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sinistra

Perchè la sinistra non impara a usare il meme?

Adorno, videogiochi e Stranger Things

Prefazione all'edizione italiana di Mike Watson

Mike Watson: Perché la sinistra non impara a usare il meme? Adorno, videogiochi e Stranger Things, Meltemi 2022

faccineMike Watson attualizza gli strumenti della teoria critica per riflettere sul rapporto odierno tra arte, industria culturale e politica. La principale questione su cui si concentra l’autore è l’incapacità della sinistra di vedere sia i lati positivi sia quelli negativi nello sviluppo di Internet e, di conseguenza, la particolare cultura della produzione e della ricezione delle immagini che lo accompagna. Secondo Watson, quella sinistra che voleva portare l’immaginazione al potere, salvo poi sposare la razionalità dei sistemi astratti e tecnocratici, può trovare nuova linfa vitale proprio nelle odierne tattiche di comunicazione politica. In tal modo, infatti, essa supererebbe tanto la condanna in stile anni Novanta di essere un baluardo della cultura del libro e del sapere alfabetico – dunque radical chic –, quanto quella più recente di essere parte di un’élite che difende la razionalità astratta del sistema – dunque dell’establishment – dimenticando le esigenze e i movimenti che spingono dal basso per rinnovare la società.

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Che i ragazzi appassionati di meme dell’alt-right abbiano potenzialmente aiutato Donald Trump a vincere la presidenza nel 2016 è un fatto ben documentato, anche se non necessariamente comprovato. Quello che sappiamo per certo è che la libertà messa a disposizione da Internet, in quanto piattaforma di pubblicazione, ha permesso a una forma deleteria di immaginario di destra di diffondersi a livello globale, trasformandosi in una chiamata all’azione per gli estremisti di destra, come abbiamo visto a Charlottesville e durante l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.

È possibile che, almeno in parte, Trump sia quello che succede quando tipi solitari comicamente fuori di testa cominciano a creare meme nelle loro camerette. Le conseguenze, però, sono state letali. Lo stesso si sarebbe potuto dire della coalizione di Conte con i populisti di destra Salvini e Di Maio che ha visto la luce nel 2018, mentre vivevo a Roma e scrivevo Perché la sinistra non impara a usare il meme?

La Lega di Salvini e il Movimento 5 Stelle di Di Maio si sono affermati entrambi come voci importanti nel panorama politico nazionale in seguito al loro ricorso ai social media per disseminare messaggi populisti, di primo acchito perlopiù innocui. Tuttavia, il fatto che Salvini pubblicasse incessantemente messaggi improntati alla retorica anti-immigrazione assieme a post in cui dichiarava la sua passione per la cucina estera (“Cenetta cinese da leccarsi i baffi” o “E adesso mi mangio un bel kebab…”) ha portato alla luce il ventre oscuro dell’Italia, dove coesistono una xenofilia di superficie e una xenofobia dalle radici profonde, spesso con conseguenze tragiche per i migranti che cercano rifugio in questo Paese.

A quel punto, mi era sembrato che la risposta migliore al nazionalismo, alla xenofobia e al populismo mascolinizzato non poteva essere la disseminazione di meme di estrema sinistra che presentassero falce e martello, ritratti di Stalin e ghigliottine (anche se, nel frattempo, molti creatori di meme hanno seguito proprio questo modello). Piuttosto, mi sono tuffato nell’astrazione del nuovo panorama mediatico e ho seguito la scia dei millenial che si rifiutano di arrendersi al cinismo ma piuttosto lo fissano dritto negli occhi e cercano di superarlo in fatto di stranezza (come, ad esempio, nel caso del movimento online Vaporwave e della serie YouTube Don’t Hug Me I’m Scared). Così facendo, ho proposto un’alternativa all’approccio di destra di Steve Bannon e alla psicologia conservatrice di Jordan Peterson, e al loro desiderio di imbrigliare le generazioni perdute dei più giovani ponendo l’accento su un ritorno all’ordine e sul rifiuto delle conquiste progressiste che si sono susseguite in Occidente sin dalla fine della Seconda guerra mondiale. Quest’alternativa accoglieva la natura indomabile di Internet senza tentare di mettergli dei paletti. Il solo modo per farsi strada nel caos dei nostri tempi – caos che risulta tanto indigesto soprattutto a quell’isterico di Peterson – era, e continua a essere, quello di accoglierlo e renderlo in maniera artistica. L’opera d’arte che ne consegue, come dice Adorno, fungerà da oggetto di riflessione in grado di sospendere la falsa logica binaria fra soggetto e oggetto che sta alla base della tendenza verso il bigottismo, il controllo e il dominio nella sfera politica.

