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Article Index

 

 

5) Italia. Propaganda e fallimenti del governo Renzi.

Nei mesi scorsi abbiamo assistito ad un coro si struzzi inneggianti alla ripartenza dell’Italia grazie alle ricette miracolose del governo Renzi. La ripartenza si manifesterebbe: a) nella ripresa del PIL; b) nella riduzione della pressione fiscale che rilancerebbe i consumi; c) nella ripresa dell’occupazione soprattutto a tempo indeterminato; d) nell’attuazione delle mitiche riforme.

Balle colossali.

Il nostro PIL è caduto di circa 10 punti durante la crisi e nel 2015 avremo una ripresa dello 0,7-08% 140 , con questo ritmo per tornare ai livelli pre-crisi ci vorrebbero 10-12 anni; se la signora Lagarde 141 considera mediocre una crescita mondiale del 3,5% è facile supporre cosa penserà l’elegantissima signora del nostro 0,8%: spazzatura (la signora è troppo elegante per usare la parola del generale Cambronne).

Il calo della pressione fiscale (volto rilanciare i consumi) sarebbe avvenuto con la svolta epocale degli € 80 concessi nel 2014 ai lavoratori dipendenti (alla vigilia delle elezioni europee), epperò a fine anno l’ISTAT ci fa sapere che la pressione fiscale nel 2014 era al 43,6% del PIL contro il 43,5% dell’anno precedente; un po’ diverse le stime dell’OCSE che a fine 2015 valuta la pressione del 2014 al 43,6% contro il 43,9% dell’anno precedente, in questo caso avremmo una lievissima limatura del tipo posta in luce dal grande Gaetano Salvemini che soleva dire che certe riforme consistono nel limare le unghie alle cimici, anche perché lo stesso istituto ci dice che siamo al quinto posto (tra i componenti dell’OCSE) come pressione fiscale che è in media al 34,4% del PIL, per portarci a livello medio di quell’area ci vorrebbero 140 miliardi di € di sgravi fiscali, l’entità del problema è proprio questa, per chi non l’avesse capito, e il cancro al cervello non si combatte con l’aspirina.

Ovviamente la frustrata ai consumi attesa nel 2014 non c’è stata 142 e ciò perché anche in questo caso per far ripartire i consumi stessi ci voleva ben altro. Nel periodo 2004-2014 infatti i consumi sono cresciuti complessivamente solo del 4,5% (lo 0,45% l’anno) un ristagno di lungo periodo per nulla inspiegabile: in Italia salari e stipendi sono da tempo in caduta libera 143 , le pensioni sono misere basti pensare che secondo l’INPS il 40,3% dei pensionati nel 2014 guadagnava meno di 1000 euri lordi mensili e le prospettive futuro sono anche più fosche: il prof. Boeri, presidente dell’INPS ha rilevato di recente che con gli attuali trend dovremo lavorare fino a 75 anni per avere pensioni inferiori del 25% a quelle attuali, ma forse è stato ottimista nel senso che l’ISTAT ha certificato che chi è andato in pensione nel 2014 ha ottenuto un assegno inferiore di € 3.000 annui rispetto a quello dei pensionati dell’anno precedente, non sembra dunque che dovremo attendere il 2050 perché si realizzi il taglio ipotizzato dal prof. Boeri.

A questo si aggiunge la pressione fiscale selvaggia documentata da ISTAT e OCSE, e andrebbero considerate anche delle forme occulte di tassazione come il ricorso alle proprie tasche per pagarsi le cure mediche in proprio: il Censis ha evidenziato ( Rapporto 2015 ) che 4 italiani su 10 ritengono che la sanità pubblica sia peggiorata, sicchè per evitare file lunghissime di attesa pagano in proprio le cure, 7 milioni di persone fanno debiti per questo e la spesa sostenuta sarebbe pari al 18% della spesa sanitaria, una tassa occulta pesantissima. Per rilanciare i consumi occorrerebbe far crescere i salari a cominciare da quelli della PA (per i quali il governo offre dopo anni di blocco qualcosa come € 5,00 lordi mensili a testa) occorrerebbe tagliare le tasse in ragione di 20 miliardi l’anno per 7 anni al fine di raggiungere la media OCSE e occorrerebbe altresì rilanciare massicciamente l’occupazione, senza misure di questo genere la ripresa dei consumi è utopica, il fatto è che con un debito pubblico che è al 133% del PIL (sottostimato) misure di questo genere sono impensabili.

Quanto alla ripresa dell’occupazione, il jobs act e la decontribuzione dei nuovi assunti avrebbero permesso di ridurre la disoccupazione all’11,3% - 11,5% a fine anno. Ora questi provvedimenti sono partiti all’inizio del 2015 ed è possibile farne un bilancio: “Prendiamo marzo allora i lavoratori stabili erano 14.550.000 ad ottobre scorso erano 14.527.000, fanno 23.000 in meno (…) a dicembre 2014 i contratti a tempo determinato erano 2.308.000, a marzo 2.296.000, Ad ottobre scorso erano 2.486.000. tiriamo le somme: nei primi 10 mesi dell’anno in corso 178.000 lavoratori precari in più rispetto al fine 2014 e 190.000 in più rispetto al mese di esordio del jobs act . Per ottenere questo bel risultato lo Stato ha speso 3 miliardi per decontribuzione 144 ”. Per quanto concerne l’occupazione in generale si osserva: gli occupati erano 23.200.000 nell’aprile 2008, ora sono 22.443.000. E’ vero siamo saliti di 310.000 rispetto al settembre 2013 ma sono ancora 800.000 in meno di 7 anni fa, livello che, quand’anche fosse raggiunto, vedrebbe l’Italia con un tasso di occupazione quasi 10 punti sotto la media UE 145 . Inoltre gli inattivi sono cresciuti dello 0,6% su base annua (settembre 2015) il che significa che il nostro tasso di occupazione è intorno al 56% enormemente al di sotto della media UE, ciò che in cifra assoluta significa che ci sono 17 milioni di inattivi di cui solo circa 3 milioni sono disoccupati in senso tecnico e formale. Ancora una volta il solito gioco statistico di risolvere i problemi cambiando i nomi. Ancora: il 25% degli occupati lavora a tempo parziario (ISTAT) il che aumenta la sottoutilizzazione della forza lavoro.

La cosa più deprimente poi è che si è realizzato questo risultato fallimentare spendendo 3 miliardi per decontribuzione nel 2015 perché tale è stato il costo che il governo ha dovuto affrontare che è finito nelle tasche dei datori di lavoro; un onere insopportabile tanto è vero che nel 2016 verrà ridotto al 40% (da 8060 € per addetto a € 3250) per poi esaurirsi nel 2017 (leggermente più favorevole la situazione per il Mezzogiorno) in sostanza si è speso molto per non ottenere nulla. Sulle riforme c’è veramente poco da dire non vedo come la riforma del Senato o la nuova legge elettorale possono produrre nuovi posti di lavoro o ripresa dei consumi, così come mi pare difficile che i poteri concessi ai presidi possono produrre di per sé una migliore organizzazione della scuola, siamo davanti a riforme di facciata che non affrontano i temi reali sul terreno.

Quanto alla PA si continuano a sbandierare risultati nella lotta all’evasione fiscale che sono totalmente inventati: secondo l’ufficio studi della Confindustria l’evasione fiscale da noi è a livello di 122,2 miliardi tasse evase ogni anno (40 miliardi solo per l’IVA); non si tratta della stima più elevata che io conosca, tra breve la tabella n. 7 evidenzierà valutazioni anche più catastrofiche, e altri dati ancora sono forniti dalla Banca d’Italia (anch’essi più elevati), epperò pur accettando il minimo confindustriale l’evasione fiscale appare pesantissima anche perché l’Agenzia delle Entrate ha recuperato nel 2014 solo 14,5 miliardi poco più del 10% dell’evasione, il che significa che gli evasori sono sicuri di scamparla al 90% circa 146 . Se non si risolve questo problema annoso, drammatico e fondamentale per evitare la bancarotta, tutti i discorsi fatti sulla trasformazione in senso efficientista della PA rimarranno aria fritta come del resto è tutta la politica dell’attuale governo.

 

6) L’Europa e il dramma greco. I disastri dell’austerità e la favola del lupo e dell’agnello rivisitata.

La vicenda, anzi il dramma greco, ha evidenziato ancora una volta la fragilità della UE e dell’Euro, moneta senza Stato. Nel 2015 dopo la vittoria elettorale di Tsipras esplode la terza crisi greca che è accompagnata nella UE da una campagna feroce con toni da Goebbels contro il popolo greco, colpevole di parassitismo, immoralità (i debiti si pagano) acquiescenza a corruzione ed evasione fiscale, etc. Un linciaggio vergognoso in cui con una sfacciataggine incredibile si rimprovera ai greci di non voler perseguire una politica di austerità che ha salvato paesi come Inghilterra, Irlanda e Spagna. Qui di seguito confuteremo una per una le accuse fatte al popolo greco che sono infamanti ma non per chi le ha subite ma per chi le ha fatte.

 

A) I pretesi successi dell’austerità.

