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illatocattivo

La fine del mondo non avrà luogo

di Gilles Dauvé

[VI episodio della serie: Pommes de terre contre gratte-ciel, apparso su ddt21.noblogs.org; marzo 2021]

Image 001«L'apocalisse di cui vi si dice non è quella vera». (Armand Robin, Poèmes indésirables, 1943-‘44)

Il catastrofismo, che – come abbiamo visto nell'episodio precedente – a volte può tingersi di marxismo, ha il vento in poppa: un mondo sull'orlo del collasso ci sta travolgendo, è urgente agire... o forse no, se è già troppo tardi. Ma di quale collasso stiamo parlando?

 

1. Collassato

Il collasso è un'immagine che colpisce: qualcosa o qualcuno crolla. Ma l'estinzione o la scomparsa di una società, più che coincidere con uno shock o una rottura, avviene dopo un declino generalmente accompagnato da una trasformazione di lungo periodo, che spesso si estende su un arco di diversi secoli, ed è raro che la decomposizione non sia anche una ricomposizione.

«Non è perché le “risorse” stanno diventando più scarse e (quasi) tutte le attività saranno rilocalizzate radicalmente, che le attuali strutture organizzative delle nostre società scompariranno, e che il produttivismo si arresterà. A questo proposito, la rappresentazione del “picco” (che in realtà è più simile a un plateau) della produzione di combustibili fossili comporta un grosso difetto. Viene sottinteso, e a volte esplicitamente affermato, che la rarefazione di queste energie causerebbe il collasso del capitalismo. Ma la scarsità non porta alla fine dei rapporti di produzione (al contrario). Il produttivismo andrà fino in fondo, fino all'ultima goccia, se avrà campo libero. Non ci sarà una fine meccanica del capitalismo [...], ci sarà “solo” una riallocazione delle “risorse” disponibili […] e una maggiore intensità nei rapporti di sfruttamento e nell'estrazione delle materie prime. [...] L'elettricità non scomparirà, i tagli di corrente saranno sporadici. Internet non si spegnerà da un giorno all'altro: una parte della popolazione si troverà scollegata, con un accesso alla rete sempre più oneroso.» (Jérémie Cravatte)

L'industria nucleare troverà qualche paese povero che servirà da discarica per i suoi rifiuti tossici. I 3.800 morti di Bhopal, nel 1984, non hanno messo fine all'industria chimica indiana o alla Union Carbide. Le specie possono scomparire e il lago d'Aral può prosciugarsi senza che la Terra o il capitale, che non ha esaurito le sue capacità rigenerative, smettano di girare. Come scriveva Pierre Souyri quarant'anni fa, sembra che «l'esistenza del capitalismo non abbia altro limite che il compimento delle rivoluzioni».

Per il momento, le forze riformatrici quali i sostenitori del Green New Deal, restano fortemente minoritarie; ma le classi dominanti non mancano di mezzi per mitigare gli effetti del riscaldamento globale, foss’anche coi metodi più «barbari», se necessario. Il XX secolo ci ha riservato delle sorprese, il nazismo e lo stalinismo sono solo le più note.

Catastrofe per chi, d'altro canto? L'1% più privilegiato se la caverà: potrà disporre di enclavi residenziali «sicure» con servizi pubblici propri (polizia privata inclusa), generatori di emergenza, porte anti-inondazione etc. Il clima non è «il grande livellatore». Inoltre, bisogna considerare che le previsioni dei collassologi1 hanno un aspetto catastrofico e apocalittico solo per gli abitanti delle regioni più «moderne» dal punto di vista capitalistico: più di quattro esseri umani su cinque sono già frequentemente sottoposti a una «sobrietà» imposta e poco felice... In caso di «collasso», o di un radicale cambiamento climatico, l'esito più probabile sarebbe un forte deterioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione, non un annientamento della specie umana.

 

2. Pensiero sistemico

La collassologia pretende di essere una nuova scienza interdisciplinare, una sintesi di tutte le altre: scienze umane, scienze naturali, scienze della vita... un pensiero autenticamente sistemico.

