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gliasini

L’attualità del pensiero di Laura Conti e le ragioni di una rimozione

di Laura Centemeri

A1w10uuT8LÈ da poco tornato in libreria e in versione e-book Questo Pianeta (Fandango libri), il libro forse più contemporaneo dell’importante produzione scientifica, divulgativa e letteraria di Laura Conti (1921-1993). A lei si deve di aver tracciato in Italia la strada, purtroppo rimasta poco battuta, di un ambientalismo scientifico e politico, capace anche di essere popolare.

Ad arrivare in libreria è la terza edizione del saggio, la cui ampia revisione era stata terminata dall’autrice nei primi mesi del 1993, e che solo oggi è stata finalmente pubblicata (le precedenti edizioni erano uscite nel 1983 e nel 1987). Dopo la morte di Laura Conti il 25 maggio 1993, infatti, la casa editrice Editori Riuniti, nonostante gli accordi presi, si disse non più interessata alla pubblicazione postuma della nuova edizione del saggio. Fu il primo segnale di una rapida rimozione che per quasi vent’anni ha relegato l’opera e il pensiero di Laura Conti nel dimenticatoio. Un oblio che per certi versi ricorda il destino a cui è andato incontro negli Stati Uniti il suo amico Barry Commoner, che Laura Conti considerava – insieme a Nicholas Georgescu-Roegen ed Eugene Odum – uno dei “maestri” dell’ambientalismo.

Eppure Laura Conti era stata in Italia per due decenni – dall’inizio degli anni 1970 fino alla sua morte – la più instancabile sostenitrice e prolifica divulgatrice di un ambientalismo scientifico e politico ugualmente esigente su entrambi i fronti. La profondità e l’originalità della sua lettura dei problemi ambientali si sono sempre combinate con un’azione concreta nelle istituzioni e nella società, a sostegno della necessità di una profonda svolta culturale da parte delle forze politiche di sinistra (a partire dal PCI, in cui militava), e del mondo ambientalista (in particolare Legambiente, l’associazione che aveva contribuito a fondare nel 1980, ma in cui finì per ritrovarsi isolata).

Illustrò la necessità di questa svolta in innumerevoli interventi scritti e orali, in sedi istituzionali, nelle “università verdi” o in semplici circoli associativi, da consigliera provinciale e regionale, da deputata (eletta nelle file del PCI nel 1987) e membro della Commissione Agricoltura, da presidente del Comitato scientifico di Legambiente, percorrendo in lungo e in largo la penisola, spendendosi senza risparmio, al punto da rimetterci anche la salute.

La svolta culturale preconizzata da Laura Conti consisteva nell’abbracciare una lettura della crisi ecologica come crisi che interroga le logiche e le scelte economiche da una prospettiva bio-sociale di lungo periodo, e che può essere affrontata solo con un radicale cambio di paradigma, mettendo in discussione il modello di sviluppo produttivista e capitalistico. 

La nuova edizione di Questo pianeta rivela, in modo ancora più chiaro che le precedenti, l’originalità di Laura Conti come pensatrice ante litteram dell’Antropocene. In poco più di duecento pagine, narra una storia ecologica, sociale e politica della Terra che parte dall’analisi dei processi chimico-fisici da cui è emersa la vita (intesa come “un modo di produrre proteine che si riproduce”, p. 31) e da cui il sistema vivente dipende, per arrivare ai tempi (quasi) nostri, cioè agli anni Novanta e a quel “boomerang che sta per colpire l’Italia” (p. 252) e che l’ha poi effettivamente colpita.

L’analisi delle rivoluzioni energetiche, agricole, industriali e sociali mostra come queste abbiano condotto al progressivo imporsi su scala globale di un modello di organizzazione della risposta ai bisogni umani che opera come un “amplificatore di errori” (p. 260), determinando l’accelerazione di processi di degrado irreversibile delle condizioni di abitabilità del pianeta (dalle molteplici forme di inquinamento alla perdita di biodiversità e al riscaldamento globale). Sulla base di dati e fonti autorevoli e di attenti approfondimenti, Laura Conti avanza l’ipotesi che il degrado delle condizioni di abitabilità del pianeta sia stato innescato originariamente dal progressivo diffondersi della pratica del disboscamento e della coltivazione di piante annuali alimentari. In questo senso, il “meccanismo” capitalista è all’origine di nuove aggressioni all’ambiente e al tempo stesso amplifica errori che lo hanno preceduto, imprimendo loro una drammatica accelerazione. 

Ancora una volta in anticipo sui tempi, Laura Conti sottolinea così che non è sufficiente guardare al problema dell’aumento di CO2 dalla prospettiva delle emissioni derivanti dalla combustione di risorse fossili. Occorre considerare anche l’impatto sui gas climalteranti delle profonde trasformazioni inflitte agli ecosistemi terrestri attraverso gli usi del suolo (land use), in particolare per effetto delle scelte tecniche operate in agricoltura. L’agricoltura rappresenta quindi un settore cruciale su cui intervenire non solo per contrastare la perdita di biodiversità e il dissesto idrogeologico ma anche mitigare il cambiamento climatico.