Dei tre casi citati (Inghilterra, Spagna e Irlanda), abbiamo già trattato dell’Inghilterra il cui PIL procapite ristagna, quanto alla Spagna essa è uscita (poco e male) dalla recessione ma non perché abbia rispettato i parametri dei trattati europei ma perché li ha sistematicamente violati, infatti: “La Spagna a differenza dell’Italia sistematicamente non si attiene al parametro del deficit inferiore al 3% del PIL: 6,8% nel 2013, 5,6% nel 2014, 4,5% previsto per quest’anno, 3,7% nel 2016. Nello stesso periodo il debito sale dal 92,1% al 102,5% del PIL. Forse anche per questo che l’economia spagnola è uscita già nel 2014 dalla recessione (+ 1,4%) e quest’anno crescerà del 2,3% contro un magro 0,7% previsto per Renzi? 147 ” Il fatto è però che nel picco della crisi il PIL spagnolo era calato a 92 rispetto al periodo pre-crisi, per cui la ripresa tanto strombazzata non è altro che un recupero parziale del precedente livello pagato a caro prezzo in termini di indebitamento; la disoccupazione si aggira attorno al 20% della forza lavoro, fenomeno appena attenuato dall’assunzione di 477 mila giovani con bassi salari e scarsi diritti 148 , che hanno potuto spendere qualcosa per la prima volta favorendo una momentanea limitata ripresa dei consumi, passata la quale rimarranno salari di basso livello e debito pubblico in crescita. Dire che tutto ciò implica una uscita reale della crisi e certifica la bontà dei parametri di Maastricht è un’autentica favola, l’uscita dalla crisi non c’è e i parametri sono stati sistematicamente violati. Quanto all’Irlanda il suo rapporto debito-PIL era al 27% nel 2007 e in seguito è cresciuto di un centinaio di punti 149 , senza di ciò la ripresina irlandese sarebbe impensabile. Tale “ripresa” è stata pagata pesantemente anche a livello occupazionale: così si è rilevato che nel 2007 per ogni 100 inattivi, disoccupati o pensionati lavoravano 347 irlandesi, nel 2014 la cifra era calata a 209, in Europa solo Cipro ha fatto peggio 150 . In sintesi un piccolo rimbalzo produttivo pagato con una crescita enorme del debito e della disoccupazione in termini reali e per giunta violando i parametri di Maastricht. Parlare quindi della bontà e dei successi della politica di austerità significa solo raccontare balle. Non meno desolante sono stati i risultati di tale politica in Grecia (a cui tale politica è stata imposta dopo la crisi del 2010), scrive in proposito Antonio Ferrari: “Ma i numeri della crisi si moltiplicano spaventosamente in poco più di 2 anni la disoccupazione è più che raddoppiata, dal 12 al 26%. Quella giovanile supera largamente il 60% (…) nel settore pubblico i tagli, decisamente orizzontali (dal professore universitario al bidello, dal funzionario all’impiegato, dal fattorino al pensionato) sono del 35% l’anno. Via tredicesima, quattordicesima, straordinari e scalpellate alcune voci chiave della buste paga. Chiuso un negozio su due nel pieno della crisi 151 ”.

Ancora, nel 2009 c’erano in Grecia 900 mila pubblici dipendenti che diventano 650.000 nel 2014 152 , nel frattempo il debito si impenna ed il PIL cala nella media del periodo 2007-2012 c’è un decremento annuo di – 4,4% (“Economist”).

E si rinfaccia alla Grecia di aver fatto poco nel senso dell’austerità, Goebbels sarebbe orgoglioso dei suoi allievi europei.

 

B) Bilanci falsi e pensioni d’oro

I Greci hanno presentato bilanci falsi, si dice. Verissimo con una piccola precisazione che i bilanci li fanno i governi e le maggioranze che li sostengono, nel caso della Grecia il governo apparteneva alla famiglia del centro-destra europeo vicino alla signora Merkel e la falsificazione avveniva con la consulenza della grande banca di investimento Goldman Sachs , cosa che venne denunciata più volte negli anni passati e dette anche luogo ad un film documentario “ Inside job ” che ottenne l’Oscar per il miglior documentario nel 2011 153 . Il nostro Ciampi ammise, anni or sono, come si sapesse che esistevano Stati canaglia che presentavano bilanci falsi, ma Eurostat che avrebbe dovuto vigilare non vigilò come avrebbe dovuto e potuto 154 .

Il bubbone greco è nato nei palazzi del potere europeo e di quell’inganno il popolo greco è stata la prima vittima. Si sostiene poi che i greci vivono al di sopra delle loro possibilità nel momento che mandano i propri cittadini in pensione a 55 anni. Vero. Ma ci troviamo davanti ad un uso improprio del sistema pensionistico come ammortizzatore sociale che sostituisce l’indennità di disoccupazione. In Italia lo abbiamo fatto in passato e continuiamo a farlo ora con l’uso improprio delle pensioni di invalidità soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia 155 ; la cosa divertente è che in quei giorni fu proprio Renzi a rinfacciare i greci questa magagna, come dire vedo la pagliuzza negli occhi degli altri ma non nella mia. Il moralista da strapazzo dirà che queste risorse devono essere destinate a creare posti di lavoro e non all’assistenzialismo, il fatto è, però, che gli investimenti non producono occupazione per cui non rimane che l’assistenzialismo non per risolvere il problema ma solo per galleggiarvi sopra. Puoi anche eliminare l’assistenzialismo stesso ma l’occupazione comunque non cresce ( se non grazie ad imbrogli statistici) e quindi tagli le pensioni e con essi i consumi per cui non galleggi nemmeno e in più vai in coma. Ancora i greci (sempre loro) avrebbero scialacquato i generosi aiuti avuti dall’Europa, epperò il Parlamento greco ha pubblicato una tabella analitica, che non mi risulta sia stata contestata, da cui emerge quanto segue: “Su 243,2 miliardi di € di aiuti ricevuti, 112,5 sono serviti ad ammortizzare il debito a corto termine, 48,2 sono andati alla ricapitalizzazione delle banche, 34,5 alla ricontrattazione del debito con il settore privato, e solo 24,6 miliardi sono serviti alle necessità di bilancio. Il popolo greco quei soldi li ha visti solo in cartolina 156 ”.

 

C) I greci popolo di evasori e corrotti.

Nel cuore della candida Europa si muovono i greci portatori di corruzione ed evasione in grado di infettare quella candida educanda che è l’Unione Europea. Ci troviamo davanti al tipico caso del bue che chiama cornuto l’asino. E valga il vero.

Tabella n. 6157
Peso sul PIL di corruzione e sommerso nei 4 grandi dell’euro (2012)

 

Paesi

% corruzione su PIL

% economia sommersa sul PIL

Italia

4,1%

21,5%

Francia

5,6%

11%

Germania

5,9%

13,5%

Spagna

5%

19,2%

 

Come si vede il più pulito ha la rogna e francamente l’accusa fatta ai greci è semplicemente ignobile.

Quanto all’evasione fiscale una ricerca fatta per conto del gruppo socialista europeo all’Europarlamento ad opera del London Tax Research ha dato questi risultati

Tabella n. 7

Evasione fiscale nei 5 grandi UE anno 2009

Paesi

PIL occultato (miliardi di €)

Tasse evase (miliardi di €)

Germania

400 miliardi

158 miliardi

Francia

290 miliardi

120,6 miliardi

Spagna

239 miliardi

72 miliardi

Italia

418 miliardi

180 miliardi

UK

212 miliardi

74 miliardi

Totali

1550 miliardi

604,6 miliardi

 

Questi dati peraltro sono superati: la vecchia commissione europea, cessata nel 2014 comunica al Parlamento europeo (presidente Barroso, commissario Bailly) che il volume delle tasse evase in ambito UE è di 1000 miliardi l’anno, ad ottobre scoppia lo scandalo del Lussemburgo e delle sue consulenze fiscali a carattere evasivo di cui abbiamo parlato. La Grecia in questo campo è solo un moscerino, gli altri sono elefanti.

 

7) Conseguenze ed insegnamenti dell’esperienza greca.

