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mondocane

Iran: è guerra all’Eurasia

Stranamore, stranammorati, stranamorini

di Fulvio Grimaldi

iran hysteriaHannibal ante portas? Non è più procurato allarme

Ne va della potenza egemonica, dell’eccezionalismo, del “Destino manifesto”, della globalizzazione a direzione unica, del governo mondiale, della controffensiva colonialista fondata su migrazioni che svuotano di energie umane e professionali il Sud da predare. Il Golfo Persico è il pettine al quale questi nodi vengono. E quando gli scienziati nucleari mettono l’orologio dell’Apocalisse a due minuti da mezzanotte, più o meno dove stava nell’immediato post-Hiroshima e Nagasaki, c’è stavolta poco da parlare di procurato allarme.

Chi segue meticolosamente le uniche fonti di notizie e analisi affidabili, che ormai sono quasi solo in rete (finchè dura e Facebook chiude un occhio), legge e vede da almeno un paio di lustri l’annuncio dell’imminente terza e ultima guerra mondiale. Giulietto Chiesa, addirittura, annunciava l’imminenza del conflitto totale fin dai primi anni del nuovo millennio. Al punto che, ripetuta in conferenza su conferenza, intervista su intervista, la funesta certezza decadeva in giaculatoria a cui più nessuno dava peso. Una specie di al lupo al lupo che si inseriva inconsapevolmente in una strategia della paura, anzi del panico, che pian piano sfiancava e distraeva da ogni altro fronte di lotta. Tipo il capitalismo. Un po’ come la questione climatica da GretaThunberg universalizzata in minaccia globale, peraltro priva di responsabilità identificate, che tutte le altre riassume (e annulla) in sé. Qualcuno ha parlato di nuovo oppio dei popoli, come quello, che mai si è cessato di fumare, della religione.

 

False Flag, la bandiera dell’Occidente

Tuttavia, a partire dalle micce posate nel Golfo Persico da chi conduce guerre e genocidi, e ne campa, da trecento anni a queste parti, il tema ha acquistato una pregnanza senza precedenti, anche perché si appoggia ad accadimenti analoghi che in molti casi alla guerra guerreggiata hanno portato. Parliamo di provocazioni, oggi dette “False Flag”, messe in atto onde vantare davanti all’opinione pubblica un buon, anzi un irrinunciabile, motivo per commettere qualche grossa efferatezza, altrimenti impossibile da giustificare. A molti verranno in mente le nostre stragi di Stato, da Piazza Fontana, attribuito ad anarchici, a Moro fatto far fuori alle BR, e agli attentati della “trattativa”, con manovalanza mafiosa e, a monte, Gladio, servizi nostri e atlantici, la cupola anti-Urss.

Storia scontata, storia fattaci dimenticare, circoscritta al ruolo dell’Italia nel Mediterraneo e come fronte orientale del “mondo libero”, Di più vasta portata le False Flag all’origine delle guerre del nostro tempo: Lusitania, nave britannica fatta passare per carica d’armi e perciò affondata dai tedeschi, trappola che innesca l’ingresso degli Usa nella Prima Guerra Mondiale; Maine, nave Usa alla fonda a Cuba, incendiata dagli stessi Usa, che ne traggono il pretesto per sottrarre alla Spagna Cuba e le Filippine; Operazione Northwoods che prevede l’abbattimento sopra Cuba di un aereo Usa pieno di studenti per incolparne Castro e far partire una nuova invasione (bloccata da Kennedy, che la pagò); Golfo del Tonkino, falso assalto a nave Usa attribuito ai nordvietnamiti, da cui stragi bombarole su tutto il Nordvietnam; neonati strappati dai soldati iracheni alle incubatrici del Kuwait, panzana inventata dal Pentagono che lancia la prima guerra del Golfo; i bombardamenti di Gheddafi sulla popolazione di Tripoli, il viagra somministrato ai propri soldati perché stuprassero con più vigore; gli ospedali bombardati con barili esplosivi ad Aleppo; le armi chimiche di Duma, gli aiuti alimentari in fiamme sul ponte tra Colombia e Venezuela; le armi di distruzione di massa di Saddam; l’11 settembre….. Tutte False Flag fatte sventolare anche dalle più celebrate Ong dei diritti umani, con gli effetti sui diritti umani che si sono visti.