È senza dubbio Joseph Tainter, con il suo approccio sistematicamente sistemico, che ne illustra meglio i limiti, nel suo pionieristico The Collapse of Complex Societies, pubblicato nel 1988, e tradotto in francese nel 2013 sull’onda della moda «collassista». Dallo studio della storia dei Romani, dei Maya e dei Chacoan (civiltà di cultura anasazi, sviluppatasi nel nord-ovest dell'attuale Nuovo Messico), egli conclude che una società rischia lo squilibrio quando una delle sue componenti fondamentali si sviluppa eccessivamente a scapito delle altre. In realtà, per Tainter, la causa principale dello squilibrio sarebbe una diminuzione della produttività, che porterebbe a una produzione alimentare insufficiente, e quindi a una rottura dell'unità sociale, con conseguente perdita di dinamismo, disintegrazione, invasioni dall'esterno etc.

Fondamentalmente, Tainter paragona la società a una macchina che svolge una funzione, ma che è condannata ad incepparsi. Con un vocabolario nuovo, questo «pensiero complesso» fa rivivere la vecchia opposizione tra risorse e bisogni, tra produzione e consumo, una tesi esposta due secoli fa da Ricardo (i rendimenti decrescenti della terra e del capitale) o da Malthus (la sovrappopolazione che eccede la produzione). Tainter ci informa, in termini eruditi e facendo ricorso a una pletora di cifre, che se inizialmente la complessità socio-politica permette di risolvere i problemi della società, col passare del tempo essa tende ad aumentare, a diventare sempre più costosa e sempre meno efficace: quando grandi sistemi come l'Impero Romano perdono gradualmente l'energia necessaria per perpetuarsi, il collasso – seguito o meno da una rifondazione – diventa inevitabile.

Applicando questo modello al mondo contemporaneo, nel 1988 Tainter emise una diagnosi pessimistica, senza prendere in considerazione alcun rimedio, poiché questa volta – sosteneva – il rendimento negativo (da tutti i punti di vista) non si sarebbe potuto aggiustare, soprattutto perché, a differenza dell'antica Roma, viviamo oggi in una società globale, e quindi il crollo sarà generale. L'autore riponeva poche speranze in una «decrescita economica»:

«Mentre scrivo questo libro, è difficile sapere se il mondo industriale ha già raggiunto il punto in cui il rendimento marginale del suo modello di investimento ha cominciato a diminuire. La storia recente dimostra che abbiamo raggiunto rendimenti decrescenti in ragione della nostra dipendenza dai combustibili fossili e da alcune materie prime. […] Non abbiamo la possibilità di tornare a un livello di sviluppo economico più basso, almeno non come opzione razionale. La competizione tra regimi complessi porta a maggiore complessità e maggiore consumo di risorse, indipendentemente dai costi, umani o ecologici. Questa volta il crollo, se e quando accadrà di nuovo, sarà globale.»

La storia viene qui spiegata con la sproporzione tra bisogni e risorse disponibili, con il fatto che la creazione di ricchezza viene resa impossibile dalle sue stesse condizioni di produzione: più si investe, meno si cresce. Come Roma nel passato, ma con il potere distruttivo dell'industria e dei combustibili fossili. Il pensiero sistemico di Tainter riscrive il truismo borghese di ogni tempo e di ogni governo:

«Non si possono spendere più soldi di quelli che si hanno», salvo che qui i «soldi» vengono sostituiti dalle «risorse naturali» (da gestire come un «buon padre di famiglia», ironizzava Bordiga nel 1954).

Possiamo sfuggire a quella che Tainter presenta come una fatale «legge storica»? No, poiché il pensatore sistemico è spesso un pessimista: ancora una volta, il «sistema» è stato più forte; non ci resterebbe che cercare di vivere il meno peggio possibile, adattandoci alle conseguenze di ciò che abbiamo fatto ma siamo incapaci di disfare.

 

3. Fisica sociale

Il difetto principale delle tesi dei collassologi non sono gli errori di prospettiva che spesso vengono loro rimproverati: in più di un campo, le loro previsioni rischiano purtroppo di essere confermate. Il problema risiede nell'approccio.