Tutti sanno come è finita la crisi greca: dopo il no popolare al referendum del luglio 2015, il governo greco ha accettato le condizioni pesantissime poste dalla UE; non do giudizi sul governo greco, non amo fare l’eroe sulla pelle degli altri, mi limito a valutare il significato e la portata di quanto è stato deciso. La Grecia avrà 86 miliardi di aiuti che serviranno solo quasi a pagare i debiti in cambio aumenterà l’età pensionabile, ridurrà le pensioni, aumenterà l’IVA, dovrà eliminare alcune agevolazioni fiscali etc. 158 ; inoltre il governo dovrà alienare i gioielli di famiglia per ottenere 50 miliardi che andranno solo in minima parte (12,5 miliardi) agli investimenti. È questa l’unica nota sviluppista dell’accordo, in sé molto modesta quantitativamente poiché la Grecia viene da anni di recessione e ristagno e ci vuole ben altro che 12-13 miliardi (se arriveranno) per rilanciarla, anche perché la disoccupazione è elevatissima al 26%, e riassorbire questa massa enorme di disoccupati con un modello che tutti dicono debba essere efficientista (produrre di più con meno occupati) appare un’impresa impossibile. In quelle drammatiche settimane il presidente della Commissione europea Juncker in una intervista a “Repubblica” del 22/7/15 dichiara candidamente che l’accordo è figlio della paura, non della logica o di una ipotesi di sviluppo e di uscita dalla crisi, ma semplicemente della paura. La paura dei greci è chiaramente quella di trovarsi fuori dall’euro con una moneta che svaluta a livello della Germania nel 1923, la paura degli eurocrati è che possa scatenarsi una reazione a catena che travolga una istituzione assurda come l’euro, moneta senza Stato. Con queste premesse tutti si chiedono quando ci sarà (non se ci sarà) la quarta crisi greca, per l’intanto si galleggia poi si vedrà. Davanti a questo spettacolo desolante anche il notista di un giornale tradizionalista e ben pensante come “Il Corriere della sera” e cioè il prof. Panebianco ammette ormai che il sogno di uno Stato europeo va riposto nel cassetto 159 . Verissimo ma la crisi europea espressa nel dramma greco viene da lontano già alla metà degli anni ’70 ero tra i pochi (ma non l’unico) a dire che l’Europa era finita, titolo di un bel libro pubblicato a Parigi nel 1974, di cui ripresi e sviluppai le tesi 160 . I tentativi di concertare le oscillazioni tra monete fallirono miseramente e da questi fallimenti si uscì con una fuga in avanti, fare una moneta unica senza Stato, senza un vero governo, senza un vero potere europeo; fu quello un caso di determinismo monetario, ci si illudeva che fatta la moneta il resto venisse da sé, come osserva ironicamente Marcello De Cecco 161 , il fatto è che forse bisognerebbe parlare di cretinismo monetario perché se le oscillazioni concertate erano fallite, non puoi fare una moneta se non hai risolto i problemi che hanno portato a quei fallimenti. I primi anni, in una situazione di crisi ancora latente, la moneta ha retto, ma quando la crisi è esplosa si è posto il problema di fare una politica economica e monetaria globale, una politica di uscita dalla crisi e dalla Grande Depressione. Tale politica non esiste e non è possibile nel quadro del capitalismo attuale, e le semplici manovre monetarie non possono risolvere i problemi come ha detto più volte lo stesso Draghi, le iniezioni di liquidità non creano posti di lavoro, ci vogliono le riforme si dice, quali siano tali riforme non è dato sapere, l’unica sicura è la riforma che dovrebbe aumentare produttività e competitività, il che significa, per quanto abbiamo scritto, aumentare la disoccupazione ed aggravare la crisi. Per il resto buio pesto a cominciare dal problema alla lotta all’evasione fiscale senza la quale gli Stati sono condannati al default. In questo contesto nessuno Stato è disposto a rinunciare al poco che gli resta della propria sovranità economica (espropriata dalle IM), ciò potrebbe accadere solo se qualcuno fosse in grado di proporre come contropartita una politica reale di uscita dalla crisi, siccome però nessuno è in grado di proporla , ognuno si aggrappa al proprio egoismo e alla propria sopravvivenza in uno spettacolo che porta alla depressione anche commentatori tutt’altro che radicali ed estremisti come il prof. Panebianco. Questa Europa è veramente rivoltante.

Parlare di una Costituzione europea in questo contesto è solo una barzelletta ed appare più che logico che Stati e governi europei non cedano quanto è in loro potere ad una entità sovranazionale che, per quanto detto, non è assolutamente in grado di affrontare i problemi posti dalla Grande Depressione. L’Europa è finita non perché siano arrivate persone come Le Pen, Farage, oppure (udite udite!) Salvini, è vero il contrario gli avvoltoi arrivano quando un corpo agonizza e muore.

L’altro insegnamento che viene dall’esperienza greca concerne un debito di un paese decotto come la Grecia: il debito non va pagato. Un esame comparato della vicenda greca o di quella argentina del 2001 porta a questa conseguenza: in Grecia l’accordo i luglio non ha risolto nulla, si galleggia in attesa di una nuova crisi che vi sarà probabilmente presto. In Argentina, invece, nel 2001 il presidente del tempo lasciò la Casa Rosada in elicottero perché una folla inferocita intendeva linciarlo, poco dopo il parlamento con una “ola” da stadio decide di non pagare il debito estero con una motivazione molto semplice: ci avete strangolato con tassi di interesse usurai e non intendiamo più dissanguarci per voi. Come conseguenza di questa scelta il PIL in Argentina è cresciuto mediamente dal 2002 al 2007 del 10,5% per poi calare al 5,4% dal 2007 al 2012 (dal 1990 al 2000 era cresciuto solo del 3,9% poco per un paese povero come l’Argentina) 162 .

Oggi la finanza internazionale sta strangolando gli Stati, compresi quelli ricchi, indebitati fino al collo, il PIL cresce asfitticamente e ormai lavoriamo solo per pagare neanche i debiti ma gli interessi sul debito 163 , e quando arriva la crisi i grandi centri finanziari e bancari chiedono di essere salvati a spese dei contribuenti e degli Stati che fino a poco tempo prima hanno taglieggiato.

Ora è indubbio che un rifiuto di pagare il debito potrebbe andare incontro a ritorsioni internazionali, ma sta di fatto che l’Argentina non ha pagato (se non in misura molto limitata) e che il suo governo non è stato rovesciato; un tempo occorreva molto poco per richiamare all’ordine i governi riottosi: quando la piccola Haiti rifiutò di dare in appalto alla Banca Morgan la gestione delle sue dogane, arrivarono i marines che, nel 1916 con una veloce incursione saccheggiarono le riserve auree di quel paese trasferendole in USA da cui non sono mai più rientrate 164 ; quando la Cina nel XIX secolo si oppose al libero commercio dell’oppio le cannoniere inglesi forzarono i suoi porti, poiché l’oppio era prodotto in India, colonia inglese, e doveva essere liberamente commerciato 165 .

Oggi però dopo il Vietnam, Iraq e l’Afghanistan la situazione è cambiata un intervento militare sarebbe costosissimo non solo in termini umani (di cui il sistema non si cura molto) ma in termini economici e politici, con un bilancio dissestato gli Stati hanno difficoltà a finanziare imprese costosissime che implicherebbero pesantissimi tagli in altri settori con conseguenze dirompenti. Anche qui un altro paradosso storico: le IM con la loro evasione fiscale hanno ridotto gli Stati sul lastrico e difficilmente possono ottenere da essi pesantissimi interventi militari tipo quelli indicati in precedenza; le difficoltà della lotta all’Isis sono indicative, quella organizzazione è combattuta da curdi, iraniani, Assad e così via ma le grandi potenze occidentali hanno difficoltà ad andare oltre un intervento semplicemente aereo, impantanarsi in nuovi Vietnam o in nuovi Iraq è cosa che in occidente si teme enormemente.

Se il sistema si sta indebolendo l’ipotesi di percorrere strade argentine appare sempre più praticabile.

 

8) Postilla A). Diseguaglianze e merito. Critica di un’ideologia da struzzi.

La crisi e la crescita delle diseguaglianze che ha generato, ha incentivato un dibattito sul carattere disfunzionale o meno delle diseguaglianze stesse. Per alcuni studiosi le diseguaglianze sono giuste ed utili allo sviluppo economico perché chi merita va premiato con una quota più grande di ricchezza, altrimenti non vi sarebbe stimolo all’impegno ed al lavoro. Inoltre la concentrazione della ricchezza favorisce gli investimenti senza i quali non vi sarebbe sviluppo, occupazione, benessere, la ricchezza dunque ha un valore indubbio anche morale. Ora che vi possa essere un incentivo economico all’impegno può anche essere giusto e una scala di redditi da 1 a 10, all’interno della stessa società, può essere accettabile e premierebbe l’impegno in modo consistente. Il fatto è che viviamo in un mondo dove vi sono dei disperati che sopravvivono con i buoni pasto del governo americano o che vivono negli slums delle grandi città indiane e cinesi, mentre dall’altra parte abbiamo persone con redditi e ricchezze enormi: l’ONU nel 1999 ha certificato che i tre uomini più ricchi al mondo si dividevano un patrimonio pari al reddito dei 600 milioni più poveri tra gli abitanti del pianeta. Qui si pone il problema, sollevato anche dal Nobel Deaton, della funzionalità di un simile meccanismo economico che da una parte permette di accumulare ricchezze enormi e dall’altra contrae drasticamente le possibilità di consumo di tanta parte della popolazione, ciò che turbava i sogni di Keynes, e non a torto. Ma analizziamo più da vicino gli argomenti dei difensori della diseguaglianza verificandone la totale inconsistenza.

 

A) La tesi della ricchezza che crea benessere.

La ricchezza produce investimenti e benessere si sostiene. Ora a parte la teoria classica che da Petty in poi sostiene che è il lavoro che crea la ricchezza e non viceversa 166 , si può rilevare che questa tesi poteva essere sostenuta (sia pure discutibilmente) fino al 1973-75, poiché dopo l’esplosione della Grande Depressione ha reso evidente che gli investimenti non producono occupazione ma anzi la contraggono come ormai è largamente ammesso, il che pone problemi drammatici di sopravvivenza per il sistema. La ricchezza investita con una logica di profitto (produrre di più con meno addetti) sta portando solo ad un ristagno prolungato senza alcuna possibilità di uscita, all’interno almeno della logica del sistema.

