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Per fermare le speculazioni, le banche in crisi vanno nazionalizzate

di Enrico Grazzini

Le continue crisi bancarie e finanziarie occidentali sono causate della privatizzazione del sistema bancario e della sua tendenza alla speculazione e al profitto. Le banche dovrebbero essere nazionalizzate in caso di crisi

finanza02Perché il crollo delle banche? Le banche fanno finanza e speculano con i soldi dei risparmiatori. Per superare la crisi occorre nazionalizzare le banche in crisi e separare nettamente il credito dalla finanza.

Di fronte alla semplice ma fondamentale domanda sul perché in Occidente scoppiano continue gravi crisi bancarie e finanziarie che mettono in pericolo tutto il sistema economico capitalista, la risposta è una sola: perché il sistema bancario è ormai del tutto privatizzato e punta solo al profitto e alla speculazione. Nei cosiddetti trenta Gloriosi, dal 1945 al 1975, il sistema bancario europeo e italiano era sostanzialmente pubblico e a direzione pubblica, e le crisi bancarie si contavano sulle dita di una mano ed erano limitate e circoscritte. Non scoppiavano continue e sempre più gravi crisi sistemiche. Le banche facevano credito alle industrie nazionali. Il risparmio nazionale serviva allo sviluppo del Paese e la fuga dei capitali speculativi era proibita. Anche nei paesi anglosassoni con sistema bancario completamente privato le banche erano regolamentate come servizio pubblico: era loro impedito di entrare nel mercato finanziario. In Europa il credito – in gran parte pubblico – ha reso possibile la ricostruzione post-bellica e il miracolo economico italiano e tedesco. Lo sviluppo economico europea di allora cresceva con tassi di aumento pari a quelli cinesi. In Italia le principali banche nazionali – Comit, Credito Italiano e Banca di Roma – erano pubbliche e facevano capo all’IRI. Il credito nei Trenta Gloriosi del dopoguerra, con tutti i suoi difetti e gli scandali, era orientato allo sviluppo della produzione nazionale nell’interesse nazionale. E con la produzione cresceva l’occupazione e il benessere.

L’Italia è uscita dalla povertà grazie alle banche pubbliche e in tutto l’Occidente, grazie al sistema del credito di interesse pubblico, l’economia del benessere ha prodotto il ceto medio benestante, il bastione delle democrazie liberali.

Mio padre era un dirigente della Banca Commerciale, della Comit, forse la miglior banca italiana, rifondata alla fine della Seconda Guerra Mondiale e dopo la sconfitta del fascismo da Raffaele Mattioli, un grande banchiere, un antifascista convinto che corrispondeva con Piero Sraffa, e che ha contribuito a salvare i Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci. Mio padre era un uomo integerrimo e risparmioso, molto prudente in tutte le sue scelte, contrario alle avventure finanziarie e agli avventurieri (non apprezzava, per intenderci, tipi come Silvio Berlusconi), era anti-fascista ma conservatore di destra, grande ammiratore di Giovanni Malagodi del Partito Liberale Italiano. La generazione di banchieri all’interno delle banche pubbliche nate nel dopoguerra era per gran parte di quella pasta: severa, onesta, disciplinata, conservatrice, anti-comunista, attenta al valore del denaro, felice di avere contribuito in maniera essenziale alla ricostruzione del loro Paese, e istintivamente contro ogni tipo di avventura speculativa. Mio padre si considerava come una sorta di funzionario pubblico che doveva custodire e proteggere con cura e con profitto “i soldi degli altri”, quelli dei risparmiatori che avevano affidato i loro denari alla banca. I banchieri di oggi considerano invece “i soldi degli altri” solo uno strumento per arricchirsi perché le banche private hanno, come qualsiasi altra azienda, come obiettivo solo il profitto (mettendo a rischio i soldi degli altri). Grazie all’attività professionale di mio padre la nostra famiglia è vissuta nel benessere e molto attenta ai valori civici.

