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Operazione Z

di Stefano Zecchinelli*

Una manovra militare difensiva che segna la fine dell’unilateralismo Usa

zzzIl conflitto in Ucraina ha rilanciato la dottrina messa a punto, dopo l’11 settembre 2001 (11/9), dai neoconservatori statunitensi chiamata “guerra senza fine”. Il Pentagono, con cinismo e nella più totale indifferenza, ha pianificato la distruzione d’una porzione del pianeta: le grandi nazioni imperialiste (USA, Gran Bretagna, Germania, Canada e Israele) avrebbero pauperizzato il mondo non globalizzato, deprivato – nei disegni neocons – delle proprie infrastrutture statali. I cables declassificati dal gruppo editoriale Wikileaks hanno rivelato che le guerre nel nuovo millennio non vengono combattute per essere vinte, bensì per gettare nel caos intere aeree geografiche attraverso conflitti che, nella letteratura militare del Pentagono, prendono il nome di “guerra eterna”. Il conflitto fra socialismo e capitalismo è stato affiancato all’ostilità perpetua dell’imperialismo nord-americano verso il diritto di autodecisione dei popoli, diritto inalienabile che in circostanze estreme contempla anche la Resistenza armata: es. Donbass e Palestina. Col colpo di stato neonazista di Piazza Maidan (Kiev 2014), gli Stati Uniti hanno esteso l’applicazione di questa dottrina alla Federazione Russa, mettendo a repentaglio la stessa vita degli europei del centro e dell’ovest.

 

Alcune caratteristiche dell’imperialismo del ventunesimo secolo

Le guerre del ventunesimo secolo, o guerre multidimensionali e “di quarta generazione”, differiscono dalla guerra convenzionale del secolo scorso, perché oltre alla politica economica/militare s’estendono sul piano ideologico e della manipolazione massiva attraverso la privatizzazione dei mezzi di comunicazione. Vediamo – seppur in sintesi – quali sono gli elementi costitutivi dell’imperialismo del ventunesimo secolo:

  • Geo-economia della catastrofe: gli Stati Uniti d’America, dopo il 1991, hanno pianificato la subordinazione degli “Stati vassalli”, compresi i paesi coinvolti nel processo di integrazione europea, attraverso la penetrazione dei colossi finanziari anglosassoni. La transizione dal Welfare State al War State ha trasformato, in Europa, la socialdemocrazia in una appendice neocoloniale della borghesia imperialista USA accelerando la “guerra di classe dall’alto” dell’oligarchia aziendale, mentre la restaurazione capitalista nei paesi dell’ex Unione Sovietica ha declassato Mosca al rango di nazione semi-colonizzata. Le ricette economiche messe a punto dai Chicago Boys sono una delle concause scatenanti l’avvento del “capitalismo dei disastri” (cit. Naomi Klein), in Europa e in diverse nazioni del “Sud del mondo”.
  • Militarismo, neonazismo e Destino Manifesto: dopo l’11/9, i falchi del Pentagono hanno approfondito la dottrina di Samuel Huntington definita “scontro di civiltà” trasformandola in “guerra permanente” contro gli Stati sovrani. Per fare ciò, la CIA ha modernizzato le alleanze del passato riunendo nel “Medio Oriente allargato” (come è stato definito dall’amministrazione Bush) il fondamentalismo salafita (wahabismo) sotto bande armate di tagliagole che, a partire dal 2013/14, presero in nome di Daesh. Nell’Est Europa, per arginare la ribellione multipolare del presidente Vladimir Putin, rilanciarono lo stragismo della Lega Anticomunista Mondiale: Kiev è diventata la capitale di ciò che potremmo definire nazismo
  • Media corporativi, fake news e giornalismo di guerra: il giornalista tedesco Udo Ulfkotte con l’inchiesta intitolata Giornalisti comprati (pubblicata in Italia dall’editore Zambon) ha rivelato che, negli ultimi trent’anni, la CIA ha corrotto la corporazione giornalistica europea convertendola in una costola del complesso militar-industriale. Il problema principale di Washington, dopo la disgregazione dell’URSS e il conseguente indebolimento dei partiti comunisti filo-sovietici, è sempre stato quello di far accettare all’opinione pubblica (“non concetto” tipicamente occidentale che occulta la divisione in classi della società) la demolizione controllata dello Stato sociale col rilancio di guerre mendaci di conquista neocoloniale. A differenza del passato, le guerre del ventunesimo secolo vengono delegate a gruppi paramilitari sostenuti (a destra) da investitori privati Anglo-Sionisti e (a sinistra) dal regime propagandistico/manipolante delle Onlus Alcuni fra i più documentati giornalisti investigativi (es. Thierry Meyssan, Julian Assange, Glenn Greenwald e Max Blumenthal) ritengono, senza mezzi termini, che il giornalismo mainstream provochi le guerre.

