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La guerra nella guerra

di Militant

RESSISTENZA 2048x1152Il precipitare della situazione ucraina dopo l’invasione da parte della Russia dello scorso 24 febbraio ha scompaginato gli equilibri internazionali determinando una ridefinizione dei campi a livello internazionale e, di riflesso, anche alle nostre latitudini. Senza entrare nel merito di una questione complessa, che andrebbe trattata in termini generali nelle sedi opportune e che potremmo sintetizzare come la certificazione dell’irreversibile emersione di un mondo multipolare in sostituzione di quello a guida del “poliziotto americano”, appare sempre più difficile eludere una serie di questioni che, almeno tra chi non si è accorto il mese scorso che alle porte d’Europa si stava per determinare una situazione esplosiva provocata dalla strutturale crisi in cui l’imperialismo è precipitato, dovrebbero essere sciolte.

Diciamo un’ovvietà – guardando al mondo dei compagni – se ricordiamo che questo conflitto ha radici profonde e non è di certo imputabile a quella che la narrazione personalistica delle più grandi testate giornalistiche (per altro con interessi diretti nel riarmo dell’Europa come notavamo sui social in questi giorni) imputano alla follia di un pazzo – ovviamente Putin – o ai deliri imperial-sciovinisti di una ex-potenza mondiale declassata a potenza regionale come la Russia. Quella che oggi è guerra dispiegata nel cuore d’Europa è infatti stata per otto anni un massacro a bassa intensità per le popolazioni russofone del Donbass e della zona orientale dell’Ucraina. Un massacro che ha prodotto all’incirca 14.000 morti frutto di un martellamento incessante da parte di quella che oggi viene ribattezzata in blocco come la “resistenza” ucraina.

Operazione di neutralizzazione delle autoproclamate repubbliche del Donbass, portata avanti non da un esercito qualsiasi ma da formazioni militari e paramilitari dichiaratamente naziste, checché ne dicano i vari Nicastro o penne a servizio dell’industria bellica che hanno buttato al cesso, in sole 3000 battute, qualsiasi residuale dignità della professione giornalistica in questo paese[1].

Questa tragedia, grazie alla generosa iniziativa dei compagni della Banda Bassotti e l’esperienza della Carovana Antifascista di cui abbiamo fatto parte, è riuscita ad emergere anche alle nostre latitudini spezzando l’embargo mediatico imposto all’opinione pubblica e ai compagni di tutto il mondo. Quando parliamo della tragedia del Donbass, stiamo guardando infatti a una guerra durata otto anni che ha visto formazioni di stampo ultranazionalistico e naziste portare avanti un’offensiva che rasentava la pulizia etnica, una riconquista – mai completamente avvenuta per fortuna – che non voleva di certo limitarsi ad un nuovo controllo del territorio perduto dopo il 2014 ma puntava intenzionalmente all’annichilimento di un’etnia, quella russa e russofona, e alla messa in opera di un progetto di riconquista di aree storico-geografiche non assimilabili alle aree “europee” dell’attuale Ucraina, quelle che sostanzialmente vanno dall’area occidentale al confine polacco. E questo è un dato collaterale se si guarda alla dinamica generale innescatasi dopo l’invasione decisa da Mosca, ma se si parla di nazismo e rinascita di movimenti d’ispirazione nazista nel cuore d’Europa non lo è per niente. Un elemento che inoltre, se eluso, ci porterebbe inevitabilmente a non comprendere fino in fondo la situazione in atto e a non cogliere che ad est non si sta combattendo solamente una guerra tra potenze, ma si sta combattendo anche una “guerra nella guerra”. Una guerra tra blocchi, certo, ma anche una guerra ideologica e per la sopravvivenza del popolo del Donbass che fino al 23 febbraio era costretto a subire la minaccia di neutralizzazione da parte di un governo che, dal 2014, non ha in nessun modo nascosto le sue volontà di “ucrainizzazione” del territorio delle Repubbliche indipendenti (né con modalità soft sotto la forma della proibizione della lingua russa, né hard sotto la forma del confronto militare).