Il XIX secolo inventò una fisica sociale, che avrebbe dovuto studiare le organizzazioni umane e i rapporti sociali, e stabilire le leggi della storia con la stessa obiettività dell'astronomo che studia le stelle o del biologo che studia gli insetti. In particolare, Saint-Simon (1760-1825) ha proposto la sua fisiologia sociale, parte di una fisiologia generale dedicata al funzionamento delle collettività. Ma fu Auguste Comte a chiamare la fisica sociale sociologia, definendola come segue:

«la scienza il cui oggetto proprio è lo studio dei fenomeni sociali, considerati nello stesso spirito dei fenomeni astronomici, fisici, chimici e fisiologici, cioè come soggetti a leggi naturali invariabili, la cui scoperta è lo scopo speciale della sua ricerca.» (Opuscules de philosophie sociale, 1819-1826)

Auguste Comte profetizzò una nuova era di progresso storico portato dalla scienza. I collassologi del XXI secolo, i quali credono che la catastrofe sia imminente, cercano anch'essi le «leggi naturali» dei «fenomeni sociali», e il loro metodo è prossimo alla fisica sociale.

La collassologia guarda il mondo come un veicolo di cui smontare il motore (l'era dell'automazione e della tecnologia digitale richiede l'uso di raffinati modelli matematici sconosciuti ad Auguste Comte). Le sue analisi non sono prive di meriti, in particolare quello di riunire una grande varietà di dati, ma hanno il difetto invalidante di scivolare costantemente dalle scienze naturali a quelle sociali, mescolando indici di borsa, gradienti di temperatura, prezzi della benzina e tassi di estinzione, come se si determinassero a vicenda.

Ma il capitalismo non è stato costruito, né funziona come una macchina. Non siamo passati al carbone, poi al petrolio, poi al nucleare secondo i criteri di una migliore efficienza energetica. Gli ingegneri sono al servizio della borghesia. I calcoli di produttività applicati all'energia (il «muro termodinamico») spiegano molto poco dei flussi e riflussi del capitale.

Credendo di prendere in considerazione sia l'umano che il naturale, il catastrofismo confonde i due aspetti e naturalizza i rapporti sociali. Non si può parlare seriamente della «vita» di una società, se si dimentica che si tratta solo di un'immagine, e che una società non nasce, non si evolve né muore come una rosa o un gatto.

A forza di mescolare tutto in questo modo, si confonde l'irreversibile con il reversibile. Come nota Jérémie Cravatte, ci sono «cambiamenti irreversibili – che possiamo solo cercare di limitare o di parare (come la distruzione della biodiversità e il cambiamento climatico)» e «cambiamenti totalmente reversibili (come l'ascesa dei fascismi, il transumanesimo o la finanziarizzazione del mondo)».

 

4. Resilienza

I collassologi pronosticano uno sconvolgimento inevitabile, e sostengono che la sola cosa che possiamo fare oggi è prepararci a quello che ci aspetta domani: la morte, la barbarie, o una vita necessariamente più razionale, a misura d'uomo – a condizione di esservi disposti e capaci. E nel frattempo, non mancano idee e programmi da attuare: produzione su piccola scala, commercio su piccola scala, consumo su piccola scala, cooperative, vita locale; insomma un ritorno – obbligato, ma benefico tanto per noi quanto per la natura – a un'epoca preindustriale, anche se certamente ancora un po' «connessa». Niente auto, ma computer. Julien Wosnitza, collassologo, 24 anni, raccomanda «di puntare ai rifiuti zero e al riciclaggio locale, [...] cercando di fare il meno male possibile alla vita e agli animali che ci circondano, preservando il livello locale, [...] coltivando le nostre verdure, [...] preparando una comunità fatta di competenze diverse, indipendenti, interdipendenti e resilienti. E soprattutto, non dimenticando di amarsi reciprocamente.» (Pourquoi tout va s’effondrer, Les Liens qui Libèrent, 2018). Si tratta insomma, per il momento, di organizzare una società parallela (ma non antagonista alla società dominante), fatta di ecovillaggi e «laboratori che connettono» membri di «un immenso corpo vivente di cui far parte», situato «già nel mondo di domani».

