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antropocene

Procedere verso l'utopia o precipitare verso il disastro?

di Michael Roberts

Il peana al capitalismo di un grande economista sottace le gravi disuguaglianze, le guerre e la devastazione ecologica

Capitalism1Bradford DeLong è uno degli economisti keynesiani e storici dell’economia più importanti del mondo, professore di Economia all'Università della California, Berkeley. DeLong è stato vice segretario aggiunto del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti nell'amministrazione Clinton, sotto Lawrence Summers. È un tipico democratico liberale nella politica statunitense e un keynesiano classico in economia.

Recentemente ha pubblicato un libro intitolato Slouching Toward Utopia. An History of the Tweintieth Century. Si tratta di un lavoro ambizioso che mira ad analizzare e spiegare lo sviluppo dell'economia capitalistica in quello che considera il suo periodo di maggior successo, il XX secolo.

In particolare, DeLong afferma che il capitalismo come forza progressiva per lo sviluppo dei bisogni dell'umanità è decollato solo dal 1870 fino alla Grande Recessione del 2008-9, che ha completato quello che lui chiama il «lungo ventesimo secolo». Quali sono le ragioni che hanno consentito al capitalismo di garantire una crescita economica più rapida e un salto di qualità nel tenore di vita dal 1870 in poi? Secondo DeLong, la comparsa di tre fattori «la globalizzazione, il laboratorio di ricerca industriale e la moderna impresa». Questi fattori «hanno dato avvio a cambiamenti che hanno cominciato a trarre fuori il mondo dalla terribile povertà che era stata la sorte dell'umanità nei precedenti diecimila anni, sin dalla scoperta dell'agricoltura». La crescita si deve quindi all'espansione del capitale e delle economie di mercato dall'emisfero settentrionale al resto del mondo, all'introduzione di nuove tecnologie e scoperte scientifiche e alle moderne aziende che le hanno sviluppate per il mercato.

In effetti, DeLong afferma che il capitalismo si è impegnato durante il XX secolo a migliorare le sorti dell'umanità, nonostante due terribili Guerre mondiali, incessanti conflitti regionali e lo sfruttamento intensivo del mondo da parte delle multinazionali. Ma questo «lungo ventesimo secolo» si è concluso nel 2010, con le economie capitalistiche avanzate «incapaci di far riprendere la crescita economica a un ritmo vicino alla media che era stata la regola dal 1870».

DeLong afferma che, per il capitalismo nel suo lungo XX secolo, «le cose sono state meravigliose e terribili, ma, per gli standard di tutto il resto della storia umana, molto più meravigliose che terribili». Esso è stato il secolo «che ci ha visto porre fine alla povertà materiale quasi universale». Il capitalismo ha avuto successo durante questo lungo secolo innanzitutto grazie al potere del mercato, rispetto al fallimento della “pianificazione”, come nel caso dell'Unione Sovietica. Per questo, dice DeLong, possiamo ringraziare «il geniale filosofo morale austro-inglese-chicagoano Friedrich August von Hayek, simile a un dottor Jekyll», che ha osservato che «l'economia di mercato crea – incentiva e coordina alla base – le soluzioni ai problemi che pone». Una volta che il capitalismo ha avuto le istituzioni giuste per l'organizzazione, la ricerca e le tecnologie, ed è stato completamente globalizzato, questo «ha aperto la porta che aveva precedentemente tenuto l'umanità in una terribile povertà. Il problema di rendere ricca l'umanità poteva ora essere posto all'economia di mercato, perché ora aveva una soluzione».

Così il capitalismo sembrava correre verso l'utopia che molti bramavano: assenza di povertà e libertà dalla fatica – un'utopia che Keynes aveva sostenuto essere probabile (entro il 2022) quando, nel 1931, tenne una lezione ai suoi studenti dell'Università di Cambridge contro il comunismo e a favore dell’utopia scientifica di una società del tempo libero.

Quali sono le prove del successo del capitalismo nel XX secolo? Beh, sembrano convincenti. Secondo le migliori stime statistiche di cui disponiamo, DeLong sostiene che l'economia mondiale è cresciuta solo dello 0,45% all'anno (misura del PIL reale) prima del 1870. Ma dopo quella data ha accelerato fino al 2,1% all'anno in media fino al 2010. E «una crescita media del 2,1% per i 140 anni dal 1870 al 2010 è una moltiplicazione di un fattore sbalorditivo di 21,5». Se teniamo conto della popolazione, il reddito medio mondiale pro capite nel 2010 è stato circa 8,8 volte quello del 1870. DeLong conclude che si tratta di «un'indicazione molto approssimativa della quantità di ricchezza dell'umanità nel 2010 rispetto al 1870».

