indipendente dallo scambio di mezzi di consumo per mezzi di produzione. I tagli salariali non influiscono sulla quantità dei mezzi di produzione scambiati per mezzi di consumo. Anche il valore scambiato non cambia. La differenza è che i beni scambiati incorporano più plusvalore e meno lavoro necessario per il sostentamento della classe operaia.

27. In conclusione, i tagli salariali aumentano il TMP nonostante le merci invendute. Ne consegue che le politiche economiche neo-liberali basate su bassi salari non possono essere state la causa della attuale crisi.16


Il sottoconsumo non deriva solo dal fatto che i salari cadono ma dal fatto che i salari cadono mentre il capitale non può assorbire i beni di consumo non venduti ai lavoratori a causa dei minori profitti. Tuttavia la redditività media cresce.

28. Se la caduta dei salari non può essere la causa della crisi, essi devono essere una sua conseguenza, una controtendenza, la conscia politica del capitale per incrementare la redditività scaricando i costi della crisi sulle sue vittime, i lavoratori. Ma ciò significa che la crisi è già incominciata.


Ora, se i minori salari incrementano la redditività, non potrebbero essi iniziare la crisi? Questa è in effetti la medicina prescritta dal neo-liberalismo. Tuttavia, durante la crisi i maggiori profitti derivanti dai minori salari sono principalmente messi da parte come riserve o incanalati verso i settori improduttivi o speculativi.17 Non sono investiti in attività produttive. La ripresa non è minacciata o ostacolata dal minore potere d’acquisto in seguito a minori salari (minori salari aumentano la redditività) ma dal fatto che questi maggiori profitti derivanti da minori salari non si traducono in investimenti produttivi e quindi in una crescita economica. Come prescrizione contro la crisi, la medicina neo-liberista non ha nessun effetto.

Ma la medicina Keynesiana secondo la quale si esce dalla crisi attraverso aumenti salariali è ugualmente inefficace. I maggiori salari diminuiscono la redditività. Tuttavia essi aumentano il potere d’acquisto dei lavoratori. Questo aumentato potere d’acquisto, non potrebbe stimolare la produzione, gli investimenti e in definitiva la crescita economica? No.

29. I maggiori salari possono aumentare la realizzazione dei profitti che sono incorporati nei beni di consumo invenduti. Dato l’alto livello di giacenze, essi non stimolano necessariamente una nuova produzione.

30. In tempi di crisi, i maggiori salari possono essere usati per ripagare debiti o risparmiati.

31. Ma a prescindere da queste due obiezioni, il settore II aumenta le sue vendite e i suoi profitti ma i maggiori profitti derivanti dalle maggiori vendite nel settore II sono cancellati dai maggiori salari in quel settore e i maggiori profitti realizzati dal settore II attraverso le vendite ai lavoratori del settore I sono cancellati dai minori profitti nel settore I. Il numeratore del TMP non cambia mentre il denominatore aumenta. Il TMP cade. Maggiori vendite con minori profitti non sono il modo in cui si esce dalla crisi.18

32. Inoltre, la ripresa incomincia quando le cause della crisi sono state ribaltate. Se i minori salari non sono la causa della crisi, i maggiori salari non possono essere la causa della ripresa. Ma se, come sostenuto nella sezione precedente, la crisi è causata da un eccesso di capitale relativamente al plusvalore prodotto (cioè da un aumento della composizione organica del capitale indotta dalle innovazioni tecnologiche), la ripresa può iniziare solamente quando una massa sufficiente di capitale è stata distrutta. Questo tema sarà sviluppato nella sezione seguente.


I salari non sono solo diretti ma anche indiretti (spese statali per educazione, sanità, ecc.) e differiti (pensioni). I maggiori salari indiretti e differiti diminuiscono i profitti in un modo specifico: più il nuovo valore prodotto è appropriato dallo stato al fine di finanziare salari indiretti e differiti, meno è il valore che rimane per i profitti, indipendentemente da se i lavoratori usano quei servizi o no e da se le maggiori pensioni aumentano i consumi dei lavoratori o no.19 Questo è il motivo per cui la Destra è a favore di tagli nei salari indiretti e differiti.20 Ma la risposta Keynesiana secondo cui un aumento di queste categorie salariali incrementa il consumo e quindi la redditività non coglie il segno per nulla. Per ripetere, le difficoltà del capitale non migliorano se più è venduto mentre i profitti calano.

In breve, sia i maggiori salari che i minori salari sono impotenti contro la crisi. Il sottoconsumismo differisce. Di tutti i miti economici, quello sottoconsumista è quelle più radicato nella Sinistra. Ma è anche quello che più danneggia i lavoratori perché supporta l’illusione che il sistema è riformabile, che misure redistributive possono sia evitare la crisi che rilanciarla. Le incoerenze logiche di queste affermazioni sono necessarie al fine di promuovere il loro contenuto ideologico. La nozione di un capitalismo riformabile priva la lotta dei lavoratori della sua razionalità oggettiva per il superamento del sistema e riduce la lotta di classe ad un puro volontarismo.


IV. Distruzione di capitale e bolle.


Se la competizione tecnologica causa tendenzialmente un incremento della composizione organica dei leader e il fallimento dei capitalisti tecnologicamente arretrati e la crisi, il sistema tende verso l’autodistruzione del capitale e quindi né verso l’equilibrio e crescita né verso la stagnazione. Ma cosa è la distruzione di capitale?

Macchinari che non sono usati non sono capitale. Lavoro che non è sfruttato equivale a produzione persa. Le materie prime che giacciono senza essere usate non sono capitale. Edifici … che sono o non usati o non finiti, merci che marciscono nei magazzini – tutto questo è distruzione di capitale (Marx, 1971, p.495)

Marx si riferisce qui alla distruzione di capitale reale, cioè produttivo. Se il capitale è una relazione sociale di produzione, la sua distruzione è la rottura di quella relazione in seguito alla bancarotta dei capitalisti arretrati cosicché i mezzi di produzione, la forza lavoro e altre merci non possono agire come capitale. Al di fuori di tale relazione, queste merci perdono sia il loro valore che il loro valore d’uso e diventano capitale potenziale che può diventare di nuovo capitale realizzato nella susseguente fase ascendente del ciclo. Quando diventano di nuovo operative possono aver perso una parte del loro valore d’uso. Se giacciono non utilizzate nei magazzini, una parte o tutto il loro valore d’uso può sparire a causa del passare del tempo, degli agenti atmosferici, ecc. Se il loro valore d’uso è (parzialmente) distrutto, anche il loro valore è (parzialmente) distrutto. Le guerre (una conseguenza della crisi) hanno lo stesso effetto. Nel caso il valore d’uso non sia intaccato ma i prezzi calano, il valore perso dal venditore è guadagnato dal compratore.21 Questa non è vera distruzione di capitale ma può “agire favorevolmente sulla riproduzione” se il compratore “è più intraprendente del precedente proprietario [di quelle merci, G.C.].” (op.cit.). In breve, la distruzione di capitale reale è l’interruzione della relazione di produzione capitalista e la possibile distruzione dei valori d’uso e quindi del valore contenuto nelle merci oggettive come conseguenza di quella interruzione.

Il catalizzatore della distruzione del capitale reale è la distruzione del capitale fittizio, cioè l’interruzione della relazione di debito/credito a causa della inadempienza in relazione ai debiti. Come la redditività cade nei settori produttivi, il capitale produttivo emigra nella sfera fittizia dove diventa capitale fittizio, capitale investito in titoli di debito/credito (per esempio, obbligazioni, derivati, ecc.). Il maggiore influsso di capitale causa un innalzamento dei prezzi di quei titoli di debito/credito. Lo stesso vale per le azioni.22 Come più capitale, anticipando ulteriori innalzamenti di prezzi, è risucchiato dai settori improduttivi, i prezzi di quei titoli scambiati sui mercati finanziari aumentano e il processo diventa auto-espansivo. I profitti fittizi aumentano. La bolla speculativa si sta formando.