Julien non è l'unico a invitarci alla «resilienza». Una parola diventata di moda negli ultimi anni, che dà l'impressione di fare qualcosa di nuovo, e di cui si dimentica l'origine: usata in fisica, è diventata di uso comune in psicologia e psichiatria, dove viene utilizzata per riferirsi a persone che hanno subito un grave trauma: sopravvissuti alla deportazione, bambini di strada, orfani, malati gravi etc. Categorie di vittime, vulnerabili, incapaci di agire sulla causa del trauma perché già avvenuto, ma solo sui suoi effetti, e che hanno bisogno di specialisti per superarlo. Questa nozione non ha quindi nulla di neutro quando viene applicata a individui, gruppi o popolazioni, che vengono votati così a un ruolo passivo. Fin d’ora, piccole comunità «resilienti» sarebbero in grado di affrontare meglio quel che non saremmo in grado di evitare.

Un tempo eravamo chiamati a obbedire a una tradizione garantita da un passato millenario. Oggi dovremmo sottometterci a un futuro che è già qui.

Un tempo ci si faceva beffe dell'irrealismo che consisterebbe nel credere che la rivoluzione sia possibile, e quindi nel rifiutare le riforme. Oggi il mondo viene descritto come irriformabile. Rispetto ai partiti politici (Verdi inclusi) che sostengono di poter evitare una catastrofe, l'ambizione «collassista» è ben poca cosa: adattarsi all'inevitabile, almeno per coloro che sopravvivranno.

 

5. Un'apocalisse felice

La collassologia pretende di essere, oltre che una nuova trans-disciplina scientifica, un orientamento «spirituale». New Age della fine di un mondo, religione senza un dio, essa annuncia niente meno che un'apocalisse. Secondo l’etimologia del vocabolo, si tratterebbe di una rivelazione. L'Apocalisse di Giovanni parla della fine dei tempi: «Appena il primo [angelo] suonò la tromba, grandine e fuoco mescolati a sangue scrosciarono sulla terra. Un terzo della terra fu arso, un terzo degli alberi andò bruciato e ogni erba verde si seccò.» (8, 7). Ma questo compimento inaugura un altro mondo: «Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo [...]» (21, 1-2).

Nel testo, attribuito all’apostolo Giovanni, la morte del mondo equivaleva alla sua resurrezione. I collassologi sembrerebbero più in sintonia con i profeti d'Israele, che promettevano sventura al popolo ebraico qualora avesse disobbedito.

Che essa si inscriva nella tradizione dell'Antico o del Nuovo Testamento, la collassologia si fonda su una visione religiosa: per essersi abbandonata all'ipertrofia tecnologica a spese della natura, la specie umana deve espiare il suo peccato. Se l'hybris è il comportamento umano considerato eccessivo dagli déi, l'umanità merita di essere punita per non aver saputo dar prova di moderazione.

Peccato originale di un uomo che è vittima consenziente della propria stravaganza (voler conoscere tutto e credere di poter fare tutto), caduta, allontanamento dal giardino dell'Eden (che si tratta di ritrovare, poiché la decomposizione della civiltà industriale impone una vita semplice e vicina alla natura), fine del mondo, redenzione, rigenerazione attraverso la catastrofe (pertanto salutare), creazione di comunità «dell'attesa» prima del giorno del Giudizio per misfatti ecologici che sono in realtà peccati di orgoglio... siamo nel bel mezzo del Do It Yourself religioso tipico del nostro tempo.

 

6. Far(si) paura

Un libro recente descrive La Terra inabitabile, dove molto presto saremo costretti a «vivere con 4°C in più». Troppo cupo ed eccessivamente pessimista per alcuni, realistico e salutare per altri, in ogni caso si tratta di un bestseller. David Wallace-Wells, l’autore, rivendica il proprio allarmismo: meglio spaventare troppo il pubblico, che non spaventarlo abbastanza. Buona consigliera, la paura permetterebbe di stabilire un'urgenza davanti alla quale tutto il resto diventa secondario.

