Il caos capitalistico riflesso in Ucraina
di Michele Castaldo
I fatti di questi giorni non sono un fulmine a ciel sereno, Putin avrebbe perso all’improvviso i lumi della ragione e ha deciso di scatenare la guerra contro l’Ucraina, come si tenta di far credere, oppure per la sete espansionistica che mirerebbe a restaurare il vecchio impero zarista. Le cose sono molto più semplici e molto più complicate al tempo stesso.
Che si cerca di accerchiare la Russia attraverso la Nato fino ai confini ucraini, dovremmo ricordare che ci sono stati accordi firmati dalle potenze occidentali con la Russia all’indomani dell’implosione dell’Urss. E in quegli accordi si stabiliva che la Nato non avrebbe dovuto raggiungere i confini con la Russia, e in modo particolare attraverso l’Ucraina. Accordi, scritti e firmati, non chiacchiere. Dopodiché la Nato, ovvero gli Usa e le maggiori potenze economiche europee hanno risucchiato uno a uno tutti i paesi che si erano liberati dall’orbita sovietica, in modo particolare a Est, ma anche a Nord. E la Russia ha subito.
Vogliamo essere oltremodo chiari: le repubbliche che si sono liberate dall’influenza della ex Urss non lo hanno fatto esclusivamente su ordine dei comandi occidentali, lo hanno fatto anche perché attratti dalle luci scintillanti dell’Occidente. Dunque le Repubbliche baltiche, la Polonia, la stessa Ucraina, la Romania, l’Ungheria abbandonarono una nave ritenuta ormai in via di affondamento, e per aspirare a uno sviluppo autoctono della propria economia incominciarono a occhieggiare con l’Occidente e l’Occidente accolse volentieri nel suo seno nuove possibilità di mercato e un nuovo proletariato da sfruttare. Altrimenti detto: nuova linfa per rilanciare l’insieme del modo di produzione capitalistico che mostrava qualche affanno proprio lì nel suo cuore pulsante.
Ma al nuovo corso del capitalismo occidentale si presentò un soggetto non invitato, un certo Saddam Hussein che aveva condotto una guerra per conto proprio e per conto dell’Occidente contro l’Iran di Komeini che nel 1979 aveva assestato un duro colpo proprio agli Usa, il capofila occidentale. Un paese, l’Iraq di appena 18 milioni di abitanti ricco di petrolio che per sottrarsi alle imposizioni dell’Occidente che aveva creato di sana pianta, come testa di ponte uno Stato fantoccio, il Kuwait, pensò bene di annetterselo il 2 agosto 1990. Un anno dopo tutte le nazioni “civili”, dietro le bandiere dell’Onu e al comando degli Usa scatenarono l’inferno contro l’Iraq, liberarono il Kuwait e ridussero Saddam Hussein, ovvero il popolo iracheno, a più miti consigli.
Contemporaneamente scoppiava la Jugoslavia dove ogni (ex) nazionalità riteneva di sottrarsi al “dominio” centralizzatore di Belgrado e una a una tutte le ex repubbliche si staccarono dal “tiranno” Milosevic. Infine anche il Kossovo, territorio serbo offerto ai profughi albanesi come azione di solidarietà contro l’occupazione delle truppe italiane. E per ultima, dopo alcuni anni, attraverso un referendum anche il Montenegro – popolo storicamente fraterno dei serbi – pensò di poter fare da solo con il plauso dell’Occidente. Il quale Occidente manteneva in un certo modo compatta l’alleanza, la estendeva, e dunque proteggeva gli interessi che da quegli smembramenti derivavano in termini di industrie da comprare a quattro soldi, agevolazioni fiscali, e possibilità di sfruttamento del proletariato a costi bassissimi, per un verso, e l’indebitamento di quegli Stati da parte del FMI, per l’altro verso.