Supponiamo che una banca voglia acquistare dei titoli garantiti da ipoteca ma non dispone di un capitale sufficiente. Si fa imprestare del capitale da altre banche (creditrici). Se i mutuatari diventano inadempienti oppure se la banca ha comprato derivati (per esempio, obbligazioni con garanzie collaterali) la cui garanzia collaterale perde il suo valore, la banca ha nel suo bilancio ‘attività’ il cui prezzo deve essere ridotto drasticamente o perfino cancellato. Se il suo capitale è troppo basso per compensare le perdite, potrebbe dover chiudere. Le difficoltà della banca debitrice potrebbero scatenare una corsa agli sportelli delle banche creditrici se i loro correntisti temono che la banca debitrice diventi inadempiente in relazione ai suoi debiti. Queste banche potrebbero non essere in grado di far fronte ai prelievi e dovrebbero dichiarare fallimento. Se le banche creditrici hanno un contratto di permuta di crediti in caso di insolvenza con una compagnia di assicurazioni, queste bancarotte possono influire negativamente sulla compagnia di assicurazioni. Essa ha assicurato le banche creditrici avendo ipotizzato che esse non possono fallire tutte allo stesso tempo, e cioè che non vi possa essere una crisi finanziaria generalizzata.23 In caso di inadempienza generalizzata, la compagnia assicuratrice non ha capitale sufficiente per pagare tutte le banche e fallisce. Una inadempienza può scatenare un effetto domino a causa della piramide di debiti.

Il grande aumento del capitale speculativo si basa non solo sulla immissione di capitale dalla sfera produttiva ma anche sul rapido aumento del credito. Il motore principale è l’arbitraggio. I fondi speculativi competono per accedere ai capitali con altri fondi (per esempio, fondi di investimento). Essi devono offrire maggiori profitti. A tal scopo, un abitrageur scommette sull’aumento del prezzo di una merce (assume una posizione lunga, nella sciocca terminologia della moderna finanza, su un mercato) e allo stesso tempo scommette sul calo del prezzo di un’altra merce (assume una posizione corta su un altro mercato) o viceversa. Per esempio, uno speculatore può assumere una posizione lunga sul mercato delle obbligazioni denominate in dollari e assumere una posizione corta sul mercato delle obbligazioni denominate in Euro, cioè compra le prime a vende le seconde perché scommette su un aumento del prezzo delle prime ed una diminuzione del prezzo delle seconde. Se il tasso di interesse sulle obbligazioni degli USA cade, il prezzo delle obbligazioni in suo possesso aumenta e l’arbitrageur può venderle ad un prezzo più alto. Se il prezzo delle obbligazioni denominate in Euro cresce, il loro prezzo cade e lo speculatore può acquistare lo stesso numero di obbligazioni ad un prezzo minore. Dato che i differenziali tra i tassi di cambio possono essere molti piccoli, grandi quantità di capitali devono essere investite. Ma i fondi speculativi non hanno talmente tanto denaro e devono ricorrere al debito. Il grande aumento della moderna speculazione richiede un uguale aumento del credito.24 La stessa attività speculativa (in questo esempio, una posizione lunga sulle obbligazioni denominate in dollari e corta sulle obbligazioni denominate in Euro) è svolta da centinaia di fondi speculativi cosicché enormi quantità di capitale sono investite in esse. Questa è una bolla speculativa potenziale. Se i prezzi si muovono nella direzione desiderata, gli arbitrageur fanno profitti. Ma se i prezzi si muovono nella direzione sbagliata, le perdite possono essere generalizzate e enormi. Siccome i fondi speculativi sono altamente indebitati, e cioè hanno un capitale proprio relativamente molto basso (1) i fondi con tassi di debito più alti sono i prima a chiudere (2) questi fallimenti causano perdite per le istituzioni finanziarie creditrici e quindi influenzano negativamente la loro redditività e in tal modo alimentano la crisi finanziaria.25

Un’altra caratteristica della speculazione moderna è che la forza finanziaria dei fondi speculativi è tale che essi possono scommettere sul debito (titoli di stato) di uno stato finanziariamente debole acquistando permute di crediti in caso di insolvenza nel caso che lo stato non sia in grado di rinnovare il suo debito. Ciò causa ansietà negli investitori internazionali per quanto riguarda la salute finanziaria di quello stato e quindi un aumento del tasso di interesse sulle obbligazioni di quello stato, un ulteriore indebolimento delle finanze di quello stato (a causa degli esborsi dovuti a maggiori tassi di interesse) e possibilmente l’inadempienza dello stato in relazione al suo debito e infine la svalutazione della moneta di quello stato. Coloro che hanno scommesso su questo fatto possono fare enormi guadagni.

La reazione a catena di inadempimenti nella sfera finanziaria innesca un processo simile nella sfera reale. Ma la sfera produttiva è influenzata negativamente dalla massiccia distruzione di capitale fittizio a causa della già indebolita redditività della prima, che è ciò che inizialmente ha provocato la migrazione di capitale verso i settori finanziari e speculativi e quindi il massiccio aumento dei settori creditizi. L’economia reale è la causa sia del sorgere che della esplosione della bolla finanziaria e speculativa. È a questo punto che emerge la dimensione reale della economia produttiva. Il deterioramento della economia reale è dimostrato dal grafico 4 più sotto che evidenzia come sempre meno valore è prodotto dalla economia reale; dal grafico 1 che evidenzia che sempre meno plusvalore è realizzato percentualmente nella economia reale, cioè la caduta di lungo periodo del TMP nella economia reale; e dal grafico 3 che evidenzia come la redditività sarebbe molto minore se non fosse per un incremento del tasso di plusvalore.

Attualmente (Aprile 2011), la bolla finanziaria ha raggiunto dimensioni enormi. La dimensione dei derivati (per esempio, i titoli garantiti da ipoteca, le obbligazioni con garanzie collaterali e le permute di crediti in caso di insolvenza, come analizzati da Carchedi, 2011) è 10 volte maggiore del PIL mondiale e cresce. L’esplosione della bolla è stata evitata da massicce iniezioni di liquidità essenzialmente nel settore bancario.26 Ma gli aumenti giganteschi dei debiti e deficit statali hanno tolto la pressione dal sistema bancario ma hanno creato una enorme bolla statale e una minacciosa crisi del debito sovrano. Nel marzo del 2011 il deficit totale dei paesi dell’OCSE era cresciuto di quasi 7 volte dal 2007 mentre il loro debito aveva raggiunto 43 mila milioni, un record. Nella zona Euro, i deficit erano cresciuti 12 volte nello stesso periodo mentre i debiti erano cresciuti fino a 7,7 mila miliardi di dollari (Spiegel Online International, 2010). Il recente accordo concernente il Meccanismo di Stabilità Europea (che rimpiazzerà la Stabilità Finanziaria Europea che è accorso all’aiuto della Grecia, dell’Irlanda e del Portogallo) diventerà operativo solo nel 2013 e avrà in dotazione solo 500 miliardi di Euro (Spiegel Online International, 2011). È chiaro che così facendo si è solo posposta la resa dei conti.

