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Capitalismo e ambientalismo. La transizione (non) ecologica

di Giovanna Cracco

Dall’estrazione delle materie prime al riciclaggio finale, le omissioni nella narrazione green: distruzione ambientale, spreco d’acqua, inquinamento, sfruttamento, consumo energetico di Big Tech. L’ultima rivoluzione tecnologica capitalistica che nulla ha a che fare con l’ambientalismo

ambientalismo capitalista“Prendiamo il caso delle pale eoliche: la crescita di questo mercato esigerà, da qui al 2050, 3.200 milioni di tonnellate di acciaio, 310 milioni di tonnellate di alluminio e 40 milioni di tonnellate di rame, poiché le pale eoliche inghiottiranno più materie prime rispetto alle precedenti tecnologie. A pari capacita [di produzione elettrica], le infrastrutture eoliche avranno bisogno fino a quindici volte in più di cemento, novanta volte in più di alluminio e cinquanta volte in più di ferro, rame e vetro rispetto alle istallazioni che utilizzano combustibili tradizionali.”

O. Vidal, B. Goffe e N. Arndt, Metals for a Low-Carbon Society, Nature Geoscience, vol. 6, novembre 2013

“Il rapporto mostra chiaramente che le tecnologie che si presume popoleranno il cambiamento all’energia pulita - eolico, solare, idrogeno ed elettrico - richiedono significativamente più risorse materiali per la loro composizione rispetto agli attuali sistemi tradizionali di approvvigionamento energetico basati sui combustibili fossili.”

World Bank,

The Growing Role of Minerals and Metals for a Low Carbon Future, giugno 2017

“Vanno purificate 8,5 tonnellate di roccia per produrre un chilo di vanadio, 16 tonnellate per un chilo di cerio, 50 tonnellate per l’equivalente di gallio, e la cifra sbalorditiva di 200 tonnellate per un misero chilo di un metallo ancora più raro, il lutezio.” Guillaume Pitron,

La guerra dei metalli rari, Luiss Press, 2019

Transizione ecologica e digitale: una locuzione che è divenuta un imperativo, una parola d’ordine che nessuno più mette in discussione. Rare volte si è assistito a un cambio di paradigma con tale velocità: dall’essere argomento appannaggio di gruppi minoritari, pensiero carsico che riusciva ad affiorare solo legato a eventi contingenti per poi tornare a sotterrarsi, in pochi mesi l’ambientalismo si è trasformato in pensiero dominante.

Com’è noto, il punto di svolta è stato il 2018 e Greta Thunberg. Non occorre scomodare teorie del complotto, la semplice logica è sufficiente: ognuno di noi sa che può sedersi fuori dal Parlamento del proprio Paese per mesi interi senza ottenere alcuna visibilità sui media, né invito a parlare all’assemblea dell’ONU e al Forum annuale di Davos, se il tema di cui si fa portatore non si incrocia con gli interessi di un settore economico già egemone o che sta lottando per divenire tale all’interno del campo di potere capitalistico. Come insegna Gramsci, l’egemonia è fondata sul consenso: è “direzione morale e intellettuale”, è un rapporto pedagogico che si basa sul riconoscimento di legittimità da parte delle masse, ed è stata la creazione di questo consenso il compito che l’industria emergente del green, sostenuta dal comparto digitale, ha demandato alla ragazzina con le treccine. Una figura e un’immagine innocente, pulita, appassionata, con ogni probabilità in buonafede, perfetta per trasformarsi in simbolo all’interno di una narrazione costruita per trarre potenza dalla propria caratteristica generazionale: adolescenti che chiedono il conto agli adulti del mondo che lasceranno loro. Molti Paesi erano sulla strada di disattendere gli accordi di Parigi del 2015, nell’indifferenza generale. Greta Thunberg e quella che la Scuola di Francoforte definiva “industria culturale” hanno creato i Fridays for Future, con migliaia di ragazzini in piazza “per un mondo migliore” e, in pochi mesi, l’egemonia si è affermata: il tema del cambiamento climatico e della transizione energetica si è imposto sui tavoli mondiali e a dicembre 2019 anche la Commissione Ue inizia a parlare di “Green Deal europeo”.