Fa specie leggere di analisi che provano a derubricare il macroscopico dato – senza pretendere che lo sia agli occhi della stanca opinione pubblica assuefatta da una gestione emozionale e traumatica dell’informazione, ma almeno tra chi ancora si definisce compagno -, lo ripetiamo, macroscopico dato della presenza di organizzazioni naziste con piena agibilità e autonomia a problema minore o, peggio ancora, a problema presente su entrambi i fronti. E’ naturale – ça va sans dire –  che la propagandata “denazificazione” da parte della Russia è un espediente ideologico di legittimazione per un’invasione che ha ben altre mire politico-militari (e ci mancherebbe altro: alle porte di Mosca è la NATO a mettere i missili, non di certo l’Internazionale nera).

Se non fosse così, specularmente, dovremmo infatti credere alle stronzate sull’esportazione della “democrazia” o sulla legittima aspirazione da parte dei popoli extraeuropei ad entrare nell’orbita del blocco occidentale con l’obiettivo di poter democraticamente accedere ad una fetta di benessere occidentale senza diventare serbatoio di manodopera o magazzino per le merci occidentali. La denazificazione è una buffonata tanto quanto l’esportazione della “democrazia” a suon di cannonate, basi militari e destabilizzazioni che ogni area del pianeta ancora indipendente ha dovuto sopportare – per fortuna non sempre finendo sconfitta, come in Siria – dalla caduta del muro ad oggi. Ma se la “denazificazione” attualmente non esiste – anche se speriamo forte e chiaro che tra le ricadute dell’invasione ci sia l’annichilimento del più alto numero di nazisti presente sul territorio – i nazisti, dal confine polacco al confine russo, ci sono eccome. E fanno sorridere tutti coloro che per contrabbandare la loro svolta filo-europeista o per non dover smentire che il cavallo su cui avevano puntato si è rivelato un cavallo nazista, oggi sostengono che «i nazisti ci sono su entrambi i fronti». Vorremmo sperare che si tratti di una battuta o che sia il frutto di un’allucinazione di fronte ad uno degli sconvolgimenti più grossi che il nostro mondo sta vivendo dopo la Pandemia anche se, purtroppo, non sembra essere così.

Che la Russia putiniana sia un regime autoritario con caratteri dispostici, dove non solo qualsiasi forma di politica rivoluzionaria è una lotta quotidiana contro una repressione brutale ma lo è anche per chi si limita a semplici rivendicazioni democratiche lo capisce anche un bambino. Ma, a meno che non ci sia sfuggito qualche cosa di molto grosso, né nella Russia oligarchica, né nelle Repubbliche popolari vediamo organizzazioni fasciste o naziste con un grado di agibilità, influenza culturale e peso politico – in poche parole di Potere – in grado di rievocare fantasmi che non vorremmo mai vedere come in Ucraina[2]. Per organizzazioni naziste non intendiamo i quattro scemi con una passione per le telecamere che sono andati a combattere in Donbass, probabilmente più noti ai giornalisti occidentali che ai loro commilitoni. E neanche le organizzazioni paramafiose, anche di carattere nazionalistico, che pullulano in una società come quella russa e in tante altre società capitalistico-oligarchiche come quella. E’ più che nota infatti la rinascita di movimenti nazionalisti, panslavisti e di estrema destra in tutta l’area est-europea, Russia compresa. Le piazze stracolme di Varsavia che abbiamo visto crescere all’ombra della NATO e del benessere europeista di cui il governo reazionario di Duda si nutre sono forse la prova – da questa parte della neoeretta cortina – più evidente. Ma allo stesso tempo è un fatto che non è di certo a Mosca che si celebrano giornate nazionali in onore di collaborazionisti delle “SS” come Stepan Bandera. Non è di certo a Pietroburgo che si conferiscono onorificenze a comandanti di battaglioni integrati nell’esercito e riconosciuti dallo Stato che si sono resi autori prima di persecuzioni nei confronti di militanti della sinistra rivoluzionaria e poi di una guerra sporca durata otto anni. E non è neanche qui che il Capo dello Stato sprofonda sempre di più, mano a mano che il conflitto si approfondisce, nelle mani dei battaglioni e reparti dell’esercito più fanatici e combattivi: sempre nazisti. E’ nell’Ucraina di Zelens’kyj invece che tutto questo avviene con il silenzio della comunità internazionale e dei paesi europei, gli stessi che non appena si muove una critica al più pericoloso stato colonialista quale è Israele fanno piovere scomuniche e accuse di antisemitismo con una ferocia e uno zelo che fanno spavento. E’ nell’Ucraina che era prossima ad entrare nell’Unione Europea e sempre più vicina ad abbracciare la NATO, se non ci fosse stato lo scontro bellico aperto, che il nazismo in forma organizzata, e non come in decine di altri paesi sotto forma di bande di strada o movimenti populistici edulcorati, risorge. Non nella Russia oligarchica di Putin, ma nella “democratica” Ucraina filo-europeista.