Tuttavia, lo spettacolo della crisi e gli scenari catastrofici rafforzano il sentimento d'impotenza. Quello che osserviamo si svolge fuori di noi, colpisce e fugge; noi siamo le vittime, e le vittime soffrono, si rassegnano o reclamano un protettore. Più si parla del «clima», meno si agisce, se non per esigere che chi è al potere agisca. Di fronte all'inevitabile, continuiamo ad affidarci ad altri, e confermiamo la nostra incapacità di agire sulla nostra vita. La paura è un grande inibitore.

Del resto, se il criterio è la capacità di autodistruzione dell'umanità, la specie umana non avrebbe dovuto smettere di tremare dal 16 luglio 1945, data della prima esplosione atomica. Günther Anders ha collegato Auschwitz, Hiroshima e una modernità industriale mortifera, manifestazione – secondo lui – di un uomo in procinto di diventare «antiquato», se non già divenuto tale.

Da un punto di vista estetico, la credenza nella fine del mondo è fonte di emozione, la stessa emozione che si può provare contemplando al castello d'Angers, l'Arazzo dell'Apocalisse, realizzato alla fine del XIV secolo. Politicamente, se il millenarismo di Thomas Münzer e della guerra dei contadini tentarono di rovesciare l'ordine sociale per realizzare il paradiso in terra, gli apocalittici del XXI secolo mirano solo a evitarci un inferno.


Note 
1 Il neologismo è ormai ammesso da molti dizionari italiani. La Treccani definisce la collassologia come una «corrente di pensiero che studia i rischi di un possibile crollo della civiltà industriale e del suo impatto sulla società.» [ndt]

Bibliografia
Joseph Tainter, The Collapse of Complexe Societies, Cambridge University Press, 1988;
Human Resource Use: Timing and Implications for Sustainability, 2009;
Pablo Servigne, Raphaël Stevens, Comment tout peut s’effondrer, Seuil, 2015;
David Wallace-Wells, La Terra inabitabile. Una storia del futuro, Mondadori, Milano 2020.
Un'ottima critica della «collassologia»:
Jérémie Cravatte, L’Effondrement, parlons-en… Les limites de la collapsologie, Barricade, 2019; disponibile qui: http://www.barricade.be/publications/analyses-etudes/effondrement-parlons- limites-collapsologie
Sulla religione nella nostra epoca:
Troploin, Le présent d’une illusion, 2006; disponibile qui: http://troploin.fr/node/39
Collectif, Apocalypse: La Tenture de Louis d’Anjou, Editions du Patrimoine, 2015.
Sul millenarismo:
Guy Debord, La Società dello Spettacolo, 1967, tesi 138; disponibile qui: https://www.marxists.org/italiano/sezione/filosofia/debord/societa-spettacolo.htm
Yves Delhoysie & Georges Lapierre, L’Incendie millénariste, Os Cangacieros, 1987.

Comments

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rocco santagiuliana
Monday, 24 January 2022 16:02
Ragazzi , siete fantastici!!!! Adesso ditemi per favore di quale sconosciuto e potentissimo allucinogeno fate normalmente uso. Ci tengo. Avete per caso riscoperto il mitico "soma" , di cui si erano perse le tracce da almeno 3500 anni? Fate i compagni e mettete in comune . Grandi comunque ! Un saluto.
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Pantaléone
Wednesday, 19 January 2022 17:02
Abbiamo una particolare inclinazione per questo scenario

Idedologia tedesca,

-Nello sviluppo delle forze produttive si arriva ad una fase in cui nascono forze produttive e mezzi di circolazione che possono essere dannosi solo nel quadro delle relazioni esistenti e non sono più forze produttive, ma forze distruttive (machinismo e denaro), - e, di conseguenza, nasce una classe che porta tutti i pesi della società, senza godere dei suoi vantaggi, che viene espulsa dalla società e si trova, con la forza, nella più aperta opposizione con tutte le altre classi, una classe che forma la maggioranza dei membri della società e dalla quale nasce la coscienza della necessità di una rivoluzione radicale, questa coscienza che è la coscienza comunista e che si può formare, naturalmente, anche nelle altre classi.

Ad un certo punto il proletariato sarà obbligato a fare una rivoluzione o ad accettare il crollo della sua rendita.
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Baubaubaby
Wednesday, 19 January 2022 22:07
Finora ha quasi puntualmente e costantemente accettato il crollo della propria rendita.

