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La Cina ora scappa dai titoli Usa, Geithner pessimista

di Francesco Piccioni

cina1Era nominata sottovoce, evocata con il timore reverenziale che si deve provare davanti a una «bomba atomica». Ora la miccia è stata accesa. Il flusso di capitali verso gli Stati Uniti è drasticamente calato nel mese di aprile, segnando un saldo positivo di appena 11,2 miliardi di dollari. Un'inezia, per un paese abituato da anni a vedere affluire mensilmente tra i 50 e i 70 miliardi di capitali freschi, orientati verso i «super.sicuri» titoli di stato a lungo termine o verso il più rischioso mercato azionario (Wall Street). Solo a marzo erano entrati 55,4 miliardi in più di quanti ne erano usciti.

Stavolta i titoli del tesoro detenuti da investitori internazionali sono diminuiti di 44,5 miliardi di dollari. E per la prima volta sono diminuiti quelli in possesso della Cina, ormai il primo creditore degli Usa. E solo pochi giorni fa Pechino aveva chiesto al governo Usa di «garantire la sicurezza degli investimenti cinesi» in America. Si tratta della prima manifestazione concreta di un'intenzione che - insieme a Russia, Giappone, Brasile, India - era già stata espressa in modo chiaro: «differenziare gli investimenti» e cercare un'alternativa al dollaro come moneta di riserva globale. Ma anche Russia e Giappone hanno agito, in aprile, nello stesso modo, sia pure su cifre minori. La Cina, del resto, deve fare i conti con una sistematica riduzione degli investimenti esteri sul proprio territorio (-17,8% rispetto al 2008), che la costringono a far rientrare quel che serve per alimentare una crescita tuttora fortissima (intorno all'8% annuo).

Questa fuga, per gli Usa, è però di eccezionale gravità: dall'acquisto di titoli di stato dipende infatti la possibilità di rifinanziare il crescente debito pubblico, stressato dalla necessità di intervenire per salvare le banche «troppo grandi per fallire». L'affidabilità di questo debito, già dubbia, potrebbe a questo punto essere messa seriamente in discussione dalle società di rating, costringendo il tesoro usa a offrire rendimenti ancora più alti (e più costosi per le casse pubbliche).

 

Lo stesso segretario al Tesoro, Tim Geithner, è apparso ieri molto preoccupato sugli sviluppi futuri dell'economia Usa. «Siamo di fronte a sfide enormi», «c'è ancora parecchia strada da fare», «è ancora troppo presto per parlare di uscita dalla crisi», e «la disoccupazione potrebbe aumentare anche in presenza di una ripresa, che probabilmente sarà più lenta di quanto ci si aspetti». E questo anche se «ora i rischi di aggravamento sono più bassi», dopo gli interventi di sostegno. E' vero che il Fondo monetario internazionale ha rivisto per la prima volta, dopo mesi, al rialzo le stime sull'andamento Usa: -2,5% quest'anno (prima era previsto -2,8) e +0,7 nel 2010 (prima si pensava a 0). Ma questo segnale di speranza di è scontrato con l'indice manifatturiero Empire State, calato a -9,1, mentre ci si attendeva che restasse intorno a un comunque negativo -4,5.

Dall'Europa, contemporaneamente, è arrivato l'allarme della Bce sulle svalutazioni che le banche dovranno ancora effettuare a causa dei «titoli tossici» rimasti nei loro bilanci: 283 miliardi di euro, che si andranno ad aggiungere ai 366 già registrati dall'inizio della crisi finanziaria. Le borse mondiali, che da tre mesi crescevano in attesa miracolistica della «ripresa», non l'hanno presa affatto bene: hanno perso tutte mediamente il 3%.

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