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La guerra imperialista è la realtà del capitalismo

di Nico Maccentelli

02d8012e1db1554c5c16460f67368f3a XLUna realtà sempre possibile, che la deterrenza nucleare del secondo dopoguerra aveva mitigato verso crisi geopolitiche locali, guerre per procura e conflitti limitati. Ma che oggi nasce da due tendenze contrapposte insite nel modo di produzione capitalistico e delle sue formazioni economico-sociali, nei suoi capitalismi (come La Grassa definisce il sistema mondo): la tendenza a imporre un sistema mondo unipolare da parte degli USA e del suo blocco di potenze imperialiste alleate e vassalle… e la crescita di un multipolarismo che è già nei fatti, d parte di neopotenze capitaliste come la Cina, la Russia, l’India e altri attori minori ma con uno sviluppo economico e sociale molto veloce.

Questa contraddizione nasce poi dalle crisi economiche che ciclicamente investono l’intero modo di produzione capitalistico con sovrapproduzione di capitali, quindi la valorizzazione del capitale stesso nella caduta tendenziale del saggio di profitto. Un andamento che ormai ha una sua ciclicità strutturale e che si manifesta con l’ipertrofia finanziaria e l’esplosione di bolle speculative sempre più devastanti.

E’ in questo quadro che si innesca il conflitto ucraino, determinato essenzialmente dall’espansionismo della NATO a est (disattendendo gli accordi fatti nel dopo URSS: non un pollice di allargamento), che pone sotto minaccia nucleare diretta la Russia, potenza ricostituita con un forte dispositivo tecnologico militare.

Infatti l’imperialismo statunitense vede due condizioni per contrastare il declino della sua dimensione unipolare: la crescita strategica dei paesi competitori “altrocapitalisti” come la Russia, ma in particolare la Cina e la saldatura tra Europa Occidentale e Orientale includendo la Russia, il che determinerebbe un megapolo imperialista che avrebbe tutto: dalle risorse strategiche alle tecnologie ai mercati.

Espandersi a est attraverso la NATO che è un dispositivo non solo di guerra esterna ma anche di controllo interno degli alleati da parte degli USA, prende i classici due piccioni con una fava. Per questo le classi dirigenti europeiste sono delle camarille assoldate dai centri di potere dominanti dell’imperialismo atlantista per frenare le propensioni nazionali a trovare una propria collocazione autonoma nella nuova realtà multipolare. Altrimenti non si spiegherebbero le scelte guerrafondaie nel fomentare il conflitto con l’invio di armi da parte del governo Draghi, il riamo tedesco, le sanzioni, invece di puntare a delle trattative che salvino l’integrità nazionale Ucraina con alcune concessioni territoriali alla Russia (Crimea alla Russia, Donbass federato dentro l’Ucraina) garantendo la sua neutralità come stato cuscinetto demilitarizzato.

Le sanzioni e le forniture di armi all’esercito e alla bande naziste di Zelensky sono scelte suicide per le classi popolari italiane ed europee e sono la dimostrazione di quanto poco interessi la stabilità economica e sociale del nostro paesea questa classe dirigente di collusi e vassalli dei centri di potere imperialista. Perché il risultato del taglio del gas russo e l’aumento vertiginoso dell’energia sarà un aumento generale dei prezzi in una situazione già compromessa da due anni di restrizioni criminali pandemiche: la fine di quel piccolo capitale già attaccato da politiche che hanno favorito le multinazionali e il capitale del delivery e persino di un’economia di sussistenza, verso la fine privatistica di uno stato sociale sempre più messo in vendita dai naziliberisti al potere. Con la gestione criminale della pandemia e con questa guerra si dà il colpo di grazia alle conquiste sociali uscite dal secondo conflitto mondiale e dalla Resistenza popolare al nazifascismo, ai rapporti sociali imposti da un movimento operaio e bracciantile, dopo decenni di devastazione continua, privatizzazioni, politiche europeiste basate sul neoliberismo.

Da un punto di vista sociale, della collettività, questa politica di guerra è come segarsi il ramo su cui si è seduti. Da quello invece di un capitalismo sovranazionale è la prosecuzione di un riassetto economico e sociale di vasta portata che punta a forzare la mano sui competitori esterni dopo aver annichilito con dispositivi sociali la massa interna privandola e abituandola a non avere diritti acquisiti, quindi più malleabile.

In questa situazione di reazione bellica russa a un’aggressione espansiva della NATO che dura da decenni, si innestano settori della sinistra fintopacifista (i pacifinti…), che va da quelle componenti residuali del movimento per la pace, contrari alla guerra e basta ai pacifinti con l’elmetto e di governo, che sostengono apertamente la politica di escalation della NATO, fatta di sanzioni e fornitura d’armi. Il che significa non essere pacifisti per nulla. Tutta questa composizione variegata di soggetti fintopacifisti di fatto:

  1. non protesta contro la guerra proponendo atti che portino alla trattativa le parti belligeranti, ma prendono una posizione di principio del tutto inutile e apolitica e che non fa fare un solo passo verso la fine delle ostilità
  2. stanno con una delle due parti riconoscendo e accettando la narrazione falsa dei naziliberisti USA-UE-NATO ossia: che l’aggredita è l’Ucraina quando in realtà dal 2014 i golpisti di Maidan e i governi succedutisi commettono atrocità e repressione sulla popolazione russofona e sugli oppositori, si serve di apparati paramilitari e militari nazisti, ha sdoganato i collaborazionisti di Hitler come Stepan Bandera e occultando dietro alla “notte in cui tutte le vacche sono nere” chi è il vero aggredito e chi l’aggressore