Attualmente va di moda l’integrazione di Marx e Minsky. Una relativamente dettagliata critica di questo approccio va al di là dei limiti di spazio di questo articolo. Menzionerò solo un paio di punti. Primo, sia per Marx che per Minsky l’economia capitalista è fondamentalmente instabile e procede nel tempo (mentre i teoremi neo-classici così come molti Marxisti si focalizzano sull’equilibrio e rimuovono il tempo dai loro modelli). Ma qui finiscono le similarità. Minsky (seguendo Keynes) considera l’economia “dal punto di vista degli amministratori di una banca di investimenti di Wall Street” (1982, p. 61). Marx dal punto di vista dei lavoratori. Ne consegue che per Minsky l’instabilità dell’economia è principalmente una instabilità finanziaria. Ciò è dovuto alla “natura soggettiva delle aspettative circa il futuro corso degli investimenti” (op.cit., p.65). Qui, gli investimenti sono principalmente investimenti finanziari perché determinati dal debito e credito. Per Marx, l’instabilità dell’economia è in essenza una caratteristica oggettiva, il risultato della tendenza verso la crisi nella economia reale, prima in quel settore e poi nei settori finanziari e speculativi. Il determinante soggettivo principale degli investimenti e della occupazione è l’anticipato tasso di profitto dei capitalisti individuali. Ma il TMP cade proprio a causa della natura soggettiva delle aspettative, perché lo scopo di tutti i capitalisti è di massimizzare il proprio tasso di profitto attraverso l’introduzione di tecnologie più efficienti. Inoltre, per Minsky i profitti dipendono dalle spese mentre per Marx essi dipendono dal tasso di sfruttamento. Più in generale, Minsky cancella le classi, gli interessi di classe e la lotta di classe. Quindi per Minsky le spese governative (il deficit) possono controbilanciare le spese dei privati e possono perfino far aumentare i profitti (op.cit., pp. 64-65). Per Marx, i trasferimenti di valore dal capitale al lavoro diminuiscono la redditività ma aumentano il consumo dei lavoratori mentre i trasferimenti dal lavoro al capitale aumentano la redditività ma aumentano anche le difficoltà di realizzazione. Né la redistribuzione (vedi sopra) né le politiche Keynesiane (vedi più oltre) possono spingere l’economia fuori dalla depressione e dalla crisi. Le teorie di Marx e Minsky non sono complementari ma sono radicalmente alternative. E, in ogni caso, non vi è nulla in Minsky per quanto riguarda le crisi e le bolle finanziarie che non posa essere spiegato applicando l’analisi e le categorie di Marx al presente.


V. La ripresa.

La crisi è preceduta da un periodo in cui le controtendenze, mentre non sono in grado di evitare la caduta del trend di lungo periodo del TMP, riescono ad evitare la distruzione di capitale. Questa è la depressione economica. Ma a un certo punto la tendenza verso la distruzione di capitale si manifesta nonostante le controtendenze. Questa è la crisi. La ripresa inizia quando emergono le condizioni per una rinnovata crescita del TMP. Il boom inizia quando la maggiore redditività si traduce in una accelerata accumulazione di capitale. Consideriamo le condizioni affinché la ripresa possa decollare. Come l’espansione economica ha dentro di sé i semi della crisi, così la crisi è l’humus che genera la ripresa. Si deve distinguere tra una ripesa secolare e le riprese di più corto periodo. Incominciamo da queste ultime.

33. La forza lavoro è disponibile in grandi quantità a causa della disoccupazione. Conseguentemente i salari sono bassi e il tasso di sfruttamento è alto.

34. La bolla speculativa deve essere scoppiata cosicché il plusvalore creato nei settori produttivi ma appropriato dai settori improduttivi è ridotto.27

35. Il capitale costante è disponibile per i nuovi investimenti produttivi sia a causa delle grandi riserve create durante le recessione sia perché, in seguito all’esplosione della bolla finanziaria, il capitale che si è mosso verso i settori improduttivi ritorna ai settori produttivi.28

36. Le merci (inclusi i mezzi di produzione) dei capitali falliti sono comprate a basso prezzo dai capitali sopravvissuti. Ciò riduce la composizione organica.


Queste sono le condizioni per una maggiore produzione di plusvalore. Ma non sono sufficienti. Il maggior valore e plus valore devono essere realizzati. La condizione per tale realizzazione è che una quantità sufficiente di capitale sia stata distrutta, cioè che un numero sufficiente di capitalisti abbia fallito: “in tutte le circostanze l’equilibrio sarà ristabilito da una maggiore o minore distruzione di capitale” Marx, 1992, p. 328). I capitalisti che sono sopravvissuti allo tempesta possono riempire i mercati lasciati vuoti dai coloro che sono falliti oppure possono creare nuovi mercati che rimpiazzano i vecchi e che attraggono il potere d’acquisto che veniva speso per i prodotti dei capitalisti falliti. A questo punto, la maggiore produzione può incominciare e i profitti sono reinvestiti nella sfera produttiva assieme alle riserve accantonate durante la crisi. Il risultato è una produzione allargata. Il capitale ha bisogno di un momento di catarsi. Deve auto distruggersi parzialmente per potersi rigenerare. Tanto è maggiore la distruzione, tanto è più vigorosa la ripresa.

L’alternativa principale alla teoria di Marx sono le politiche Keynesiane. La sezione III più sopra ha scartato l’ipotesi che la ripresa possa essere avviata da politiche redistributive a favore del lavoro. La questione è ora se le politiche Keynesiane propriamente dette, cioè le politiche basate sulla produzione indotta dallo stato piuttosto che la redistribuzione di plusvalore precedentemente prodotto, possano raggiungere questo scopo. Queste politiche si basano sull’investimento di riserve che giacciono non utilizzate, cioè di plusvalore non capitalizzato. Essenzialmente, lo stato si appropria dei profitti (per esempi attraverso la tassazione) oppure li prende in prestito (per esempio, emettendo titoli di stato) e poi li usa per commissionare lavori pubblici al capitale privato.29 Ovviamente se queste politiche economiche sono applicate in un sistema capitalista, il loro successo deve essere misurato dalla loro idoneità ad aumentare la redditività del capitale privato.

L’argomento Keynesiano sostiene che gli investimenti indotti dallo stato aumentano l’occupazione e i salari. Ciò stimola la vendita di beni di consumo ai lavoratori che a sua volta aumenta la produzione e i profitti, e quindi la ripresa. Esaminiamo questa tesi. Esaminiamo inizialmente il caso in cui lo stato si appropria, piuttosto che prendere a prestito, delle riserve o dei profitti del capitale privato. Disaggreghiamo il capitale privato in due settori, il settore 1 che produce i lavori pubblici commissionati dallo stato (scuole, ospedali, strade, ecc.) e il settore 2 che comprende gli altri capitalisti, cioè i produttori sia dei mezzi di consumo che dei mezzi di investimento necessari ai produttori del settore 1. In caso di sottoconsumo (il campanello di allarme Keynesiano), lo stato si appropria di profitti del settore 2 (per esempio, tassandoli) per un valore di S e li usa (a) per pagare al settore 1 il tasso di profitto corrente p e (b) e per avanzare al settore 1 il capitale di cui ha bisogno per i lavori pubblici (S-p). Ne consegue che:


37. Lo stato riceve dal settore 1 i lavori pubblici il cui valore è S-p+p*, dove p* è il profitto generato nel settore 1. Non importa se p* è uguale a p o no. Il settore 1 realizza i suoi profitti perché ha ricevuto p dallo stato. Il plusvalore generato dal settore 1 durante la costruzione dei lavori pubblici, p*, appartiene allo stato.

38. Come fa lo stato a realizzare S-p+p*, il valore incorporato nei settori pubblici? Nel capitalismo, il valore è realizzato solo se e quando si metamorfizza in denaro attraverso la vendita dei valori d’uso nei quali è incorporato. Dato che lo stato non vende lavori pubblici (a meno che non li privatizzi, ma la privatizzazione è al di fuori dell’ambito di questo articolo), sembrerebbe che il loro valore rimane allo stato potenziale, intrappolato in valori d’uso invenduti. Ma i lavori pubblici hanno un modo diverso per realizzare il loro valore. Il loro valore d’uso è consumato da coloro che usano quelle strutture e che in cambio di quell’uso devono pagare per la percentuale del valore contenuto nei lavori pubblici che essi consumano. Quando i lavori pubblici sono completamente consumati lo stato riceve S-p+p*. Lo stato realizza il valore potenziale dei lavori pubblici facendo pagare il loro uso al capitale e al lavoro. Queste tasse sono una riduzione indiretta dei salari e dei profitti.

