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Manifesto utopico per Una Scuola-Università del Conoscere/Riconoscere

di Roberto Finelli 

page 1 thumb large1. Innalzamento dell’obbligo scolastico al 18° anno di età. Unificazione delle varie tipologie della scuola secondaria superiore in un unico Liceo che contempli conoscenze generalizzate per tutti di materie storico-letterarie (tra cui Greco e Latino), materie scientifiche, logico informatiche, linguistiche (due lingue straniere), con la forte presenza di attività teatrali, grafiche, musicali e sportive.

L’aumento e la diversificazione del numero delle materie e delle molteplici attività scolastiche sarà consentito da una scuola a tempo pieno, aperta mattino, pomeriggio, sera, tale da divenire il luogo permanente di una attività non solo di istruzione ma di socializzazione e di incontro (senza ovviamente trascurare tempi e spazi dello studio individuale quale momento indispensabile del processo formativo).

Con l’innalzamento dell’obbligo scolastico all’età di 18 anni si provvederà alla riorganizzazione/eliminazione della scuola media inferiore, vero buco nero dell’attuale scuola italiana, da cui gli studenti escono ormai senza la padronanza delle strutture logico- grammaticali-sintattiche più elementari e senza una sufficientemente modesta capacità di scrittura, presupposti indispensabili per un proseguimento non impedito e fecondo della formazione scolastica successiva.

 

2. Istituzione di un anno sabbatico generalizzato, e pagato con stipendio pieno, per tutti i docenti di scuola materna, primaria, secondaria inferiore e secondaria superiore da trascorrere ogni 7 anni di insegnamento presso Università e Istituti di ricerca italiani e stranieri.

Tale anno sabbatico, di frequenza di lezioni e di ricerca, che cancellerà la miriade di corsi e corsetti di aggiornamento contemporanei validi in genere a rimpinzare solo le tasche di formatori parauniversitari e universitari, si deve concludere con la compilazione di una tesi o di una esercitazione scritta, approvata e convalidata dall’Istituzione frequentata. Ne conseguirà una necessaria riorganizzazione delle istituzioni universitarie che dovranno aprire le loro aule, i loro programmi di studio e ricerca, i loro docenti a svolgere questa ulteriore funzione di un’offerta di cultura e di socializzazione “altra” agli insegnanti degli ordini precedenti di scuola.

 

3. Formazione scolastica che abbia come scopo primario, oltre quello del “conoscere”, quello del “riconoscere” o, più propriamente, del “riconoscersi”. Ossia formazione cognitiva che abbia nello stesso tempo come suo scopo la formazione relazionale del “Gruppo Classe”. La formazione cioè di una comunità adolescenziale capace di distinguere e rivendicare la propria specificità di gruppo di contro a quella degli adulti e di accogliere, nel proprio essere- in-comune, nel proprio costituire un tutto, differenze, modalità di tempi e di affetti, sensibilità proprie di ognuno. La formazione del gruppo classe sotto la supervisione promotrice e partecipe degli insegnanti dovrà avere lo scopo di spegnere o mitigare la concorrenza tra i singoli e di introdurre ad una socialità dove comune e individuale possano confrontarsi e mediarsi nella loro problematicità quanto nella loro vivacità e ricchezza. La limitazione del numero degli studenti per ciascuna classe è ovviamente condizione fondamentale per il realizzarsi di tale relazione comunitaria. Così come la necessità, per ogni insegnante dei diversi gradi della scuola dell’obbligo, di frequentare un corso, della durata di 6 mesi, di cultura psicoanalitica dell’infanzia-adolescenza e della formazione dei gruppi, pagato con stipendio pieno, all’atto dell’ingresso nella professione scolastica. Compito fondamentale degli insegnanti in relazione alla formazione e allo sviluppo del Gruppo Classe sarà quello infatti di garantire il diritto di ogni membro a preservare la specificità della sua soggettività e a mantenere autonomia emozionale e di giudizio rispetto ai valori prevalenti nel gruppo.

