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cumpanis

Sull’imperialismo, oggi

di Vladimiro Merlin*

È davvero così cambiato rispetto all’analisi di Lenin? E in che cosa? Sul piano economico, politico o altro? Proviamo a fare alcuni ragionamenti, cercando anche di distaccarci dall’egemonia narrativa mainstream

Immagine per home articolo Merlin.jfif

Leggo di un imperialismo che sarebbe profondamente cambiato, che sarebbe “sovranazionale”, centrato, in pratica, sulla sola sfera finanziaria, gestito da una “elite” un po’ misteriosa, che detterebbe le scelte anche delle grandi potenze imperialistiche in modo quasi meccanico, come una sorta di politica di “fatto”, che metterebbe fuori gioco la soggettività delle scelte politiche fino ad eliminare quelle contraddizioni interimperialistiche che lo hanno sempre contraddistinto.

 

Le contraddizioni dell’imperialismo

Partiamo da un dato di fatto: il sistema imperialistico mondiale è gerarchico e piramidale, ovviamente chi sta al vertice supremo gode di tutti i vantaggi e ha la forza per imporre le proprie scelte ed i propri interessi a tutti quelli che stanno sotto di lui.

Essendo un sistema gerarchico e piramidale, i Paesi capitalisti che stanno sotto aspirano a salire, possibilmente fino al vertice, ma questo non è possibile se non scalzando chi sta sopra.

Ai tempi di Lenin vi era una potenza predominante, la Gran Bretagna (con il suo impero) ma altre potenze imperialiste si collocavano ad un livello paragonabile al suo, il che rendeva il primato contendibile, parlo di Germania, USA, Francia ecc. , che con un sistema di alleanze, come fu sia per la prima che per la seconda guerra mondiale, potevano ambire a sostituire la potenza dominante, e per questo motivo vi furono ben 2 guerre mondiali.

Dopo la Prima Guerra mondiale il quadro non cambiò di molto dal punto di vista interimperialistico, se non per la enorme novità della rivoluzione sovietica, ma per tutta una fase, in pratica fino a dopo la Seconda Guerra mondiale, l’URSS veniva individuato come un pericolosissimo rivale politico, ma non come una potenza in grado di sovvertire l’ordine imperialista. Infatti, la presenza dell’Unione Sovietica non impedì lo scoppio della Seconda Guerra mondiale, anche se, come sappiamo, fino all’ultimo l’Inghilterra e la Francia cercarono di indirizzare Hitler e le potenze dell’asse contro l’URSS , per poter poi, in un secondo tempo, distruggere entrambi i rivali.

Fino a qui le contraddizioni interimperialistiche sono assolutamente evidenti e indiscutibili e si risolvono, come è sempre stato fino a quel momento, con le guerre. Ma l’esito dell’ultima guerra mondiale apre uno scenario in parte nuovo, non vi è più solo l’Unione Sovietica (che, peraltro, ha sconfitto il nazifascismo), ma vi sono tutte le repubbliche popolari dell’est Europa, e immediatamente dopo la Cina.

Inoltre, entra in campo la bomba atomica, ma questo aspetto, per ora, lasciamolo da parte.

Le potenze imperialiste devono fare i conti con il blocco dei paesi socialisti che sono una entità in grado di competere da tutti i punti di vista con loro (anche quello atomico).

Tutto il mondo capitalista si compatta dietro agli Stati Uniti, in funzione anticomunista, ma anche questa non è una vera novità; appena finita la Prima Guerra mondiale oltre 20 Paesi capitalistici mandarono i loro corpi di spedizione in Unione Sovietica per cercare di stroncare la rivoluzione, senza riuscirci, come sappiamo.

Ma ancora per molti decenni, dopo il ‘45, nessuno si sogna di dire che le contraddizioni interimperialistiche siano ormai superate.

Nonostante il dominio americano in campo occidentale, le principali potenze imperialistiche mantengono le colonie, sia pure in fase di liberazione, fino alla metà degli anni ‘70, e nei vari continenti agiscono in contrasto anche forte, tra di loro, per mantenere i loro domini e le loro sfere di influenza ( basti citare la Francia in Africa).

Persino un paese imperialista e capitalista debole, come l’Italia, cerca di mantenere una propria autonomia e influenza sul Mediterraneo, in particolare su parti del Nord Africa, anche se, quasi sempre, alla fine soccombendo.