 

Proviamo con le petroliere

E oggi alcune petroliere colpite nel Golfo, di cui una giapponese mentre il premier giapponese Shinzo Abe discute a Tehran come circumnavigare l’embargo; un’altra di un armatore norvegese disposto a violare le sanzioni Usa contro l’Iran. Prove zero, incluso un grottesco video che vede un motoscafo togliere qualcosa dalla fiancata di una nave. Ma ecco, subito stranamore, stranammorati Nato e stranamorini dei media dire che sono stati gli iraniani, “maggiore potenza terrorista del mondo”, “massima minaccia alla pace”. E’ come se Cheney desse del terrorista a Danilo Dolci. La spesa militare di questa “minaccia” è di 15 miliardi di dollari, il 25% di quanto l’Iran spendeva sotto lo Shah. I suoi armamenti risalgono a quell’epoca e a qualche aereo iracheno spostato a Tehran al tempo della guerra del Golfo. La spesa Usa, paese che si assume il compito di contenere la “minaccia”, arriva complessivamente a oltre mille miliardi. Politicamente compattata dalle spaventose sanzioni, ma economicamente e socialmente ridotta a brandelli, la società iraniana ha dovuto ridurre la produzione di petrolio dalla media di 4 milioni di barili al giorno, al tempo delle sanzioni di Obama, a 2 milioni, di cui meno di 600mila riescono ancora a essere esportati. Perlopiù in Cina.

 

E’ il petrolio, bellezza!

Ci sono buoni motivi perche lo strumento dell’élite all’1% utilizzi il suo strumento fine-del-mondo Usa a partire dall’oceano di petrolio in cui galleggia il Golfo. La riserve accertate di idrocarburi iraniani ammontano a 160 miliardi di barili, subito dopo l’Arabia Saudita (266 miliardi) e il Venezuela (300 miliardi), il boccone più grosso, per ora accantonato visto l’immane fiasco del golpe amerikano di Guaidò. Dunque gas e petrolio, i minerali in continua espansione estrattiva, produttiva e di consumo, da cui esalano i veleni che soffocano il pianeta fino a strozzarlo entro pochi anni, sono quelli di cui si agitano per ogni dove Greta e i gretini e che sono l’impulso alle guerre di cui Greta e gretini non sembrano avere la minima nozione.

Con la prima Guerra del Golfo gli Usa, con al guinzaglio la Nato, dilagano armati su ogni satrapia araba del Golfo dove 50 milioni di cittadini, perlopiù manovalanza immigrata, sono governati, sfruttati, schiavizzati, ottenebrati da alcune migliaia di prìncipi gozzoviglianti , indispensabili amici e guardiani degli interessi e delle armi occidentali. Contro la “minaccia” iraniana. Che è quella di aver disturbato acque e deserti correndo in soccorso alla Siria azzannata, sostenendo la difesa del Libano e dello Yemen, la famigerata “mezzaluna scita” che ai popoli del lato occidentale del Golfo, chissà perché, odora di libertà, dignità, speranza.

Con la seconda e le “primavere” e guerre seguenti (Iraq, Egitto, Libia, Siria, Yemen) puntano alla frantumazione di ogni residua struttura statale sorretta da volontà e coesione nazionale autodeterminata, per delegare il controllo della regione al consorzio di entità arabe e non, famigliari o coloniali, segregazioniste, feudali e schiaviste. Il piano fallisce in Egitto, ma, con il ricorso al terrorismo jihadista, funziona, anche se non del tutto, negli altri paesi, comunque ridotti a brandelli. Il consorzio ha per massimo comune denominatore farla finita con l’anomalia Iran, obiettivo condiviso fin dal 1953, colpo di Stato contro il premier nazionalista Mossadeq, dallo Stato profondo Usa, terminale politico-militare della Cupola mondialista, oggi incorporato nei Neocon di ascendenza talmudista.