Il problema del cambiamento climatico, e in generale della distruzione ambientale del pianeta, esiste, quindi è positiva l’attenzione che l’ecologia ha finalmente ottenuto. Tuttavia la narrazione divulgata è colpevolmente parziale, e non poteva essere altrimenti poiché risente degli interessi capitalistici che l’hanno manovrata. Le energie cosiddette ‘pulite’ implicano infatti il ricorso a minerali ‘sporchi’ il cui sfruttamento è tutto tranne che pulito; le energie cosiddette ‘rinnovabili’ si basano sullo sfruttamento di materie prime che rinnovabili non sono; infine, la transizione verde e digitale era ormai divenuta, per il capitalismo, un passaggio sia inevitabile che necessario - per quanto dolorosa per alcuni settori industriali - e porterà con sé cambiamenti geopolitici.

 

Non pulito e non rinnovabile

Il punto di partenza da non dimenticare è che la transizione ecologica non può fare a meno di quella digitale. Sono le cosiddette ‘reti smart’, strutturate con software di intelligenza artificiale, che potranno calibrare il flusso di energia elettrica nelle case e nelle industrie in base al bisogno effettivo; saranno algoritmi di previsione meteorologici che miglioreranno le prestazioni dei pannelli fotovoltaici; sono sensori digitali che potranno modulare l’intensità di illuminazione nelle strade in base alla loro frequentazione; mentre i ‘magneti di terre rare’ sono il componente indispensabile delle auto elettriche, delle pale eoliche, dei pannelli fotovoltaici e di tutte le tecnologie digitali. Magneti che hanno permesso di ridurre notevolmente peso e dimensione degli oggetti rispetto a quelli di ferrite: a pari potenza, i primi sono cento volte più piccoli dei secondi. Sono questi magneti ad aver consentito ai motori elettrici di entrare in competizione con quelli termici, mentre le terre rare, con le loro proprietà catalitiche e ottiche oltre che magnetiche, si inseriscono come elementi insostituibili in smartphone, computer, schermi di ogni tipo, robotica (anche militare), marmitte catalitiche, lampadine a basso consumo, semiconduttori, materiali industriali (per renderli più leggeri e robusti) e pannelli solari, pale eoliche, batterie delle auto elettriche ecc. L'elettromagnetismo è l'energia di alimentazione della transizione verde e le terre rare sono la materia prima del futuro ecologico e digitale. Ed è qui la prima enorme omissione della narrazione green.

Grafico 1. Fonte: De surprenantes matieres critiques, L’Usine nouvelle, 10 luglio 2017, https://www.usinenouvelle.com/article/infographie-de-surprenantes-matieres-critiques.- N563822

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Il libro di Guillaume Pitron, La guerra dei metalli rari (Luiss Press, 2019), ricco di fonti, note, bibliografia e appendici, è il testo giusto per iniziare a muoversi in questo mondo. I metalli rari sono una trentina (1), mentre le terre rare sono 17 elementi (2). A dispetto del nome, sono relativamente abbondanti nella crosta terrestre, ma non altrettanto la concentrazione estraibile. La loro caratteristica è infatti di trovarsi associati in proporzione minima ai metalli abbondanti. Il processo di estrazione e purificazione è dunque lungo ed estremamente inquinante, e utilizza enormi quantità d'acqua - nel tempo in cui si inizia a parlare di razionarla. Si parte con la frantumazione dei sassi, per poi passare all'utilizzo di reagenti chimici come acidi solforici e nitrici, passaggi ripetuti decine di volte. Alla fine della raffinazione, rimangono centinaia di metri cubi d'acqua carichi di acidi e metalli pesanti che inquinano suolo e falde acquifere. L'estrazione non è nemmeno esente da radioattività. Non a causa delle terre rare in sé, ma per alcuni minerali (come il torio o l'uranio) a cui sono associate e per il processo di separazione che ne consegue: il tasso di radioattività è debole secondo le tabelle dell'Aiea, ma sono rifiuti che devono essere messi in sicurezza per centinaia di anni (3).