Gli esempi di contraddizioni interimperialiste che si potrebbero citare sono molte ed arrivano fino alla guerra in Ucraina, ma qui avviene un cambiamento: tutti i Paesi europei si allineano al bellicismo USA, accettano di praticare le sanzioni alla Russia , anche a costo di invertire la tendenza alla crescita post covid con la crisi economica post inizio guerra in Ucraina ( in particolare la Germania entra nella crisi peggiore dal dopoguerra con un’inflazione che non aveva più conosciuto dal ‘45 in poi ), accettano non solo di armare gli ucraini, ma anche di mandare loro “istruttori” e “volontari” sul campo di battaglia.

La Germania, in particolare, subisce, senza dire un ba, la distruzione, ad opera degli anglo-americani, del gasdotto Nord Stream, cosa che acuisce la già difficile crisi in cui versa.

 

Fine delle contraddizioni intercapitalistiche , quindi?

A ben guardare, la guerra in Ucraina che, ormai con assoluta evidenza, è stata preparata, progettata e guidata dagli USA, a cominciare dal colpo di stato di Maidan del 2014, non ha solo l’obiettivo di puntare a disgregare la Russia, ha come altro obiettivo di colpire l’Europa Occidentale e rafforzare gli USA scaricando su di essa le sue difficoltà economiche e le sue contraddizioni.

Prima dell’inizio della guerra la crescita USA era meno della metà di quella europea, dopo lo scoppio della guerra questi due dati si invertono, prima della guerra l’inflazione Americana era molto più alta di quella europea, ora anche questo dato si è capovolto.

È solo una casualità? Penso che chiunque , anche non esperto di economia poteva capire che le sanzioni contro la Russia avrebbero provocato gravi ripercussioni economiche alla UE, dati gli enormi volumi di scambi, non solo energetici, tra le due entità, e data la perdita del mercato russo, mentre sarebbero stati totalmente ininfluenti sull’economia USA, anzi, come si è verificato, l’avrebbero fortemente avvantaggiata dato che gli Stati europei avrebbero dovuto sostituire , con importazioni dagli Stati Uniti una parte delle mancate importazioni dalla Russia.

Da parte Usa è, quindi, palese che contraddizioni con i suoi “alleati” ci sono e, da potenza imperialista dominante, trova il modo di scaricare i suoi problemi su di loro, come fu, per fare un altro esempio, con la crisi del 2008, quella dei derivati.

Ma se il quadro è questo, per quale motivo gli europei accettano di porsi in una posizione servile nei confronti degli USA, fino ad accettare di subirne delle gravi conseguenze, tra cui una guerra con una potenza nucleare a poche centinaia di chilometri dai loro confini?

I motivi sono due, ed il secondo deriva dal primo.

Il primo è l’enorme crescita economica, tecnologica, scientifica, sociale, e anche militare della Cina; il secondo, che è anche frutto della sua politica internazionale, è l’avanzata, sempre più potente del multipolarismo, iniziato con la formazione dei BRICS, ma che si è poi esteso al continente africano, al Sud America ed a parti importanti dell’Asia.

Questo nuovo quadro politico ed economico internazionale mette sempre più in discussione il dominio degli USA e delle potenze imperialiste europee ( GB, Germania, Francia ecc. ) e il loro potere di sfruttamento del resto del mondo.

Cito alcuni recenti esempi eclatanti: la pace tra Iran ed Arabia Saudita, le esercitazioni militari congiunte tra Russia, Cina, India e Pakistan, il possibile accordo tra Brasile e Cina (ed altri) su una moneta che sostituisca il dollaro nelle transazioni internazionali.

Le possibili evoluzioni di questo quadro possono mettere in discussione non solo il ruolo degli USA come potenza dominante, ma anche il secondo livello della piramide imperialista che sono gli Stati europei, il Giappone ed il Canada.

Le contraddizioni interimperialiste non spariscono ma diventano, in questa fase, secondarie, di fronte al rischio del multipolarismo gli europei accettano di essere subalterni agli americani e di subire anche conseguenze negative, pur di mantenere la loro posizione di secondo livello imperialista, che gli consente di sfruttare il resto del mondo.