39. Un valore pari a p è trasferito attraverso lo stato dal settore 2 al settore 1. Questo trasferimento non influisce sul TMP del capitale privato. Tuttavia il settore 2 ha ceduto S. il capitale privato cede S-p allo stato.

40. Lo stato ha guadagnato S-p+p*, il settore 1 ha guadagnato p, il settore 2 ha perso S, e il settore privato ha perso S-p. Il numeratore del TMP del capitale privato diminuisce di S-p. Il denominatore aumenta a causa dell’investimento di S-p nel settore 1. Il TMP cade per entrambi i motivi. Tuttavia l’occupazione e i salari aumentano a causa dell’investimento di S-p che giaceva inutilizzato e che ora è investito nel settore 1.

41. Lo stato può fornire l’uso dei lavori pubblici sia parzialmente o completamente gratis. Ciò aumenta indirettamente i salari ma non può evitare che il TMP del settore privato cada.


Gli investimenti pubblici non solo riducono il tasso di profitto del capitale privato, essi vengono fatti a scapito degli investimenti privati e quindi riducono la massa di profitti che possono essere appropriati dallo stato. Ciò toglie la base reale alla “più o meno generale socializzazione degli investimenti” (Keynes, 1964, p. 378).

Tuttavia questa critica è insufficiente. Per realizzare i lavori pubblici, i capitalisti del settore 1 (i costruttori dei lavori pubblici) acquistano forza lavoro sul mercato del lavoro e mezzi di produzione dal settore 2. Inoltre, sia il capitale che il lavoro del settore 1 acquistano mezzi di consumo dal settore 2. Il settore 2 potrebbe espandersi e quindi la massa dei profitti potrebbe aumentare. Ma il capitale privato espande i suoi investimenti e la massa di profitti solo se il tasso di profitto cresce. Le condizioni sono che gli investimenti Keynesiani (a) siano sufficientemente grandi per assorbire le giacenze e la capacità inutilizzata cosicché una nuova produzione possa incominciare, (b) che essi siano costantemente rinnovati, (c) che essi siano investiti in tecnologie a bassa composizione organica, e (d) che i loro profitti siano investiti in attività produttive cosicché più plusvalore è prodotto di S-p. Ciò è altamente improbabile se non addirittura impossibile. Tuttavia, supponiamo che la redditività aumenti. Non potrebbe questo essere l’inizio di una nuova fase di riproduzione allargata?

Come si è visto più sopra, la ripresa presuppone non solo una maggiore produzione di plusvalore percentualmente. Essa presuppone anche l’esistenza delle condizioni per la realizzazione di quella maggiore produzione. Questa condizione è la distruzione di capitale, la sparizione dei capitali più deboli, e la possibilità per i capitalisti sopravvissuti di entrare nei mercati lasciati vuoti o di creare nuovi campi di investimento che rimpiazzino i vecchi. Ma ogni volta che le politiche Keynesiane riescono ad alzare la redditività media del capitale privato, esse allo stesso tempo impediscono al capitale privato di auto distruggersi e quindi di creare la condizione per la ripresa. Se fosse solo per queste politiche, la ripresa non accadrebbe mai.

Ciò inficia anche l’argomento secondo cui le politiche Keynesiane possono essere finanziate da prestiti e che il debito potrebbe essere ripagato quando la ripresa è incominciata. Gli economisti Keynesiani pensano che questo sia il loro argomento più forte. Ma in effetti è qui che l’ipotesi Keynesiana è più debole. Le politiche Keynesiane non solo rinviano la ripresa rinviando la crisi. Nel caso esse siano finanziate attraverso debiti, la situazione è aggravata dal pagamento da parte dello stato del capitale più interessi, una cosa che inevitabilmente implica maggiore tassazione e tagli di bilancio. Il mancato pagamento da parte dello stato ha gli stessi effetti negativi sul capitale e sul lavoro. A questo punto, i Keynesiani più radicali sostengono che il settore statale non dovrebbe funzionare secondo principi capitalisti e che la sua continua espansione offrirebbe una via verso una economia non-capitalista. A parte la naiveté politica di tale argomento, è chiaro che il limite di questo tipo di politiche è dato dalla decrescente produzione di plusvalore nel settore capitalista.

Nonostante l’ideologia Keynesiana, le politiche Keynesiane sono inevitabilmente per lo meno parzialmente finanziate anche dal lavoro, cioè attraverso l’appropriazione dei risparmi dei lavoratori, la riduzione dei salari indiretti e differiti, ecc. Per semplificare l’argomento, invece di determinare le condizioni affinché queste politiche innalzino il TMP, supponiamo che esse lo innalzino sempre. Anche in questo caso estremo, il fascino del Keynesismo sparisce. Infatti,

42. la maggiore redditività sarebbe a scapito del lavoro, contrariamente all’obiettivo Keynesiano. Il segreto del successo di queste politiche è semplicemente un maggiore tasso di sfruttamento piuttosto che un maggior consumo dei lavoratori.

43. Una maggiore redditività ostacolerebbe una autosostentata ripresa perché queste politiche impediscono al capitale di auto distruggersi.


È per queste ragioni che quanto segue è impossibile. “Se lo stato rende disponibile al maggior numero possibile di persone le capacità che il capitalismo ha creato, intervenendo ogni qual volta il capitale non lo fa, la crisi finirà” (Freeman, 2009). Al contrario, la crisi si approfondirebbe. Anche Shaikh pensa che l’intervento diretto dello stato possa tirar fuori l’economia dalla crisi. Ciò stimolerebbe “la domanda a condizione che le persone in tal modo impiegate non risparmino il loro reddito o lo usino per ripagare i loro debiti” (2010, p. 57). Dato che le banche hanno bisogno dei risparmi dei lavoratori e dato che un mancato pagamento dei debiti significa principalmente non ripagare le banche, questo è una sicura ricetta per una crisi finanziaria. E Foster (2009) sostiene che “teoricamente, ogni aumento delle spese statali può contribuire ad attenuare la contrazione e persino a contribuire alla ripresa della crescita economica.” Queste e altre proposte hanno una caratteristica in comune, che non dicono chi debba finanziare tali politiche. Ma a parte questo macroscopico difetto, dato che l’economia esce dalla crisi solo dopo la distruzione di capitale, queste politiche rinviano piuttosto che evitare l’esplosione della crisi. È qui che l’incompatibilità tra Marx e Keynes emerge chiaramente.

Esaminiamo ora le condizioni per una ripresa e un boom di lungo termine. Osserviamo prima di tutto dove siamo diretti. Il grafico 1 più sopra mette in evidenza che sempre minori tassi di profitto sono realizzati nei settori produttivi. Ciò è la conseguenza del fatto che sempre meno valore e plusvalore è prodotto in tali settori. Per vedere ciò, calcoliamo il reciproco della composizione organica del capitale in termini della forza lavoro impiegata piuttosto che in termini di capitale variabile (salari monetari). Otteniamo così un tasso il cui numeratore è la forza lavoro e il denominatore è il capitale costante (assets), entrambi impiegati nei settori produttivi. Chiamiamo la prima L e il secondo A. Il grafico 4 mostra la forma del tasso L/A.30

Chart 4. Unità di forza lavoro per unità di attività nei settori produttivi (milioni di dollari), 1960-2009.



Nel 1960, 133 lavoratori erano necessari per una unità di capitale costante. Nel 2009 il tasso era diminuito a 6. Il nuovo valore e plusvalore prodotto per unità di capitale costante investito è caduto nei passati 50 anni e probabilmente per un periodo più lungo se i dati di prima del 1960 fossero disponibili. Il numero di lavoratori necessari per il crescente valore del capitale costante continua a decrescere e sembra che sia diretto verso “la sovrapproduzione assoluta di capitale” (Marx, 1967b, p. 251), il punto in cui un’addizionale unità di capitale non produce più nessun nuovo valore.31 Per gli Stati Uniti ciò significa appropriazione di plusvalore da altri paesi attraverso l’appropriazione di materie prime (per esempio, petrolio) o attraverso un deficit costante della bilancia commerciale (fin dal 1971) o attraverso l’importazione di beni prodotti con basse tecnologie e alti tassi di sfruttamento da paesi come la Cina. Ma soprattutto, può significare, come argomentato più sopra, la necessità del capitale di auto distruggersi su una enorme scala.