Non è infatti un caso che le principali miniere si trovino nei Paesi del Terzo mondo o in via di sviluppo. La transizione energetica e digitale, per come è stata strutturata, è una “transizione per le classi più agiate”, sottolinea giustamente Pitron. Francia e Stati Uniti, per esempio, contavano importanti giacimenti e industrie. La miniera di Mountain Pass, negli USA, ha dominato il mercato delle terre rare fino al 1985, per essere poi chiusa nel 2002 a causa dei continui danni ambientali e delle relative cause giudiziarie che si susseguivano; ha riaperto nel 2012 ma nel 2014 ha dichiarato fallimento, incapace di essere competitiva con il mercato cinese, nato nel frattempo. Dal 2018 ci sta riprovando: l'obiettivo statunitense di ridurre la propria dipendenza dalla Cina di una risorsa oggi strategica ha vinto sui problemi di inquinamento. Negli anni Ottanta il gruppo francese Rhóne-Poulenc raffinava il 50% del mercato mondiale delle terre rare: la radioattività era una presenza costante. Posta sotto pressione da ong e comitati locali, a metà anni Novanta ha rinunciato alla parte del processo di lavorazione più inquinante, comprando dalla Cina minerali già parzialmente purificati. L'Occidente ha quindi delocalizzato la distruzione ambientale e l'inquinamento, e oggi la Cina fornisce il 95% del fabbisogno mondiale di terre rare.

Grafico 2. Fonte: Commissione Ue, Resilienza delle materie prime critiche, 3 settembre 2020, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020DC0474&from=EN

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Paradossalmente, lo sfruttamento di una miniera - e vale non solo per le terre rare ma per tutti i metalli necessari alle infrastrutture green - è anche un'attività pesantemente e- nergivora o, per utilizzare il linguaggio della transizione ecologica, a forte emissione di gas serra. E lo sarà sempre di più. Perché a domanda crescente si risponderà sfruttando anche i giacimenti meno redditizi - come è stato per il petrolio. “Alcuni esperti affermano che le riserve di minerali rari accertate sono minori di quelle realmente esistenti, poiché restano giacimenti da scoprire” riporta Pitron, citando il chimico Ugo Bardi, “e che non ci sarebbe quindi motivo di preoccuparsi di un rischio di penuria. Eppure la produzione di questi metalli mobilita tra il 7 e l'8% dell'energia mondiale. Cosa accadrebbe se il rapporto crescesse fino a raggiungere il 20-30% o oltre? Secondo Bardi in Cile l'energia necessaria per estrarre il rame è aumentata del 50% tra il 2001 e il 2010, mentre la produzione totale di rame è cresciuta solamente del 14%”. I limiti dell'estrazione mineraria dunque rischiano di essere energetici e non quantitativi.

Indubbiamente sono però anche risorse finite, e si inizia già a parlare di penuria: all'attuale ritmo di produzione, le riserve redditizie di una quindicina di metalli di base e metalli rari si esauriranno in meno di cinquant’anni. Ancora prima nel caso la domanda dovesse crescere (vedi Grafico 1). E la domanda crescerà.

Limitando lo sguardo alla sola realtà europea, scrive a settembre 2020 la Commissione Ue nel report a cadenza triennale Resilienza delle materie prime critiche : “Per le batterie dei veicoli elettrici e lo stoccaggio dell’energia l’Ue avrebbe bisogno, rispetto all’attuale approvvigionamento della sua intera economia, di una quantità di litio fino a 18 volte superiore e di una quantità di cobalto fino a 5 volte superiore nel 2030, e di una quantità di litio 60 volte superiore e di una quantità di cobalto 15 volte superiore nel 2050. Se non affrontato, questo aumento della domanda potrebbe causare problemi di approvvigionamento. [...] La domanda di terre rare utilizzate nei magneti permanenti, ad esempio per i veicoli elettrici, le tecnologie digitali o i generatori eolici, potrebbe decuplicare entro il 2050” (4).

