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Tripoli, bel suol d'amore

Piero Pagliani

Tripoli, bel suol d'amore,
ti giunga dolce
questa mia canzon,
sventoli il Tricolore
sulle tue torri
al rombo del cannon!

«Lo storico, il quale in avvenire vorrà ricostruire questo torbido periodo della nostra vita nazionale, dovrà giudicare che la cultura italiana nel primo decennio del secolo XX doveva essere caduta assai in basso, se fu possibile ai grandi giornali quotidiani e ai giornalisti, che pur andavano per la maggiore, far credere all’intero Paese tutte le grossolane sciocchezze con cui l’impresa libica è stata giustificata e provocata.
Non esistevano, dunque, in Italia studiosi seri e coscienziosi? Cosa facevano gli insegnanti universitari di geografia, di storia, di letterature straniere, di diritto internazionale, di cose orientali? Credettero anch’essi alle frottole dei giornali? E se non ci credettero, perché lasciarono che il Paese fosse ingannato? Oppure considerarono la faccenda come del tutto  indifferente per la loro olimpica serenità? La risposta a queste domande non potrà essere molto lusinghiera per la nostra generazione».
«Ma i nazionalisti e i gazzettieri tripolini sanno tutto. Per essi una notizia, vera o fallace che sia, purché risponda ai loro preconcetti, è sempre buona, e va subito messa in circolazione  senza ritardo».
Gaetano Salvemini e altri, "Come siamo andati in Libia," La Voce, Firenze 1914.

La chiusa a queste citazioni potrebbe essere il refrain di una vecchia canzone pacifista di Pete Seeger, a suo tempo cavallo di battaglia di Joan Baez: “When will they ever learn?”, “Quando mai impareranno?”.

In realtà quel che è urgente chiedersi è quando mai imparerà la sinistra italiana. Specifico “italiana”, perché la sinistra mondiale in generale questa lezione l’ha capita di gran lunga meglio.

Non è un caso, il nostro Paese è una anomalia, in quanto è l’unico dell’Europa Occidentale dove ex comunisti si sono suggeriti e sono stati accettati come nuova classe dirigente del dopo caduta del Muro di Berlino.

Così in Italia di punto in bianco la maggior parte dei comunisti sono diventati ex-comunisti o addirittura “mai-stati-comunisti” mettendosi al servizio degli USA e delle loro propaggini economiche e militari in Europa.

Questo voltafaccia, che non è mai stato giustificato dai suoi cinici protagonisti con nessuna analisi seria e, soprattutto, onesta del perché della parabola discendente del movimento comunista, ha trascinato con sé anche quei pochi che hanno resistito per un po’ alle sirene del potere e che tuttavia non sono stati in grado di rifondare veramente alcunché, perché incapaci di rinnovare le vecchie analisi e di capire da un punto di vista antagonista la nuova realtà, che è poi quella di un’imponente crisi sistemica, dove ogni stato-nazione cercherà di ottenere posizioni vantaggiose destreggiandosi tra le spinte telluriche mosse dai grandissimi contendenti, se serve mettendo le classi subalterne nel tritacarne delle proprie politiche di maggiore o minore cabotaggio (cosa che di sicuro avviene in Occidente, specialmente nei paesi sub-imperiali più deboli come il nostro).

Con la crisi libica siamo nel bel mezzo di uno degli epicentri di questi scontri tra zolle continentali geopolitiche. L’astensione all’ONU di Russia e Cina dovrà essere analizzata con precisione, così come quella della Germania, ovviamente per un motivo opposto. E lo stesso bisognerà fare per il voto favorevole del Libano.

Per ora l’urgenza ci costringe a soffermarci sul fatto che l’ingerenza occidentale non ha nulla a che fare con i diritti umani. Dubito che non si possa averlo capito dopo la sequenza delle guerre balcaniche, dopo le due del Golfo e dopo quella in Afghanistan-Pakistan. Prima di questa micidiale sequenza di carneficine si sarebbe eventualmente potuto credere all’ingenuità (che comunque è colpevole). Dopo no.

Non c’è nessuna ingenuità nelle parole aggressive e cariche di livore del teorico della cosiddetta “ingerenza umanitaria”, quel Bernard Kouchner che vorrebbe ben più della no-fly zone e fu leader del Maggio Francese del ’68 insieme a Daniel Cohn-Bendit, quel rappresentante dei Verdi all’europarlamento che nella seduta plenaria della settimana scorsa aveva affermato: “Sì alla no-fly zone, sparare su un aeroplano (sic!) mostrerebbe a Gheddafi che non si possono bombardare le città libiche”. Daniel il Rosso era del tutto indifferente al fatto che le intelligence militari della Russia e degli Stati Uniti concordavano nell’affermare che non c’era nessuna prova di bombardamenti di aerei libici sui civili. Ma a lui non interessa. Lui è un esperto di propaganda, dai tempi in cui incantava gli studenti al Quartiere Latino, assieme al suo compare Bernard.