 

B) Il merito come stimolo dell’economia.

Il merito va premiato, si dice, altrimenti non ci sarebbe spinta a lavorare e produrre 167 . A tal proposito lascio la parola a due economisti conservatori, che però riescono ancora a ragionare, per i quali il merito è assai spesso un pretesto e i premi frequentemente vanno a chi demerita: “I 735 milioni di $ guadagnati da Gary Winneck, amministratore delegato della Global Crossing, mentre la società si avviava al fallimento, i 112 milioni percepiti da Jeff Skilling, presidente ed amministratore delegato di Euron, nei tre anni precedenti al crollo della società, sotto l’accusa di falso in bilancio, i 240 milioni incassati da Dennis Kozlowsky di Tyco prima di essere licenziato e accusato di frode fiscale, mettono a dura prova la fiducia della gente nell’onestà e la giustizia dei mercati” 168 .

Si noti poi che queste righe sono state scritte prima della grande crisi iniziata nel 2008 quando élites di banchieri, ladri e disonesti (i cosiddetti banksters , definizione usata anche sulle colonne del giornale della Confindustria) si sono fatti salvare dai governi con ricatto che si esprime della frase “sono troppo grande per fallire”. Cosa c’entri questo col merito non è dato sapere.

 

C) Onestà, merito e corruzione.

La ricchezza premia il merito, si sostiene, ma invece la ricchezza premia l’arroganza, la disonestà e la capacità di imbrogliare. Zingales e Rajan rilevano che questa è un’economia che si regge sull’appropriazione indebita 169 , mentre Galbraith parla di un’economia della truffa 170 , quanto a noi ci limitiamo a ricordare quanto detto sul carattere planetario ed insultante dell’evasione fiscale. Anni or sono ho osservato, poi, che stiamo assistendo ad una vera e propria criminalizzazione dell’economia 171 , che ormai è evidente da svariati decenni: già negli anni ’60 del secolo passato era possibile in USA comprarsi una legge grazie ad un congressman compiacente che veniva avvicinato da un mediatore (chiamato lobbista), che prendeva una provvigione per questo lavoro, i lobbisti in attività di servizio in USA negli anni ’60 erano già 4000 nella capitale Washington 172 ; il prof. Zingales osserva inoltre che l’attività di lobbying è la più redditizia che vi sia, con pochi miliardi di dollari si ottiene il controllo di un piatto (la spesa pubblica americana) di svariate migliaia di miliardi di dollari l’anno 173 . Ancora, il grande sociologo conservatore Merton osservava decenni or sono che il rapporto tra il potere e le imprese legali è lo stesso rapporto che esiste tra il potere e le imprese illegali entrambe pagano una tangente per avere protezione 174 ; di recente poi il Dipartimento del Commercio USA ha ammonito le imprese americane all’estero sulla necessità di pagare tangenti ai governanti locali per non essere battuti dagli altri concorrenti che, a loro volta, pagano tangenti 175 , e si potrebbe continuare per pagine e pagine. Di recente poi la vicenda del dirigente bancario svizzero Hervé Falciani ha gettato nuova luce sull’argomento: Falciani si era pentito e aveva denunciato ai magistrati italiani l’attività evasiva e di sostegno all’evasione della propria banca, ha dovuto rinunciare alla propria carriera e vive protetto mentre il Tribunale federale di Bellinzona lo ha condannato, per la sua attività meritoria, a 5 anni di carcere, che fortunatamente non sconterà perché non verrà estradato. Rimane il fatto, però, che, delle migliaia di dirigenti sotto i cui occhi passano transazioni illegali, ce ne sia stato solo uno che ha deciso di rompere il muro dell’omertà. La regola è fare carriera chiudendo gli occhi.

La corruzione e la disonestà sono un fenomeno generalizzato e regolare, il merito premia queste non l’onestà.

 

D) Il merito ed il diritto ereditario e familiare.

Ancora una volta Zingales e Rajan scrivono: “Esiste infine una forma di trasferimento del controllo dei beni, la successione che normalmente tende a l’inefficienza perché il beneficiario ha ben pochi meriti per ottenere il controllo al di là di quello accidentale della nascita” 176 .

Verissimo: negli anni ’40 del secolo scorso un grande sociologo americano (che io considero uno dei miei maestri) condusse una ricerca sulla classe dominante americana da cui risultò che il modo migliore per accedere a questa classe era quello di nascervi dentro 177 , ricerche recentissime confermano questa tendenza, il 90% delle grandi aziende continuano ad avere un carattere familiare dagli USA ad Hong Kong 178 . Inoltre, anche nei casi, del tutto eccezionali di uomini nuovi (Gates e Jobs ad esempio) il patrimonio conseguito (ed il potere connesso) si trasferisce per via ereditaria: il merito si converte subito in dinastia. Ma non basta oltre al diritto ereditario c’è anche il diritto matrimoniale, si può entrare nella classe dominante anche attraverso il matrimonio, il caso più recente in Italia è stato quello della famiglia Ferruzzi: Serafino Ferruzzi fondatore dell’impero aveva quasi tutte figlie femmine che andarono in mogli a vari signori che si trovarono nei consigli di amministrazione delle società del gruppo, che perciò venivano soprannominati i consigli dei cognati. Il più bravo tra essi era considerato Raoul Gardini il cui titolo manageriale più importante era quello di aver sposato Idina Ferruzzi ed il bel Raoul (morto in circostanze misteriose) distrusse tutto il lavoro fatto dal suocero Serafino Ferruzzi, portando al tracollo il gruppo.

 

9) Postilla B). A proposito di secoli (lunghi o brevi) di Grandi Depressioni e di crolli.

Qualche anno fa uno storico inglese di grande valore (Eric Hobsbawm) ha enunciato la teoria del XX secolo come secolo breve che sarebbe iniziato nel 1914 (prima guerra mondiale) per finire nel 1989 (caduta del muro di Berlino) solo con una durata di soli 75 anni. Sorprende che uno storico dell’economia come l’inglese, che dà un peso prevalente alla struttura economica come si conviene ad un marxista di valore, dia qui un peso preponderante a fattori politici o politico­militari; a nostro avviso invece il XX secolo dura esattamente 100 anni: dal 1873 al 1973. Questo perché noi privilegiamo nell’analisi fattori strutturali: nel 1873 con la crisi di quell’anno e la prima Grande Depressione durata fino al 1896 si ha la trasformazione del capitalismo concorrenziale in capitalismo oligopolistico, ciò che caratterizzerà la storia del XX secolo. Nel 1973 con la grande crisi del petrolio emerge il dominio della grande impresa multinazionale che paralizza l’azione regolatrice dello Stato e determina una situazione del tutto nuova nell’economia mondiale con livelli di anarchia e di ingovernabilità senza precedenti anche per un sistema, come quello capitalistico, in cui rotture e crisi sono assai frequenti. Da allora ha inizio il XXI secolo, l’ultimo secolo nella storia del capitalismo (ultimo nel senso di definitivo) in cui l’anarchia e l’incontrollabilità dell’economia sono un fatto pressoché quotidiano, viviamo cioè, o meglio galleggiamo, in una situazione di crisi ed instabilità permanente. L’oligopolio un tempo nazionale, trasformatosi in IM diventa una mina vagante assolutamente incontrollabile. Le IM paralizzano gli Stati, fanno esplodere la disoccupazione a livelli insopportabili, determinano un livello di evasione fiscale insostenibile, spingono gli Stati verso il default etc. Tutto questo si può definire una situazione di crollo del capitalismo. Ovviamente chi è abituato a considerare il crollo come qualcosa di repentino, come normalmente è per il crollo di un palazzo, non può assuefarsi a questa idea, ma in realtà per noi crollo significa una situazione di ingovernabilità continua e crescente in cui i problemi si pongono continuamente e non si risolvono mai, incancrenendo. Il crollo, dunque, comprende una fase storica che già si protrae da oltre 40 anni dalla crisi del 1973­75 che ha evidenziato tutti i problemi che oggi sono sul tappeto e che sono andati crescendo decennio dopo decennio. Quando potrà protrarsi nel tempo questo crollo continuo non è dato sapere, per quanto se è esatta l’analisi sinora prospettata, mi riesce difficile capire come questo sistema possa sopravvivere galleggiando anche solo oltre i prossimi 15 anni. Una cosa comunque mi sembra certa: nessuna società può sopravvivere se non risolve il problema del governo delle proprie contraddizioni, e oggi soluzioni alle contraddizioni prospettate non se ne vedono ed esse tendono giorno dopo giorno ad incancrenirsi.

Le conclusioni sono facili da trarre, per chi non voglia fare lo struzzo.