Si tratta, quindi, di una scelta politica soggettiva, degli stati imperialisti di secondo livello, per fare fronte alla contraddizione principale, ma le conseguenze di questa scelta mettono sotto pressione economica e sociale questi stati e, se la guerra in Ucraina non dovesse finire bene, per loro, le contraddizioni interne al campo imperialista potrebbero riacutizzarsi.

Del resto, se guardiamo ai livelli inferiori della gerarchia imperialista vediamo che ci sono Stati, come, per fare solo un esempio, la Turchia, che aspirano ad assumere una posizione dominante relativamente alla loro regione e non nascondono di voler acquisire un peso economico, politico e militare crescente. Non a caso quel Paese, pur essendo nella NATO, non ha accettato di mobilitarsi per l’Ucraina e cerca di ritagliarsi un ruolo autonomo nel quadro internazionale.

Chiudo questa parte sulle contraddizioni interimperialistiche citando un fatto che sta avvenendo proprio mentre scrivo. Macron, di ritorno dalla Cina, dice testualmente:” L’autonomia strategica deve essere la battaglia dell’Europa…. L’Europa deve diventare una terza superpotenza limitando la sua dipendenza dagli USA …Autonomia strategica significa avere punti di vista convergenti con gli Stati Uniti, ma conservare una strategia europea sull’Ucraina, sul rapporto con la Cina e sulle sanzioni. Non vogliamo entrare in una logica di blocco contro blocco… Il rischio è che l’Europa si trovi coinvolta in crisi non sue”.

Queste dichiarazioni sono la dimostrazione che la brace cova sotto la cenere, che le soggettività nazionali continuano ad esistere anche nel campo imperialista e che non esiste una “cupola” sovranazionale che detta la politica imperialista e che ha risolto le contraddizioni che l’economia, in primo luogo, ma anche la storia e la cultura oltre che la natura del capitalismo, generano tra gli USA ed i suoi alleati (in primis gli europei).

In definitiva ritengo ancora valida la definizione dell’imperialismo data da Mao di “gigante dai piedi di argilla”; un gigante, quindi forte e pericoloso, ma con i piedi, appunto, di argilla, per cui con le sue debolezze e contraddizioni che lo minano.

Non dobbiamo subire la lettura dell’avversario che tende a presentarsi come una sorta di potenza globale ed inarrivabile, un meccanismo che nel suo libero movimento dettato dalle leggi di mercato determina gli eventi su scala mondiale. Del resto, la potenza imperialista dominante, gli Stati Uniti, dopo il crollo dell’URSS non annunciò il XXI° secolo come il secolo del capitale o del mercato, ma come il “secolo Americano”.

 

L’imperialismo e la finanza

Per capire cosa è cambiato con l’abnorme crescita dell’economia finanziaria nel XXI° secolo è necessario che ci distacchiamo dall’egemonia della narrazione culturale e mass mediatica che il sistema dominante ha costruito su questo tema.

Dopo la “Fine della Storia” e la “Fine dello Stato-Nazione” il capitalismo attuale, nel tentativo di costruire un senso comune che affermi il suo sistema economico e sociale come “naturale” e nel tentativo di cancellare la centralità del lavoro nello sviluppo della società ( come ben individuato da Marx, non solo in relazione al capitalismo, ma a tutte le società umane, compreso il socialismo) e di conseguenza cancellare i concetti di classi sociali e di coscienza di classe, in questo tentativo decreta anche la “ Fine dell’Economia Reale” ( della produzione di beni materiali ed immateriali ) che diventerebbe marginale ed ininfluente a fronte del magico mondo della finanza mondializzata.

Il leit motiv consisterebbe nella enorme massa di valori monetari che muove la finanza globale, di molto superiore alle dimensioni del PIL mondiale, cioè del lavoro e dell’economia reale, al punto che quest’ultima sarebbe, ormai, marginale.

Il dato, di per sé è vero, ma il punto è leggere correttamente cosa si cela dietro questo dato.

Il PIL mondiale è di circa 100mila miliardi di dollari, mentre i capitali che si muovono nel sistema finanziario globale, pur non essendo neppure ufficialmente accertati, si valutano attorno ad 1 milione di miliardi di dollari, circa 10 volte il PIL mondiale.