Il problema in questa formulazione sta nel fatto che, al giorno d’oggi, il mondo dell’arte si è trasformato in un mercato al punto tale che l’idea di un’opera d’arte in grado di esistere al di fuori del sistema capitalista di controllo sembra impossibile da concepire. Con questo problema ben presente in mente, e dopo aver lavorato per cinque anni come critico d’arte contemporanea e curatore in Italia, ho scritto Perché la sinistra non impara a usare il meme? per elaborare una pratica creativa online che sia in grado di colmare le lacune dell’arte contemporanea. Mentre scrivevo, la speranza era che l’attività online potesse mettere l’astrazione artistica al servizio di una dissezione del capitalismo e della sua incarnazione più recente, ossia il populismo di destra.

E però, è davvero possibile sperare di affrontare le sfide dei nostri tempi con i meme? A questa domanda, mi sento di rispondere che i problemi di fronte a noi – comprese la catastrofe climatica, la xenofobia, la guerra e la crisi economica – sono tutti il risultato dei limiti del pensiero umano e di quello che Adorno avrebbe definito “pensiero dell’identità”, come discusso in questo volume. Per dirla in poche parole, il nostro desiderio di identificare e controllare la natura allo scopo di scongiurarne la minaccia seguiterà a produrre conflitto e degrado ambientale fino a quando continueremo a non aver modo di mitigarlo. L’opera d’arte astratta consente un tipo di pensiero non identitario in cui il nostro conflitto con il mondo esterno viene sospeso in maniera temporanea. È proprio questo che rende preziose l’imprevedibilità e l’astrazione di Internet nel suo complesso, se solo riuscissimo a sfruttarle come esempio dell’impossibilità di esercitare controllo (piuttosto che per controllare ancora di più la gente).

Dalle recenti campagne elettorali, si direbbe che la sinistra ha cercato di stare al passo con il successo della destra in fatto di meme. Negli ultimi anni, sia il movimento di Corbyn che il Partito Democratico hanno tentato di creare un certo slancio tramite campagne sui social media. Durante le elezioni del 2019 nel Regno Unito, Momentum (un’organizzazione di campagna elettorale a supporto dei Labour il cui nome significa appunto “slancio”) ha sviluppato un forum online centralizzato che invitava i simpatizzanti Labour a caricare meme video fatti in casa da twittare in risposta a temi e hashtag coordinati. Più di recente, durante le elezioni del 2022 in Italia, il Partito Democratico ha lanciato la campagna elettorale “rosso e nero” che presentava due opzioni chiaramente binarie fra cui scegliere. La scelta “corretta”, allineata a sinistra, era sovrapposta a uno sfondo rosso accanto al primo piano di Enrico Letta, mentre la scelta sbagliata, di destra, era sovrapposta a uno sfondo nero: con Putin o con l’Europa, lavoro sottopagato o minimo sindacale, e via dicendo. Sembra plausibile che la campagna originale sia stata ideata proprio perché diventasse virale e venisse alterata in maniera imprevedibile in corso d’opera. Il fallimento di entrambe le campagne era forse inevitabile. I meme non possono essere orchestrati, ma devono piuttosto svilupparsi in maniera organica. Nel caso in cui sorga il sospetto di un’orchestrazione, allora il messaggio originale viene spesso deragliato, come si è visto nel caso del meme “rosso e nero”, che è diventato farsesco invece di esprimere un messaggio politico incisivo.

D’altro canto, il caso di Giorgia Meloni è esemplare del modo in cui la destra trae vantaggio dalla bizzosità della cultura dei meme. Nel 2019, il discorso anti-LGBTQ di Meloni “Io sono Giorgia” è stato mixato su una base dance. Come spiega Barile:

“La gente ha cominciato a mixare il discorso tenuto durante un comizio a Roma da Giorgia Meloni, una politica populista di destra, in cui questa ha dichiarato “Sono una donna, sono una madre, sono cristiana”, in quello che si potrebbe leggere come un confuso appoggio simultaneo sia alle donne (in quanto genere) che ai valori della famiglia tradizionale” (Barile 2022).