Siamo solo ad alcuni elementi fondamentali di analisi retrospettiva per fornire al lettore la possibilità di connettere i fatti precedenti che hanno poi portato alla situazione attuale. Per onestà intellettuale ci tocca il dovere di sottolineare che durante tutto il periodo che va dal 1979 con la rivoluzione islamica in Iran, fino ai nostri giorni, non c’è stata traccia di mobilitazione della classe operaia come soggetto tangibile, se non in Polonia, nei confronti di un governo cosiddetto comunista, che per far riprendere l’accumulazione capitalistica aveva letteralmente affamato il proletariato, e dei minatori inglesi in lotta contro le ristrutturazioni delle miniere di carbone ad opera del governo della Thatcher. Ovvero due settori della classe operaia europea, tanto a Est, in Polonia, quanto a Ovest, in Inghilterra, contro il “comunismo” uno e contro il liberismo thatcheriano l’altro, la classe operaia cercò di difendersi come poteva. Ma il dato politico fondamentale che ci interessa affrontare è che la lotta di entrambi i settori rimase isolata ed entrambi furono costretti ad consegnare i propri destini alle leggi infami del modo di produzione capitalistico
Si tratta di un elemento di analisi fondamentale per chi intende guardare in avanti verso una prospettiva anticapitalistica, senza illudersi su soggetti che tali non sono perché non possono esserlo, e bisogna farlo proprio osservando i fatti della Russia di ieri e di oggi e inquadrarli correttamente rispetto allo stato di salute del modo di produzione in crisi come non mai in questa fase.
Autonomia di classe e autodeterminazione delle nazioni
Durante l’implosione della Jugoslavia, la sinistra in generale si divise in mille rivoli fino a tirare in ballo la tesi della autodeterminazione delle nazioni, sostenuta da Lenin, o dell’autonomia del proletariato, sostenuta da Rosa Luxemburg in polemica con Lenin. Questo perché la Jugoslavia si era definita socialista, dovendo fare di necessità virtù per liberarsi dagli invasori occidentali, Germania e Italia in primis. Sia detto molto brutalmente e senza girare troppo intorno alle parole: entrambe le tesi, sia quella di Lenin che quella di Luxemburg erano viziate da un approccio ideologico e proprio per questa ragione potevano essere utilizzate tanto da onesti comunisti quanto da filibustieri al carro della forza maggiore dell’accumulazione capitalistica. Si tratta della stessa difficoltà di affrontare oggi la questione dell’indipendenza dell’Ucraina, della Crimea, della Bielorussia, e così via, nei confronti sia dell’Orso russo che del blocco occidentale che invoca per i popoli il principio della “loro” libertà, mentre è notorio che la “loro” libertà vuol dire libertà di azione dei propri capitali, ma lo vedremo con calma più avanti.
Fissiamo una volta e per tutte che non esiste la possibilità che un popolo si autodetermini, perché l’insieme dell’umanità è fatto di relazioni, per cui se un popolo o un governo rompe le relazioni commerciali con qualche Stato le deve intraprendere con un altro. Dunque non esiste un principio assoluto di autodeterminarsi.
Peggio ancora, non esiste la possibilità per una classe sociale di essere autonoma, per nessun tipo di classe o settore sociale. A maggior ragione per una classe, come il proletariato, che dipende sia dal rapporto col capitale che a sua volta dipende dall’insieme del mercato. Dunque parlare di autonomia di classe, della classe operaia, sta a significare che si parla di niente.
Definito questo principio fondamentale per inquadrare correttamente la questione, dobbiamo dire che tanto l’implosione dell’Urss, quanto quello della ex Jugoslavia, erano nell’ordine delle cose come risultato oggettivo delle leggi dell’accumulazione del modo di produzione capitalistico.
Qui però voglio porre – mi si perdoni la prima persona – un solo elemento di distinguo rispetto al ciarpame di tutta l’intellettualità democratica, per riferirmi al perché l’establishment del mondo occidentale ha sputato tanto veleno sui paesi che si sono riferiti al comunismo. Il primo fattore che sconvolse il mondo occidentale fu un fatto clamoroso a seguito della Rivoluzione russa, perché un pugno di valorosi bolscevichi richiamandosi ai valori dell’egualitarismo e alle mani callose distribuì la terra ai mugichi, cioè agli ex servi della gleba.