Ma confrontare questi due dati è già errato in sé, sarebbe come confrontare le mele con le pere. Infatti, il PIL è la ricchezza prodotta, in un anno, dal lavoro dell’umanità, una ricchezza che prima non esisteva e che consente il riprodursi della vita umana in tutti i suoi aspetti.

Invece, la massa monetaria che si muove nella finanza mondiale è ricchezza accumulata, anche da secoli (pensate alla ricchezza della famiglia reale inglese, sconosciuta nella sua entità, ma valutata tra le più grandi al mondo, e accumulata in secoli di regno e di impero), questa massa monetaria è tesaurizzazione che non produce nuovo valore, ma semplicemente si redistribuisce al suo interno.

Chi, secondo me, ha dato la definizione più calzante dell’attuale finanza globale è stato un economista keynesiano, Paul Kruger, che, riprendendo una battuta di Keynes, l’ha definita una “economia da Casinò”.

Proviamo a riflettere su questo paragone, come funziona un Casinò? Nel Casinò entrano i soldi di chi apre l’attività e quelli delle persone che vanno a giocare, qualcuno vince e qualcuno perde, ma le vincite non possono mai superare il totale dei soldi che sono entrati perché in quel caso il Casinò è sbancato e non può pagare i vincitori.

Nel Casinò è impossibile creare valore, accrescere la ricchezza che entra, noi come marxisti sappiamo che è solo il lavoro (materiale o immateriale, non importa) che crea valore.

Che si scommetta sul rosso o sul nero al Casinò, o sui futures nel sistema finanziario mondiale non cambia nulla nel meccanismo, che è lo stesso.

Con questo non voglio dire che la finanza mondiale non impatti anche sull’economia reale, questo lo vedremo dopo, ma prima bisogna mettere a fuoco alcuni altri aspetti.

Prima di tutto da dove arriva questa enorme massa monetaria? Come abbiamo visto, dalle grandi ricchezze, ma anche da fondi speculativi, dal sistema bancario, dalla massa dei piccoli e medi risparmiatori, dai fondi pensione dei lavoratori. Queste ultime due categorie sono, in generale, le vittime del sistema, come lo erano classicamente nelle borse (il cosiddetto “parco buoi”), perché è vero che c’è chi vince e c’è chi perde, ma i grandi soggetti finanziari sono in grado di manipolare il mercato finanziario in modo da redistribuire la ricchezza in favore di loro stessi.

Resta ancora da capire come e perché si è formata questa enorme massa monetaria che cerca di trovare una rendita nel sistema finanziario.

Due sono i fattori, il primo, più importante, è il fatto che da un certo punto in poi i capitali accumulati non potevano più trovare, nel sistema capitalistico, uno sbocco negli investimenti produttivi.

Finita la fase post bellica di ricostruzione e dopo la fase di crescita economica e di sviluppo tecnologico che arriva agli inizi degli anni ‘70, si crea una situazione nuova: lo sviluppo delle forze produttive determina una capacità produttiva di massa. Questa, assieme ad altri aspetti che qui non possiamo esaminare, fa sì che la maggior parte della ricchezza accumulata dai capitalisti non possa più essere reinvestita in nuovi processi produttivi perché il mercato non potrebbe assorbire la crescita esponenziale dei beni prodotti, e quindi quei capitali, per dare comunque un rendimento ai loro possessori devono trovare un’altra collocazione.

Questo processo di crescita enorme delle capacità produttive è visibile anche da un’altra angolazione, tra la metà degli anni ‘70 e, grosso modo, l’inizio del nuovo secolo, fabbriche che per produrre richiedevano 10/20 mila lavoratori realizzano la stessa produzione con 3-4 mila dipendenti, questo significa che se avessero ancora gli stessi 10/20 mila produrrebbero circa 5 volte di più di quanto il mercato può assorbire.

Il secondo fattore è che, più o meno nello stesso periodo, la distribuzione della ricchezza nella società è cambiata: la quota del PIL che andava ai lavoratori ed ai ceti medi è diminuita mentre è aumentata sempre di più la quota che va alla minoranza più ricca della popolazione.