Da escludere, a oggi, anche il riciclaggio. Sono state trovate tecniche per effettuarlo, ma è un processo lento, complesso - le terre rare non entrano allo stato puro nella fabbricazione dei dispositivi tecnologi ma sotto forma di leghe - economicamente svantaggioso e, a sua volta, utilizza prodotti chimici. Lo evidenzia anche la Commissione europea nel report sopra indicato: “L’Ue è all’avanguardia nel settore dell’economia circolare e ha già incrementato l’uso delle materie prime secondarie. Ad esempio, oltre il 50% di alcuni metalli come il ferro, lo zinco o il platino viene riciclato e copre oltre il 25% del consumo dell’Ue. Tuttavia nel caso di altre materie prime, soprattutto quelle impiegate nelle tecnologie per le energie rinnovabili o in applicazioni altamente tecnologiche, come le terre rare, il gallio o l’indio, la produzione secondaria rappresenta soltanto un contributo marginale” (5) (vedi Grafico 2, pag. 10)

Non ultimo, l’aspetto dello sfruttamento umano e dei danni alla salute. Ogni tanto affiorano, per scomparire il giorno dopo - perfino sui media mainstream paladini della transizione ecologica e digitale - fotografie di bambini al lavoro, con paghe da fame, immersi fino al busto nell’acqua inquinata di miniere o nei rifiuti tossici. Già nel 2016 il report annuale di Pure Earth e Green Cross Switzerland ha aggiornato la classifica delle prime dieci industrie inquinanti in base al danno alla salute prodotto sulle persone: la prima è quella del riciclaggio delle batterie piombo-acido esauste (utilizzate nei veicoli), la seconda è l’estrazione e la lavorazione mineraria (6).

Perfino per le auto elettriche, bandiera della transizione verde, il saldo ecologico dell’intero ciclo di vita del veicolo è ancora incerto. Tra studi positivi e altri negativi, ciò su cui tutti concordano è che la produzione - dalla fase estrattiva dei minerali, alla costruzione industriale, fino allo smaltimento finale - ha un impatto ambientale peggiore rispetto all'auto a motore termico, soprattutto a causa delle batterie al litio (e generalmente vengono conteggiate solo le emissioni di CO2 : non lo spreco d'acqua, l'inquinamento di suolo e falde, la deforestazione delle miniere, la radioattività, la distruzione di biodiversità ed ecosistemi, ecc.); quando l'analisi passa all'utilizzo del veicolo, gli scenari sono i più diversi, perché ciò che incide fortemente è il mix energetico per la ricarica, tra rinnovabili e fonti fossili.

"In poche parole,” conclude lo studio della Banca Mondiale citato ad apertura dell'articolo (7), "un futuro di tecnologie verdi [eolico, solare, idrogeno ed elettrico] è materialmente intensivo [sotto il profilo minerario] e, se non gestito correttamente, potrebbe compromettere gli sforzi e le politiche dei Paesi fornitori per raggiungere gli obiettivi sul clima e quelli di sviluppo sostenibile correlati. Inoltre, comporta impatti potenzialmente significativi per gli ecosistemi locali, i sistemi idrici e le comunità”.

Alle tecnologie verdi si aggiunge il fabbisogno materiale ed energetico del mondo digitale. Cloud, realtà virtuale, internet... le aziende del Big Tech fanno di tutto per vendere un'immagine fluttuante e incorporea (la nuvola...) intrinsecamente ambientalista, quando le terre rare sono una materia prima essenziale e insostituibile per la sua tecnologia e l'intera infrastruttura è radicalmente ‘fisica': satelliti, razzi per lanciarli, computer che ne regolano l'orbita e la trasmissione di informazioni, cavi sottomarini, reti elettriche aeree e sotterranee, immensi e numerosi data center, per finire ai tablet, ai computer, agli smartphone che tutti abbiamo in mano e che dobbiamo continuamente ricaricare. Una ‘megamacchina' che divora energia - e acqua, necessaria ai sistemi di raffreddamento dei data center.