Dagli anni Ottanta in poi tutto è cambiato. Grazie alla spinta decisiva della politica ultraliberale, da quando Ronald Reagan e Margharet Thatcher, e poi anche i “democratici” Bill Clinton e Tony Blair hanno liberalizzato completamente il sistema finanziario, la finanza passa da un crack all’altro senza che nessuno sia in grado di attuare delle vere riforme. Il sistema bancario europeo è stato americanizzato e le banche globali, come Credit Suisse, da allora hanno come unico ed esclusivo scopo quello di fare rapidamente più soldi possibile e, secondo i precetti di Milton Friedman, l’economista liberale amico del generale Pinochet, di “aumentare il valore degli azionisti”. Gli azionisti delle grandi banche globali sono una ristretta elite di società finanziarie di provenienza anglosassone, araba, europea, giapponese, cinese, spesso con sede nei grandi paradisi fiscali (tra cui soprattutto la Svizzera). La grande finanza domina sul credito e non ha certamente come obiettivo lo sviluppo economico delle nazioni. Anzi, prospera sui debiti degli Stati.

Credit Suisse ha tra i principali azionisti: BlackRock, un colosso americano che gestisce fondi per 10 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari, fondi più grandi del PIL di Germania, Francia, Italia e Spagna messe insieme; Olayan Group, con sede in Arabia Saudita; Qatar Holding LLC dell’emirato del Qatar; Saudi National Bank. È sostanzialmente una banca araba/internazionale salvata dalla Banca Nazionale Svizzera, la banca centrale della Confederazione Elvetica. La Banca Nazionale Svizzera ha deciso di coprire con decine di miliardi i buchi di Credit Suisse garantendo così anche i depositi dei ricchi finanzieri arabi e dei finanzieri di tutto il mondo che là depositano in grande segreto i loro soldi nei fondi di “wealth management” (“gestione della ricchezza”) della banca. Infatti il governo confederale non vuole perdere agli occhi del mondo lo status della Svizzera come principale rifugio dei grandi capitali di tutto il mondo. La Svizzera è tuttora il più grande paradiso fiscale del globo e deve mantenere la sua fama. Così al danno per i contribuenti svizzeri si aggiunge anche la beffa.

Dagli anni 80 è cambiato il mondo: i business sono diventati globali e il mondo degli affari è stato liberalizzato e deregolamentato. Gli animal spirits sono usciti dalla gabbia e il risultato è la cupidigia, il caos e la crisi. Le grandi banche sono diventate solo delle macchine per fare soldi sui mercati internazionali: e grandi e rapidi profitti si possono fare solo nella speculazione finanziaria e immobiliare. Così le grandi banche, come Credit Suisse e tutte le banche globali che gestiscono centinaia e migliaia di miliardi di euro, si sono trasformate in società finanziarie e speculative che fanno leva sui depositi dei risparmiatori per guadagnare più soldi possibile sui mercati globali, quasi sempre incuranti dei rischi. Infatti la sacra legge della finanza è: più rischi più puoi guadagnare (o perdere). È ovvio che questo sistema è strutturalmente incline alla truffa. Credit Suisse ha investito in società come Greensill e Archegos Capital, fallite nel 2021 con perdite per miliardi di dollari; e è stata accusata di riciclaggio di denaro, con la scoperta di 18 mila conti segreti, inclusi quelli intestati a criminali, dittatori ed evasori fiscali, come ha rivelato l’inchiesta giornalistica internazionale «Suisse Secrets» nel febbraio 2022. Il problema è che gli scandali sono all’ordine del giorno in questo mondo finanziario dedito all’avidità e alla ricerca del profitto facile. In questo senso i film come “La grande scommessa” e “Wall Street” di Oliver Stone spiegano la finanza attuale molto meglio dei manuali accademici di economia e degli economisti mainstream più blasonati che vaneggiano sulla “efficienza dei mercati” finanziari. Il risultato è che l’economia occidentale frena, che le crisi finanziarie sono sempre più frequenti, diffuse e rovinose, che provocano fallimenti di migliaia di imprese e gettano nella disperazione milioni di famiglie colpite dalla povertà e dalla disoccupazione.