Questo fatto storico va sbattuto in faccia ai critici della rivoluzione russa e dei bolscevichi che non tengono in conto il fatto che gli europei continuarono a utilizzare la schiavitù nera fino ai giorni d’oggi. Si tratta di una verità storica reale e non di fandonie idealiste. Questo in primis, in secundis che la rivoluzione francese utilizzò mille cavilli burocratici per agevolare il passaggio della terra dall’aristocrazia alla nuova borghesia, e represse nel sangue, in nome dell’anticlericalismo e della democrazia la rivolta di contadini poveri della Vandea.
Avendo stabilito dei criteri innanzitutto di obiettività rispetto ai fatti, cerchiamo di calarci nella realtà dei fatti di questi giorni e a quali prospettive essi ci predispongono.
L’Ucraina: una avvenente signora, seppur delusa, sempre innamorata dell’amante occidentale
Sempre per stare ai fatti, cominciamo col dire che quando implose l’Urss, dopo qualche anno fu pagato, da parte della Russia tutto il debito estero dei paesi che avevano deciso di autoproclamarsi nazioni libere dal “comunismo” russo. L’Ucraina fra questi.
Che successivamente ingolosita dalle scintillanti voglie occidentali l’Ucraina si sia nuovamente indebitata con il FMI rientra in quella logica del mercato che rincorre la concorrenza e le ristrutturazioni, e con esse gli arricchimenti dei nababbi, contando sulla possibilità, ritenuta munifica e disinteressata, dei capitali occidentali. Altrimenti detto, era arrivato lo zio d’America, come si diceva un tempo, per far scialare il popolo ucraino martoriato dallo zarismo prima e dal “comunismo” poi. Questa illusione non veniva vissuta solo da una parte ristretta del popolo ucraino, ma dall’insieme del popolo.
Poi c’è il risveglio piuttosto brusco e si incomincia a capire che l’Occidente voleva sì l’indipendenza e l’autonomia dell’Ucraina, ma per utilizzare quell’enorme territorio per fini propri immediati e come fattore strategico, cioè di prospettiva nei confronti del boccone grosso, l’immensa Russia ricchissima di materie prime.
È a questo punto che alcune aree cominciano a capire che forse, secondo il vecchio adagio « si stava meglio quando si stava peggio », e dunque « Ubi panis ibi patria ». Attenzione: diciamo aree, non classi sociali. Questo vuol dire parti di popolo coeso che guarda nel suo insieme al processo di accumulazione e non alla propria classe di riferimento. Gli stessi capitalisti, tanto delle industrie minerarie del Donbass quanto quelli agrari del Nord-Ovest, tanto per fare un esempio, guardano insieme ai loro lavoratori gli uni a Est, gli altri a Ovest, gli uni alla Russia, gli altri all’Occidente. Si spiegano in questo modo la voglia d’indipendenza delle regioni del Donbass o della Crimea. Ora l’assurdo sta nel fatto che per l’Ucraina dovrebbe valere il diritto all’autodeterminazione dalla ex Urss, mentre la stessa ragione non dovrebbe valere per le regioni del Donbass e per la Crimea e dunque vanno bombardate.
Va da sé perciò che la Russia cerca di sfruttare le simpatie di frazioni popolari russofone e punta ad attrarle nella propria orbita, mentre altre aree guardano a Occidente, cioè il punto cardinale rincorso da molti decenni, anche per una vasta presenza ebraica. Insomma un paese che nell’impatto che ha avuto con il mercato globale è entrato in crisi e viene attratto da due poli luccicanti: uno delle materie prime, la Russia, e l’altro, l’Occidente, finanza e tecnologia, ma innanzitutto finanza. Un Occidente che avendo promesso mari e monti chiede all’avvenente signora di prostituirsi, cioè di procedere verso le necessità del mantenuto: di entrare nella Nato e poter utilizzare il suo territorio per installare basi al confine per puntare a intimidire la Russia, per indurla a svendere le ricchezze del suo sottosuolo perché l’appetito atavico degli occidentali è aggravato oltremodo da una crisi di accumulazione di valore senza via d’uscita. È per questa ragione che suona come pia illusione quella, per esempio, di Paola Spinelli che scrive: « Il disastro poteva forse essere evitato, se Stati Uniti e Unione europea non avessero dato costantemente prova di cecità, sordità, e di una immensa incapacità di autocritica e di memoria ». Perché le necessità delle leggi del modo di produzione capitalistico, quelle si, fanno perdere i lumi della ragione.