 

4. Soppressione di ogni connessione possibile tra l’intero percorso scolastico (universitario incluso) e il mondo adulto del lavoro e della produzione. Scuola e lavoro sono due “trascendentali” (organizzatrici cioè di esperienza) che attengono a logiche diverse e a diversi tempi della vita, né riducibili ne sovrapponibili l’uno con l’altro. Il vero lavoro, estremamente impegnativo, di un percorso scolastico autenticamente tale, è infatti quello che connette conoscere e riconoscere. Ossia capacità da un lato di accogliere in sé il patrimonio di conoscenze che l’umanità è giunta ad elaborare fin qui attraverso la sua storia - la capacità cioè di apprendere i codici e le informazioni più valide che il genere umano ha fin qui prodotto - e dall’altro la capacità, per ciascuna individualità in formazione, di saper riconoscere il proprio mondo interiore, le proprie emotività e le proprie passioni, come luogo indispensabile (ed unico nella sua incomparabilità con quello di tutti gli altri) da cui nasceranno le sue scelte di vita e di professione, i suoi valori, l’intera sua forma di vita.

 

5. Una scuola che voglia cessare di essere scuola dell’ignoranza e della mortificazione della passione, qual è giunta ad essere la scuola di oggi, e che voglia aprirsi ad essere invece una “scuola della gioia”, non potrà infatti che fecondarsi delle istanze più originali poste dai movimenti di liberazioni di massa dal ’68 in poi e che si riassumono nell’introduzione di un ulteriore definizione della libertà moderna. Quale la possibilità per ciascuno di giungere alla più avanzata realizzazione di sé con il minor grado possibile di repressione di affetti e di autocensura. Ma come insegna l’antropologia e la scienza psicoanalitica più avanzata la capacità da parte dell’adolescente di riconoscersi nella più propria irripetibile singolarità dipende dall’esser riconosciuto, dal grado cioè di accoglimento e di valorizzazione del proprio sé da parte di altri. Ossia da un contenitore di socialità che, lontano da una logica individualistico-competitiva, sappia riconoscere le sue fragilità e i suoi tremori, senza criticarla e condannarle ma elaborandole attraverso la pratica di costruzioni comuni. Per questo l’istituzione del “Gruppo Classe” è l’istituzione fondamentale della scuola del conoscere/riconoscere, quale collettivo che deve saper mediare la conoscenza degli universali con la cura e il riconoscimento degli individuali.

 

6. La scuola del conoscere/riconoscere nel suo rifiuto di ogni sovrapposizione e intreccio con il mondo del lavoro adulto e della produzione economica prevede l’abolizione del ruolo del “preside-manager” e di ogni possibile configurazione della scuola come scuola-azienda con i suoi studenti-clienti-utenti, con i suoi crediti e debiti formativi, con la sua didattica modulare, destinata a produrre una cultura-merce fatta di competenze acquistabili ed usufruibili dal mercato e dall’industria. La dirigenza scolastica, composta di docenti che sospenderanno per tempi limitati l’insegnamento, dovrà essere formata ed eletta attraverso processi democratici messi in atto dall’intero corpo insegnante: ed essere costituita da insegnanti che hanno esperienza d'insegnamento e conoscenza socio-ambientale della scuola che andranno a dirigere. La natura costituzionalmente democratica di tale dirigenza, anziché dirigere un processo aziendale-mercantile, dovrà esprimersi nella cura intelligente del suo demos, formato dalle due tribù degli studenti e degli insegnanti, avendone sollecitudine quanto ad armonia ed unità ed evitando perciò ogni estremizzazione di autoritarismo e di inoperosità. Ma soprattutto la sua direzione dovrà curare il darsi della mediazione dialettica e culturale della scuola del futuro tra i suoi due poli fondanti del "conoscere" e del "riconoscere": lasciando in tal modo al responsabile dei servizi amministrativi la gestione finanziaria di ogni istituto.

 

7. La scuola del conoscere/riconoscere è il percorso formativo, non dell’homo laborans, ma dell’homo cives, non dell’essere umano come forza-lavoro ma come cittadino, membro di una comunità socio-politica. Come tale è una scuola che educa alla conoscenza e alla frequentazione degli universali, ossia di tutti i codici attraverso i quali la storia dell’umanità, nelle sue diverse tipologie ha provato a condensare e a definire il suo rapporto con il mondo, producendo culture e forme diverse della socializzazione. Attraverso il percorso delle discipline umanistiche, scientifiche e linguistiche una formazione che abbia come sua destinazione la cittadinanza mette in atto l’accesso a una “cultura” che è sinonimo di “civilizzazione”, ossia attitudine e capacità di pensare qualsiasi problema nei termini non di interessi egoistici e parziali ma secondo l’orizzonte del coinvolgimento e dell’usufrutto, il più universale possibile. Questa cultura degli universali è il presupposto, logico-mentale e morale, indispensabile a che si dia, successivamente nel mondo del lavoro, cultura e competenza tecnica del particolare. Giacché solo una compenetrazione di humanitas e di technè potrà garantire nella storia del futuro un’ibridazione armonica ed equilibrata tra mondo della vita organica e mondo dell’artefatto tecnologico che sempre più si confrontano nel nostro presente. L'opposizione, che ha estenuato la scuola negli ultimi trent'anni, tra storicismo e pragmatismo, cioè metodologia didattica istituita sulla riproposizione del percorso storico e metodologia che parte dai problemi pratici del presente per tornare eventualmente a pescare all'indietro, va sciolta mantenendo la successione del tempo storico come orizzonte indispensabile per l'orientamento e il consolidamento di una mente in formazione ma volgendo in pari tempo un'istanza pragmatica, parimenti indispensabile, nella capacità collettiva di presentificare, ridar vita e rimettere in scena quel passato, altrimenti astratto e consumato di senso.