Partendo da questi presupposti, l’Ucraina è diventata il terreno di scontro fra Atlantismo ed Eurasia: gli europei, disorientati dalla propaganda di guerra USA, potrebbero perfino convincersi d’aver vinto un conflitto perso in partenza, nonostante ciò gli esperti di strategie militari (prevalentemente russi, cinesi e sudamericani) considerano Washington un “aggressore ferito”. Nessuno vuole dargli il colpo di grazia definitivo (a parte le organizzazioni rivoluzionarie leniniste), ma diversi attori geopolitici (es. Iran e Cina) sarebbero bendisposti ad accompagnare il Pentagono al cimitero.

 

Il banderismo del ventunesimo secolo al servizio della CIA

L’analista strategico Thierry Meyssan, presidente della Rete Voltaire, con un eccellente articolo, L’ideologia dei banderisti [1], ha rinvenuto le radici comuni del moderno banderismo con l’ideologia straussiana che è egemone all’interno della borghesia imperialista USA.

Il pensatore a cui fanno riferimento i seguaci di Stephen Bandera è Dmytro Donstov, morto in Canada nel 1973 e sepolto negli Stati Uniti. Col golpe nazista del 2014, Donstov (praticamente sconosciuto al di fuori dell’Ucraina) è diventato uno degli autori più venduti nelle librerie di Kiev. Rileggendo alla maniera di Alfred Rosemberg il pensiero di Federico Nietzsche, il sistematizzatore del “nazionalismo ucraino integrale” credeva che, con l’avvento del nazismo (prima) e dell’unilateralismo statunitense (poi), la nascita d’un “uomo nuovo” fosse oramai prossima; un “uomo nuovo” con “una fede ardente” e “un cuore di pietra” capace – seguendo i suoi sproloqui – di distruggere universalismo ed egalitarismo, nati con le Rivoluzioni francese e russa.

Sostenendo il “rifiuto di ciò che è” (quindi la razionalizzazione del reale) e il fascino “della catastrofe che produrrà innovazioni”, Donstov dà (quasi) l’idea d’essere un allievo diretto di Leo Strauss e un precursore delle tesi di Huntington e David Horowitz, su “scontro di civiltà” e “guerra permanente”: il neoconservatorismo (di fatto) è il nazismo con l’involucro politico della “democrazia”.

Le peculiarità del “nazionalismo ucraino integrale” sono le medesime del neoconservatorismo statunitense: fanatismo e irrazionalismo. Secondo i nazisti ucraini, è il fanatismo a rendere invincibili i guerrieri: come nota Meyssan, i ragionamenti di Donstov non s’ispiravano tanto al fascismo italiano, quanto a quelli degli ustascia croati e all’esoterismo delle Waffen SS. In stretto contatto con gli hitleriani, il precursore di Pravy Sektor (Settore Destro) iniziò a credere che i “veri ucraini” fossero di origine scandinava o protogermanica e che i loro antenati avessero ridotto in schiavitù le popolazioni russe: una farneticazione ideologica priva di riscontri storici. Washington, per soddisfare gli interessi del complesso militar-industriale, ha trasformato l’alleanza con coloro i quali ritengono d’essere “venuti al mondo per distruggere Mosca” da tattica a strategica.