Se la quercia fa la ghianda, il proletariato non supererà mai sè stesso.

Ma chi è impegnato 8/10 del tempo attivo a sbattersi e a vendersi, difficile che riesca a trasmutarsi in "altro".

Qualunque sia l'ingoto futuro, penso che "... si tratta insomma, per il momento, di organizzare una società parallela fatta di ecovillaggi e «laboratori che connettono»" che siano progressivamente autonome dallo stato-capitale (dominio).

Per ciò la società parallela deve essere RESISTENTE e ANTAGONISTA.

Non mi invento niente. E' stato così anche in passato nelle rivoluzioni riuscite (anche se poi riaddomiesticate).
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Pantaléone
Thursday, 20 January 2022 21:16
Marx non ha mai scritto che solo il proletariato è la classe rivoluzionaria.
Il capitalismo è il primo sistema di dominazione che rivoluziona costantemente il corpo sociale.
C'è dunque una classe relativamente rivoluzionaria e una classe assolutamente rivoluzionaria.
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Baubaubaby
Friday, 21 January 2022 07:24
Cosa abbia scritto Marx non lo so. Capisco che non sapendolo, come essere umano non sarei autorizzato a parlare di quasi niente.

Per rivoluzione intendo il cambiamento della gerarchia sociale verso un suo indebolimento/schiacciamento o addirittura verso la dissoluzione verso comunità umane (più o meno grandi) con scarsa o nulla gerarchia sociale.

Per rivoluzione come la intendi tu, cambiare il mmodo di produzione senza che questo modo id produzione cancelli la gerarchia sociale, direi che la classe rivoluzionaria (cioè che riesce a cambiare il modo di produzione) diventa la nuova classe dominante, ma il nuovo modo di produzione non cancella la gerarhcia sociale.

In questa ultima accezione si, come scrivi tu (o marx al posto tuo, non saprei) il proletariato è una classe relativamente rivoluzionaria. Ma relativamente poco e sempre meno, tanto che ormai va solo appresso alla propria oligarchia (vedi l'Italia e la sinistra italian) ubbidendo a qualsiasi direttiva. Il proletariato italiano sembra, per parte maggioritaria, votata alla servitù volontaria e inconsapevole.
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Pantaléone
Thursday, 20 January 2022 21:09
Quelli come te non riconosceranno mai che tutte le persone sono intrappolate in una rete di controllo corporativo, burocratico, tecnologico e psicologico dove la vera "esperienza di vita" è stata trasformata in una dove tutti sono schiavi al servizio di padroni invisibili. Finché le mani di questi padroni non saranno rimosse da tutte le leve del potere e dell'influenza - con qualsiasi mezzo rivoluzionario necessario

Tradotto con www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)
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baubauboby
Thursday, 20 January 2022 18:25
L'ideologia dell'alternativa regna sovrana! Viva la rivoluzione dei fricchettoni e dei radical chic! Che poi, notoriamente, non vengono certo dalle file del proletariato... Loro, le frazioni "radicalizzate" e "Intellettuali" della classe media, salariata e non, pur cercando in tutti i modi di negarla, la lotta di classe la fanno anche così.
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Pantaléone
Thursday, 20 January 2022 21:30
Un po' d'aria fresca senza maschera hé compagno !

https://www.youtube.com/watch?v=MHRu7_uAgzE

;)
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baubauboby
Friday, 21 January 2022 12:54
Hai ragione tu! Torniamo agli utopisti, o meglio ancora a Proudhon! Indubbiamente roba freschissima! E siccome oggi va di moda la cucina "fusion", aggiungiamo abbondanti dosi di postmodernismo. Hai presente? La fine della storia, delle "grandi narrazioni", della LOTTA DELLE CLASSI... Aggiungiamo, per finire, un po' di "individualismo metodologico" mutuato dall'ideologia liberale, di democratismo a buon mercato, di difesa dei diritti delle minoranze oppresse, e ovviamente di totale ignoranza del funzionamento della società capitalistica... e il piatto è servito! Una vera prelibatezza!