Alcuni autori sostengono che gli investimenti governativi civili potrebbero in teoria causare una ripresa economica auto-alimentata ma che essi non hanno avuto questo effetto a causa del loro grandezza limitata. L’esempio solitamente menzionato è il crash del 1929, la seconda Guerra Mondiale che ne derivò e il susseguente lungo periodo di prosperità. L’argomento è come segue: se massicci investimenti indotti dallo stato nell’industria militare hanno tirato fuori l’economia da una lunga e profonda recessione e prodotto l’Età dell’Oro del capitalismo, non potrebbe lo stesso essere fatto investendo nella economia civile? Non potrebbe questa essere la condizione per una ripresa di lungo termine, possibilmente secolare? I dati empirici smontano immediatamente tale ipotesi. Il debito federale lordo come percentuale del PIL è diminuito costantemente nell’Età dell’Oro, dal 121.7% nel 1946 al 37.6% nel 1970.32 L’Età dell’Oro non è stata causata dalle politiche Keynesiane.

E allora, che cosa ha causato il lungo periodo di prosperità del dopo guerra? Consideriamo l’impatto reale dell’economia di guerra. Prima della guerra, il TMP cadde dal 14% nel 1929 al 6% nel punto minimo della recessione nel 1933. Dopodiché, incominciò a riprendersi e nel 1939, poco prima della guerra, era salito all’11%. Dopo un periodo molto breve in cui la redditività indotta dalla guerra salì, il TMP cadde verticalmente. Solo un anno dopo la fine della guerra, nel 1946, era tornato al 14%, il livello del 1929.33 La guerra ebbe solamente un effetto di breve durata sulla redditività media del dopoguerra. Contrariamente a quanto si crede quasi universalmente, il declino del sistema incominciò poco dopo la guerra e non nei primi anni 1970 anche se divenne evidente in quegli anni.

Come fece la guerra a causare un tale balzo nel TMP nel periodo 1940-45? Il primo fattore fu la caduta della composizione organica a causa della quasi completa utilizzazione dei mezzi di produzione esistenti (piuttosto che la produzione di nuovi mezzi di produzione). Il denominatore del TMP non solo non aumentò ma cadde perché il deprezzamento fisico fu maggiore dei nuovi investimenti. Alo stesso tempo la disoccupazione era praticamente sparita. Questa diminuita disoccupazione rese possibili maggiori salari.34Ma i maggiori salari non intaccarono i profitti. Infatti, la conversione delle industrie civili in quelle militari ridusse l’offerta di articoli civili a favore degli articoli militari. I maggiori salari e la ridotta produzione di beni civili significarono che il potere d’acquisto dei lavoratori doveva esse grandemente compresso al fine di evitare l’inflazione. Ciò fu fatto istituendo la prima tassa sui redditi generale, scoraggiando la spesa per i beni di consumo (il credito al consumo fu proibito) e stimolando il risparmio dei consumatori principalmente attraverso investimenti in titoli di guerra. Conseguentemente, il lavoro fu forzato a posporre le spese di una ragguardevole porzione dei salari e i crescenti salari ebbero scarso effetto sul TMP.35 Allo stesso tempo, il tasso di sfruttamento dei lavoratori aumentò.36 In essenza, la guerra fu una massiccia produzione di mezzi di distruzione finanziata dal lavoro.

Dopo la guerra le industrie militari incominciarono ad essere riconvertite in industrie civili.37 Ma le tecnologie delle industrie civili non erano più quelle di prima della guerra. Esse erano quelle sviluppate durante la guerra. Come queste tecnologie divennero sempre più ad alta intensità di capitale, la composizione organica incominciò a salire. Allo stesso tempo la forza della classe lavoratrice era cresciuto a causa del quasi pieno impiego durante la guerra. Il capitale incominciò a dirigersi verso la produzione di mezzi di consumo. Ciò rese necessaria la liberazione del potere d’acquisto accumulato durante la guerra. Il livello di vita aumentò. Ciò stimolò la produzione di mezzi di produzione sia per i mezzi di consumo che per i mezzi di produzione e quindi creò la domanda per queste merci.38 L’effetto di stimolo reciproco tra crescente domanda e capacità produttiva determinò una riproduzione allargata di lungo periodo. Ma ciò non poteva continuare indefinitamente perché i semi della crisi erano già stati seminati nel boom economico. Alti salari, bassi livelli di sfruttamento e un alta composizione organica fecero sì che il TMP incominciò a cadere subito dopo la guerra (vedi il grafico 1). L’Età dell’Oro fu un periodo di grande prosperità provocato da una precedente immensa distruzione di capitale e di forza lavoro. Ma essa fu anche l’incubazione della crisi susseguente, come dimostrato dalla caduta del TMP nello stesso periodo. L’opinione generale che l’economia incominciò a deteriorarsi nei primi anni 70 del secolo scorso ignora l’evidenza crescente che il TMP incominciò a cadere ben prima di quel periodo. Questa incubazione, il progressivo deterioramento della redditività, fu nascosta da

44. La più alta produttività del capitale

45. La più alta redditività dei leader tecnologici

46. L’assorbimento della forza lavoro da parte della riproduzione allargata dei leader tecnologici

47. Le migliorate condizioni di vita dei lavoratori


Ciò creò un benessere economico generalizzato anche se ripartito in modo molto diseguale (si pensi alle grandi differenze regionali, razziali e di genere) la cui misura era data da un crescente Pil. Ma 25 anni passarono prima che gli effetti di un decrescente TMP potessero emergere. A quel punto, la lunga discesa del TMP che era incominciata subito dopo la guerra pose fine all’Età dell’Oro. Gli effetti della caduta del TMP erano stati solo posposti. Sembrò che le nuove tecnologie avessero stimolato l’economia. In effetti, lungi dal determinare un aumento generalizzato della redditività, esse furono la forza maggiore dietro il lungo, secolare aumento della composizione organica e quindi della caduta del TMP.39

Ma le innovazioni derivanti dalla guerra ebbero un altro effetto. Quando incominciarono a penetrare nella economia civile nuove merci incominciarono ad essere prodotte. Nuovi bisogni dovettero essere creati. La base materiale del capitalismo incominciò a subire un profondo mutamento. La società capitalista del dopo guerra divenne irriconoscibile. Ma le leggi fondamentali del suo movimento rimasero le stesse.

L’Età dell’Oro durò fino al 1970 circa. Attorno a quell’anno il movimento cambiò direzione. La crescente composizione organica incominciò a incidere sull’occupazione. Il tasso di disoccupazione aumentò dal 4.9% nel 1970 al 10% nel 2010 secondo la misura U3 (ma 17% secondo la misura U6 e 22% secondo la stima SGS). L’alta disoccupazione influì sul tasso di sfruttamento che crebbe enormemente specialmente in seguito alla comparsa del neo liberismo (vedi grafico 2 più sopra). La condizione della classe lavoratrice incominciò a peggiorare e da allora ha continuato a peggiorare.