Il senso di democrazia e di totalitarismo
Diciamo a chiare lettere che il punto centrale della critica degli occidentali è che Putin è un dittatore e che in Russia non c’è democrazia. Si tratta di una accusa riferita a molti paesi come, per esempio, a Ceaucescu in Romania, oltre come detto a Saddam Hussein, o per il passato a Stalin. Ma cosa c’è dietro questa espressione, ovvero l’assenza di democrazia? Qui si nasconde il mistero su cui va fatta chiarezza per capire la vera posta in palio, e quali possibili sviluppi abbiamo come prospettiva.
Nell’intervista concessa a Oliver Stone nel 2017, tra tante altre cose, Putin diceva: « Ho riunito i maggiori gruppi capitalistici e uomini d’affari dicendo loro che se si continuava ad affamare il popolo la Russia sarebbe finita; che era necessario perciò invertire la tendenza e rimanere uniti come unica possibilità per continuare ad essere la Russia e il popolo russo ».
Putin con quella espressione diceva una grande verità: l’unica possibilità consisteva nel mantenere una centralizzazione politica del processo economico, favorendo riforme per combattere la povertà. Ovvero utilizzare le risorse del ricco sottosuolo non solo per arricchire i pochi, ma per continuare a rappresentare un popolo, e dunque una nazione, che se smembrati avrebbero aperto le porte all’Occidente e questo avrebbe significato la fine della Russia.
Si tratta dello stesso approccio che ebbe Saddam Hussein che, messo all’angolo per la presenza dello Stato fantoccio ritagliato dal proprio territorio, decise di invadere il Kuwait e indurre l’Occidente a tenere in conto le necessità del popolo iracheno. Non a caso quel gesto fu salutato con grande entusiasmo dai popoli mediorientali, mentre terrorizzò l’insieme del mondo occidentale.
Ora, in Russia, bando alle chiacchiere propagandistiche, Putin è l’espressione centralizzata delle risorse economiche della Russia in termini politici. Questo si chiama – secondo gli occidentali – totalitarismo. È lo stesso totalitarismo di Saddam Hussein e per certi aspetti di Milosevic e di quanti da sinistra o da destra in vario modo cercano di difendersi come popolo dalle infami leggi del modo di produzione capitalistico che favoriscono i più potenti.
Il vero punto in questione però è un altro: la crisi economica, per l’accresciuta concorrenza del movimento storico del modo di produzione capitalistico con le sue stesse leggi, è arrivata a un punto da non produrre più valore, e nel tentativo di superare questa crisi – impossibile secondo il nostro modestissimo punto di vista – ogni nazione ricca deve sgomitare contro tutte le altre e ogni area economica addirittura in una stessa nazione. Questo comporta , ecco il nocciolo della questione, che un paese detentore di materie prime - chi più della Russia? - deve essere privato della propria libertà di gestire le sue risorse, per un verso, mentre per l’altro verso devono essere messi i bastoni fra le ruote nei confronti degli stessi alleati, come ad esempio sono costretti a fare gli Usa nei confronti degli europei e cercare di tenere d’occhio il grande concorrete, cioè la Cina, che ha avuto per 40 anni una continua e straordinaria avanzata nel suo processo di accumulazione.