Se la gestione criminale della pandemia in due anni ha creato una massa amorfa disposta ad accettare di tutto, anche la fine dei più elementari diritti civili come elementi inalienabili nella vita di tutti, e ha creato la divisione tra vax e no vax, oggi gli stessi meccanismi emergenziali e forcaioli si riversano sul tema della guerra dettando l’agenda a pacifisti compatibili con la narrazione tossica di regime, che allontana le responsabilità altrettanto criminali dei ceti dirigenti in quita alla UE e alla NATO, e in particolare alla cricca di banditi che bivacca alla Casa Bianca, che evidentemente oltre alle questioni di geopolitica enunciate qui sopra ha altra questioni sul tappeto, che magari hanno a che vedere con per esempio con i laboratori sperimentali disseminati un po’ ovunque in Ucraina, coinvolgendo apparati non solo politici ma della scienza delle multinazionali del farmaco e la sperimentazione militare. Aspetti che presto o tardi salteranno fuori e che preannunciano una messa sotto accusa di tutta questa canaglia di regime USA. Ecco perché assistiamo a una corsa all’escalation: questo verminaio potrebbe spiegare la fretta di un esecutivo statunitense disposto a tutto, verso le elezioni di medio termine.

In ogni caso, senza andare oltre su questo argomento, una posizione coerente contro la guerra invece parte da ben altri punti di vista:

A. dall’analisi della situazione riconoscendo i punti di vista di entrambe le parti e svelando quali siano veramente gli oggetti del contendere e chi ci sta dietro. Si scoprirebbe come tutto sommato un’Ucraina neutrale e demilitarizzata, che evita entrare nella NATO e di farsi piazzare ordigni atomici a 400 km da Mosca, sarebbe la soluzione al conflitto. Qui non esistono pazzi, secondo la vulgata propagandistica e isterica, antirussa, dei media atlantisti che dipinge Putin come un nuovo Hitler, ma ci sono invece coloro che la ace non la vogliono e soffiano pericolosamente sul fuoco dell’escalation per ragioni di consorteria in un gioco al massacro

B. sulla base del punto precedente, dall’analisi più generale del declino atlantista e di un mondo multipolare e quindi di chi spinge alla guerra, la lotta contro la guerra non passa né per il sostegno a un’Ucraina che si fonda su tradizioni filonaziste e su un nazionalismo sciovinista, né su un “no guerra” generico e apolitico, ma sull’individuazione del nostro imperialismo, delle nostre potenze atlantiste quali portatrici del germe della guerra per rovesciare il tavolo di un mondo multipolare e quindi per un no alla guerra imperialista della NATO e per l’uscita dell’Italia dalla NATO assumendo una posizione neutrale e favorevole al dialogo nella soluzione delle controversie tra stati, tra blocchi economico-sociali

C. facendo della lotta alla guerra il terreno politico su cui si innesta un’opzione che confligge con il concetto stesso di guerra imperialista, che oltre ai lutti e alle distruzioni porta miseria, disoccupazione, devastazione sociale, irregimentazione autoritaria nazionalista (europeista e atlantista), a un totalitarismo emergenziale economico e sociale, politico e istituzionale e lo stiamo vedendo col fatt che non esiste soluzione di continuità tra le diverse emergenze: pandemica e di guerra. Guerra alla guerra imperialista significa portare la lotta alla guerra sul terreno del conflitto sociale e di classe, non certo su quello della celebrazioni autorappresentative di una massa compatibile con i piani bellici e lacrime e sangue sul terreno del lavoro, del carovita, della penuria energetica. La massa che agita le bandierine della pace e dell’Ucraina ha la stessa funzione di quella che davanti al balcone di Piazza Venezia ascoltava e osannava le parole del Duce sulla dichiarazione di guerra alla Grecia. Questi pacifinti non sono massa critica, ma massa acritica e funzionale ai venti di guerra che spirano sempre più forti e incontrastati. Solo una lotta che diviene boicottaggio, disobbedienza, ostacolo nelle mille forme dell’azione militante dei meccanismi di guerra per incepparli non solo sul piano della controinformazione ma anche sul piano della guerra sociale e dell’azione partigiana è vero contrasto alla guerra imperialista. Non ci sono altri modi e altre prese di posizione. Occorre tornare al radicalismo dei movimenti di lotta antimperialisti che nel cuore delle metropoli lavoravano per inceppare la macchina bellica e di propaganda del potere capitalista come nella guerra del VietNam. Un radicalismo irriducibile perché portatore di un’alternativa di società, non di un pacifismo generico, ma di una litta rivoluzionaria per il Socialismo che non riconosce l’uso che fa il regime dei mezzi di produzione, dei nostri corpi, dei nostri legami sociali per la loro guerra che perpetra lo sfruttamento e la repressione a fini di profitto delle élite dominanti.

D. Dunque la lotta contro la guerra deve prepararsi a questo tipo di scontro sociale, perché la situazione potrebbe precipitare e siamo già in tremendo ritardo. Il movimento pacifinto ostacola questa presa di coscienza, banalizza la guerra nella divisione buoni e cattivi, decontestualizzandola da elemento fisiologico, categoria storica e politica del capitalismo, da elemento della sua riproduzione sociale a luogo comune insito nella “natura umana”, avulso dai rapporti sociali di produzione e dalle contraddizioni economiche e sociali insite nel capitalismo stesso.

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