Questo approccio alla crisi ambientale comportava una radicale inversione di rotta rispetto al modello di sviluppo dominante, centrato sul mito della crescita illimitata e del tutto indifferente alla complessità e ai tempi dei processi biologici (in proposito ricordiamo il libro Tempi storici e tempi biologici di Enzo Tiezzi, un altro grande dimenticato dell’ambientalismo scientifico italiano, che fu uno dei principali interlocutori di Laura Conti). 

Per Laura Conti, gli apporti conoscitivi delle scienze biologiche e della termodinamica del non-equilibrio portavano non già a rinnegare bensì ad approfondire una prospettiva di materialismo storico, implicandone al tempo stesso una trasformazione. Non si trattava di rimettere in discussione la cultura di sinistra come cultura incentrata sui valori di libertà, uguaglianza e solidarietà, ma di favorirne una nuova comprensione in una prospettiva ecologica, diretta a contrastare un modello di sviluppo dominato dagli imperativi del profitto e da un atteggiamento fideistico verso l’innovazione tecnologica, vista come sempre e comunque migliorativa della condizione umana. A questo fine era necessario contrastare non solo il predominio dei meccanismi economici nel determinare la direzione dello sviluppo tecnologico ma anche quel processo di delega acritica agli “esperti” che si stava invece affermando in seno alla sinistra come modello di gestione delle problematiche tecnico-scientifiche.

Se vogliamo evitare che il ritorno in libreria di Laura Conti si limiti a un omaggio di rito, è necessario tornare a discutere nel merito le sue analisi e le sue proposte, che ne fecero una figura particolarmente scomoda (molto più scomoda di altre) sia nel suo partito sia nell’area ambientalista. La comprensione delle ragioni della sua duplice rimozione da parte di entrambe queste “famiglie” politiche permette infatti di riconoscere, in filigrana, un metodo nell’approccio alle questioni ambientali che è forse la sua eredità più importante. Fu questo metodo a renderla indigesta da viva e ancora di più una volta scomparsa, in particolare negli anni Novanta, segnati dalla rivoluzione informatica (a cui Laura Conti guardava con mitigato entusiasmo) e dal trionfo della globalizzazione dei mercati (ovvero, un’ulteriore folle spinta verso “economie interconnesse troppo strettamente” e “in un insieme troppo vasto”), anni in cui in Italia sfondano, a colpi di privatizzazioni, le politiche neoliberiste (e non solo grazie ai governi Berlusconi).

Il metodo di Laura Conti è riassumibile in tre termini: radicalità, rigore e ascolto. Radicalità nel senso di analizzare i problemi ambientali, per quanto piccoli siano, a partire dal nesso tra energia, produzione di cibo, uso di acqua e di terra, in una prospettiva sistemica, integrata e multiscalare, in cui si combinano dimensioni biologiche di sostenibilità e dimensioni sociali di desiderabilità, perché “l’essere umano è 100% natura e 100% cultura”. Rigore, nel senso, innanzitutto, che “su ogni tema e in ogni occasione è possibile e necessaria una verifica di coerenza tra la soluzione di quel particolare problema e la soluzione del problema generale: quello di dare all’umanità un futuro compatibile con lo sviluppo e la stabilità del sistema vivente” (p. 288). Questo implica studiare molto, non indulgere a mode intellettuali o politiche, non lasciare mai vincere l’opportunismo politico sull’onestà dell’analisi e il confronto con le prove di realtà. Ma rigore fu anche per lei non mettere mai in dubbio da che parte stare per valutare le decisioni prese in nome della collettività, e cioè saldamente dalla prospettiva di chi ne paga i costi e non di chi ne trae i profitti. Ascolto, infine, nel senso di mantenersi sempre prossima all’esperienza vissuta delle persone. Lontana da qualsiasi moralismo, Laura Conti si interessò sempre alle ragioni degli altri e non si dette mai facili risposte alle difficoltà incontrate dalle lotte progressiste. 

Laura Conti pensava che nel mondo attuale una “coscienza di classe”, come coscienza delle ingiustizie sistemiche, non potesse più svilupparsi in assenza di una concomitante “coscienza di specie”, cioè della consapevolezza di essere, in quanto specie umana, in una relazione indissolubile di interdipendenza con tutto il sistema vivente. Una simile visione era indigesta a molti nel suo partito e, in particolare, a quanti consideravano la denuncia dei danni all’ambiente come una minaccia per l’industria e quindi per l’occupazione. Ma questa visione faticava a essere riconosciuta anche nel mondo dell’ambientalismo organizzato. La reticenza del mondo ambientalista ci ricorda una volta di più che l’ambientalismo non è uno. Tra un ambientalismo “sociale” e un ambientalismo “profondo”, Laura Conti individuava il sentiero di un ambientalismo scientifico consapevole della complessità, in cui la scienza si poneva come strumento al servizio di una “nuova alleanza dell’uomo con la natura”. 