E questo dovrebbe dircela lunga anche sulla natura della “resistenza ucraina”. Una resistenza che certamente comprende tutta quella fetta del popolo ucraino che si oppone giustamente ad un’invasione e al pericolo di una guerra di lunga durata che provocherebbe morte e distruzione più di quanto già non stia facendo, ma che comprende anche, e non in forma subordinata, chi morte e distruzione l’ha portata per otto anni in un territorio che concepiva come prateria per scorribande da pulizia etnica. E che se un domani sopravvivesse al conflitto in atto non esiterebbe un secondo a lavorare per la ricostruzione di una Ucraina nazionalista e antirussa che poco ha a che vedere con la cessazione delle ostilità.

Sui paragoni tra “resistenza ucraina” e Resistenza non ci sprechiamo neanche tempo, visto che in una fase in cui la comunicazione politica passa per il continuo cortocircuito politico-ideologico il nesso tra il nome e la cosa ha perso momentaneamente di significato. Crediamo solamente che l’emergere di simili parallelismi, oltre a far accapponare la pelle dovrebbe quantomeno interrogarci sul perché di tanto interesse nel sostegno a una così problematica “resistenza” mentre le decine di resistenze popolari ad un’invasione, da quella palestinese a quella yemenita, vengono sistematicamente eluse e non giudicate degne di essere sostenute. Non stanno forse anche loro combattendo contro un invasore? Oppure il sostegno alle resistenze in giro per il mondo si misura sull’agenda politica dei partiti di governo?

Invece dal 24 febbraio sentiamo crescere – incredibilmente anche tra le nostre fila – la richiesta di sostegno alla “resistenza ucraina” e dell’invio di armi ai “resistenti” prefigurando eclettici parallelismi tra questa e altre “resistenze” dei più disparati colori. Bisognerebbe far notare allora ai cantori orientalisti delle rivoluzioni di ieri, tramutatisi oggi in alfieri dell’interventismo governativo con una verniciatura umanitaristica e da “grandi principi” storico-filosofici, che chi chiede l’invio di armi al nostro “nemico interno” non si sta schierando soltanto nel campo internazionale, ma lo sta facendo anche in casa nostra. Ed è un attimo che le sbandate internazionali, spesso passate in cavalleria e mai fatte pesare in ragione di una relativa lontananza delle questioni trattate rispetto alle priorità del nostro “cortile di casa”, diventano faccende domestiche sui cui è difficile chiudere un occhio.

Una sinistra di classe dovrebbe, in passaggi così delicati, almeno comprendere che organizzare il fronte per una de-escalation è il minimo sindacale per far sì che la situazione non precipiti condannando così l‘Europa ad una condizione di conflitto bellico aperto in un momento in cui questa stessa sinistra si ritroverebbe spiazzata, divisa e in cui anche quelle poche lotte che stanno coraggiosamente portando avanti la prospettiva del conflitto sociale finirebbero inevitabilmente schiacciate dallo sforzo bellico. Se il minimo è questo, dovremmo allora avere la forza di dire che per gettare il cuore oltre l’ostacolo è necessario, a fronte della guerra imperialista in via di dispiegamento, ragionare sull’ hic et nunc per la sinistra di classe. E il “qui e ora”, a fronte di una condannabile e centinaia di volte condannata invasione da parte della Russia, si chiama lotta alla NATO, in tutte le sue forme, sul territorio italiano. Perché a meno che non siamo stati vittima di un’allucinazione collettiva, di basi russe nel nostro paese non ne vediamo come non vediamo testate nucleari controllate da Mosca. Vediamo invece chiaramente le 120 basi NATO, tra cui l’Allied joint force command e il comando del Security force dei Marines americani, oltre che le decine di testate nucleari presenti sul nostro territorio.

Allora sabotare la guerra imperialista da questa parte della barricata, se di questo si tratta, vuol dire sabotare la NATO.