Si tende ad attribuire un ruolo eccessivo in questa temperie di guerra imminente a personaggi come John Bolton, consigliere per la Sicurezza Nazionale, e Mike Pompeo, Segretario di Stato, a causa del trucido bullismo con il quale sembrano trascinare Trump agli esiti più drammatici. E’ vero, c’è differenza metodica tra l’Obama che prova a minare paesi come Cuba e l’Iran dal di dentro, promuovendo col sorriso e con accordi la destabilizzazione interna (rivoluzioni colorate affidate a settori bulimici di mercato), e la clava dei due cavernicoli ereditati dal Bush minore. Ma sono opzioni di fase all’interno di una strategia che, da quando nelle vene del capitalimperialismo scorre petrolio, non muta che nelle forme.

 

La minaccia Iran

Togliamo di mezzo le fanfaluche che ai nostri media, destrosinistri ed eterodeterminati, dettano le centrali propagandistiche della globalizzazione tramite guerre. Il riarmo atomico di un Iran che non aveva mai arricchito il suo uranio oltre quel 20% che serve a usi energetici e medici. Arricchimento, poi, ridotto al ridicolo 3%, insieme alla chiusura di centri di ricerca altamente specializzati, dall’accordo sul nucleare concluso tra Obama è un tragicamente arrendevole presidente Rouhani, succeduto al ben più fermo e consapevole Ahmadinejad. Nè l’agenzia addetta ai controlli, AIEA, aveva mai rilevato una violazione degli accordi a perdere da parte di Tehran.

Ma abbondano da decenni le buone ragioni per fare del Golfo Persico il più gigantesco barile di esplosivo del mondo, a forza di portaerei, flotte aeree e navali, migliaia di soldati, attentati a petroliere da parte di provocatori, probabilmente addestrati in Albania dal MEK (la setta terroristica attiva su mandato israeliano e statunitense in Iran da decenni, oggi dislocata da Washington in Albania). Il più immediato e dichiarato è il bisogno di Israele, da sempre impegnata a diventare “La Grande”, di togliersi di torno i terminali iraniani presenti nei paesi confinanti e difensori della sopravvivenza di questi, oltreché insidia politica e sociale per l’assetto oscurantista e reazionario degli alleati del Golfo.

Ma la strategia è trasparente, se mettiamo in fila quanto i vecchi colonialisti, francesi, britannici perseguono dai tempi dell’occupazione del Canale di Suez, 1956, e quanto del vecchio imperialismo è stato assunto in proprio dagli Usa, dal sostegno a Israele, attraverso guerre, colpi di Stato, o destabilizzazioni terroristiche in Iran, Iraq, Libia, Siria, Afghanistan, Corno d’Africa, fino al Venezuela. Per mandare avanti il suo sviluppo nei termini stabiliti, potenziare il suo impero, ricattare nemici e amici, accumulare profitto, nello scopo non dichiarato e neppure forse considerato di distruggere il vivente arrostendolo, il grumo onnipotente che manovra lo Stato più bellicoso della Storia deve disporre di ogni possibile risorsa petrolifera e controllare ogni possibile rotta per la quale questa sostanza genocida viene trasportata. E qui, per come incombe geograficamente e politicamente su tutto il Medioriente e sta in mezzo alle direzioni Nord-Sud ed Est-Ovest, di terra e di mare, l’Iran diventa imprescindibile.

 

Eurasia, il mondo al giro di boa?