Come sempre cerchiamo di essere chiari senza nascondere niente sotto il tappeto: la tesi degli occidentali secondo cui solo il liberismo crea sviluppo, ricchezza e accumulazione, non è del tutto sbagliata, tanto è vero che molti paesi che sono stati indotti ad abbandonare la centralizzazione dell’economia (il cosiddetto comunismo) sono riusciti a innescare un processo di accumulazione; negarlo vuol dire chiudere gli occhi alla realtà. Ma si è trattato di una accumulazione comunque poi aspirata dal processo mondializzato che ha esposto tutti i paesi di rango inferiore all’attuale crisi di una infernale concorrenza con paesi, come ad esempio l’Ucraina, costretta a prostituirsi per sopravvivere come nazione.
Per concludere
Dopo 31 anni dal massacro del popolo iracheno e la liberazione del Kuwait da parte degli occidentali, il modo di produzione capitalistico sposta il centro di gravità verso la Russia che è costretta a compiere lo stesso gesto difensivo in Ucraina come Saddam Hussein nei confronti dello Stato fantoccio in Medioriente, nonostante la differenza storica fra lo Stato fantoccio del Kuwait e la prosperosa nazione dell’Ucraina.
Cominciamo col dire fin da subito che l’azione della Russia di questo fine febbraio 2022 rappresenta un atto di difesa nei confronti delle potenze occidentali che fin dal 1990 stanno cercando di estendere la Nato fino all’Ucraina per tenere sotto scacco la Russia e condizionare la sua esportazione delle materie prime. Si tratta di una verità limpida che si cerca di nascondere con montagne di bugie e additare lo “zar” Putin addirittura come Hitler richiamando così gli anni tragici del secondo conflitto mondiale. Una tesi falsa per impaurire il popolo e indurlo a schierarsi sotto le bandiere delle nazioni “libere e democratiche dell’Occidente” contro lo “zar hitleriano”.
Si vuole in questo modo essere della Russia in quanto paese socialista o comunista? Si vuole difendere Putin e il popolo russo che orgogliosamente avanza verso il comunismo? Nient’affatto, si vogliono solo indicare le cause vere di quanto accade. E lo facciamo in modo particolare perché in un mondo caotico, come quello attuale, è sempre più difficile rintracciare il bandolo della matassa e la tendenza verso cui è destinato il modo di produzione capitalistico sempre più in crisi.
Cerchiamo a questo punto di tirare qualche conclusione al nostro ragionamento, premettendo che il nostro sforzo è quello di capire cosa sono costretti a fare, oltre le loro volontà, paesi e popoli attraverso i loro capi di Stati e di governi in questa crisi rispetto all’azione – ripetiamo difensiva - della Russia e di riflesso del popolo ucraino, spinto verso un massacro dalle potenze occidentali per fini propri. Questo lo diciamo in modo particolare nei confronti di quel pacifismo democratico, laico, cattolico, protestante e ateo occidentale, ma anche nei confronti di quell’imbelle estremismo di sinistra, o anche anarchico, che appiattisce tutto sul doppio imperialismo per tirarsi fuori da una critica serrata contro il modo di produzione, e indicare le responsabilità nella coscienza degli uomini cattivi. Un modo per mostrarsi degli inutili idioti. Si tratta di una cretineria teorica che ha mostrato fin qui tutta la sua pochezza. Sventolare parole d’ordine prive di senso e prive di qualunque relazione coi sentimenti popolari reali significa tirarsi fuori dal senso della storia, dei suoi sviluppi e delle sue determinate tendenze. Significa altresì immaginare di attrarre con le parole la volontà d’azione di masse che sono mosse invece innanzitutto da necessità materiali, oltre che da sentimenti atavici, etnici, e così via.