Note
[1] Qui le straordinarie doti giornalistiche dell’attuale corrispondente del Corsera a Mariupol impegnate nella glorificazione del comandante del battaglione Azov, asserragliato nella città sotto assedio dai russi e dalle milizie popolari delle repubbliche https://www.corriere.it/esteri/22_marzo_23/battaglione-azov-chi-denis-projipenko-comandante-resistenza-mariupol-nemico-numero-di-mosca-8ae40ef2-aace-11ec-89dc-0e9cfd23fb65.shtml
https://www.corriere.it/esteri/22_marzo_28/capo-battaglione-azov-zelensky-1920cf96-adf1-11ec-881c-603be96566c9.shtml
[2] Qui una recente inchiesta, pubblicata da una rivista non certo di estrema sinistra, dedicata all’influenza delle organizzazioni naziste sulla vita politica ucraina: https://www.panorama.it/news/dal-mondo/ucraina-battaglione-azov-neonazisti-zelensky?rebelltitem=1#rebelltitem1

Comments

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AlsOb
Tuesday, 05 April 2022 18:16
Vige un certo equivoco da parte di molti a sinistra, come se fossero obbligati a sottometteris alle ipocrisie e falsi moralismi dei fascisti del propagandismo unico dominante.
Anche se si assumese una posizione alla Rosa Luxemburg del The Junius Pamphlet, che per rigore scientifico e teorico e intransigenza morale è il miglior testo di riferimento in merito, la neutralità da un punto di vista dello schieramento di classe non significa privarsi delle categorie per capire quali sono le dinamiche imperialistiche e i conflitti capitalistici e di interesse coinvolti.
Assumere a priori una malintesa equidistanza per assecondare il moralismo fascista è stolto e segno di scarsa intelligenza. Al massimo lo si fa su un piano autenticamente cristiano, ma si esplicita la posizione.
Nella guerra attuale l'Ucraina, con il tragico commediante clown che si ritrovano e che segue a pagamento uno script imposto hollywoodiano, serve solo da carne da cannone per un conflitto che inesorabilmente doveva sorgere tra impero e il piano di creazione di un villaggio globale dominato da schiavitû e capitalismo fascista neofeudale contro capitalismi nazionali che si rifiutano per ora di piegarsi come vassalli nel neofeudalesimo imperiale di matrice fascista e nazista.
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Alfred*
Tuesday, 05 April 2022 18:56
Fermo restando che capisco le ragioni geopolitiche e reputo ... elenski un cretino per non avere portato la sua gente a una neutralita che forse avrebbe evitato il massacro mi riservo di non provare nessuna simpatia per la russia imperiale, per la nato imperiale per la cina imperiale.
Nessun nazionalbolscevismo mi attira e a tal proposito ricordo due recensioni del libro di David Bernardini, Nazionalbolscevismo. Piccola storia del rossobrunismo in Europa una la potete cercare e trovare su sinistra in rete e l'altra su Carmilla. Saluti e ... restiamo vivi, oltre che umani
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AlsOb
Tuesday, 05 April 2022 19:59
Non è una questione che possa ridursi solo a personali simpatie, su cui vi è poco da discutere, o a raffazzonate etichette, che servono a distrarre, ma è richiesta una analisi categoriale e scientifica marxiana e spassionata della realtà oggettiva nelle sue dinamiche causali e effetti consequenziali.
Per capire oltre l'immaginazione.
Non è che lo sguaiato propagandismo unico fascista e censura fascista siano rigorosamente imposti in occidente dai dominanti per ragioni estetiche e di simpatia, per soddisfare il sentimentalismo degli sfruttati.
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michele castaldo
Tuesday, 05 April 2022 08:51
Cari compagni del Militant,
ci sono momenti della storia dove si è chiamati a non avere indugi, a dover essere coerenti e fino in fondo, anche a costo di dover buttar giù bocconi amari. Uno di questi momenti è rappresentato - forse come non mai - da quanto sta accadendo in terra ucraina.
Ora a fronte di una vostra pur corretta denuncia di formazioni naziste in testa alla resistenza ucraina diretta da Zelensky, voi traete la conclusione che:
« a fronte di una condannabile e centinaia di volte condannata invasione da parte della Russia ».
Sia chiaro che le immagini che ci vengono mostrate sulle atrocità della guerra sono "impressionanti", ma la guerra è tale perché è una guerra, altrimenti si sarebbe chiamata in un altro modo.
Detto in termini espliciti noi siamo chiamati a un giudizio - e a uno schieramento - storico su due definizioni della forza: una quella delle leggi dell'economia del modo di produzione capitalistico che sono state fatte proprie dall'insieme dell'Occidente attraverso l'uso della forza fin da quel famoso 1492.
E' del tutto evidente che se sei favorito da quelle leggi invadi ogni paese o area geografica e quando non dovesse bastare le leggi dell'economia usi la forza, quella delle cannoniere, il razzismo, la mafia ecc, com'è stato per l'Occidente per circa 500 anni. Ricordiamo per tutte solo l'Iraq del 1991 e 2003 con l'impiccagione di Saddam Hussein.
Ammettiamolo senza riserve: le leggi dell'economia hanno favorito l'Occidente a smantellare un mercato dell'area definita del Patto di Varsavia fino all'annessione all'area occidentale stessa di gran parte di quei paesi alla Nato accerchiando così la Russia. Si è trattato di un doppio accerchiamento: dall'interno attraverso le leggi del mercato con le proprie merci, come ad esempio il McDonald (giusto per citare un nome simbolo) e dall'esterno portando le cannoniere ai confini attraverso i paesi ex "comunisti".
Alla Russia rimaneva solo l'arma della forza brutale della guerra per difendersi e la sta usando nei confronti dell'Ucraina che è finita - sempre per le stesse leggi dell'economia - vittima e preda dei grandi poteri occidentali che per tentare di uscire dalla crisi in cui versano sono chiamati a smantellare la Russia per poter venire poi a patti con la Cina, il vero obiettivo storico, il nemico giurato dell'Occidente dove il denghiaopismo ha fatto fare salti da gigante.
Questa è la questione. Non a caso l'Occidente tutto si è schierato - a forza o a bonavoglia - contro la Russia, condannando l'aggressione all'Ucraina col grido:
« Forza Occidente ».
Ora se si condanna l'azione della Russia si sta - volenti o nolenti - con la "eroica resistenza" ucraina sostenuta da tutto l'Occidente.
Ma - dicono i compagni del Militant - con la "eroica resistenza" ucraina ci sono i nazisti. Decidetevi: o state con la resistenza ucraina nonostante i nazisti oppure proprio perché quella resistenza è l'avamposto dell'Occidente e non può non inglobare al proprio interno la feccia dell'umanità, non la sosteniamo.
In questione perciò è in primis l'Occidente che usa anche le formazioni naziste.
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Alfred*
Tuesday, 05 April 2022 10:50
Ora se si condanna l'azione della Russia si sta - volenti o nolenti - con la "eroica resistenza" ucraina sostenuta da tutto l'Occidente.