Ma c’è una buona ragione forse ancora più urgente per quanto potrebbe venire scatenato nel Golfo. L’Iran sta proprio al centro dell’enigma euroasiatico, il “cuore del mondo”, come lo definì il competente Brzezinski, un cuore senza il battito del quale il capitalismo occidentale andrebbe alla deriva. Vi dice niente l’acronimo SCO? “Shanghai Cooperation Organization”. Nel cuore euroasiatico oggi c’è lo SCO, non la Nato, o l’FMI, o il WTO. Ne sono membri otto paesuccoli da poco come Russia, Cina, India e Pakistan, più i quattro “stan” dell’Asia centrale. Quasi tutti dotati di immense risorse, o energetiche, o altre. Ci sono poi quattro Stati osservatori, Afghanistan, Bielorussia, Mongola e Iran e sei partner del dialogo: Armenia, Azerebaijan, Cambogia, Nepal, Sri Lanka, Turchia. Entro il 2020 lo SCO crescerà a includere Iran e Turchia. Non tutti questi paesi hanno punti di vista omogenei, in particolare l’India si muove su piani geopolitici ambivalenti, con l’occhio anche a un’Alleanza Indo-Pacifico di marca Usa. Ma tutti sono gradevolmente coinvolti nel progetto cinese, ormai euroasiatico, della Road and Belt Initiative (RBI), la Via della Seta, con propaggini anche in Africa e, grazie a un nostro raro momento di intelligenza in politica estera, Europa.

Intorno al partneriato russo-cinese, coinvolgente la più vasta regione terrestre del globo e, tenendo conto degli altri SCO, il più numeroso agglomerato di popolazione, si vanno mobilitando interessi comuni per un futuro di sviluppo pacifico dalle enormi prospettive di scambio e progresso in chiave non tossica. Anche tenendo conto che la Cina è già oggi il paese dal più diffuso e avanzato utilizzo di energie rinnovabili e che negli scambi tra questi paesi si vanno facendo strada valute alternative al dollaro, come il rublo e lo yuan. E abbiamo visto cosa è successo a Saddam e a Gheddafi quando hanno adombrato l’affossamento della moneta del dominio Usa, anche se solo a vantaggio del subalterno euro.

Rimane il ruolo assolutamente negativo della Cina, quanto quello degli Usa, nell’adozione e promozione urbi et orbi del 5G, la connessione di quinta generazione il cui inquinamento elettromagnetico è di una tale potenza e capillarità, con le sue antenne ogni 100 metri e i suoi letali 12mila satelliti nello spazio, da sostituire il cambiamento climatico al primo posto nelle minacce alla vita sul pianeta. Di questo s’è già detto in questo blog e se ne dirà.

Si vede, dunque, come gli Usa e, sopra di essi, la Cupola mondialista, abbiano di fronte qualcosa di inedito nella storia dell’imperialismo. Qualcosa che in potenza fa impallidire la competizione che l’asse Germania, Italia. Giappone costituì per lo schieramento anglosassone che, pure, impiegò sei anni a debellarla e ci riuscì soltanto grazie al contributo determinante dell’URSS.

Tutto questo spiega ad abundantiam i movimenti frenetici che nel Golfo la Cupola fa fare all’apparato militare Usa e l’assedio con cui cerca di serrare l’Iran in una morsa mortale. Spiega anche il grottesco inserimento dei Guardiani della Rivoluzione iraniani nell’elenco delle organizzazioni terroristiche. L’accusa di terrorismo, a partire da quello dell’11/9, è stato immancabilmente il preludio alla guerra. Non faccio il giuliettochiesa e non giuro che la guerra, quella guerra, ci sarà. Rimane una forte controindicazione: per quanto lo si possa bastonare, radendolo al suolo dall’aria, l’Iran può sempre bloccare il Golfo e quindi il 40% dei rifornimenti al mondo. Uno sconquasso planetario che a qualcuno potrebbe dare la sveglia.

Tutto questo non spiega, invece, perché Putin neghi a Iran e Siria, quest’ultima quotidianamente bombardata impunemente da Israele, l’invincibile difesa antiaerea S400. Che, però, concede a Turchia e Arabia Saudita. Misteri della geopolitica.

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