Formalizziamo in questo modo la questione:
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1) L’Occidente per tentare di uscire dalla crisi avrebbe come unica possibilità quella di sviluppare una unità d’intenti per accerchiare la Russia, assestarle un colpo definitivo, smembrarla, sezionarla, spartirsela per gestire in proprio le sue immense risorse. È un sogno che gli occidentali rincorrono fin dalle guerre napoleoniche; con la differenza non secondaria: che allora si trattava di una fase di espansione del modo di produzione capitalistico. Oggi questa ipotesi presenta almeno sei complicazioni: a) difficoltà interne, di impoverimento del ceto medio e della stessa classe operaia un tempo allevata dai superprofitti estorti alle popolazioni del Sud del mondo; b) un rapporto con gli alleati un tempo subordinati, come gli europei di fronte alla potenza ascendente degli Usa; c) una Turchia per niente disposta a svolgere il ruolo del servo povero dell’alleanza; d) un gigante come la Cina in un continente che nel suo insieme è un agguerrito concorrente su ogni produzione di merci; e) del fatto che un paese come la Russia, pur essendo all’incirca un ottavo dei paesi occidentali, comunque non è l’Iraq e possiede ogni tipo di armamenti; f) con l’Africa non più quella delle colonie, con insorgenze continue contro il saccheggio.
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2) La Russia attuale, rispetto alla Russia della prima guerra mondiale e all’URSS della seconda guerra mondiale, si è ridotta a un terzo come popolazione e pensare che si tratti di un «imperialismo militare riverniciato di antichi “valori spirituali” cristiano-ortodossi, sesto paese quanto ad economia a parità di potere d’acquisto (dopo la Germania), e secondo esportatore mondiale di armi dopo gli Usa », vuol dire tener conto solo di una parte degli aspetti piuttosto che vederlo nel suo insieme. Allo stesso modo si guarda agli Usa e alla sua potenza bellica, agli arsenali pieni e alla capacità di distruggere più volte il pianeta, ma non si tiene conto del fatto che è un paese che sta arretrando su tutti i fronti e con una crisi economica interna che lo sta portando verso il crac. Che la Nato, come potenza bellica e alleanza militare si può tenere in vita, per dirla con Engels dell’Antidhuring, solo e soltanto con la produzione di valore, è un discorso che vale allo stesso modo per la Russia.
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3) La Cina è alle prese con almeno sei ordini di problemi: a) un rallentamento continuo rispetto ai ritmi che l’hanno caratterizzata per circa 40 anni, e la crescita non poteva continuare all’infinito; b) con un ceto medio cresciuto oltremisura che viene complessivamente impoverito per lo sviluppo di una crescente nuova aristocrazia dei grandi gruppi industriali e commerciali; c) un mondo femminile in subbuglio che non intende rispondere con l’entusiasmo richiesto per aumentare le nascite indispensabili al consumo delle merci prodotte; d) infine, ma non come ultimo fattore, l’agguerrita concorrenza di molti paesi asiatici che hanno fatto passi da giganti nella produzione di ogni tipo di merci; e) perché anche per la Cina vale lo stesso ragionamento nei confronti dell’Africa e della lotta contro il saccheggio; f) perché per prevalere nella competizione con gli occidentali e acquisire le materie prime dalla Russia deve abbassare le pretese aumentando sui costi di produzione con riflessi negativi nei confronti di tutto il continente asiatico.
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4) L’Europa, ovvero quell’insieme di paesi e popoli che ha pensato di poter costruire un unico polo in competizione con gli “alleati” , cioè gli Usa, e avere un piede in due staffe: alleanza militare e dunque protezione di difesa da parte del fratello “democratico” e “civile” e magari fare affari sia di materie prime che di esportazione con l’Urss prima, la Russia poi e tutti gli altri paesi asiatici. Basta vedere il comportamento tanto della Germania quanto della Francia e della nostra Italia, dopo che la Gran Bretagna ha deciso di giocare in proprio la partita. Si porrebbe all’ordine del giorno una unità politica e militare? Con quali fondi se esse versano in una crisi che ha deprezzato di un terzo i salari degli operai? Chiacchiere, caro professor Prodi, vien da dire. Questo, per un verso, mentre per l’altro verso ci sono gli Usa che pongono continui intralci ai tentativi europei di intrattenere rapporti privilegiati proprio con quella Russia per il suo sottosuolo.