I dati che si potrebbero citare per avvalorare quanto ho appena detto sono molti, un primo dato è questo: nel 1972, in Italia, ai lavoratori dipendenti toccava il 59,2% del reddito complessivo, nel 2003 tale quota era del 48,9% (considerate che nel 1881 era del 46,6 non molto distante da quella del 2003), e, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il numero dei lavoratori dipendenti è aumentato, mentre è diminuito quello dei lavoratori indipendenti.

E questo processo non si è fermato, al contrario è progredito ininterrottamente fino ad oggi.

Ma questo dato non è sufficientemente chiaro se non si accosta al fatto che, nello stesso tempo, la quota di reddito del 10% più ricco della popolazione è andata sempre più aumentando, per cui quello che è stato tolto ai lavoratori dipendenti non è stato distribuito sugli altri ceti sociali, ma è stato acquisito nella sua grandissima parte dalla fascia più ricca della popolazione.

Questi fenomeni non si sono verificati solo in Italia ma, con accentuazioni diverse, seppur con lo stesso segno, hanno avuto luogo in tutti i Paesi capitalistici più sviluppati.

In questo senso sono molto significativi dei dati pubblicati dal Sole 24 ore.

I 2.000 ultra ricchi del pianeta possiedono la bellezza di 8000 miliardi di dollari.

Solo lo 0.9% della popolazione mondiale ha una ricchezza maggiore di 1 milioni di dollari.

Il 9,8% ha una ricchezza tra 100mila $ ed 1 milione di $ (con quelli di prima fanno il 10%). Il 32,6% è tra i 10mila $ ed i 100 mila $.

Il 56,6% è sotto i 10mila $.

Del resto sono ormai decenni che fonti ufficiali non sospettabili certificano che le ristrette fasce sociali più ricche lo diventano sempre di più mentre, di converso, è in continua crescita la quota della popolazione che scivola nella povertà.

Dati recenti ci dicono che l’1% della popolazione mondiale è più ricco del 50% meno abbiente, e il divario continua ad aumentare.

E qui il cerchio si chiude, questi grandi ricchi si trovano in mano enormi capitali che, come abbiamo visto, non possono investire nella produzione, non possono esaurire nello sperpero e nel lusso, e quindi se li giocano nel grande Casinò della finanza internazionale, direttamente o investendo nei “famosi” fondi finanziari.

Ora, per capire quanto questa finanza sia globalizzata e sovranazionale vediamo quali sono i 10 più grandi soggetti finanziari mondiali (dati 2020).

Le 10 società di gestione più grandi al mondo

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Come si vede chiaramente, 9 su 10 sono americane , fra cui le prime 8 , unica intrusa Amundi che è francese; queste 9 società USA gestiscono 28933 mld di $ su 30661 mld di $ , cioè il 33% del totale mondiale, nel complesso le società USA gestiscono circa il 45% del totale mondiale.

Da questo quadro non emerge una finanza ormai globalizzata e sovranazionale , ma emerge un dominio , anche in questo campo, del principale soggetto imperialista: gli Stati Uniti.

Se poi si esaminassero le quote di Gran Bretagna, Francia, Germania e Giappone, in sostanza delle potenze imperialiste di secondo livello, vedremmo che anche la finanza mondiale rispetta la gerarchia del sistema imperialistico internazionale.

Ma anche qui emergono dei soggetti nuovi , in primo luogo la Cina, ma anche la Russia ed altri paesi emergenti; fa capolino, anche in questo campo, il multipolarismo, anche se la grande massa del capitale tesaurizzato sta nei paesi che hanno depredato il mondo negli ultimi secoli.

Passiamo ad esaminare un altro aspetto , quale è il rapporto, l’impatto, di questa economia finanziaria sull’economia reale, è la finanza che determina e manipola l’economia reale del mondo come alcuni vogliono farci credere ?

Partiamo da una costatazione semplice, se così fosse gli stati imperialisti, in primo luogo gli USA , non avrebbero neppure bisogno di fare le guerre, basterebbe muovere opportunamente le leve finanziarie in loro possesso per stroncare qualunque stato che tenti di praticare una politica indipendente e cerchi di assumere il controllo delle proprie risorse.

Invece, come abbiamo visto, per ottenere questi risultati gli USA ed i loro alleati hanno dovuto, e devono tuttora, scatenare guerre, colpi di stato ecc..