La suddetta ricetta - ahimè - rispecchia in modo plastico la deriva, avvenuta negli ultimi quarant'anni, di pressoché TUTTA la vecchia "sinistra di classe" e "antagonista", inclusa buona parte del movimento anarchico e della cosiddetta critica radicale (specie quella "italiana"). Ora, cosa ci sia di "fresco" in questa zuppa putrescente, resta un mistero!

In ogni caso, non deve stupire che tutta quella parte della classe media "intellettuale" e "progressista", che negli anni '60-'70 pretendeva "andare incontro alla classe operaia" (facendo perno su di essa e le sue lotte, per difende i PROPRI interessi di classe), in seguito all'invisibilizzazione di quest'ultima (sul piano tanto della rappresentanza politica che dell'ideologia), determinata dalla sconfitta storica di quel ciclo di lotte e dalla conseguente ristrutturazione capitalistica, si sia alla fine "messa in proprio", e si sia rivolta a tutte le possibili merci ideologiche che offriva il mercato, purché rigidamente a-classiste o post-classiste: "radicali" nella forma, ma vuotamente riformiste e interclassiste nella sostanza (leggi: riformismo senza riforme).

Per come la vedo io:

1) La rivoluzione comunista - il cui contenuto e la cui forma non sono dati una volta per tutte, ma sono storici e discontinui - non sostituisce il potere politico e sociale della classe dei capitalisti con quello del proletariato, dando vita a una fase di transizione che rimandi il comunismo alle calende greche (una sorta di "gestione operaia" del capitalismo, come prevista dal vecchio "programma proletario"), ma abolisce immediatamente - il che non significa istantaneamente - il valore, lo scambio, la merce, il lavoro salariato, lo Stato e TUTTE LE CLASSI, incluso il proletariato. In altri termini, essa abolisce tutte le mediazioni (rapporti sociali) che si ergono al di sopra degli esseri umani "in carne ed ossa", lasciando il posto all'immediatezza sociale dell'individuo. Tutto ciò implica l'abolizione dell'Economia in quanto sfera della produzione separata: il comunismo NON È un modo di produzione.

2) Il comunismo, conseguentemente, cessa di essere semplicemente il fine, per divenire ANCHE il mezzo della rivoluzione (leggi: pratiche anti-lavorative e anti-mercantili). Tuttavia, non si tratta qui in alcun modo di costruire - volontaristicamente e illusoriamente - degli impossibili "altrove" non-capitalistici, delle isole di comunismo galleggianti sul mare del capitale, bensì di pratiche che si possono determinare soltanto in un contesto insurrezionale, di lotta senza quartiere contro il capitale e il suo stato. E anche qui, non lo si deve considerare un problema di coscienza o di volontà: l'insurrezione è il risultato di un blocco nello scambio tra capitale e forza-lavoro, di temporanea sospensione della riproduzione di entrambi. Le stesse pratiche fatte proprie dagli insorti nascono e sono determinate dalle necessità della lotta rivoluzionaria.

3) Questa visione della rivoluzione, come già detto, non è valida per tutti i tempi e tutte le epoche, ma si radica nelle condizioni attuali dello sviluppo capitalistico, cioè nell'attuale configurazione della contraddizione tra le classi (e del modo di produzione in generale, a tutti i livelli). Il rapporto sociale capitalistico, il rapporto di SFRUTTAMENTO, proprio perché contraddittorio, non resta sempre uguale a se stesso, ma storicamente si trasforma ed evolve.

4) Il proletariato, proprio perché si implica reciprocamente col capitale in un rapporto contraddittorio, cioè ALLO STESSO TEMPO di opposizione e di unità (la riproduzione del primo non va senza quello del secondo, e viceversa: è questo dato a fare del proletariato, nei periodi di relativa pace sociale, una classe apparentemente "conservatrice"), è l'unica classe a poter abolire il modo di produzione capitalistico, autonegandosi in quanto classe e con ciò abolendo tutte le classi.

Ugh, ho parlato!
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Pantaléone
Friday, 21 January 2022 15:34
Posso accettarlo, se questa azione può essere davvero rivoluzionaria. Ne dubito, altrimenti abbiamo i fratelli francescani, gli Amich, i Testimoni di Geova, gli Zappatisti, o Cuba, perché no.
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