Se questo è il quadro, dovrebbe preoccupare la chiamata occidentale alle armi, «Forza Occidente», lanciata dal giornale La ragione con il sottotitolo della testata « le ali della libertà », dei capitali ovviamente. Mentre suonano come parole al vento quelle di un Pino Arlacchi che scrive: «L’Ucraina ha diritto alla sua sovranità. La Russia non deve più sentirsi in pericolo. E l’Europa dovrebbe smetterla di scherzare con il fuoco solo per compiacere il suo padrone d’oltreatlantico», perché niente e nessuno è sovrano, come cercavo di dire circa l’autodeterminazione delle nazioni o, peggio ancora, delle classi. Una certa sinistra vive ancora immaginando – senza crederci ovviamente – un sogno di una notte di mezza estate, mentre per il determinismo vigono le leggi impersonali del modo di produzione capitalistico.
Al momento le alternative poste sul tappeto sono solo due e le ha ben sintetizzate il giornale La ragione: « Se il criminale avrà l’ardire di attaccare il confine europeo e Nato, coincidenti, sarà carneficina e perderà nella distruzione generale. Altrimenti rispondere con misure di soffocamento economico, sospingendolo a fare il vassallo povero dei cinesi, è il modo più adeguato a seppellire lui anziché innumerevoli civili » una sorte di ruggito del coniglio.
La verità è che i democratici non vogliono credere in alcun modo che un modo di produzione possa essere un movimento storico, con leggi determinate che lo fecero sorgere, lo fecero crescere e lo stanno avviando all’implosione.
Non ci avventuriamo perciò in ipotesi che potrebbero essere immediatamente smentite; diciamo con certezza però che l’azione militare della Russia ha messo in moto un meccanismo che contribuisce ad accrescere i fattori della crisi generale. L’azione di “Putin” è l’effetto e non la causa della crisi che ha origine in Occidente. Non è perciò da escludere nessuna opzione, compresa quella di una improvvisa deflagrazione d’area.
Che fare?
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a) evitare di dire stupidaggini e di lanciare inutili proclami da “estrema sinistra”;
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b) chiarire alle masse le cause vere della crisi e, se in Occidente dovessero insorgere non in difesa dell’Ucraina per difendere ed estendere la Nato, ma per non essere massacrate in un nuovo genocidio mondiale, dunque contro l’Occidente e la Nato, stare al loro fianco e contribuire organizzarsi nel miglior modo possibile per delineare punti di programma e strumenti di attuazione.
Si sta aprendo sempre di più una nuova fase e tutte le certezze del modo di produzione capitalistico cominciano finalmente a scricchiolare, per cui gli schemi del passato richiedono di essere aggiornati.
cercherò di non abusarne e mi ricorderò sempre che non siamo allo stadio o all'osteria.
Aggiornamento ore 14.00
Questo ERA uno dei punti di raccolta di Mariupol
https://t.me/opersvodki/992
Foto di due ore fa. Gli squadristi ucraini hanno bloccato le partenze dei mezzi. L'ansa immancabilmente dà la colpa ai russi. Avvisiamo l'ansa che in questo momento le operazioni belliche sono su altri fronti. Severodoneck, dintorni di Nikolaev, Juzhnoukrainsk (dove c'è la centrale di cui parlavo qui sotto), chiusura della sacca di cui parlavo ieri e che si vede così evidentemente in quella cartina. Avvisiamo anche l'ansa che le accuse vanno motivate, e non con la propaganda, ma col cervello. In questo momento l'unica cosa che impedisce ai russi di entrare è la presenza di civili, per tutti i motivi che ci siam detti, eccetera. tutta propaganda, tutto strumentale, tutto finalizzato alla difesa di un proprio imperialismo, va bene, ma questo è. su questo si giocano i prossimi anni, se non decenni, di convivenza fra russi e ucraini, che non può, non deve essere quella tra serbi, croati, bosniaci e albanesi, nelle intenzioni dei russi. Quindi, che zelenskij, mentana e ansa si mettano il cuore in pace, ma in questo momento gli interessi tra quella coda fuori che aspetta di essere caricata su pullman e uscire e i russi fuori coincidono. non coincidono invece fra "difensori" e popolazione in coda. Anche a costo di far uscire squadristi ucraini mescolati fra i civili. avevano messo nel conto anche questo.