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Note
1 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2008: nel tunnel senza uscita, in www.crisieconflitti.it , 2009; ID. Capitalismo 2009: la via verso il crollo, www.countdown.info , 2010 e in www.lasinistrainrete.info , 2010; ID. Capitalismo 2011, decomposizione in atto , ivi, 2012 ed in http://connessioni-connessioni.blogspot , 2012; ID. La putrescenza del capitalismo contemporaneo e la teoria del crollo , pubblicato nei due ultimi siti indicati, a fine 2012; ID. Anatomia della politica attraverso l’economia: a) il caso italiano (1945-2013); b) la depressione mondiale ed i funerali dell’autonomia del politico, in www.lasinistrainrete.info , 2013; ID. Capitalismo 2014. A fondo nella Grande depressione, ivi, 2014. Prima della crisi del 2008 avevo pubblicato due articoli in cui prevedevo che il sistema stesse andando verso un terribile scossone, v. A. CARLO, Crisi del lavoro e tramonto del capitalismo , in www.crisieconflitti.it , 2005; ID. L’economia globale un Titanic che affonda , ivi, 2007.
2 Vedi D. TAINO, La mossa di Lew: Atene resti nell’Euro, n. “Il Corriere della sera”, 28/5/15, p.15.
3 Vedi F. DAVERI, Famiglie ed investimenti. Come si è arrivati a questo punto, ivi, 26/8/15, p. 5.
4 Vedi TELEVIDEO RAI, 31/10/15, p. 826, ove si riassume un’intervista di Draghi a “Il Sole 24 Ore”. Tutte le citazioni del Televideo che verranno fatte riguarderanno esclusivamente il Televideo Rai. Si noti poi che di recente anche il Ministro Padoan ha ammesso, durante un’assemblea della Confindustria che l’ipotesi di un ristagno secolare non è per nulla peregrina.
5 Vedi M. NAÌM, “ Il mondo è cresciuto anche con l’austerity, ma ora servono più posti di lavoro e donne al comando” , in “La Repubblica”, 11/4/15, p. 26-7.
6 Fonte FMI.
7 Vedi A. CARLO , Capitalismo 2011 cit., par. 5.
8 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2009, cit., par. 6.
9 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010, cit., par. 1. Vedi anche YU SHICUN, Perché i marchi gialli non sono globali , in “Limes”, n. 4, 2008, pp. 57 e sgg.
10 Alcuni anni or sono M. NAIM ( Illecito , Mondadori, Milano, 2004) ha rilevato che il 10% della produzione mondiale è fatta da falsi la cui crescita è molto più rapida della crescita dell’economia globale e la capitale mondiale del falso è Shanghai in Cina.
11 Fonte Dipartimento del commercio USA.
12 Per dati ulteriori sulla crescita del PIL in USA v. infra, par. 3.
13 Fonte “Economist”.
14 Fonte “Eurostat”.
15 Vedi M. CAVALERA, Il business non si fida più di Cameron. Prevedo Milliband a Downing Street, ne “Il Corriere della sera” , 6/5/15, p. 17.
16 Vedi TELEVIDEO, 25/6/15, p. 133 ove citazione di Visco.
17 Ancora nel 2014 fatta base cento il PIL pre-crisi l’Italia era a 91 e la Spagna a 92.
18 Vedi G. FERRAINO, La trappola della quinta recessione, ne “Il Corriere della sera” 17/11/15, p. 37.
19 Vedi A. CARLO, La società industriale decadente , Liguori, Napoli, 2001, III ed. (I ed. 1980), p.85.
20Si tenga presente che nei nostri calcoli consideriamo solo i consumi delle famiglie , se considerassimo anche i consumi pubblici la cifra crescerebbe ulteriormente.
21 Vedi A. CARLO, op. ult. cit., pp. 62-3.
22 Vedi A. CARLO, Studi sulla crisi della società industriale, Loffredo, Napoli, 1984, pp. 89 e sgg. dove ripubblico un mio precedente saggio comparso in “Terzo mondo” ad inizio del 1972, quando gli osanna al miracolo giapponese si sprecavano, e questo è uno dei non pochi casi in cui ho gufato in anticipo davanti a masse di struzzi plaudenti e cretini.
23 Vedi infra, in questo stesso paragrafo.
24 Vedi F. FUBINI, L’America resta lontana, l’Europa faccia da sola , ne “Il Corriere della sera”, 26/11/15, p. 17, ove intervista a Stiglitz.
25 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 1; ID., Capitalismo 2011 cit., par. 1; ID., Capitalismo 2014 cit., par. 1, tabella 3.
26 Vedi A. TURNER, S. LUND, Il dilemma (globale) del debito, ne “Il Sole 24 ore”, 23/4/15, pp. 1 e 25. Una delle cause fondamentali della crescita del debito in particolare di quello pubblico è il peso dei salvataggi delle banche dopo la crisi del 2008: in USA, come vedremo, si parla di 3300 miliardi di $ spesi in salvataggi, nella UE di 4500 miliardi di euro, ma a livello mondiale le cifre salgono ancora di più, si è calcolato che nel solo periodo settembre 2008 – marzo 2009 i governi del mondo hanno sborsato 22-23 mila miliardi di $ per salvare le banche, il New Deal costò 80 miliardi di $ e la seconda guerra mondiale 500 miliardi e anche rivalutando i vecchi dollari degli anni ’30 e ’40 lo scarto è evidente anche perché parliamo di un periodo di 6-7 mesi a fronte della durata di 7-8 anni del New Deal e di 5-6 anni della seconda guerra mondiale, su ciò v. A. CARLO, Capitalismo 2009 cit., par. 2, testo e nota 77.
27 Vedi F. FUBINI, Tutti i perché di un tracollo , ne “Il Corriere della sera”, 22/8/15, p. 3.
28 Fonte Tesoro USA.
29 Fonte Eurostat.
30 Vedi S. FELTRI, “ Il debito pubblico non è il problema” , ne “Il Fatto Quotidiano”, 10/7/15, pp. 12-13 ove intervista a Saccomanni.
31 Su ciò v. A. CARLO, Capitalismo 2011 cit., par. 2.
32 Si noti che il debito di Stati contee e municipalità si è decisamente elevato negli ultimi anni, che sono stati caratterizzati da frequenti “default” di queste entità, è fallito sinanche uno Stato (il Minesota) ed anche la municipalità di Detroit è in gravissime difficoltà cosa ho segnalato di recente nei miei precedenti scritti, in particolare v. A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 2.
33 Vedi lavoro citato alla nota 31 dove è riportato l’opinione di un dirigente del FMI (lo spagnolo Viñals) in materia.
34 Vedi note di informazione in https://itfacebook.com.notes/2014 .
35 Vedi Newsletter in www.ilnord.it , 2015.
36 Si tratta di valutazioni correnti, quella massima di 1,5 quadrilioni è contenuta negli atti della commissione di inchiesta del congresso USA sul crack del 2008.
37 Vedi F. FUBINI, op.loc. ult. cit.
38 La cifra sull’America è stata fornita dallo stesso governo USA, quella concernente l’Europa è stata ammessa pubblicamente dal commissario Barnier esponente della vecchia commissione Barroso.
39 Vedi F. FUBINI, Fisco, l’Europa contro i big “basta pagare mini-tasse”, ne “Il Corriere della sera”, 17/6/15, p. 19, a fine articolo si nota che nel 2010/11 Sarkozy e la Merkel cercarono di ancorare il salvataggio dell’Irlanda alla cessazione della sua politica di paradiso fiscale ma “fallirono”; evidentemente la piccola Irlanda era ben protetta da poteri forti in grado di stoppare sia “Sarko” che la Merkel.
40 Vedi A. CARLO, Economia, potere, cultura, Liguori, Napoli, 2000, pp. 70-71, nota 238.
41 Le otto banche sono: Bofa, Mellon, Citi Group, J.P. Morgan, Goldman Sachs, State Street, Fargo, Morgan Stanley.
42 Su cui v. infra, par. 2.
43 Il precedente e discusso presidente del FMI Dominique Strauss-Khan dichiarò anni or sono che occorrevano 400 milioni di posti di lavoro per affrontare il problema della disoccupazione, posti che non si sono mai visti.
44 Vedi R. QUERZE’, Nel lavoro né studio per un giovane su quattro , ne “Il Corriere della sera”, 29/5/15, p. 14.