Secondo uno studio del 2018, Assessing ICT global emissions foot- print: Trends to 2040 & recommen- dations (8), "il consumo energetico di computer, data center, apparecchiature di rete e altri dispositivi ICT (esclusi gli smartphone) ha raggiunto l'8% del consumo totale mondiale, e si prevede che raggiungerà il 14% entro il 2020 [...] Ciò che sorprende ancora di più è che questi numeri e proiezioni non includono la fase produttiva, soprattutto alla luce del fatto che i dispositivi ICT hanno una vita utile molto più breve (2-5 anni) rispetto a qualsiasi altro componente hardware”. L'obsolescenza programmata infatti alimenta il processo produttivo, dall'estrazione mineraria al prodotto finito. L'analisi prevede che entro il 2040 il settore tecnologico segnerà il 14% delle emissioni globali di gas serra, pari a "più della metà dell'attuale contributo dell'intero settore dei trasporti”.

Per un report del 2019, Lean ICT: Towards Digital Sobriety (9), “il consumo energetico delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione aumenta del 9% ogni anno. [...] La transizione digitale così com’è attualmente attuata partecipa al riscaldamento globale più di quanto non aiuti a prevenirlo”. E ancora: “La quota delle ICT nelle emissioni globali di gas serra è aumentata della metà dal 2013, passando dal 2,5% al 3,7% [...] L’appropriazione di una quota via via sproporzionata dell’energia elettrica disponibile aumenta la tensione sulla produzione della stessa, che già si fatica a decarbonizzare”.

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In conclusione, ciò che omette la narrazione della transizione ecologica e digitale per potersi presentare come migliorativa dal punto di vista ambientale, è lo sguardo d’insieme sul ciclo industriale, dall’estrazione delle materie prime al riciclaggio finale, passando per la fabbricazione delle tecnologie e il fabbisogno energetico complessivo.

 

È semplicemente il capitalismo, bellezza!

Dal carbone con la macchina a vapore, al petrolio con il motore termico, alle terre rare e il digitale, il capitalismo sta percorrendo la sua strada. Da sempre è stata la tecnologia di avanguardia a guidare e segnare le fasi di rivoluzione. Non è una scelta, è una dinamica intrinseca al sistema: il progresso scientifico - che il capitale privato finanzia per poterlo indirizzare verso i propri interessi - crea nuovi mercati e nuove occasioni di profitti (abbondanti profitti, perché inizialmente oligopolistici); crea rinnovamento della produzione e delle merci - nuovi impianti e nuovi oggetti -; crea nuovi desideri indotti per la società dei consumi e nuove ideologie dominanti da trasformare in consenso dei dominati, per alimentare la società dello spettacolo. Senza rinnovamento tecnico il capitalismo non sopravviverebbe. La tecnologia digitale è la nuova ‘macchina’ e le terre rare sono la sua fonte energetica. E come nelle transizioni precedenti, ci sono settori penalizzati che scompariranno - e che ora stanno lottando per resistere il più a lungo possibile - e aziende che chiuderanno se non faranno in tempo ad aggiornarsi, ma è la regola del gioco. All’interno del campo di potere capitalistico c’è sempre il settore che domina: è il perno della rivoluzione industriale che segna la fase, dunque è storicamente determinato, e in quanto vertice ha il rapporto più stretto con il potere politico e militare. Oggi a dominare è il comparto digitale, che non solo ha pervaso tutti gli ambiti produttivi, dall’industria ai servizi, ma vincolandosi a doppio filo con le tecnologie verdi ha promosso l’ascesa del settore, grazie anche all’aiuto di denaro pubblico - PNRR, Green Deal europeo, finanziamenti legati alla transizione ecc. - messo a disposizione dalla complicità con la politica.