La diffusione delle nuove tecnologie deve facilitare la formazione del gruppo classe attraverso il reperimento, la messa in campo e la costruzione di un materiale del sapere iconico, narratologico-teatrale e musicale che superi i contenuti spesso solo astrattamente concettuali delle attuali discipline scolastiche. Per consentire un incontro tra strumenti del digitale e dell'artefatto da un lato e una forte radicalizzazione di umanesimo dall'altro è necessario procedere verso una didattica sempre più capace di transitare il sapere concettuale-discorsivo in un sapere iconico-rappresentativo, e viceversa, perchè solo la mediazione di "astratto" e "concreto" può riaprire un discorso di profondità, insieme conoscitiva ed emozionale.

 

8. Va promossa l'eliminazione delle prove INVALSI all'interno delle scuole di vario grado, per il loro essere un metodo del tutto estrinseco e meramente statistico-quantitativo di valutazione. L'eliminazione delle prove INVALSI deve accompagnarsi a una rivalutazione e al un riconoscimento, economico e sociale del lavoro e del ruolo dell'insegnante, a partire da rinnovate procedure dell'inserimento in ruolo che rimuovano l'estenuazione, fisica e psichica, dell'attuale precariato.

 

9. Né è un caso che per l’eccesso di una governance del numero l’Università italiana, come ultimo fondamentale segmento del percorso formativo, abbia subito negli ultimi trent’anni una decadenza e un impoverimento qualitativo, la cui drammaticità di proporzioni, richiede, in continuità con le riforme utopiche sopra tratteggiate per i gradi di scuola precedenti, un analogo spirito, e coraggio, di fantasia utopica e trasformatrice. L’istanza prioritaria è quella di modificare radicalmente l’istituzione del 3+2, della distinzione cioè tra laurea triennale e laurea magistrale, perché tale istituzione, se ha allineato l’Università italiana con la tipologia di quelle europee (secondo una dominanza del modello anglosassone), lo ha fatto a prezzo di un alleggerimento e superficializzazione di programmi e di studi così radicali che si può ben affermare, senza timore di smentita, che oggi l’Università della laurea triennale è stata retrocessa ad essere quello che una volta era il Liceo. La riduzione temporale dei corsi da annuali a semestrali (nella realtà della durata di soli due o tre mesi) ha infatti impedito una lenta assimilazione dei contenuti da parte degli studenti, con un adeguato approfondimento e appassionamento critico. Ha pressocchè annullato l’attività seminariale, quale luogo d’incontro più orizzontale e più facilitante tra professori e studenti. Ma soprattutto con lo sgravamento e la semplificazione dei programmi di studio ha interiorizzato nei professori una disposizione emotiva a considerare i propri studenti, non come interlocutori in formazione dialoganti con pari dignità, ma come animulae vagulae et blandulae da non sorprendere e sanamente provocare bensì da far crescere con piano, imbelle e materno dottrinarismo. Dato l’aggancio al sistema universitario europeo modificare l’istituzione del 3+2 è un’impresa certamente difficile, ma, tra le varie ipotesi ineludibili di smontaggio e riconfigurazione, si potrebbe valutare l’idea di fare dei primi tre anni corsi ed esami su materie eguali e fondamentali per tutti - quindi un curriculum di base obbligatorio e generalizzato che ponesse appunto le fondamenta - e dei due anni successivi delle specializzazioni a scelta del laureando con un piano di studio più determinato e di approfondimento. Dunque un percorso di studi di cinque anni che consentirebbe il ritorno della durata dei corsi da un semestre (trimestre) a un intero anno e che contemporaneamente consentirebbe la parificazione europea di lauree triennali e di lauree magistrali.