Mi viene allora in mente che l’economista americano Michael Hudson in un suo libro dal titolo significativo “Super Imperialism. The Origins and Fundamentals of U.S. World Dominance”, liquida il Maggio Francese con queste parole: “All’indomani del collasso del Gold Pool, le maggiori potenze industriali, con la considerevole eccezione della Francia, acconsentirono a non incassare in oro i titoli convertibili in loro possesso del Tesoro americano. La Francia, l’elemento pericoloso di tutto il sistema a causa della sua insistenza ad accumulare oro, fu cancellata dal quadro nel Maggio 1968 dalle sue rivolte studentesche e dalla conseguente fuga di oro che continuò ad impoverire le sue riserve monetarie nazionali fino al 1971”.

Ora è chiaro che il Sessantotto fu un evento complesso, dove intervennero varie componenti e varie forze. Ma considerando la fine che in generale hanno fatto i suoi leader, con la notevole eccezione del più intelligente e integro di essi, Rudi Dutschke, e di pochi altri, se pure non se ne può dedurre un loro originario asservimento all’imperialismo statunitense, tuttavia è difficile non dedurre tale approdo, conclamato da molti anni, dalla loro originaria irresponsabile arroganza e dal loro originario arrivismo.

Opporsi all’ingerenza in Libia vuol dire mettersi fuori dal giro. Da quello di destra e anche da quello di sinistra. Il giro che può garantire alleanze ed elezioni. Il giro che garantisce prebende. Il giro che distribuisce posti, poltronissime, poltrone e posti in loggione. Il giro che promuove la visibilità mediatica. Insomma, il giro che democraticamente permette a tutti di essere delle Nicole Minetti o delle Ruby Rubacuori, magari meno ruspanti, magari paludati di titoli accademici, accompagnati dalla fama (meritatissima, per carità) di intellettuali, ammantati di ideali alternativi. E sicuramente intelligenti, anzi intelligentissimi: imbecilli con altissimo quoziente d’intelligenza.

Ho insistito sulla necessità di un rinnovamento politico perché gli eventi ormai ci precedono a ritmo galoppante. Avremo purtroppo molte occasioni di parlare della crisi libica e del coinvolgimento militare europeo, perché abbiamo fatto di tutto per creare lo scenario di una guerra senza quartiere. Il Consiglio d’Europa ha chiesto, con un’arroganza senza limiti, che Gheddafi se ne vada (non si capisce perché non lo chieda ad ogni singolo presidente statunitense, che sarebbe molto più giustificato; anzi dovrebbe farlo appena se ne elegge uno senza dargli il tempo di fare nemmeno una mossa). Come se non bastasse si è detto a Gheddafi che la sua unica soluzione è finire come Saddam Hussein o come Milosevic.

Se non si ritornerà su questi passi, l’unica scelta lasciata a Gheddafi sarà quella di combattere ad oltranza. E quindi se non si recede da quei proclami, visto che ci sono in ballo riserve petrolifere per 100 anni, la guerra sarà micidiale. Sono decisioni che in realtà sembrano rivolte più che a spaventare Gheddafi a creare una compagnia della buona morte occidentale determinata a tutto. Una sorta di autoricatto.

Occorre fare i conti al più presto col modo in cui entrambe le forze politiche affrontano le crisi che in continuazione si presentano. In particolare a sinistra abbiamo letto troppi interventi che servono volenti o nolenti a spianare le coscienze per accettare gli imminenti bombardamenti (magari lagnandosene un po’).

La fiaccola della ragione è rimasta accesa solo in pochi gruppi molto minoritari e in singole persone. Occorre cambiare pagina, in modo radicale.

E alla svelta, perché come ognuno può notare ormai gli interventi umanitari e quelli preventivi non hanno più soluzione di continuità. Non ne è finito uno che ne inizia un altro. Gli Statunitensi hanno chiesto ai propri alleati europei di occuparsi loro della Libia proprio perché i generali USA considerano del tutto insostenibile un nuovo fronte, dato che dalla fine del secolo scorso se ne è aperto uno dopo l’altro.

Occorre allora capire che siamo nel bel mezzo della Terza Guerra Mondiale. E’ su questo dato di fatto che dobbiamo tarare l’azione politica.

Innanzitutto bisogna allora chiarirsi subito su una cosa: votiamo i crediti di guerra come fece la sinistra per la Prima Carneficina Mondiale? La risposta è Sì o No. Non ci sono vie intermedie.

Possiamo anche scegliere di appoggiare -ovviamente con le migliori intenzioni, ci mancherebbe !- una nuova carneficina mondiale per sostenere un sistema insostenibile (come anche i tragici avvenimenti giapponesi hanno ribadito). La scelta è nostra.

Possiamo farlo, basta che sia chiaro cosa facciamo, per cosa lo facciamo e dove andremo a finire se lo facciamo.

La nostra scelta è totalmente differente.

Ognuno sia responsabile delle proprie scelte.

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