In Svizzera come in Europa la crisi delle banche è potenzialmente dirompente perché le leggi europee, con qualche differenza rispetto a quelle americane, consentono e promuovono le banche cosiddette “universali”, ovvero le banche che da una parte raccolgono i soldi e i depositi dei risparmiatori, dall’altro operano nel settore della grande finanza per conto proprio e per conto terzi. In Italia prima della legge del 1993 – emanata nell’anno del trattato di Maastricht per aderire alle direttive comunitarie in vista della formazione dell’Unione Europea – la banca universale era proibita. Le banche che raccoglievano i depositi dei risparmiatori non potevano fare finanza. Ma poi, grazie all’Unione dell’Europa liberista, anche l’Italia ha aderito al modello della banca universale. Il Monte dei Paschi di Siena raccoglieva da una parte i depositi dei risparmiatori e dall’altra stipulava contratti derivati con Deutsche Bank e la nipponica Nomura. Il conflitto di interesse delle banche universali è evidente. In pratica, grazie al modello delle banche universali, le banche possono usare i soldi dei risparmiatori per speculare e arricchire gli azionisti e il top management delle banche. Da qui la corsa dei risparmiatori per ritirare i depositi e trasformarli in banconote, la moneta di Stato che è sempre la più sicura.

Quando ci si chiede perché il sistema bancario attuale continua a generare continue e sempre più frequenti e rovinose che si abbattono sulla povera gente e che rovinano l’economia, abbassano i redditi delle famiglie e provocano milioni di disoccupati, per rispondere non occorre essere professori dell’università Bocconi e grandi studiosi di tecnica bancaria e finanziaria: basta osservare la realtà e conoscere la storia per comprendere che oggi e da qualche decennio le banche vogliono solo offrire ai loro azionisti quante più plusvalenze e dividendi possibile, subito, nel breve periodo, perché la competizione in borsa e nei mercati finanziari internazionali è spietata.

Oggi i banchieri, negli USA come in Europa, sono per la maggiore parte avventurieri spericolati che manovrano i loro capitali per arricchirsi facendo più soldi possibile nel più breve tempo possibile. Lo Stato non controlla più nulla della finanza ma, anzi, è controllato dalla finanza. Tuttavia il grande capitale cosmopolita, che fa affari a Hong Kong come a Francoforte, a Londra come a New York, a Shangai come a Tokio, quando va in crisi chiede necessariamente i soldi al papà, allo Stato d’origine. Il grande capitale cosmopolita quando è in crisi chiede i soldi allo Stato nazionale e diventa improvvisamente “nazionalista”. E lo Stato lo accontenta. Le grandi banche sanno di essere comunque garantite e protette dallo Stato, dalle banche centrali e dal mondo politico in generale. Anche da qui la crisi strutturale delle banche e del finanzcapitalismo.

L’unica soluzione è che le banche tornino a avere compiti statutari di servizio pubblico, tornino a operare per lo sviluppo economico e il benessere nazionale, sociale e ambientale. Il profitto e la massimizzazione del valore non devono più essere gli unici obiettivi degli istituti di credito. Lo Stato, il rappresentante democratico della comunità nazionale, deve riprendere il controllo della finanza e del sistema bancario. Il sistema monetario dovrebbe diventare quello che è per sua natura, un bene pubblico. Solo con riforme radicali di sistema si può uscire dalla crisi. Altrimenti il caos del Casinò Capitalism, il capitalismo delle scommesse, il capitalismo bordello, come lo chiamava la grande economista Susan Strange già negli anni 90, continuerà a rovinare le nostre esistenze. Per capire come uscire dalla crisi basta ricordarsi che una volta le banche migliori erano a partecipazione pubblica, non avevano come solo obiettivo quello indicato dall’ultra liberista Milton Friedman, arricchire gli azionisti. Le banche erano considerate istituti di servizio pubblico; attualmente invece le banche hanno un solo scopo: quello di raggiungere il massimo profitto nel minor tempo possibile sapendo che comunque sono assicurate e garantite dai soldi pubblici dallo Stato e delle banche centrali, le garanti del sistema e dei suoi fallimenti.