 

10. Abolizione dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca), come istituzione che, giudicando delle prestazioni dei diversi atenei, promuove e sollecita la concorrenza nell’intero sistema universitario, destinando quantità di finanziamenti diversi alle Università migliori delle altre. Abolizione della VQR (Valutazione della Qualità della Ricerca) quale strumento di valutazione dell’attività di ricerca di docenti e ricercatori universitari. Tale complesso di istituti della valutazione, presuntivamente volti a misurare e giudicare secondo qualità, applicando invece criteri essenzialmente formali e quantitativi (come parametri bibliometrici fondati sul numero di citazioni per le materie scientifiche), ha pesantemente concorso ad alterare e a peggiorare la natura della ricerca, e di conseguenza, dell’insegnamento. La necessità di rientrare in parametri di valutazione formale obbliga infatti sempre più ricercatori e docenti a dare attenzione assai più a criteri estrinseci che non al contenuto della loro produzione, garantendosi soprattutto la pubblicazione della loro saggistica in riviste di serie A. Così come la classifica dei Dipartimenti di Eccellenza attraverso l’introduzione dell’astruso e controverso Indicatore Standardizzato di Performance Dipartimentale (ISPD) ha ulteriormente aumentato in Italia la disparità della distribuzione dei fondi a disposizione del Ministero della Ricerca e dell’Università, fortemente penalizzando gli atenei delle isole e del Sud. Una vera valutazione della qualità e dei risultati della ricerca, in ogni campo, può essere solo quella della comunità scientifica, largamente intesa, la sola capace di mettere a confronto gli universali e di discutere e indagare il valore di ogni singola produzione e competenza e del suo concorrere o meno all’avanzamento delle conoscenze e alla qualità dell’insegnamento che ne deriva. In questo senso è indispensabile ritornare a commissioni nazionali, formate da un ampio numero di membri, per i concorsi universitari, che superino la pratica degli attuali concorsi che oggi garantiscono solo la cooptazione e la riproduzione “feudale” di gruppi locali.

 

11. Investimenti di grande volume per l’edilizia universitaria, al fine di costruire case dello studente e collegi residenziali in un numero tendenzialmente sempre più adeguato al numero degli studenti. Con il duplice scopo di combattere, da un lato, la rendita urbana che ha svuotato molti centri storici per trasformarli in residenze d’affitto e, dall’altro, per operare una riconcentrazione di sedi universitarie, capaci, per il loro numero più limitato, di offrire strutture di ricerca e di studio, come laboratori e biblioteche, e strutture di socialità (re­sidenze, mense, attrezzature sportive, accademie del tempo libero) a un livello di qualità assai più elevato di quello contemporaneo. M a tuta la questione dell'autonomia universitaria, per la quale ogni singola Università è divenuta un ente pubblico indipendente con una propria personalità giuridica, va profondamente ripensata, per sottrarla a una logica meramente competitiva di aziendalizzazione e, viceversa, per aprirla a una logica feconda di sperimentazione culturale, sottratta al localismo e al clientelismo.

 

A commento integrativo di queste tesi, schematiche, assertorie e utopiche, vorrei dire che l’unica dimensione del "fare", del "lavorare", che dovrebbe propriamente entrare nella scuola è quella attinente alla pratica di formazione di comunità. E che dunque bisognerebbe insistere molto sulla distinzione greco-antica tra il poiéin, che lavora e crea gli oggetti, e il pràttein, che lavora e forma le soggettività. Senza omettere di dire che ovviamente una scuola ripensata alla luce di un pràttein a forte ispirazione umanistica implica una grande riorganizzazione complessiva ma pure appare come l’unico modo di accogliere e mediare l’istanza di una fondazione pragmatica della scuola sottraendola all'egemonia attuale di un orientamento volto sempre più verso l'anticipazione del mondo del lavoro e alla formazione di una soggettività capace fin dall'adolescenza di farsi imprenditrice di sè stessa. Come accade oggi con la “scuola delle competenze” e con il suo rovesciamento in un sapere generico di superficie che fornisce solo una alfabetizzazione elementare di base e quel minimo di abilità linguistico-comunicative, necessarie per interloquire passivamente con le macchine dei futuri lavori informatici

Ma pure deve essere ben chiaro che a principio di questo discorso utopico sulla Scuola/Università non si colloca alcun atteggiamento regressivo e di celebrazione del passato rispetto alla profondità della rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo e che esorta a considerare una ibridazione, anche futura, sempre più ampia e ineludibile, tra essere umano ed artefatto tecnico.