In Questo pianeta, Laura Conti sosteneva già trent’anni fa la necessità, per l’economia italiana, di dotarsi di un “programma di riconversione” (p. 259) che doveva radicarsi nella “negazione di due grandi miti: il mito che l’industrializzazione costituisca un valore positivo, il mito che costituisca un valore positivo la crescita del volume degli scambi tra un’economia e l’altra” (p. 261). La risposta alle crisi energetiche non poteva essere la conversione a una francescana sobrietà dei consumi (che in un sistema con profonde diseguaglianze sociali non può che risolversi in un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita dei soggetti economicamente più fragili) e nemmeno l’illusione di poter mantenere gli attuali livelli di consumo energetico grazie a fonti (presuntamente) rinnovabili; ciò che davvero urgeva era una ristrutturazione e riduzione a livello sistemico del fabbisogno energetico, cioè un ridisegno del sistema produttivo in modo da modificarne il “metabolismo”. E questo doveva avvenire, coerentemente con le ipotesi da lei avanzate, a partire dall’agricoltura, non solo nel senso di promuovere un’agricoltura “più pulita” ma soprattutto nel senso di rilanciare ovunque possibile – e in particolare nelle aree montane e collinari italiane lasciate all’abbandono – le tecniche agroforestali e agrosilvopastorali. Come argomentò in un articolo pubblicato su Rinascita nel 1985, si trattava, in queste aree, di “ricostruire l’economia del bosco”, ricorrendo anche a forme di protezione dalle pressioni del mercato in modo tale da permettere l’emergere di economie locali a sostegno di esperienze di reinsediamento ecologicamente sostenibili e socialmente desiderabili. 

Sono temi oggi al centro dei dibattiti sulla transizione ecologica nonché sul destino delle “aree interne” e su cui Laura Conti ci ha lasciato pagine di impareggiata incisività. Pagine che meritano di essere lette, studiate, dibattute, socializzate, verificate e, dove necessario, anche criticate e aggiornate. Sono pagine che possono utilmente alimentare, oggi come ieri, un’immaginazione politica per “progettare il futuro, sapendo che il tempo a disposizione per cambiare rotta è poco e si riduce rapidamente” (p. 17).

Per la loro accuratezza, le analisi che Laura Conti ci consegna in Questo pianeta – frutto dello studio approfondito dei problemi ecologici in una prospettiva globale e interdisciplinare e del rifiuto di qualsiasi tipo di riduzionismo – suonano oggi quasi profetiche. Ma Laura Conti non era una profetessa e quelle che appaiono profezie sono in realtà la prova che “c’è nella nostra società qualcosa che ci sradica dal futuro” (come scrisse in un suo testo inedito a proposito della perdita di fertilità dei suoli).

Oggi i movimenti per la giustizia climatica chiedono alla politica di misurarsi con serietà e coerenza con i limiti sia sociali che ecologici di un’economia fondata sulla crescita. Nell’assenza di una risposta credibile si moltiplicano le reti di iniziative dal basso, spesso eroiche e “sovversive”. Questa miriade di soggetti e di “alternative” ha l’enorme merito di mantenere vive possibilità di pensiero e di azione, di creare “rifugi” dove preservare biodiversità. È vero però che l’ordine sparso concettuale e organizzativo in cui si muovono queste iniziative – ciascuna con i propri quadri interpretativi e i propri dogmi – rende cruciale e urgente proprio il lavoro culturale auspicato da Laura Conti, indispensabile per definire un quadro di analisi e di progettazione condiviso, che non sia né velleitario né rinunciatario. 

Nelle pagine conclusive di Questo pianeta Laura Conti avanza una proposta di azione, illustrando cinque “programmi irrinunciabili”: 1. Lotta agli inquinamenti industriali; 2. Recupero e stabilizzazione dei suoli; 3. Difesa dei patrimoni genetici; 4. Abbattimento dell’inquinamento termico e dell’aumento dell’effetto serra; 5. Riduzione del fabbisogno energetico. Cinque programmi a cui vanno ad aggiungersi i problemi che Laura Conti considera prioritari della scuola, della sanità e della crescita demografica.

L’attuazione di questi programmi, scrive Laura Conti, richiede impegno e coraggio “particolarmente ai dirigenti politici e alle persone di cultura: il coraggio intellettuale di sottoporre a verifica tutto quanto si è fatto sin qui, e ciò che si sarebbe potuto e dovuto fare ma non è stato fatto. E se i dirigenti politici non si dimostreranno all’altezza dei loro compiti e delle loro responsabilità? Come in altri momenti cruciali della storia di questo paese (e dell’umanità), toccherà allora ai cittadini – e in primo luogo ai giovani – prendere in mano il proprio destino, che è anche il destino della vita su questo pianeta” (p. 288).

A quanti oggi, giovani e meno giovani, cercano di prendere in mano il proprio destino e quello della vita su questo pianeta, va dunque l’invito a (ri)scoprire e a mettere alla prova il metodo di Laura Conti, lasciandosi contagiare dalla sua esigenza di radicalità e di rigore, dalla libertà del suo pensiero, guidato da un uguale amore per l’impegno politico e per il sistema vivente.

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