Grafico 4. Fonte: Commissione Ue, Resilienza delle materie prime critiche, 3 settembre 2020, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020DC0474&from=EN

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L’icona con le treccine, dunque, non poteva che promuovere una narrazione parziale della transizione green e digitale, nella quale gli aspetti non-puliti e non-rinnovabili sono omessi. Pecca come minimo di ingenuità, infatti, credere che multinazionali regine per capitalizzazione in Borsa, sfruttamento del lavoro, messa a valore della vita e dei dati (10), si siano improvvisamente prese a cuore le sorti ambientali del pianeta e di conseguenza della popolazione mondiale; è semplicemente il capitalismo, bellezza!

 

Incompatibilità

Senza voler aprire all’analisi geopolitica - che meriterebbe ben altro approfondimento - alcuni aspetti sono sotto gli occhi di tutti.

A ogni rivoluzione tecnologica corrisponde una nuova fonte di energia, a cui equivale un nuovo ciclo di egemonia globale: la Gran Bretagna con il carbone, gli Stati Uniti con il petrolio, la Cina con le terre rare. Per i Paesi occidentali l’industria digitale, motore dell’attuale rivoluzione capitalistica, ha il comando negli USA, ma il suo fuoco prometeico è nel celeste impero, che ha quasi raggiunto la potenza e la capacità per ambire a sottrarre l’egemonia mondiale agli Stati Uniti. Ci vorrà ancora tempo - soprattutto per scalzare il dollaro come valuta di riferimento mondiale, aspetto cruciale del primato statunitense - ma si sta avviando un’epoca multipolare e la globalizzazione economica è destinata a entrare in una fase di declino - a riprova che non vale la massima “dove passano le merci non passano gli eserciti” quando è in gioco il ruolo di domìnus del pianeta. USA e Unione europea hanno ben presente la criticità. I primi monitorano con attenzione produzioni e riserve mondiali delle terre rare, in un re- port annuale governativo del National Minerals Information Center (11) (nel Grafico 3, pag. 13, i dati di gennaio 2022); la seconda tiene d’occhio la propria dipendenza dalle “materie prime critiche” (12), definite come “le più importanti dal punto di vista economico e che presentano un elevato rischio di approvvigionamento”: il loro accesso costituisce infatti “una questione di sicurezza strategica per l’ambizione dell’Europa di realizzare il Green Deal” (vedi Grafico 4, pag. 14).

I minerali e le terre rare sono risorse finite. Il rischio di penuria è già conteggiato nelle analisi a medio/lungo termine. A breve, la storia insegna, ‘penuria’ significa stoccaggio delle scorte - ossia limitazioni all’export: la Cina le ha già minacciate e parzialmente messe in atto - speculazione sui prezzi e guerre per il controllo delle risorse. Abbiamo davanti una fase di conflitti, tensioni geopolitiche crescenti - di cui la guerra in Ucraina ha strumentalmente segnato l’innesco -, diseguaglianza e povertà in aumento.

Il cambiamento climatico sta segnando il pianeta e le nostre vite. La transizione ecologica e digitale, con l’obiettivo della riduzione dell’inquinamento atmosferico, è allo stato attuale il male minore? Se è così, dovremmo come minimo avere la consapevolezza che porta con sé un alto tipo di distruzione ambientale. E capire, soprattutto, che un sistema economico che persegue l’accumulazione illimitata di profitto, dunque la produzione infinita di merci e bisogni indotti, di un consumismo basato sul valore di scambio e di una società che ha dimenticato il valore d’uso, è incompatibile con la nostra esistenza su un pianeta finito. Possiamo anche lanciarci in una nuova corsa allo Spazio, ed è ciò che stanno facendo Elon Musk, Jeff Bezos, Larry Page e in generale Big Tech, a caccia di nuovi sfruttamenti minerari e progettando colonie spaziali - nella futura disponibilità di pochi privilegiati, ovviamente. Ma non sta certo lì la soluzione - a meno di voler sacrificare migliaia o milioni di vite umane e rinunciare a combattere povertà e disuguaglianza - bensì andare alla radice del problema: il capitalismo.