E la rada di Mariupol dà comunicazione ufficiale
https://t.me/opersvodki/994
siccome è riportata, vado a vedermela sul sito telegram dell'amm. comunale di mariupol
ed è uguale
https://t.me/mariupolrada
scusa ufficiale: la tratta non è sicura.
Quindi, se ragionare con questa gente ha ancora un senso, sito loro, no propaganda russa:
alle 8.28 era "sicura" e si diceva alle persone uscite e mettetevi in fila.
alle 10.18 sempre il sindaco diceva ancora Маріуполь. Евакуація❗️ ma diceva anche che sulle altre tratte che conducevano a Zaporozh'e si stava negoziando (... ma cosa????) e
alle 11.42 sempre il sindaco diceva "tutti a casa"
Ne più né meno di quello che accadde, e non una volta, in Siria:
https://en.news-front.info/2018/08/20/terrorists-block-civilians-exit-from-idlib-via-humanitarian-corridor/
Sempre tornando alla Siria, gli "autobus verdi" in questi anni hanno evacuato di tutto:
- civili da Aleppo
https://news.sky.com/story/last-3-000-await-final-buses-out-of-aleppo-10703203
- jihadisti verso Idlib
https://www.pravda-tv.ru/2018/05/23/361780/novosti-sirii-segodnya-23-maya-2018-2
e stiamo parlando di Siria, la cui sicurezza era ben peggiore di quella ucraina di oggi.
Ma si vede che qualcuno ha alzato la cornetta col sindaco di Mariupol e gli ha detto chiaramente di "non prendere iniziative" e, meschinamente, è stato dato il dietrofront. Devono continuare a fare da scudi come a Kiev e a Charkov.
Secondo il comunicato del ministero della difesa russo, stiamo parlando di 200.000 civili a Mariupol e 15 mila a Volnovacha
https://t.me/glavpolit/11820
Nessuna colonna è stata mai formata, come hanno attestato tre droni russi su Mariupol e due su Volnovacha, alzatisi a monitorare l'andamento della situazione (e che per l'ansa sicuramente si erano alzati per bombardare meglio...).
(ibidem)
Al contrario, "il cessate il fuoco dichiarato è stato utilizzato attivamente per il raggruppamento dei soldati ucraini e dei battaglioni dei nazionalisti sulle posizioni di difesa" (объявленный "режим тишины" активно использовался для перегруппировки украинских войск и национальных батальонов на оборонительных позициях)
Vale la pena di riportare il finale del comunicato
Siamo costretti a rivolgerci direttamente alla vice premier di Ucraina Bereshchuk (Irina Andreevna, NdT), con cui nei giorni passati abbiamo lavorato intensamente e alle cui richieste abbiamo risposto positivamente in toto: se il regime di Kiev vi ha coinvolto in questa operazione solo per creare condizioni di difesa più favorevoli ai nazisti, ditelo chiaramente, e di persona, al popolo ucraino, che darà al vostro operato la sua valutazione politica.
— Вынуждены обратиться напрямую к вице-премьеру Украины Верещук, с которой мы прошедшие сутки интенсивно взаимодействовали и выполнили все ее пожелания и просьбы: если киевский режим втянул вас в операцию по созданию более благоприятных условий обороняющимся нацистам, лично скажите об этом украинскому народу, который даст вашим действиям свою политическую оценку
Nonostante la pesantezza delle conseguenze del fallimento dell'odierna operazione umanitaria, siamo pronti a lavorare con ancora maggior pazienza e determinazione con i rappresentanti di Ucraina e delle organizzazioni internazionali per un'immediata soluzione della crisi umanitaria.
— Несмотря на тяжесть последствий срыва сегодняшней гуманитарной операции, мы готовы и дальше терпеливо и настойчиво работать с представителями Украины и международными организациями по немедленному разрешению кризисной гуманитарной ситуации.
aggiornamenti a seguire.