Può tutto ciò essere una guida per una politica anti-crisi in tempo di pace? L’applicazione dell’esperienza del dopo guerra suggerisce che massicci e crescenti quantità di valore dovrebbero essere investite non nella produzione di beni salario (che richiederebbe una maggiore produzione di quei beni, più alti salari e minori profitti) ma nella produzione di beni di lusso (perché la loro realizzazione non richiede maggiori salari) o senza valore d’uso, cioè beni inutili. Maggiori salari potrebbero essere pagati ma la mancanza di beni salario richiederebbe un potere d’acquisto sempre più imprigionato che dovrebbe essere forzatamente incanalato verso i risparmi dei consumatori al fine di non causare movimenti inflazionisti. Inoltre, una maggiore redditività richiederebbe che una crescente quantità di nuovo valore sia investita in tecniche a bassa tecnologia e bassa composizione organica. Tutto ciò è ovviamente assurdo e in ogni caso potrebbe essere fatto solo per alcuni anni come durante la seconda guerra mondiale ma non sarebbe sostenibile come una soluzione di lungo periodo o permanente. In alternativa, i massicci investimenti civili potrebbero essere finanziati dal lavoro, cioè basati su bassi salari e alti tassi di sfruttamento (al fine di non incidere sui profitti) ma non nella la produzione di beni salari. Ma ciò non ha nulla a che fare con l’Età dell’Oro. Un ritorno all’Età dell’Oro nel contesto di questo declino secolare del TMP è impossibile.

Che cosa ci attende? Le previsioni sono notoriamente difficili. Una terza guerra mondiale è una possibilità che non si può escludere a priori. Una nuova Età dell’Oro per il capitale richiederebbe una distruzione di capitale anche maggiore di quella della Seconda Guerra Mondiale. Oggigiorno, l’unica potenza che sembra poter diventare una sfida economica per gli USA è la Cina. Ma la Cina non ha la forza militare necessaria per difendere i propri interessi. Se e quando il suo potere economico e militare minaccerà gli USA uno scontro militare sarà inevitabile. Ma questa non è una possibilità prossima. In assenza di una gigantesca conflagrazione la soluzione per la secolare caduta della redditività sarà economica e non militare. In base a quanto più sopra sostenuto le condizioni per una rinnovata produzione di un crescente plusvalore esistono già e ciò che è necessario è una generalizzata e massiccia distruzione di capitale. La distruzione di capitale come relazione sociale è inevitabile perché, come il grafico 4 evidenzia, le tecnologie incorporate negli assetti produttivi stanno sempre più avvicinandosi al loro limite in termini di produzione di plusvalore. L’aumento della composizione organica non può continuare indefinitamente. I commentatori, siano essi Marxisti o no, sottolineano il pericolo per il sistema derivante dalla crescita incontrollata del debito in tutte le sue forme. Ciò è corretto ma è solo la metà della storia. La teoria Marxista non si ferma ad un’analisi del capitale finanziario e speculativo. L’altra, la determinante, metà della storia è che le nuove tecnologie, nel processo di cancellare il capitale variabile nei settori produttivi, stanno esaurendo la loro funzione propulsiva. Quando esse raggiungeranno il loro limite economico, quando la distruzione di capitale sarà impotente per riavviare l’economia sulla base di queste tecnologie e quindi sulla base di un impiego troppo limitato di forza lavoro, la catastrofe economica sarà inevitabile.

Ma ciò marcherà allo steso tempo una nuova fase dell’accumulazione del capitale sulla base di una massiccia ondata di nuovi investimenti in nuove tecnologie. Questo è quello che successe dopo la Seconda Guerra Mondiale. La guerra fu una miniera di invenzioni, dall’aeroplano a reazione ai missili balistici, dall’energia atomica ai computer, dalla gomma sintetica al radar, per menzionarne solo alcuni. Queste invenzioni divennero le nuove tecnologie che furono immesse nella economia civile e che divennero la nuova base materiale della economia del dopo guerra. Esse rimpiazzarono vecchi campi di investimento e mezzi di produzione e ne produssero di nuovi (i bisogni per i nuovi prodotti dovettero essere creati). Inoltre, vecchie linee di produzione furono completamente rivoluzionate. L’economia civile fu riavviata su una nuova base materiale.40


Ma ciò accadde 65 anni fa. Se il settore produttivo dell’economia USA ci offre valide indicazioni, le tecnologie esistenti o i nuovi sviluppi sulla base di queste tecnologie tendono verso il punto in cui successivi incrementi di capitale produrranno un minimo nuovo valore se non addirittura nessun nuovo valore. Ciò di cui il capitale ha ora bisogno è l’applicazione di tecnologie radicalmente nuove che possano creare nuovi prodotti e quindi nuovi bisogni su grande scala sulla base di una composizione organica inizialmente bassa.41 Queste nuove tecnologie sono state sviluppate verso la fine del secolo scorso e sono pronte per una applicazione su larga scala in tutto lo spettro dell’economia quando le condizioni economiche saranno mature. Menzioniamone solo alcune: biotecnologia, ingegneria genetica, nanotecnologia (il cui scopo è il controllo della materia su una scala atomica e molecolare), bioinformatica (l’applicazione della tecnologia informatica e della scienza del computer alla biologia molecolare), genomica (la determinazione dell’intera sequenza del DNA degli organismi), biofarmacologia (lo studio delle medicine prodotte con l’uso della biotecnologia), calcolo molecolare (il calcolo che usa atomi individuali o molecole per la soluzione di problemi di calcolo) e biomimetica (la scienza che ricopia la vita, cioè il trasferimento di idee dalla biologia alla tecnologia).42

Sembra che stiamo avvicinandoci ad una nuova fase dello sviluppo della forze produttive del capitale sulla base di tecnologie completamente nuove. Queste nuove tecnologie e scienze potranno anche risolvere (parzialmente) i problemi creati dalle tecnologie attuali, potrebbero trovare alternative al petrolio come la fonte di energia basilare ma in esaurimento e potrebbero fermare la distruzione del nostro habitat naturale creandone possibilmente uno alternativo e artificiale. Ma sulla base della storia del capitalismo, si può facilmente prevedere che questa nuova fase, lungi dal lanciare una nuova era di civiltà, potrebbe migliorare le condizioni di una minoranza della classe lavoratrice (le cui caratteristiche saranno indubbiamente cambiate dalla nuova base materiale del capitalismo) ma allo stesso tempo genereranno nuove e ancor più terribili forme di sfruttamento. Tutto ciò, ovviamente, supponendo che il capitalismo sarà in grado di evitare un catastrofe ecologica di enormi dimensioni e/o una terza conflagrazione mondiale che minaccerà la sopravvivenza del genere umano, sfortunatamente una ipotesi sempre più non realistica. Anche a causa di ciò, l’unica speranza per l’umanità è una ristrutturazione radicale della società in seguito ad una rivoluzione comunista.


VI. Marx o Keynes?


Ma ritorniamo al presente. La lotta per più alti salari, maggiore occupazione e migliori condizioni di vita e di lavoro può essere condotta da due prospettive opposte. Secondo la prospettiva sottoconsumista e Keynesiana, questa lotta non solo migliora i salari, l’occupazione e le condizioni di vita dei lavoratori. Essa è anche l’uscita dalla crisi perché migliora la redditività attraverso il maggiore potere d’acquisto dei lavoratori. Questo approccio mette in evidenza la comunione di interessi tra il capitale e il lavoro. Anche la tesi Marxista sostiene che quelle rivendicazioni sono sacrosante. Ma questa lotta è condotta dalla prospettiva degli interessi contradditori e reciprocamente incompatibili delle due classi fondamentali. I lavoratori dovrebbero combattere per una redistribuzione del valore da essi creato, per investimenti civili indotti dallo stato, e più generalmente per riforme a loro favorevoli sapendo che i guadagni dei lavoratori sono perdite per il capitale e che tali guadagni contribuiscono all’indebolimento oggettivo del capitalismo piuttosto che al suo rafforzamento. Questa lotta dovrebbe essere una parte di tutta una serie di rivendicazioni (compresa la difesa del nostro patrimonio ecologico e la riconversione dell’industria bellica) il cui scopo è nel breve periodo quello di far pagare gli effetti della crisi ai colpevoli e non alle vittime della crisi e nel più lungo periodo quello di contribuire alla formazione della coscienza che per uscire dalle crisi bisogna uscire da questo sistema. Per coloro che sono veramente interessati alla fine di questo barbaro sistema la scelta è chiara: o Marx o Keynes.