Scusi, ma non mi sembra sia cosi.
Non necessariamente bisogna stare con il capitalismo russo per combattere quello occidentale.
Si combattono entrambi sulle nostre capocce e come diceva un altro intervento i due elefanti che si combattono calpestano l'erba e quell'erba siamo noi. A prescindere da chi abbia ragione o torto.
In questo caso e' la Russia che sta difendendo il cortile di casa come gli usa hanno sempre fatto nei loro. Non e' che perche' si capiscono le ragioni o le strategie e' necessario simpatizzare. Piu' utile e urgente e' cominciare a pensare a alternative rispetto a entrambi i fronti, nell'interesse di quell'erba che viene calpestata, non degli elefanti. Saluti
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Mario Galati
Tuesday, 05 April 2022 15:00
Siamo tutti consapevoli che dobbiamo combattere il nemico che ci troviamo in casa: la NATO. Ma credo che la posizione di Michele Castaldo individui con più precisione la fase storica in cui ci troviamo e l'atteggiamento da assumere.
Penso che andremo maturando la nostra posizione con l'evolversi della situazione mondiale. Intanto, pur tra alcune differenze, manteniamo la posizione sul nemico comune.
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Alfred*
Monday, 04 April 2022 21:00
Allora sabotare la guerra imperialista da questa parte della barricata, se di questo si tratta, vuol dire sabotare la NATO

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Se per gli ucraini che vogliono aderire ci chiedono di crepare (e non mi sembra il caso) vorrei avere solidarieta' (non guerra o morte) per uscirne.
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