Note
1) La Commissione europea ne ha stilato una lista, definendole “materie prime essenziali". Sono: antimonio, barite, berillio, bismuto, borato, cobalto, carbone da coke, fluorite, gallio, germanio afnio, elio, indio, magnesio, grafite naturale, gomma naturale, niobio, fosforite, fosforo, silicio metallico, tantalio, tungsteno, vanadio, platino idi, metalli del gruppo del platino, terre rare pesanti e terre rare leggere
2) Terre rare: lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, promezio, samario, europio, gadoli-nio, terbio, disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio, lutezio, scandio, ittrio
3) Cfr. Lee Bell BA MA (ESD) Senior Researcher National Toxics Network, Rare Earth and Ra-dioactive Waste, aprile 2012, https://www.academia.edu/6327381/Rare_Earth_and_Ra-dioactive_Waste_A_Preliminary_Waste_Stream_Assessment_of_the_Lynas_Advanced_Ma terials_Plant_Gebeng_Malaysia_National_Toxics_Network_Author_Lee_Bell_BA_MA_ESD_ Senior_Researcher_National_Toxics_Network
4) Commissione Ue, Resilienza delle materie prime critiche, 3 settembre 2020, https://eur->lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020DC0474&from=EN
5) Ibidem
6) Cfr. Green Cross Switzerland e Pure Earth, The World's Worst Pollution Problems 2016: The Toxics Beneath Our Feet, 2016, http://www.worstpolluted.org/docs/WorldsWorst2016-Spreads.pdf
7) World Bank, The Growing Role of Minerals and Metals for a Low Carbon Future, giugno 2017
8) L.Belkhir, A. Elmeligi, Assessing ICTglobal emissions footprint: Trends to 2040 & recom-mendations, in Journal of Cleaner Production, n. 177, 10 marzo 2018, https://www.sden-cedirect.com/science/article/abs/pii/S095965261733233X
9) The Shift Project, Lean ICT Towards Digital Sobriety, 6 marzo 2019, https://theshiftpro->ject.org/en/article/lean-ict-our-new-report/
10) Cfr. Kate Crawford, Né intelligente né artificiale. Il lato oscuro dell'IA, Il Mulino; segnalazione a pag. 91
11) Cfr. https://www.usgs.gov/centers/national-minerals-information-center/rare-earths-statistics-and-information
12) Commissione Ue, documento cit.

Comments

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Andrea
Monday, 11 July 2022 01:08
...finalmente.
L'ottusità della lotta aprioristica "al fossile", fatta propria da molta compagneria che guarda il resto del mondo dall'alto di una supponenza vuota, superficiale, priva di analisi e arrogante, fa il gioco dell'ambientalismo atlantico, che propone alternative che sono solo apparenti, ma la cui funzione è ostacolare lo sviluppo di chi ha ancora bisogno di fonti di energia programmabili e sufficienti alle proprie attività, e che potrebbe essere, o sta diventando, un concorrente del capitale occidentale stesso, la cui economia terziarizzata ha un minor fabbisogno energetico reale (SUV a parte, beninteso...)
Il problema, ancora anteriore alla guerra in Ucraina, era ed è tuttora anche il costo dell'energia per famiglie e piccole e medie aziende, anche italiane, di fronte alle quali la bolletta elettrica altro non è che uno dei mille metodi con cui il capitale sottrae valore alle classi lavoratrici.
Qui qualcuno fa riflettere: https://www.youtube.com/watch?v=51lv-C5f0Ck&t=50s
Comunque anche in Italia è in commercio una pubblicazione, molto comprensibile e divulgativa, per quanto documentata, successiva a quella di Pitron, in cui si evidenziano i danni dell'estrattivismo (che ormai minaccia anche i fondali oceanici) a supporto della cosiddetta "green economy": si tratta di "Energia verde: prepariamoci a scavare" di Giovanni Brussato, ingegnere minerario (ed. Montaonda).
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