Che fare allora? Occorre separare le banche di deposito da quelle speculative, come fece il grande Franklin Delano Roosevelt un secolo fa con il Glass-Steagall Act– e come disfece poi Bill Clinton nel 1999 con il Gramm Leach Bliley Act. Occorre deglobalizzare il sistema bancario e la finanza; le banche dovrebbero ritornare a funzioni di servizio pubblico per servire le attività produttive e l’economia nazionale. Oltre il 95% del capitale investito all’estero viene investito per titoli speculativi non per attività produttive. La fuga di capitali speculativi dovrebbe tornare a essere proibita: bisognerebbe applicare subito una Tobin Tax generalizzata per frenare i capitali speculativi che diffondono infezioni finanziarie in tutto il mondo.

Il credito non deve avere come scopo quello di fare guadagnare i grandi banchieri e la grande finanza ma quello dello sviluppo delle attività produttive. Finché la politica non si emanciperà dal dominio della finanza e non riprenderà il controllo del sistema monetario e bancario non ci potrà essere nessuna vera riforma e il sistema sarà sempre a rischio. È impossibile riformare il sistema a livello globale: le riforme incisive possono partire solo a livello nazionale. Le banche in crisi devono essere non solo salvate dallo Stato ma devono essere nazionalizzate. Non devono essere risanate e poi, dopo avere speso i soldi dei contribuenti per rimetterle in sesto, rivendute sane ai privati, come si è voluto (inutilmente) fare con il Monte dei Paschi di Siena. Le banche nazionalizzate devono diventare banche pubbliche di sviluppo. Però se l’opinione pubblica non si sveglia nulla potrà cambiare. Purtroppo in Italia gran parte dei media dipende direttamente o indirettamente dalle grandi banche. È per questo che la corretta informazione e i media indipendenti acquistano un ruolo fondamentale.

Comments

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Pantaléone
Sunday, 26 March 2023 00:44
Il capitalismo del XXI secolo; guerre per procura fino all'ultimo ucraino indebitato fino alla morte, sotto la rapacità della rendita finanziaria.
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Pantaléone
Sunday, 26 March 2023 00:28
Il capitalismo d'affitto funziona saccheggiando e spogliando la società. Questo può continuare solo finché c'è una società da saccheggiare e distruggere. Quando non c'è più una società da distruggere, la società crolla dall'interno.
I saggi dell'antichità conoscevano questo problema della schiavitù attraverso il debito dell'intera società.

Ciro - e la sua iscrizione sul cilindro di Ciro - si vantava di aver liberato i Babilonesi dai loro debiti e dagli obblighi fiscali, e abbiamo gli ebrei post-esilici che proclamano il d'ror [דְּרֹ֛ור] in Levitico 25, proclamando "libertà in tutto il paese". Abbiamo anche le riforme di Cleisto ad Atene, l'isonomia [ἰσονομία, letteralmente, l'uguaglianza davanti alla legge], un autentico tentativo di democrazia.

La situazione cambiò con Roma, che crebbe saccheggiando altre terre, mantenendo una casta senatoriale a proprio vantaggio, un'economia di saccheggio, che letteralmente crollò quando non c'era più nulla da saccheggiare.

Il condono del debito e il giubileo erano una sorta di protezione contro le malefatte estremamente devastanti di un'oligarchia predatoria.

Quello che chiamano "libero mercato" è un'economia monolitica, non mescolata, pianificata e finanziarizzata a livello centrale, con la libertà per l'oligarchia di impoverire il resto della società.

Non abbiamo strumenti politici per presidiare questi tiranni, che hanno pieno potere sulla società.
Non abbiamo strumenti politici per proteggere questi tiranni, che hanno pieno potere sulla società.
Non abbiamo alcuna protezione di questo tipo nell'odierna civiltà occidentale.
Abolire il debito tabula rasa, uno clean slate o morire!
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Vincenzo pagano
Saturday, 25 March 2023 23:41
Ci vuole un nuovo Ferdinand Pecora il grande italo-americano che non solo facilito' l'operato di Franklyn Delano Roosevelt nel separare il ruolo delle banche ma mando' in galera i grandi banchieri collusi con la finanza.
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