Se fosse come ci vogliono far credere, non avrebbero potuto nascere e svilupparsi i BRICS, e non ci sarebbero ora una fila di paesi ( in continua crescita numerica ) che chiedono di associarsi ai 5 fondatori dei BRICS e ad altre aggregazioni economiche che si sono aggiunte ad essa, ma sempre con intenti analoghi.

Questo non significa che la speculazione finanziaria, messa in atto dai grandi soggetti del settore, non possa avere ripercussioni sull’economia reale, Paesi economicamente più deboli possono, se sottoposti ad attacco, essere messi in forti difficoltà economiche, manovre speculative possono creare problemi in determinati settori dell’economia, ultimo esempio gli aumenti , ingiustificati, dei prodotti energetici ( anche se in questo caso non si è trattato solo di speculazioni dei soggetti finanziari, ma anche delle multinazionali del settore, grazie alla complicità dei governi dei Paesi occidentali ).

D’altro canto , essendo quella finanziaria una economia da casinò , grandi fallimenti e grandi perdite, se avvengono puramente in ambito finanziario, non generano ripercussioni nell’economia reale.

Non è facile accedere a questi dati perché se si fa una ricerca nel web si ottiene l’opposto di quello che si chiede.

Se si cercano i fondi peggiori o quelli chiusi si ottengono link ai “migliori 10 fondi”, l’esatto opposto di quello che si è richiesto.

Comunque sono riuscito a reperire i 10 peggiori del 2020, tra quelli distribuiti in Italia .

I dati derivano dalle rilevazioni Morningstar elaborati dagli analisti Citywire (stime).

Sono i seguenti:

1° – Il fondo AQR Global Core Equity Fd B3 EUR di Fund Rock è stato chiuso (a marzo 2020) con una perdita del 100%

2° – Il fondo ODDO BHF Euro Small Cap Equity DI-EUR di Oddo Bhf è stato chiuso (a giugno 2020) con una perdita del 100%

3° – Il fondo Jupiter Glb EM Eq Ucn DUSD Acc di Jupiter è stato chiuso (a luglio 2020) con una perdita del 68,75%

4° – Il fondo Man Numeric RI US Large Cap Eq I USD di Man Group è stato chiuso (ad aprile 2020) con una perdita del 62,01%

5° – Il fondo AQR Global Defensive Equity UCITS B3 di AQR è stato chiuso (a marzo 2020) con una perdita del 55,65%

6° – Il fondo Nikko AM Asia-Pacific Ex-Japan X USD di Nikko AM è stato chiuso (a maggio 2020) con una perdita del 46,67%

7° – Il fondo RAM (Lux) Sys Emg Mkts Core Eq PI USD di RAM Active Investments è stato chiuso (a marzo 2020) con una perdita del 33,19%

8° – Il fondo Janus Henderson Hrzn US Growth A2 USD di Janus Henderson è stato chiuso (a marzo 2020) con una perdita del 29,69%

9° – Il fondo Manulife Gl Discp Val (Ex-US) I Acc USD di Manulife è stato chiuso (a settembre 2020) con una perdita del 26,31%

10° – Il fondo Eastspring Inv Japan Fdmtl Val D di Eastspring Investments (Prudential) è stato chiuso (ad agosto 2020) con una perdita annua del 21,94%

Come indicato sopra, questi sono i peggiori del 2020 distribuiti in Italia, non sono riuscito a reperire i dati dei peggiori in assoluto a livello mondiale, ma per il ragionamento che voglio fare valgono lo stesso.

Come si vede, vi sono 2 fondi che hanno chiuso con perdite del 100%, cioè gli investitori di tutto il mondo che li avevano sottoscritti hanno perso tutti i soldi che ci avevano messo, in altri fondi hanno perso la metà o il 30%; a fronte di questi vi sono altri fondi che hanno prodotto guadagni, chi volesse li può reperire facilmente, ma il ragionamento è che ancora una volta è come giocare d’azzardo, uno vince e uno perde, ma la somma del gioco è zero.

Quindi, il sistema finanziario non crea ricchezza , redistribuisce al suo interno ricchezza già creata.

Non solo! queste enormi perdite di denaro, che si ripetono ogni anno, per chi le subisce,non determinano crisi economiche a livello internazionale ( anche perché sono compensate da chi ci guadagna ).