45 Alcuni politici italiani hanno sostenuto posizioni analoghe soprattutto a proposito dei giovani che sarebbero schizzinosi, non vorrebbero accettare lavori pesanti ed umili e vorrebbero il posto vicino “a mammà e papà”. Per quanto possa sembrare incredibile, abbiamo dovuto sentire anchequeste assurdità. È penoso rilevare che politici, che hanno responsabilità di governo, trovino anormale che i giovani vogliano un posto di lavoro proporzionale alla qualifica conseguita: un medico, un urbanista, un ingegnere informatico non nasce sugli alberi ma è prodotto da istituzioni che si chiamano Università dove gli studi costano sia al singolo sia allo Stato, per cui appare assurdo che uomini di governo suggeriscono ai giovani di buttare a mare risorse ed anni di studio per andare a fare gli imbianchini o gli operatori ecologici, mestieri non infamanti, certo, ma che non richiedono anni di studio e di specializzazione. In altre parole uomini di governo dicono ai giovani che hanno sprecato impegno e lavoro, e che le Università, che sono pubbliche, servono a molto poco, se questo avviene la responsabilità non è degli stessi uomini di governo, che non sanno trovare soluzioni alcuna e che tengono in piedi istituzioni che producono disoccupati, ma la colpa è dei giovani che sono schizzinosi. Chissà perché questo non lo dicono ai loro figli, che in genere una occupazione ben remunerata la trovano spesso in età molto giovane.
46 Vedi A. CARLO, op. ult. cit., p.549.
47 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2014 cit., par. 2.
48 Vedi R. G. RAJAN, L. ZINGALES, Salvare il capitalismo dai capitalisti, Einaudi, Torino, 2004, p. 341.
49 FMI ottobre 2015.
50 Fonte “Economist”, anche in Cina, però, lentamente la disoccupazione ufficiale cresce, poiché nel periodo 1990-98 era al 2,7%, una crescita di quel tipo significa in cifra assoluta una disoccupazione di 10 milioni in più almeno (a parte la disoccupazione nascosta).
51 Vedi su ciò A. CARLO, Anatomia cit., par. 8. 
52 Vedi A. CARLO, Crisi del lavoro cit., par. 2.
53 Sull’esplosione del lavoro parziario vedi infra nel testo.
54 Vedi su ciò, L’eccezione tedesca?, in “Aspenia”, n. 62, 2013, p. 6 dove il dato è citato come un fenomeno positivo.
55 Vedi BIT, L’emploi, la croissance, et le besoins essentiels, BIT, Genéve, 1976, p. 18.
56 Vedi ILO, World employment report , 2004-2005, ILO, Geneva, 2005, pp. 23-24.
57 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2014 cit., par. 1, tabella comparativa n. 4 da cui si evince che il potere di acquisto di 1-2 $ del 2005 è paragonabile al potere di acquisto di almeno 2-3 $ del 2014.
58 Sul bassissimo livello di spese per la salute in India ed in Cina vedi infra nel testo, peraltro è pacifico che in quei paesi il welfare non è paragonabile non dico a quello svedese ma neanche a quello italiano.
59 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2014 cit., par. 2, dopo la recessione del ’73-75 il lavoro parziario in USA era solo al 14,6% della forza lavoro (v. H. S. SHERMANN, Stagflation , Harper & Row, New York, 1976, p. 20); il trend all’aumento del lavoro parziario si impenna negli anni ’80 e ’90 del secolo passato, v. J. RIFKIN , La fine del lavoro, Baldini & Castoldi, Milano, 1995, pp. 309 sgg.
60 A. CARLO, Anatomia cit. , par. 2.
61 Vedi G. WALRAFF , Faccia da turco , Pironti, Napoli, 2001, pp. 191-92; ID., Germania anni 10 , L’Orma, Roma, 2013, pp. 28 sgg.
62 Vedi C. SAVELLI, Contratti a zero ore, un milione di posti di lavoro a Londra , ne “Il Corriere della sera”, 16/5/15, p. 45.
63 Vedi lavori citati nella nota 61.
64 Vedi su ciò. A. PANZA, Creare ricchezza senza lavoro, il dramma tecnologico , ne “Il Corriere della Sera” 12/6/15, p. 12.
65 Su ciò v. A. CARLO, Capitalismo 2008 cit. , par. 1, testo e note 55-7, si tratta di dati forniti da FMI e BRI.
66 Vedi A. CARLO, La putrescenza cit., par. 1.
67 Vedi MCKINSEY GLOBAL INSTITUTE, Tecnologie dirompenti: l’automazione del lavoro , in “Aspenia”, n. 62, 2013, pp. 11 sgg a p. 20-22. Alcuni rilevano che esistono anche robot amici che sostengono e non sostituiscono il lavoro manuale e ci sono poi lavori non automatizzabili completamente. È vero ma l’esperienza e questi dati provano che i lavori automatizzabili sono tantissimi e ciò nella logica del capitale comporta la riduzione dei costi e della forza lavoro, negarlo è da struzzi, ed ormai come vedremo anche figure istituzionali ed economisti del sistema ammettono l’esistenza e la drammaticità di questo pericolo; peraltro il robot amico riguarda per lo più i lavori domestici.
68 Vedi A. CARLO, La putrescenza cit., par. 1.
69 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2014 cit., par. 1; R. SOMMELLA, Profitti senza lavoro nell’era digitale , ne “Il Corriere della sera” 4/6/15, p. 30. È normale ormai che si parli per il futuro di posti a rischio per il 50% di quelli esistenti.
70 Vedi su ciò A. CARLO, La società industriale cit., p. 175.
71 Ibidem.
72 Ivi , pp. 72 e sgg., da allora (la prima edizione di quel lavoro era del 1980) l’evasione fiscale è diventata da un torrente in piena un oceano in tempesta (v. infra nel testo).
73 Vedi G. RIFKIN, op. ult. cit. .
74 Vedi R. PRODI, Se il PIL cresce il lavoro no, ne “Il Mattino”, 31/5/15, pp. 1 e 55 a p. 55.
75 Vedi S. TAMBURELLO, Visco: meno posti con i robot, politiche più attive per il lavoro, ne “Il Corriere della sera”, 8/11/15, p. 28.
76 Vedi D. TAINO, Il rebus dei banchieri centrali, come creare lavoro e ricchezza , ne “Il Corriere  della sera” 22/5/15, p. 9.
77 Ad esempio quando Obama , lanciò nel 2009, una crociata contro la Svizzera, di cui ho chiarito la natura per nulla antievasiva, v. A. CARLO, Capitalismo 2009 cit., par. 3.
78 Vedi su ciò A. CARLO, La putrescenza cit., par. 2.
79 Vedi su ciò A. MENCUZZI, Le strade tortuose del nero, dal trust di Jersey fino a Jules Verne , ne “Il Sole 24 ore”, 31/11/15, p. 2.
80 Vedi M. BELLINAZZO, R. PARISOTTO, Conti esteri, la nuova mappa dei controlli, ibidem; J.C., Il patto di Lussemburgo sull’evasione delle IM, ne “Il Corriere della sera”, 7/10/15, p. 23.
81 Vedi retro nota 40.
82 Si noti che negli anni ’30 l’aliquota massima stabilita da Roosevelt era dell’87%, e i repubblicani nel ’57 la portarono al 91%, evidentemente si trattava di altri repubblicani.
83 Su ciò v. A. CARLO, Il leviatano morente, Liguori, Napoli, 2001 (III ed., I ed. 1981), pp. 112 e sgg.
84 Vedi A. CARLO, Anatomia cit., par. 8.
85 Vedi A. MERLI, Ha deluso il G20 dei rinvii , ne “Il Sole 24 ore” , 17/11/15, pp. 1 e 8. Quanto sosteniamo potrebbe essere contraddetto (in apparenza) dal preteso recente successo della conferenza di Parigi sul clima del dicembre 2015, finita, si dice, con impegni vincolanti per contenere la crescita della temperatura terrestre attorno a 1,5 gradi per il 2050. Purtroppo sono balle e i vari Tg hanno fatto a gara per porre in essere un disgustoso ottimismo di facciata. Infatti, ci troviamo davanti ad una nuova edizione dei vari G , obiettivi e principi fissati ma nessun mezzo per realizzarli per imporre al riottoso di adeguarsi alle scelte fatte, v. in tal senso A. M. MERLO, Un compromesso storico, ne “Il Manifesto” 13712/15 pp. 1 e 2 che osserva: “Il testo è giuridicamente vincolante ma non ci sono sanzioni per chi non rispetta gli impegni”; v. anche B. CACCIA, Un accordo troppo vago, ivi, p. 3; S. MONTEFIORI, Accordo sul clima, risultato storico ma il taglio delle emissioni è volontario , ne “Il Corriere della sera” 13/12/15, p. 2. Il problema è molto chiaro, cosa accadrà se Cina o Usa non rispetteranno gli impegni? Una terza guerra mondiale? La verità è che non esiste alcun potere che possa sovraintendere agli obiettivi proposti che sono aria fritta come le risoluzioni dei vari G, obiettivi comuni e poi tutti a casa a fare quanto necessita per le proprie esigenze di breve periodo spesso in conflitto con gli altri. Inoltre sommando impegni e promesse dei vari Stati si arriva ad una crescita non di 1,5° ma di 3° (v. A. M. MERLO, op. cit., p.2). Anche qui il vero problema è che manca un potere mondiale che imponga il rispetto degli accordi, il che non significa che finiremo necessariamente arrosto, ma che la soluzione può venire dalla crisi che può abbassare il livello delle emissioni ed innescare tensioni sociali che spazzino via l’attuale dirigenza politica. Può darsi che questo sia catastrofismo ma penso che è molto più realistico dell’attesa del rispetto di accordi da parte di Stati che da anni si riuniscono, si accordano e tornano a casa facendo i comodi propri.