17 Agosto, 2011

*Università di York

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Appendice. Fonti statistiche.

Tasso di profitto. Esso è calcolato per i settori produttivi a costi storici. La migliore approssimazione sono le industrie che producono beni materiali (meglio detto, oggettivi). Queste industrie sono l’agricoltura, l’industria estrattiva, i servizi, l’edilizia e la manifattura. Tuttavia, in questo articolo i servizi non sono stati inclusi (si veda più sotto). Dato che le statistiche non sono elaborate secondo le categorie dell’analisi Marxista, i dati sul tasso di profitto sono nel migliore dei casi delle approssimazioni ai loro valori reali. Tuttavia il movimento e il trend sono indicatori attendibili perché l’elaborazione dei dati é teoricamente coerente nel tempo.

Profitti. Essi sono presi da: BEA tables 6.17A, 6.17B, 6.17C, 6.17D: Corporate Profits before tax by Industry [Billions of dollars]. Nelle prime 3 tabelle i servizi sono registrati separatamente ma nella tabella 6.17D essi sono registrati assieme ai dati sui trasporti e non possono essere separate da quei dati. Ho deciso di escludere i servizi in tutte le 4 tabelle.

Attività fisse.
La loro definizione è: “attrezzature, software, e strutture, includendo le case occupate dai proprietari”
(http://www.bea.gov/national/pdf/Fixed_Assets_1925_97.pdf). Le attività fisse sono ottenute da BEA, Table 3.3ES: Historical-Cost Net Stock of Private Fixed Assets by Industry [miliardi di dollari; stime alla fine dell’anno].

Salari per i settori produttivi (che producono beni materiali, vedi sopra) sono ottenuti da Table 2.2A and 2.2B: wages and salaries disbursements by industry [billions of dollars].

Occupazione. I dati per i settori produttivi sono ottenuti da: US Department of Labor, Bureau of Labor Statistics, series ID CES0600000001.



Note


1 Una versione più estesa di molti degli argomenti di questo articolo possono essere trovati in Carchedi, 2011.

2 Per una utile rassegna delle teorie contemporanee Marxiste , si veda Choonara, 2009.

3 “Marx sostiene che è la differenza tra i due tassi [il tasso di profitto e il tasso di interesse, G.C.] che chiama il tasso di profitto-dell’impresa (r-i) che determina l’investimento attivo. Keynes dice essenzialmente la stessa cosa” (Shaikh, 2010, p. 46). Ma Marx non dice nulla del genere. Per Marx ‘l’investimento attivo’ è determinato in essenza dalla competizione, della necessità di essere tecnologicamente più competitivi dei concorrenti, come Shaikh dovrebbe sapere.

4 Marx, 1967a, p.240. Che solo il lavoro (sotto condizioni di produzione capitaliste) possa creare (plus)valore è il principio fondamentale della teoria del valore lavoro di Marx. I motivi per sottoscriverla sono che (1) la teoria è internamente coerente (2) è l’unica adatta per difendere la causa del lavoro contro il capitale (3) è supportata empiricamente. I grafici 1 e 4 più oltre evidenziano che il TMP è correlato inversamente alla composizione organica e quindi direttamente al capitale variabile e alla forza lavoro impiegata. Quindi questi grafici rigettano la tesi che il valore sia creato dalle macchine o da sia le macchine e i lavoratori.

5 Le fonti statistiche e la metodologia si trovano alla fine di questo articolo. Per modi diversi per calcolare il TMP si veda Kliman (2010), Freeman (2010), Roberts (2009), Moseley (2009), Shaikh (2010), Housson (2010), Giussani (2005), Wolff (2003), and Cockshot and Zachariah (2010).

6 Le tendenze e le controtendenze sono rese empiricamente visibili dai trend.

7 Per esempio, Housson, 2010. Ma i critici che condividono questa posizione sono legioni.

8 Siccome nelle statistiche i salari comprendono i redditi manageriali e quelli di coloro che nella teoria di Marx fanno il lavoro di controllo e sorveglianza (Carchedi, 1977, capitolo1) e siccome questi redditi derivano dal plusvalore, una stima accurata dei salari che tenga conto di ciò produrrebbe un maggior tasso di sfruttamento. Richard Wolff (2010) raggiunge conclusioni simili considerando il settore manifatturiero.

9 In una curiosa inversione di posizioni, mentre alcuni marxisti negano che l’aumento del TMP sia dovuto ad un maggior tasso di sfruttamento, J.P.Morgan, una delle maggiori banche mondiali, scrive che “i margini di profitto hanno raggiunto livelli mai visti da decenni” e che “la riduzione dei salari e sussidi spiega la maggior parte dell’aumento dei margini di profitto” (J.P.Morgan, 2011).

10 Housson sostiene che i profitti finanziari dovrebbero fare parte del computo del TMP perché essi sono “una componente del PIL di cui il consumo, gli investimenti e la bilancia commerciale sono le reali controparti”. (Housson, 2010, p.2)

11 Marx si riferisce alla capitalizzazione come “la formazione del capitale fittizio” (1967b, p.466). Ma questa è la formazione del prezzo del capitale che è fittizio perché rappresenta un debito. Perelman ((2008, p. 19) d’altro canto, e molti altri autori considerano che il capitale sia fittizio perché il suo prezzo è dato dalla capitalizzazione di interessi futuri.

12 Carchedi, 2010, capitolo 3, tratta estesamente di questo argomento. Per un chiaro esempio numerico di obbligazioni con garanzia collaterale (Collaterized Debt Obligations, or CDO) si veda http://dialecticsoffinance.blogspot.com/2010/05/goldman-case-2-cdos.html]


13 Una forma particolarmente importante di derivati che non è trattata qui sono le permute dei tassi di scambio (interest rate swaps).

14 Gli investimenti dei fondi pensione nel capitale finanziario privato (di cui la Tabella 1 è un esempio) li trasforma in istituzioni finanziarie e speculative per lucro e anche in risorse di liquidità per la riproduzione del capitale. I lavoratori corrono quindi il rischio di perdere le loro pensioni come nella crisi finanziaria del 2007-2009. Per un’interessante analisi di questo processo nell’Islanda, si veda Macheda, 2011, specialmente sezione IV.

15 Se questa crisi è stata causata da queste politiche economiche, altre crisi devono avere altre cause. Per esempio, Anne Davies, 2010, pp.419-420) sostiene che vi è una “varietà di possibili contraddizioni” che causano la crisi “come … un tasso di profitto decrescente o il problema della realizzazione”. Tuttavia, se le crisi sono ricorrenti, la questione è cosa forzi tutte quelle cause a essere ricorrenti. Quindi non si può evitare la domanda concernente la causa ultima delle crisi Carchedi, 2010.

16 Ciò, tuttavia, non significa che la causa delle crisi siano gli alti salari (la tesi del profit squeeze). Si veda Carchedi, 2010.

17 “Gli attuali membri della S&P 500 hanno circa 800 miliardi di dollari in contanti o equivalenti di contanti che non sanno come impiegare, una somma senza precedenti.” Melloy, 2011. Nell’agosto del 2011, le stime erano aumentate a circa mille miliardi di dollari (Valsania, 201; Krauth, 2011).

18 Per Foster and Magdoff (2008) “il modo migliore per aiutare sia l’economia che i più poveri è di soddisfare i bisogni di questi ultimi immediatamente.” Ciò aiuta il lavoro ma non l’economia (capitalista) il cui indice di salute è il tasso di profitto e non il consumo dei lavoratori.

19 Questo tema sarà sviluppato nella prossima sezione.

20 Negli USA la percentuale delle tasse sul reddito attribuibile alle imprese era del 39% e quelle attribuibile ai privati era del 61% negli anni 1950. Esse erano diventate il 19% e l’81% rispettivamente nel periodo 2000-2009. Allo stesso tempo la percentuale del bilancio per le spese militari è del 20%. Links, 2011.