La tesi di DeLong si basa sulla sua scelta del 1870 come spartiacque nello sviluppo del capitalismo. E ci sono alcune prove a favore di questa scelta, come dimostrano i suoi dati. Ma mi sembra comunque una scelta arbitraria. A partire dal primo periodo del capitalismo agricolo, a metà del XVII secolo, che vede alla guida l'Inghilterra e l'Olanda repubblicane, la crescita economica è aumentata più rapidamente rispetto al periodo medievale. Naturalmente, è vero che anche la crescita demografica è decollata e, almeno fino all'inizio del XIX secolo, ha tenuto il passo o addirittura superato la crescita economica, cosicché il reddito pro capite non è aumentato in modo apprezzabile, giustificando apparentemente l'analisi malthusiana (e la prescrizione reazionaria di Malthus di accettare alti tassi di mortalità in un mondo infausto).

Ma Malthus si sbagliava. Il modo di produzione capitalistico, in particolare nella sua fase industriale a partire dagli inizi del XIX secolo, ha accelerato la produttività del lavoro e anche la produzione nazionale complessiva. In effetti, come sottolinea DeLong, già nel 1848 Karl Marx e Friedrich Engels avevano intuito che il modo di produzione capitalistico era una forza prometeica che avrebbe sviluppato le «forze produttive» in modo drammatico. DeLong riporta una citazione di Marx ed Engels del 1848 sul capitalismo: «Durante il suo dominio appena secolare, … ha creato forze produttive in massa molto maggiore e più colossali che non avessero mai fatto tutte insieme le altre generazioni del passato. Il soggiogamento delle forze naturali, le macchine, l'applicazione della chimica all'industria e all'agricoltura, la navigazione a vapore, le ferrovie, i telegrafi elettrici, il dissodamento d'interi continenti, la navigabilità dei fiumi, popolazioni intere sorte quasi per incanto dal suolo – quale dei secoli antecedenti immaginava che nel grembo del lavoro sociale stessero sopite tali forze produttive?».[1]

Ma DeLong aggiunge una precisazione a proposito di questo apparente successo: «Non dimenticate mai che le ricchezze erano distribuite in modo molto più diseguale nel mondo nel 2010 di quanto non lo fossero nel 1870». E tale precisazione ci conduce a una contraddizione molto importante nell'analisi di DeLong. Sì, in media le persone nel passato erano molto più "povere" di quelle di oggi. Si stima che nel 1820 il PIL mondiale pro capite fosse di circa 1.102 dollari all'anno, e questo già dopo che alcune regioni del mondo avevano raggiunto una certa crescita economica. Per tutte le centinaia, e in realtà migliaia, di anni prima del 1820, il PIL medio pro capite era ancora più basso.

GDP 1820 2018

Ma Marx ed Engels sottolineavano anche un altro aspetto: vale a dire il lato oscuro del capitalismo: la sua eliminazione dei beni comuni; la tendenza da parte del capitale a sfruttare la popolazione attiva; la rabbiosa espansione dell'assoggettamento politico ed economico di miliardi di persone nelle economie meno sviluppate, generando guerre sempre più violente di natura globale; e la crescente distruzione della natura e del pianeta. DeLong sorvola su queste contraddizioni.

DeLong sostiene che «oggi, meno del 9% dell'umanità vive con un tenore di vita pari o inferiore ai circa due dollari al giorno che consideriamo “estrema povertà”», rispetto al 70% circa del 1870. E anche tra quel 9%, aggiunge, molti hanno accesso alla sanità pubblica e alle tecnologie di comunicazione della telefonia mobile di enorme valore e potenza. Il fatto che DeLong accetti senza dubbi il livello di povertà fissato dalla Banca Mondiale (2 $ al giorno!) o non dimostri che, se non fosse stato per l'espansione della produzione pro capite in Unione Sovietica nella prima parte del “secolo lungo” o per la crescita senza precedenti del colosso demografico cinese nell'ultima parte del secolo, la povertà (anche secondo le misure della Banca Mondiale) non sarebbe diminuita di una percentuale intorno al 9%. In effetti, per molte regioni del mondo, il divario tra esse e le nazioni «più fortunate» (DeLong) del Nord del mondo non si è affatto ridotto. Per non parlare delle disuguaglianze all'interno delle nazioni – che ho ben documentato da molte fonti in molti articoli precedenti.