86 Fonte dei dati sul PIL dei grandi paesi industriali è l’“Economist”. Quanto alla permanenza di grandi squilibri tra paesi ricchi ed emergenti v. B. MILANOVIC , Mondi divisi , Paravia Bruno Mondadori, Milano, 2007; M. DONATO, Miseria e nobiltà. Investimenti, crescita economica e distribuzione internazionale del debito , in www.crisieconflitti.it , 2007. Giustamente B. MILANOVIC ( op. cit. pp. 21-23) osserva che i calcoli fatti sulla parità di potere d’acquisto tra paesi ricchi ed emergenti tendono artificiosamente a gonfiare i redditi procapite dei cittadini dei paesi emergenti. In altre parole per un cinese con 80 $ di reddito mensile o per un indiano che ne ha solo 40, il fatto che il salario di una babysitter , il prezzo di un pasto al ristorante, o il fitto di una limousine siano nettamente inferiori rispetto ai livelli dei paesi ricchi è per lui irrilevante perché con 40 o con 80 $ di reddito mensile non avrà mai accesso a quei beni per lui sarà rilevante solo il prezzo del riso o quello della carne di maiale. Ancora il problema della qualità della produzione nei paesi emergenti che è molto più bassa di quella dei paesi ricchi, per cui il potere d’acquisto non si rapporta agli stessi beni ma a beni che sono profondamente diversi anche se appartenenti allo stesso gruppo merceologico.
87 Fonte : nostre elaborazioni su dati “Economist”.
88 Ricordo alcuni articoli del dott. Pierluigi Battista de “Il Corriere della sera” contro i gufi antiglobalizzazione, dei quali mi onoro di far parte, v. anche l’articolo che citeremo tra breve di Luca Ricolfi che critica l’ideologia (dice lui) della crescita delle diseguaglianze.
89 Vedi A. DEATON, La grande fuga, Il Mulino, Bologna, 2015, p. 286.
90 Ivi , p. 288.
91 Fonte di questi dati è ancora una volta l’“Economist”.
92 Fonte “Economist”.
93 Fonte: nostre elaborazioni su dati “Economist” relativi al 2012.
94 Vedi A. PANZA, op. cit .
95 Vedi “Il Sole 24 ore”, 26/4/15, pp. 1-5. La ricerca completa è reperibile sul sito de “Il Sole 24 ore”.
96 Vedi L. RICOLFI, La leggenda delle diseguaglianze crescenti, ivi, pp. 1 e 3. L’articolo contrasta con l’impostazione della ricerca pubblicata dal giornale della Confindustria che rileva come il mondo sia solo meno diseguale del passato con riferimento alle diseguaglianze tra Stati (che per noi permangono elevatissime), ma non all’interno degli Stati, tra gruppi sociali per i quali l’aumento delle diseguaglianze è consistente ed evidente (v. infra nel testo). Ricolfi, poi, in un altro articolo pubblicato nello stesso numero del giornale, critica il prof. Atkinson, colpevole di sostenere la tesi della crescita delle diseguaglianze nell’area OCSE; quest’ultimo sceglierebbe i dati che confermano la sua tesi scartando gli altri (v. L. RICOLFI, Atkinson dà scacco alla diseguaglianza, ma la ricetta si basa su dati di comodo , ivi, p. 2). In realtà dalla tabella pubblicato da Ricolfi risulta che la diseguaglianza è aumentata (in maniera più o meno alta) in Francia, Italia, Belgio Olanda, Lussemburgo, Danimarca , Spagna, Norvegia, Germania, Portogallo, Canada, Svezia, Finlandia, Polonia, Australia, Ungheria, Nuova Zelanda, USA, Israele, Giappone, UK, Estonia (in modo significativo dal Canada in poi), mentre si sarebbe ridotta in Turchia, Messico, Irlanda, Corea, Grecia, Svizzera, Cile, questo sarebbe avvenuto nel periodo dal 1979 -81 al 2010-11. È evidente che il primo gruppo di paesi, in termini sia di popolazione che di PIL è molto più significativo del secondo, il che conferma la tendenza alla crescita delle diseguaglianze. L’articolo di Ricolfi è uno dei tanti casi di conflitto tra l’ideologia dell’autore e i dati che egli stesso fornisce.
97 Vedi R. SORRENTINO, Il ruolo decisivo di India e Cina. Un pianeta un po’ più eguale , ivi, pp. 1 e 3.
98 Vedi A. CARLO, Economia, potere, cultura cit., pp. 148-49.
99 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2011 cit., par. 1.
100 Vedi il grafico con relativo commento pubblicato ne “Il Sole 24 ore”, 26/4/15, p. 2.
101 Vedi A. CARLO, La società industriale cit., p. 186; il livello di povertà fissato dagli statistici USA è, infatti, molto basso, solo 22.133 $ l’anno per un nucleo di 4 persone e cioè circa 460 $ al mese procapite, pochissimo per gli standard USA.
102 Vedi su ciò A. CARLO, Crisi del lavoro cit., par. 3.
103 Su ciò v. V. EHRENREICH, Una paga da fame, Feltrinelli, Milano, 2004, II ed., pp. 25-26; in USA nel 2009 vivevano in coabitazione ben 12 milioni di persone (v. A. CARLO, Capitalismo 2009 cit., par. 1, testo e nota 9) ed erano fortunati rispetto a quelli che vivevano in un motel, in un camper o in un’auto.
104 Vedi R. SOMMELLA, Profitti senza lavoro cit .
105 Ibidem.
106 Si tratta del Rapporto Censis del 2015.
107 Vedi P. MASTROLILLI, La crisi e le diseguaglianze. Ecco i mali peggiori della società , ne “La Stampa”, 13710/15, p. 21 ove intervista a Deaton; v. anche M. GAGGI, Il Nobel all’economista antipovertà , ne “Il Corriere della sera”, 13/10/15, p. 37.
108 Vedi D. TAINO, La frenata del commercio. Un’emergenza trascurata, ivi, 14/6/15, p. 37
109 Fonte: nostra elaborazione su dati “Economist”.
110 La stessa fonte della nota precedente; per inciso ci sono due paesi ricchi che fanno eccezione alla tendenza prevalente e cioè Canada ed Australia: il primo passa dall’1,27% (2002) all’1,4% (2012); la seconda, nello stesso periodo passa dallo 0,73% all’1,14%, ma è chiaro che insieme
realizzano una crescita di pochi decimali di punto che non incidono sulla tendenza nettamente prevalente, i consumi dei paesi ricchi calano chiaramente come percentuale del PIL mondiale.
111 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2011 cit., p. 5.
112 O sostenere spese mediche adeguate che, come abbiamo visto, sono spaventosamente carenti in Cina , India e negli altri paesi emergenti.
113 Vedi A. CARLO, La putrescenza cit. , testo e nota 43.
114 Vedi A. CARLO, op. ult. cit., par. 11, testo e nota 296.
115 Vedi S. CARRER, La bolla giapponese, una lezione per Pechino, ne “Il Sole 24 ore”, 5/10/15, pp. 1 e 4.
116 Fonte “Economist”.
117 Vedi retro par. 1.
118 Vedi retro nota 107 relativa all’intervista di Mastrolilli a Deaton.
119 Vedi A. CARLO, Il leviatano morente cit., cap. II, dove parlo della putrescenza dello Stato nazionale
120 Vedi R.J. RAJAN, L. ZINGALES, op. cit., p. 347.
121 Vedi su ciò A. CARLO, Studi sulla crisi cit. , p. 5 e sgg, dove ripubblico un mio saggio del 1976 (pubblicato in “Terzo mondo”) con questa interpretazione della crisi del 1973-75.
122 Fonte Dipartimento del Commercio USA.
123 Vedi W. RIOLFI, Se la stretta della Fed fosse fuori tempo , ne “Il Sole 24 ore”, 5/12/15 , p. 32.
124 Ibidem.
125 Cosa più volte rilevata dagli analisti nei mesi passati, un rialzo del dollaro penalizzerebbe le esportazioni USA in un momento in cui il paese ha bisogno di produrre e di esportare di più.
126 Abbiamo visto che è fallito finanche uno Stato della federazione americana, il Minesota.
127 Vedi M. GAGGI, La crescita USA (ora) crea posti di lavoro. Disoccupazione ridotta al 5% , ne “Il Corriere della sera”, 7/11/15, p. 12 dove però il contenuto dell’articolo è molto meno trionfalistico del titolo poiché si osserva che il tasso di partecipazione della forza lavoro è appena al 62,4% e cioè ai minimi da circa 40 anni, inoltre dei posti di lavoro creati nel mese di ottobre 56700 sono destinati ai servizi personali (badanti o simili) il che conferma la previsione del US Labour Statistic Bureau del 2011 che le professioni del futuro sarebbero state badanti, giardinieri, baristi e non ingegneri elettronici (v. su ciò A. CARLO, Capitalismo 2011 cit., par. 1, testo e nota 19). Anche i dati più recenti confermano questo andamento sostanziale poco brillante del mercato del lavoro USA: a dicembre si creano 292.000 posti di lavoro ma la disoccupazione è ancora al 5% e il tasso di partecipazione dei lavoratori al mercato del lavoro sale appena al 62,6% , meno del 62,7% di fine 2014 e comunque ai minimi degli ultimi 40 anni. In media nel 2015 si sono creati 221.000 posti di lavoro al mese, meno dei 260.000 mensili del 2014 (v. per questi dati M. VALSANIA, Boom di occupati USA ma Wall Streat cade, ne “Il Sole 24 ore” 9/1/16, p. 4; v. anche retro par. I, testo e nota 92).