La rivoluzione legata alla diffusione sempre più ampia delle tecnologie informatiche sta assumendo i caratteri di una svolta epocale nella storia dell’umanità e dei suoi sistemi di scrittura. Dopo l’invenzione dell’alfabeto, con la possibilità di ridurre l’immane campo delle lingue geroglifiche ed iconiche solo a una trentina di caratteri, dopo l’invenzione della stampa e il superamento dei limiti della diffusione dei manoscritti, le attuali macchine dell’informazione, basate sulla codificazione alfanumerica dei linguaggi natura li, con l’enorme velocità che tale codificazione matematica consente, ci aprono alla meraviglia e alla stupore per la grande occasione che si offre all’umanità intera di entrare in una comunicazione generalizzata con se stessa, con tutte le sue diverse culture e tradizioni: nel segno di un’integrazione possibile dell’intero genere umano.

Con questa terza grande rivoluzione nei sistemi di scrittura e di trasmissione delle informazioni, con la loro codificazione matematica, per la prima volta nella storia si dà la possibilità all’umanità di entrare in comunicazione con sé medesima, con la sua memoria, di farsi autocoscienza. Ma a patto che si comprenda la natura strumentale dei dispositivi informatici e che ben s’intenda che “informazione non è interpretazione”. Per poter valutare l’informazione bisogna uscire infatti dalla mera codificazione (che trasforma la continuità del vivente nella discontinuità dei termini di un codice) ed entrare in un processo valutativo che oltre al conoscere impegna il sentire. Il criterio del vero non sta infatti in un’adeguazione tra soggetto ed oggetto ma in ciò che consente una realizzazione quanto più possibile piena e non asimmetrica, non unilaterale, della soggettività, sia individuale che collettiva. Vale a dire che a valutare l’informazione e la sua utilizzazione è sempre un organismo vivente e la sua necessità di riproduzione vitale.

Qui serve Darwin, ma insieme a Darwin, Spinoza che ci ha insegnato che i criteri del bene e del male non stanno nel conoscere ma stanno in una sorta di etica delle emozioni, nei sentimenti cioè di laetitia o di tristitia che accompagnano il nostro vivere e che corrispondono ad un aumento o viceversa a una mortificazione di slancio e di potenza di vita. Oggi l’ideologia che si sta diffondendo è quella dell’ infosfera, secondo la quale il mondo, la vita, la società umana, sarebbe un constante ed enorme processo di trasmissione e calcolo di informazioni. Per cui i codici alfa-numerici non sarebbero solo strumenti di diffusione e generalizzazione delle informazioni ma costituirebbero la struttura stessa della vita (cfr. in tal senso la biologia genetica che, al di là di ogni considerazione di ecologia complessiva e di scambio tra organismo e ambiente, pretende di collocare nel codice del DNA tutta la storia e la biografia di un vivente). Di fronte a a tale supposta governance del numero, di fonte alla pretesa di identificare la produzione di verità con medie statistiche elaborate da algoritmi sempre più capaci di accumulazione quantitativa, la psicoanalisi e la neurobiologia, insieme a Spinoza e a larga parte della filosofia moderna, ci dicono che la mente nasce in primo luogo come pensiero e cura del corpo, che le emozioni e gli affetti sono i rappresentanti della corporeità all’interno della nostra mente. E che dunque ogni conoscenza che non muove da una passione e da un affetto è una conoscenza astratta e morta. Abbiamo dunque bisogno di una scuola che, mentre ha cura e provvede all’ampliamento delle conoscenze, abbia cura contemporaneamente dell’autoriconoscimento, cioè della capacità dell’adolescente e dello studente in generale di sviluppare la capacità di entrare in comunicazione e di dialogare con il proprio mondo emozionale. Una scuola perciò che produce una ecologia della mente in senso oggettivo e in senso soggettivo: oggettivo quanto ad apprendimento e unificazione dei sistemi di senso elaborati dalle culture dei popoli del mondo e soggettivo quanto a confronto e unificazione con la molteplicità delle componenti del proprio Sé.