21 Il deprezzamento di alcuni mezzi di produzione a causa dell’introduzione di nuovi mezzi di produzione più efficienti non è distruzione di capitale perché i primi creano più valore ma meno valori d’uso che i secondi e quindi perdono una parte del loro valore che va ai secondi.

22 La questione se le azioni siano titoli di proprietà o di debito è dibattuta. Ai fini di questo articolo, le azioni sono uguagliate alle obbligazioni.

23 Il famoso modello di Black-Scholes per la valutazione dei derivati è basato su una serie di ipotesi, una delle quali è che non vi possa essere un rischio di inadempienza da parte della controparte, cioè l’assenza delle crisi (Saber, 1999, p.35). Alla luce del tracollo dei mutui garantiti da ipoteca (Carchedi, 2011, capitolo 3) questo modello evidenzia una volta di più la monumentale irrilevanza della economia accademica.

24 Questi aspetti sono trattati in dettaglio da Saber, 1999.

25 La similarità tra capitale produttivo e speculativo è che (1) entrambi tendono verso l’auto-distruzione e (2) in principio le unità che falliscono per prime sono le più deboli. Nei settori produttivi esse sono i capitali tecnologicamente arretrati, nei settori finanziari esse sono i capitali a più alto tasso di indebitamento.

26 Diecimila miliardi, secondo Bellamy Foster in un suo scritto del Marzo 2009 (Foster, 2009).

27 “Le banche hanno cancellato dalle 2 alle 3 migliaia di miliardi di dollari di debito su un totale di 60 migliaia di miliardi di dollari, meno del 5%. Esse hanno ancora migliaia di miliardi di debito che rappresentano attività senza alcun valore. Prima che la redditività possa essere ristabilita veramente, molto di più di questo finto valore deve essere distrutto” Roberts, 2009, p.285.

28 Sostanzialmente i grandi investitori vendono le azioni delle imprese finanziarie e speculative e comprano (nuove emissioni di) azioni di imprese industriali.

29 L’investimento direttamente dello stato piuttosto che attraverso il capitale privato introdurrebbe importanti modifiche ma non cambierebbe l’essenza dell’argomentazione. Il Keynesismo militare e il Keynesismo verde non sono trattai qui per mancanza di spazio. Si veda Richard Wolff, 2010 e Bellamy Foster, 2009.

30 Ogni anno, L/A è stato calcolato dividendo il totale di L per il totale di A. Questo tasso non è il tasso marginale che è stato calcolato da Giussani (2005, figura 2) ma raggiunge risultati simili. I dati del grafico 4 sono solo una indicazione del valore prodotto dato che il valore prodotto dipende anche dalla durata del giorno lavorativo e dai diversi livelli di intensità e di qualificazione del lavoro.

31 In effetti, il numero di lavoratori per unità di capitale costante è più grande di quello che appare nel grafico 4 perché il valore è creato non solo dai lavoratori impiegati nella produzione di beni oggettivi (erroneamente chiamato lavoro materiale) ma anche dal lavoro mentale. I dati sui settori che producono beni oggettivi sottostimano il plusvalore prodotto. Il lavoro mentale può produrre plusvalore alle condizioni discusse in Carchedi, 2011, capitolo 2. Quindi il grafico 4 sottostima il nuovo valore. Tuttavia, primo, il lavoro mentale può anche essere (improduttivo (b) distruttivo (c) funzionale per lo sfruttamento del lavoro. Ciò riduce grandemente l’importanza del lavoro mentale per la creazione di nuovo valore. Secondo, la parte di lavoro mentale che è stata incorporata nelle merci oggettive fa già parte dei dati di prima prima. Terzo, il lavoro mentale che non è stato ancora incorporato nelle merci oggettive, per esempio una patente industriale, e che è stato scambiato per merci oggettive, è parte dei dati dei settori che producono merci oggettive. Rimane solo una categoria di lavoro mentale, quello che è stato scambiato per il risultato di altro valore mentale e non ancora incorporato in merci oggettive. È dubbio se ciò altererebbe in maniera significante i dati di cui sopra.

32 U.S. Office of Management and Budget, historical tables, table 7.1.

33 Prendo questi dati da Freeman, 2010. I miei dati incominciano nel 1948.

34 “Tra il gennaio del 1941 e il luglio del 1945 i salari medi settimanali nella industria manifatturiera negli Stati Uniti aumentò del 70%.” (Milward1977, p. 236. Si veda anche pagina 238).

35 “In queste circostanze il miglioramento durante la guerra dei salari reali non fu comparabile a un simile miglioramento in tempi di pace.” (Milward, op.cit., p.239)

36 “La settimana lavorativa media negli Stati Uniti aumentò da trentotto a quarantacinque ore durante la guerra.” (Milward, op.cit., p.229).

37 Naturalmente gli USA non rinunciarono mai all’industria bellica.

38 La classe dirigente degli USA temeva il riemergere di problemi di realizzazione. Questa è una delle ragioni del Piano Marshall. Il Piano contribuì a creare mercati di sbocco per le grandi ditte degli USA. Il suo impatto sulle esportazioni degli USA è materia di discussione. Dal 1948 al 1952, 13.3 miliardi furono concessi il che è solo circa l’1% del Pil per anno. Tuttavia, bisogna considerare quali rami dell’industria trassero vantaggi (3.5 miliardi furono spesi per materie prime; 3.2 miliardi per generi alimentari, semi e fertilizzanti; 1.9 miliardi per macchinari e veicoli; 1.6 miliardi per carburanti) e quali ditte: General Motors, ricevette 5.5. milioni di ordini dal 1950 al 1951, e Ford Motor Company 1 milione. Il maggior beneficiario fu Anderson, Clayton e Co. che ricevette 10 miliardi di ordini fino all’estate del 1949. William Clayton il comproprietario di questa ditta e il Sottosegretario per gli Affari Economici, il cui viaggio in Europa e le cui lettere a Washington giocarono un ruolo chiave nella preparazione del Piano e che lo fece accettare al Congresso, approfittò personalmente per un ammontare di 700,000 dollari all’anno.

39 Alcune delle ragioni del boom economico del dopo guerra sono menzionate anche dalla Monthly Review School ma da una prospettiva sottoconsumista (Foster e Magdoff, 2008). Da questa prospettiva, le crisi non sono determinate dalla caduta del TMP e la sovrapproduzione diventa la causa piuttosto che la conseguenza delle crisi.

40 “Una crisi forma sempre il punto di partenza di grandi nuovi investimenti. Quindi, dal punto di vista della società nel suo insieme … una nuova base materiale per la continuazione del ciclo” (Marx, 1967c, p. 186). Invece per Mandel, le cause del ciclo ascendente nelle onde lunghe sono esogene (1995, p.42)

41 Ciò non significa necessariamente che la composizione organica sarà bassa come, o più bassa del, suo livello del dopo guerra e che il TMP ritornerà al suo livello di quel tempo. Le nuove tecnologie richiedono un investimento relativamente basso in capitale costante e una forza lavoro altamente qualificata e quindi relativamente cara, specialmente nella fase iniziale della ricerca, sviluppo e costruzione del prototipo. Esse entrano nell’economia con una composizione organica bassa relativamente alla media. Ma a un certo punto nuove tecnologie concorrenti dequalificano il lavoro e lo rimpiazzano con capitale costante aumentando quindi la composizione organica. Un’altra possibilità è accennata nella nota a piè di pagina seguente.

42 Supponendo che i trend attuali possano essere una indicazione di futuri sviluppi, con la nuova ondata di innovazioni tecnologiche nei campi sopramenzionati, i leader tecnologici potrebbero essere diventati non i paesi dell’Ovest ma l’Asia. Ciò potrebbe rafforzare la loro sfida economica all’Occidente. La leadership tecnologica assieme ai salari di gran lunga minori potrebbero causare uno spostamento verso quei paesi come il centro della accumulazione capitalista. Ma tutto ciò non è ancora suffragato da dati sufficienti.

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