Una crisi che potrebbe apparire come generata dalla finanza , quella dei derivati del 2008, in realtà è stata generata nell’economia reale dal debito privato in USA che è stato alimentato sapendo che sarebbe stato inesigibile, e proprio per questo inserito in prodotti finanziari ( i derivati appunto ) che sono stati poi venduti a banche ed operatori finanziari di tutto il mondo che si sono poi trovati in mano carta straccia, scaricando quella che sarebbe stata una enorme crisi economica degli Stati Uniti sul resto del mondo, e in particolare sui paesi capitalistici più sviluppati.

Tutto questo se lo possono permettere solo gli USA , perché sono il paese imperialista dominante, nessun altro potrebbe farlo, e dimostra che non vi è una cupola sovranazionale che, dietro le quinte, domina tutti , compresi gli Stati Uniti, ma che sono ancora questi ultimi il vertice dell’imperialismo mondiale.

In conclusione, non è cambiata la struttura fondamentale dell’imperialismo, così come l’aveva analizzata Lenin, vi sono stati dei cambiamenti quantitativi, con la crescita bulimica ed esponenziale del capitale finanziario, vi sono stati mutamenti tecnologici che consentono la movimentazione più rapida dei capitali su scala mondiale, è mutato il quadro internazionale. Quando Lenin scriveva “L’imperialismo” non vi era un solo Paese socialista, non parliamo del multipolarismo ( che non fosse un multipolarismo dei paesi imperialisti ), soprattutto sono mutati i rapporti di forza tra l’imperialismo e le forze antimperialiste.

E’ sicuramente mutata anche la composizione della classe dominante , con la componente finanziaria di questa classe che ha assunto più peso e più potere, che avendo nelle proprie mani grandi capitali può corrompere ed influenzare politici e governanti, ma non è diventata una superclasse autosufficiente che ha soppiantato le altre componenti, perché se così fosse non sarebbe oggi in campo, più che mai, quel processo che abbiamo precedentemente ampiamente evidenziato, per cui la classe dominante succhia, sempre di più, quote della ricchezza reale che ogni anno viene prodotta a spese degli altri strati sociali , in primo luogo dei lavoratori dipendenti, ma anche dei cosiddetti ceti medi.

Se consideriamo che il PIL mondiale, come abbiamo visto, è di circa 100mila miliardi di $, e uno spostamento del 10% in favore dei ricchi corrisponde a 10mila miliardi, si vede bene che questa cifra è poca cosa in confronto al famoso milione di miliardi che si muove nel mondo della finanza.

Non si spiegherebbe,quindi, la furiosa lotta di classe che la classe dominante ha scatenato negli ultimi 30 anni per arrivare a quell’obiettivo, spostando ora un 1%, ora uno 0,5 % a suo favore, ma pagando anche il prezzo di inasprire le contraddizioni del sistema capitalistico che generano le sue crisi periodiche.

Perché essendo il capitalismo attuale fondato sulla produzione di massa, e quindi sul necessario consumo di massa, l’impoverimento della maggior parte della popolazione induce la riduzione dei consumi, e quindi quelle crisi di sovrapproduzione che continuano ad affliggere anche il moderno capitalismo, che sono le uniche e vere crisi con cui ancora deve fare i conti.

I mutamenti che ci sono stati , quindi, generano cambiamenti nella forma e nell’intensità con cui si esprimono le contraddizioni del sistema imperialistico mondiale non nella natura di quelle contraddizioni, e questi cambiamenti non sono neppure cristallizzati una volta per tutte, i mutamenti nella situazione politica, economica, sociale ecc. mondiale possono riproporre il ritorno a condizioni precedenti ( come negli anni ‘90, dopo il crollo dell’Urss e prima dell’ascesa economica, politica ecc. della Repubblica Popolare Cinese ).

In conclusione, cambiamenti sempre ci sono nel divenire della società umana ma, finché non cambiano i rapporti di produzione, il sistema sociale rimane fondamentalmente lo stesso, e il fondamento del sistema capitalistico resta l’estrazione di plusvalore dal lavoro ( lo ripeto materiale o immateriale ).

Per capirci, anche una società di engineering , composta da soli ingegneri, con un contratto da liberi professionisti, che generi utili per il proprietario, estrae plusvalore dal loro lavoro.


* Presidente Centro Politico Culturale “Cumpanis” Milano

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