128 Vedi su ciò A. CARLO, Capitalismo 2014 cit., par. 2; M. PLATERO, In buona salute il mercato del lavoro, ne “Il Sole 24 ore” , 7/11/15, p. 6, anche qui il titolo ottimista dell’articolo contrasta con il suo contenuto; vedi anche M. VALSANIA, Disoccupazione al 5,1% ma deludono i nuovi posti , ne “Il Sole 24 ore”, 5/9/15, p. 5, dove si nota che ci sono 6,5 milioni di lavoratori americani che subiscono il lavoro parziario contro la loro volontà.
129 Fonte ILO.
130 Vedi retro testo e nota 64.
131 Vedi M. LONGO, L’effetto boomerang della liquidità USA , ne “Il Sole 24 ore”, 26/4/15, p. 2.
132 Vedi su ciò F. RAMPINI, L’età del caos, Mondadori libri, Milano, 2015, p. 87, dove leggiamo: “I salari sono quasi fermi. Il potere d’acquisto delle famiglie ristagna. Siamo ben lontani da uno sviluppo paragonabile a quello degli anni ’50, ’60 e ‘70”; a pag. 108-109 dati sull’inadeguatezza dei salari, mentre a p. 76-78 si parla degli affari (d’oro) dei lupi di Wall Street; in questa situazione il pericolo della stagnazione secolare è ben reale ( ivi p. 99)
133 Vedi R. FATIGUSO, La Cina vuole crescere almeno del 6,5%, ne “Il Sole 24 ore”, 4/11/15, p. 2.
134 Cosa che ho segnalato nei miei articoli citati alla nota 1 nei paragrafi relativi alla Cina.
135 Fonte “Economist”.
136 Vedi retro par. 1.
137 Vedi R. FATIGUSO, op. ult. cit .
138 Cui se ne è aggiunta un’altra nel dicembre 2015 ed un’altra ancora a inizio 2016.
139 Fonte Uffici doganali cinesi.
140 Il solito balletto di cifre su livelli molto bassi, il governo prevedeva (o sperava) uno 0,9% poi si è ripiegati su uno 0,8% , ma l’ISTAT ha fatto intendere che forse siamo allo 0,7% per poi ricredersi il giorno dopo confermando uno 0,8%. Una scena miserabile.
141 Vedi retro par. 1.
142 Sulla mancata frustrata ai consumi nel 2014 dopo il bonus di € 80 ai lavoratori dipendenti privati fino a 26.000 euro lordi di reddito, v. A. CARLO, Capitalismo 2014 cit., par. 4; sul carattere quanto mai modesto e limitato del rimbalzino del 2015 v. F. FUBINI, La spinta dei consumi non basta, la ripresa del PIL rallenta (+0,2%) , ne “Il Corriere della sera” 14/11/2015, p. 1; anche il Centro Studi Prometeia (ben noto) rileva che con questo trend di crescita dei consumi torneremo ai livelli pre-crisi solo nel 2020 ( TELEVIDEO, 19/12/15, p. 133).
143 Vedi i miei lavori citati alla nota 1 per i paragrafi relativi all’Italia e in particolare A. CARLO, Capitalismo 2008 cit., par. 1.
144 Vedi C. DI FOGGIA, Il governo festeggia il flop miliardario del jobs act, in “Il Fatto quotidiano”, 2/12/15, p. 2.
145 Ibidem ; vedi anche F. FUBINI, Dentro i numeri, ne “Il Corriere della sera”, 2/9/15, p. 2; D. DI VICO, I nuovi lavoratori, riparte il turismo, l’industria ancora no , ivi, 1/10/15, p. 5.
146 Negli ultimi mesi del 2015 il governo sembra menare grande vanto per un concordato fatto con la Apple per il pagamento di 318 milioni di € a fronte di un imponibile nascosto di 879 milioni. Questo dato non cambia il quadro complessivo che è quello indicato, il recupero globale è minimo, vorrei però far rilevare che chi scrive, pur disponendo di redditi irrisori rispetto a quelli prima citati, paga una aliquota marginale del 43% cui si aggiungono le addizionali regionali e comunali e arriviamo al 47-48%, inoltre qualora osasse occultare al fisco un reddito per quanto modesto pagherebbe penali ed interessi che arrivano al 60-70%, per contro la Apple paga 318 milioni su un imponibile di 879 milioni e cioè il 36%. Mi viene il sospetto che dovrei arrabbiarmi.
147 Vedi E. MARRO, Ma i conti di Rajoy non rispettano i vincoli sul deficit , ne “Il Corriere della sera” 29/7/15 p. 4.
148 Vedi D. DI VICO, Quella mossa del 2012, il segreto di Rajoy per far correre l’economia , ivi, 28/8/15, p. 8; v. anche F. SAVELLI, La mossa spagnola, ibidem.
149 Vedi Irlanda, un boom pilotato dall’esportazione o dal debito? , in http://www.forex.info.it 2014, ovviamente la domanda è retorica, la “ripresa” avviene grazie ad un boom impressionante del debito pubblico in barba ai parametri di Maastricht.
150 Vedi C. MARRO, La lenta uscita dalla crisi. Pochi investimenti ed innovazione in ritardo , ne “Il Corriere della sera” , 11/8/15, p. 3 ove istogramma.
151 Vedi A. FERRARI , Il gioco delle tre carte che Bruxelles ha ignorato facendo perdere Atene, in “Sette”, 17/7/15, p. 43.
152 Vedi G. ARFARAS , La via greca alla rinascita , in “Limes”, n. 7, 2015, pp. 49 e sgg. a p. 51.
153 Vedi A. FERRARI, op. ult. cit .
154 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 3.
155 Vedi S. RIZZO, A sud record di pensioni ed invalidi, uno su quattro, ne “Il Corriere della sera”, 15/10/2015, p. 33.
156 Vedi S. CANNAVO’, I miliardi di aiuti? Solo il 10% è andato al popolo greco, ne “Il Fatto quotidiano", 10/7/15, p.13.
157 Fonte: Commissione Europea
158 Vedi su ciò F. FUBINI, Una pioggia di austerità. Il pacchetto di riforme più duro anche dei creditori , ne “Il Corriere della sera”, 11/7/15 , p. 3; F. BASSO, Lo scoglio del debito, ivi, p. 5.
159 Vedi A. PANEBIANCO, La politica che manca all’Europa, ne “Il Corriere della sera” 15/6/15, pp. 1 e 32.
160 Vedi su ciò A. CARLO, Ricerche di sociologia negativa, Liguori, Napoli, 1994, pp. 78 e sgg.  dove ripubblico un lavoro del 1976 e riprendo le tesi di quel libro.
161Vedi M. DE CECCO, L’incerto destino della moneta senza Stato , in “Limes”, quaderno speciale “ L’euro senza Europa” , p. 12.
162 Fonte “Economist”.
163 A tal proposito una ricerca condotta da un noto manager italiano ha evidenziato che nel 2013 il costo del debito dei paesi ricchi ha assorbito il 3,8% del PIL USA, il 2,1% di quello giapponese, il 2,9% nell’Eurozona, il 2,8% della UE, il 2,2% della Germania, il 3,4% della Francia ed il 5,3%
dell’Italia, v. su ciò A. CARLO, Capitalismo 2014 cit. , par. 1, tabella n. 3.
164 Vedi S. NEARING , J. FREEMAN, La diplomazia del dollaro, Dedalo, Bari, 1975, pp. 197 ed sgg.
165 Vedi K.S. PANNIKAR , Storia della dominazione europea in Asia, Einaudi, Torino, 1958, pp. 128 e sgg
166 Tesi che ho cercato di riproporre, v. A. CARLO, La società industriale cit., cap. I.
167 Vedi in questo senso A. ALESINA, Il merito nelle società diseguali, ne “Il Corriere della sera” 19/6/15, pp. 1 e 27.
168 Vedi R. G. RAJAN, L. ZINGALES, op. cit., p. 331.
169 Ivi, pp. 64 e sgg.
170 Vedi J. K. GALBRAITH, L’economia della truffa, Bur, Milano, 2009.
171 Vedi A. CARLO, L’economia globale cit., , par. 6.
172 Vedi A. CARLO, Economia, potere, cultura cit., p. 69.
173 Vedi L. ZINGALES, Manifesto capitalista, Rizzoli, Milano, 2012, p. 127, a p. 116 si nota la degenerazione finanziario-speculativa dell’attuale capitalismo; è sintomatico il sottotitolo del volume “Una rivoluzione liberale contro un’economia corrotta”.
174 Su ciò v. A. CARLO, Studi sulla crisi cit., pp. 141 ed sgg.
175 Vedi J.F. MALEM SEÑA, Globalizzazione, commercio internazionale, corruzione, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 130.
176 Vedi R.G. RAJAN, L. ZINGALES, op. cit., p. 353.
177 Vedi C. WRIGHT MILLS, Politica e potere, Bompiani, Milano, 1960, pp. 143 e sgg. e 162.
178 Vedi G. SARCINA, La meritocrazia? Dagli USA ad Hong Kong sconfitta dalle dinastie, ne “Il Corriere della sera, 20/4/15, p. 23, dove si riassume una recente inchiesta dell’“Economist”.

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