DeLong afferma: «Nel 2010, la tipica famiglia umana non ha più come problema più urgente e importante quello di procurarsi cibo, riparo e vestiti sufficienti per l'anno o la settimana successiva». Davvero? Di quale famiglia «tipica» parla? – Forse nel paese di Delong, gli Stati Uniti – sebbene anche questo potrebbe essere messo in discussione. Ma come può essere il caso dei quattro miliardi di persone che rimangono al di sotto di quello che chiunque considererebbe un livello di povertà più realistico (diciamo, $ 10 al giorno).

Il libro di DeLong si intitola Slouching Towards Utopia. A quanto pare, l'onnipotente capitalismo del XX secolo ha rallentato fino a scomparire e l'utopia sembra una prospettiva sempre più lontana nel XXI secolo. DeLong spiega perché: l'economia mondiale è ancora mediata dall'economia di mercato. Sebbene la divisione del lavoro in questa economia di mercato abbia avuto molto successo, «il problema è che non riconosce agli esseri umani altri diritti se non quelli che derivano dalla proprietà che i governi affermano di possedere. E questi diritti di proprietà valgono qualcosa solo se aiutano a produrre cose che i ricchi vogliono comprare. Questo non può essere giusto». Quindi il capitalismo riconosce solo i diritti di proprietà e non i diritti fondamentali dell'umanità.

DeLong sarebbe più vicino alla realtà se l'avesse formulato in modo diverso. Il capitalismo è un sistema di sfruttamento in cui i proprietari dei mezzi di produzione (meno dell'1% di tutti gli adulti) sfruttano il restante 99% che non possiede i mezzi di produzione (sebbene possa avere qualche proprietà personale) e quindi deve vendere la propria forza-lavoro per vivere.

Naturalmente, questa visione marxista della contraddizione nel capitalismo non è quella di DeLong. Per DeLong, il problema del capitalismo è che indirizza la produttività solo verso il profitto e i diritti di proprietà e non nell’interesse dell'umanità nel suo complesso. Certamente! Ma DeLong non offre nessuna alternativa a ciò per il XXI secolo, se non quella che il mondo avrà bisogno di una nuova ideologia, citando il suo eroe Keynes: «Ci manca più del solito uno schema coerente di progresso, un ideale tangibile. Tutti i partiti politici si fondano su idee vecchie e non nuove, e nessuno più evidentemente dei marxisti».

Nella ricerca di nuove idee, però, DeLong ricorre a quelle vecchie: la classica ricetta keynesiana per i capricci dell'economia di mercato: «i governi devono governare, e governare con competenza». Ma nemmeno questo ha assicurato il progresso verso l'utopia dopo la Grande Recessione. I governi hanno gestito «con mano pesante... e le istituzioni politiche del Nord del mondo non hanno nemmeno iniziato ad affrontare il problema del riscaldamento globale. Il motore della crescita della produttività aveva cominciato a bloccarsi. E i grandi e bravi del Nord del mondo stavano per fallire nel dare la priorità a un rapido ripristino della piena occupazione, senza riuscire a comprendere e gestire il malcontento che avrebbe portato alla ribalta in tutto il pianeta politici neofascisti e fascisti negli anni 2010».

Per DeLong, è proprio l'incapacità dei “grandi e buoni” di applicare le giuste politiche di gestione all'economia di mercato con un tocco abile la ragione per cui la corsa verso l'utopia si è trasformata in un fiasco. Ma non offre alcuna spiegazione dell'incapacità dei governi a gestire l'economia di mercato. E non offre alcuna spiegazione del perché la produttività del lavoro, anche nelle economie capitalistiche avanzate, è rallentata a passo d’uomo (ben prima dello spartiacque del 2010).

Come ha affermato lo storico di sinistra Adam Tooze nella sua recensione del libro di DeLong: «Il titolo stesso è eloquente. Slouching towards utopia ? Se l'utopia fosse in vista, il nostro problema sarebbe davvero procedere? La grande preoccupazione in questo momento è il timore che il XX secolo ci abbia fatto precipitare verso un disastro collettivo... per evitare il disastro, possiamo aspettarci che la formula del XX secolo di DeLong – laboratori, corporations, mercati e governo saggio – sia sufficiente?


Traduzione di Alessandro Cocuzza - Redazione di Antropocene.org

Fonte: Climate&Capitalism 25.10.2022

Note:
[1] N.d.T. Qui ho ripreso la classica traduzione di E. Cantimori Mezzomonti del Manifesto del Partito comunista, da cui è tratto il passo citato. Ed. Laterza, Roma-Bari, 1976, p. 62. DeLong non riporta la precisazione «dominio di classe». Michael Roberts, a sua volta, parla di capitalismo e non di borghesia, come nell’originale, perché naturalmente i due termini qui sono sinonimi. 

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