Altrimenti vedremo diffondersi sempre di più la patologia psichica di massa che oggi offende e mortifica la vita della nostra gioventù, la quale oggi soffre fondamentalmente d'indeterminatezza. Diversamente dalle tradizionali patologie psichiche, legate ancora, potremmo dire in un modo assai schematico, a una costellazione edipico-autoritaria basata sulla contraddizione tra pulsioni emozionali e istituzioni socio-familiari repressiva, soffrire dell'indeterminato oggi significa infatti patire l'impossibilità di delineare, da parte d'ognuno, un personale progetto di vita, a causa dal mancato sviluppo di un apparato per sentire, capace cioè di sentire i propri affetti e le proprie emozioni. Senza questo radicamento nel proprio fondo d'essere, nel proprio fondo emozionale, si genera una mente connessa solo con messaggi, dettami e icone esteriori e dunque incapace di trovare in se stessa i criteri e i radicamenti del proprio vivere. Non a caso catatonia dell'apprendimento ed edonìa depressa appaiono le due dimensioni che connotano complessivamente lo stile di vita dei nostri adolescenti, inseriti in un percorso istituzionale di formazione scolastica e universitaria che sembra ormai aver assunto, come sua destinazione fondamentale, consapevolmente o meno che sia, la rimozione di ogni intensità di passione e l'omologazione di tutti su un piano di conoscenza sciatto e superficiale. Dove catatonia dell'apprendimento significa appunto limitarsi ad apprendere le nozioni più elementari e superficiali senza la possibilità di accedere a quadri più complessi e appassionati di senso, di cultura e di storia. Così come edonìa o euforia depressiva significano cercare di compensare tale mancanza di profondità, non solo di concetto ma anche di affetto, con accensioni emotive di superficie, prive di reale soddisfazione e pronte ad essere sostituite dalla cattiva infinità di contenuti parimenti effimeri.

Di questo vero e proprio "genocidio spirituale" delle giovani generazioni partecipano, con gradi diversi di responsabilità (eccetto ovviamente lodevoli eccezioni individuali), tutti gli operatori della scuola, in primo luogo gli insegnanti, avviati già da un trentennio su questa strada di perdizione degli altri e di sè stessi da una classe politica, sedicente di sinistra, corrotta dall'abbraccio con un neoliberalismo capitalistico, assunto come unico orizzonte della storia, e da una genia di pedagogisti sciaguratamente incolti e senza filosofia. Per altro anche i progetti di ammodernamento, facilitati dagli ampi finanziamenti legati al futuro PNRR, già sembrano approfondire ulteriormente l'organizzazione "mercatoria" dei percorsi formativi e, insieme, l'utilizzazione delle nuove tecnologie nel verso di una progressiva e spersonalizzazione dell'insegnamento: attraverso, in particolare, l'istituzione di aule specialistiche per discipline (aula di matematica, aula di italiano, aula di inglese, etc.) nelle quali gli studenti, privi di qualsiasi contenitore comune di classe, entrerebbero ed uscirebbero come consumatori di competenze e di crediti a seconda del piano individuale di formazione prescelto. E dove quindi la funzione didattica tanto più facilmente potrà essere svolta da programmi automatizzati di insegnamento, di valutazione e di verifica. Con lo scopo complessivamente storico e sociale, la cui evidenza è ormai sotto gli occhi di tutti, di dequalificare in modo radicale l'insegnamento nella scuola pubblica e democratica (come ben insegna la storia della scuola pubblica negli USA) per dislocare la formazione dei ceti dirigenti nelle istituzioni private. Anche perché verosimilmente la generalizzazione, in termini di massa, di una mente esteriore a se stessa è proprio quanto richiede una economia fondata sempre più sulla richiesta di una forza-lavoro mentale e sull'uso produttivo di una mente relazionata ma subalterna ai programmi informatici delle macchine.

A questa catastrofe del mentale si potrà opporre solo una diversa ibridazione tra essere umano e artefatto tecnologico, tra mente umana e intelligenza artificiale, che coniughi l'uso della tecnica in senso positivo e progressivo, nel verso, come si diceva, di una tendenziale unificazione e integrazione del genere umano con se medesimo e con il contesto ecologico del mondo naturale. Ma questo potrà accadere solo se il dialogo con le macchine verrà condotto e diretto da un'umanità a forte intensificazione di umanesimo, ossia una umanità capace di percorrere il suo asse verticale di senso, riducendo la sua esposizione su un asse solo orizzontale di significati. La riforma utopica di una Scuola/Università del Conoscere/Riconoscere è un passaggio indispensabile su questo cammino.


Da "Critica marxista", gennaio-aprile 2023

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