Il presidente Putin dichiarando guerra ad “una banda di drogati e neonazisti” non ha aggredito il popolo ucraino (non a caso l’Operazione Z è “ad obiettivi limitati”), ma dichiarato guerra agli straussiani; la Federazione Russa è intervenuta nel Donbass, in conformità alla Carta delle Nazioni Unite, per proteggere la vita dei propri figli.

 

L’imperialismo del “miliardollaro” sopravvive attraverso la guerra

Gli Stati Uniti d’America sono ciò che gli analisti militari d’orientamento marxista definiscono una potenza super-imperialista, ovvero potrebbero aprire più fronti d’aggressione neocoloniale nello stesso tempo; per questa ragione il teorico della seconda sinistra comunista”, Amadeo Bordiga, definì alla fine degli anni ’40 gli USA “imperialismo delle portaerei” secondo la teoria del “miliardollaro”.

Washington è l’unica potenza a possedere basi militari (autonomamente o sotto il comando unificato NATO) su scala globale, sistematizzando la globalizzazione della dottrina Monroe. Il Pentagono possiede 4.800 basi e altre installazioni militari, compresi i laboratori P4 in cui conducono esperimenti di natura biochimica (es. Fort Detrick), sia negli USA che all’estero. Il complesso militar-industriale ha 625 basi all’estero, funzionali all’accerchiamento delle nazioni non allineate: Cina, Russia, Venezuela, Cuba, Bolivia, Corea del Nord e Iran. Tra i militari impiegati nell’occupazione dei paesi stranieri, il Pentagono mantiene abusivamente circa mezzo milione di membri del suo personale bellico, relazionandosi con gli “alleati” come un colonizzatore senza scrupoli; potremmo dire che Washington non ha alleati, ma solo ostaggi.

In termini di paragone, la Federazione Russia ha soltanto 9 basi all’estero, nelle ex repubbliche sovietiche e in Siria; l’alleanza strategica russo-siriana ha permesso lo sradicamento di Daesh, un’accozzaglia di tagliagole salafiti definiti dallo storico Webster Tarpley “un esercito segreto della CIA. La Cina ha quattro punti d’appoggio della marina militare, dislocate a Gibuti in Africa. Basterebbero questi pochi dati (reperibili nell’ultimo lavoro di Manlio Dinucci, La guerra, è in gioco la nostra vita, Edizioni Byoblu) per dire che la tesi sull’“imperialismo russo e cinese” (sostenuta purtroppo da diversi partiti d’orientamento “troskista”) rafforza i falchi del Pentagono. Il geografo Manlio Dinucci ci dà una definizione di complesso militar-industriale (quello che in una certa letteratura giornalistica viene definito anche deep state o “stato profondo”) che ci aiuta nel decifrare la dottrina della “guerra senza fine” (sottolineatura mia):

Tramite i suoi stretti legami con la Comunità di Intelligence, il complesso militare-industriale ha in mano tutti gli strumenti per provocare tensioni internazionali e conseguenti interventi militari, con il sostegno delle grandi catene mediatiche e di conseguenza della maggioranza dell’opinione pubblica interna e internazionale. In poche parole, il complesso militare-industriale è un organismo tentacolare che, per vivere e svilupparsi, ha bisogno come ossigeno della guerra. E poiché la forza militare è necessaria ai grandi gruppi finanziari e alle multinazionali statunitensi per mantenere la loro supremazia nel mondo, non è solo il complesso militare-industriale ma l’interno sistema economico e finanziario dominante su cui si basano gli Stati Uniti ad avere bisogno della guerra” (Manlio Dinucci, La guerra, è in gioco la nostra vita, Editore Byoblu, pag.183).

In poche parole, possiamo definire il complesso militar-industriale un sistema di potere, di cui sono compartecipi diverse lobby (una su tutte la lobby sionista), il quale si sovrappone alle borghesie nazionali monopolizzando le operazioni sporche all’estero, le cosiddette operazioni “falsa bandiera” (operazioni “false flag”). Partendo da questi presupposti, il Pentagono ha dichiarato guerra all’Eurasia incassando una umiliante sconfitta militare.