L’effetto voluto era forse quello di rendere comico il discorso di Giorgia Meloni, ma nei fatti l’intenzione importa poco perché la tendenza della destra a esercitare controllo si traduce nel fatto che i suoi politici sono semplicemente in grado di cavalcare l’onda dei meme per poi rincarare la dose della loro retorica bigotta, sicuri del fatto che il mondo ha gli occhi puntati su di loro. Tuttavia, questi politici non assumeranno mai il controllo completo della sfera caotica dell’esistenza ed è inevitabile che il loro desiderio di ottenere l’impossibile da questo punto di vista condurrà solo a continui tentativi isterici in tal senso. Dopotutto, la dichiarazione di Meloni “Io sono Giorgia…” è un esempio par excellence di pensiero dell’identità. Meloni è talmente insicura da sentire il bisogno di ribadire il suo nome, il suo genere e la sua religione, a voce alta e in pubblico, come se Dio stesso la osservasse e avesse bisogno di farselo ricordare. In maniera analoga, il video pubblicato su TikTok alla vigilia delle elezioni del 25 settembre, in cui Meloni regge due meloni di fronte al petto e dice “25 settembre, ho detto tutto”, è una manifestazione volgare del suo bisogno di autoaffermazione in quanto donna e in quanto “Meloni”.

Si direbbe che ha avuto luogo un’inversione dei ruoli, con la destra che accoglie il surrealismo di Internet mentre la sinistra arranca scomposta. Tuttavia, si tratta di un’illusione. La destra si limita ad agire nel suo modo caratteristico e cerca continuamente di asserire il proprio dominio sulla forma caotica dei meme (come abbiamo visto quando Trump ha fatto sua l’immagine di Pepe the Frog, un fumetto che, all’epoca, era già stato rivendicato dall’estrema destra). La sinistra, invece, dovrebbe arrendersi all’imprevedibilità della cultura dei meme e farla propria in maniera fine a sé stessa, come promozione esemplare del pensiero non identitario, in un desiderio di mettere fine ai danni causati dalle categorizzazioni in termini di razza, genere, sessualità e classe sociale.

Il desiderio di controllo di Meloni è evidente, ad esempio, nel nome del movimento giovanile di destra che ha fondato in prima persona nel 1998, ossia Atreju: il nome deriva infatti dal protagonista del film La storia infinita, un bambino che combatte per fermare la diffusione del Nulla prima che inghiotta il mondo di Fantàsia (una chiara metafora della lotta dell’umanità contro natura e mortalità). La storia infinita è anche un riferimento centrale nel finale della terza stagione di Stranger Things. Come scrivo nel secondo capitolo di Perché la sinistra non impara a usare il meme?, la sigla de La storia infinita viene usata per contrassegnare un momento di svolta nella battaglia fra i ragazzi di Hawkins e il Mind Flayer, un mostro creato da un esperimento dell’esercito statunitense andato a finire male:

“Mentre nel vivo della battaglia con il Mind Flayer Dustin canta dalla torre radio di fortuna il tema del film fantasy degli anni ’80 Never Ending Story alla ragazza di cui è innamorato, ci viene ricordato che per Adorno, come per Marx, la rivoluzione non ha fine, e che solo la rivoluzione di chi è creativamente ostinato potrà prosperare, se si rimane uniti” (ivi p. 55).

La canzone, che viene diffusa per radio in tutta Hawkins e viene ascoltata dai protagonisti sotto assedio nel bel mezzo della battaglia, dà loro coraggio e forza e li guida verso la vittoria sul Mind Flayer.

Mentre scrivo questa prefazione, Giorgia Meloni sta formando un nuovo governo in Italia dopo che il suo partito populista di destra Fratelli d’Italia ha ottenuto una vittoria schiacciante sulla sinistra. Per prosperare, la sinistra ha ora bisogno di tutte le risorse creative di cui dispone sia nelle piazze che online, secondo modalità che possono essere sia dirette che esoteriche. Ma soprattutto, deve accettare la diversità e l’incertezza, che hanno la meglio in natura, piuttosto che cercare di sconfiggerle.


Mike Watson è curatore di mostre, critico d’arte e teorico dell’arte e dei media. Di origini britanniche, attualmente risiede in Finlandia. PhD in Filosofia presso il Goldsmiths College di Londra, scrive regolarmente per riviste quali “ArtReview”, “Artforum”, “Jacobin” e “Radical Philosophy”.

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