 

L’Operazione Z è una manovra militare antimperialista

La storia delle dottrine militari insegna che un esercito professionale o di mercenari non può avere la meglio su una guerriglia popolare ideologicamente motivata (es. le guerriglie guevariste o gli Hezbollah), oppure su una nazione intera in armi (es. in Siria e Palestina). Nel “mondo borghese” il primo a capire questo aspetto delle scienze militari fu il più lucido esponente del “realismo capitalista”, il generale antifascista Charles De Gaulle. I falchi del Pentagono, in Ucraina, si sono scontrati con il militarismo rivoluzionario – per certi aspetti antimperialista – di Mosca.

La caratteristica che definisce il carattere speciale dell’Operazione Z è il numero limitato delle forze armate dispiegate dalla Federazione Russa in Ucraina: parliamo di 250.000 militari a fronte di 600.000 soldati ucraini. Gli strateghi militari occidentali ritengono che un “attaccante” debba mantenere un vantaggio di 3 ad 1 rispetto al “difensore”; sovvertendo questa convinzione, tipicamente “borghese”, Mosca ha ottenuto una rapida supremazia aerea e territoriale dimostrando d’essere la prima potenza mondiale nelle guerre convenzionali “di terza generazione”, i conflitti del secolo scorso basati sul controllo del territorio. Trasformando l’alleanza con le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk da tattica a strategica, gli strateghi russi hanno rapidamente sradicato i neonazisti del Battaglione Azov, assicurandosi la futura integrazione del Donbass nel polo egemonico alternativo euroasiatico. Grandi nazioni, per quanto capitaliste, come Iran e Pakistan guardano con fiducia verso Mosca e Pechino, mentre l’UE sprofonda in una “nuova Architettura di potere”.

Le affermazioni propagandistiche sulle perdite russe non hanno riscontro nella letteratura giornalistica militare, mentre è comprovato dai reporter antimperialisti che l’Operazione Z, trovando l’appoggio delle guerriglie antimperialiste locali, ha rigettato le bande neonaziste “nella pattumiera della storia”. Mosca, dall’altra parte, non è andata oltre l’intento iniziale dichiarato dal presidente Putin, sradicare “una banda di drogati e neonazisti”: i civili ucraini (bombardati per ordine del governo nazista neocons di Kiev) sono stati messi in salvo dai corridoi umanitari creati dai militari russi, mentre la rete elettrica e le telecomunicazioni non sono state intaccate dall’Operazione Militare Speciale. Da questo punto di vista, l’esercito russo ha dimostrato d’essere la forza armata più morale del pianeta.

Gli eventi dei giorni scorsi (giugno 2022) ovvero la decisione della Lituania di sospendere il transito dei rifornimenti russi a Kaliningrad, città assediata dai nazisti neocons, e i bombardamenti alle piattaforme petrolifere russe nel Mar Nero, secondo l’analista militare Larry Johnson (tradotto da The Saker Italia, [2]) potrebbero convincere Putin a passare ad una strategia di guerra aperta. Qualora questo dovesse succedere, l’Occidente vedrà coi propri occhi l’anacronismo delle convinzioni belliche del Pentagono e l’incapacità dell’imperialismo euro-atlantico di vincere le guerre territoriali facendo affidamento sulle capacità umane dei singoli soldati. Gli Stati Uniti d’America, andando incontro ad una catastrofica sconfitta (come in Vietnam e più di recente in Afghanistan), hanno convalidato ancora una volta la celebre fra di Mao Tse Tung “l’imperialismo è una tigre di carta.


* Giornalista pubblicista; esperto di geopolitica, ricercatore indipendente su tematiche inerenti il neofascismo. Con questo articolo  inizia a collaborare a “Cumpanis”. La redazione, che ne conosce il valore intellettuale, ne è onorata e lo ringrazia

Fonti:
1Thierry Meyssan, L’ideologia dei banderisti, Rete Voltaire, 21 giugno 2022 (https://www.voltairenet.org/article217368.html)
2 – Larry Johnson, La Russia passerà ad una strategia di guerra aperta, The Saker Italia (http://sakeritalia.it/sfera-di-civilta-russa/la-russia-passera-ad-una-strategia-di-guerra/)

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