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Sul filo del tempo

Per l'insieme di questi motivi, nei confronti dell'ISIS, e delle organizzazioni fondamentaliste in generale, le “democrazie occidentali” stanno ripercorrendo una strada non troppo diversa da quella catastrofica seguita nei confronti del nazismo, del militarismo giapponese e della loro ascesa. Un ripasso storico, al proposito, può risultare utile. Nel 1936, di fronte all'aggressione perpetuata dal franchismo nei confronti della Repubblica democratica e del suo governo di Fronte popolare, niente di più e niente di meno di una repubblica borghese progressista il cui principale compito e obiettivo era, attraverso la riforma agraria, modernizzare il paese e liberarlo dalle briglie di un regime semi feudale e clericale [65], le “democrazie occidentali” si guardarono bene dallo schierarsi con il governo progressista. Al fine di non compromettere i rapporti con i regimi nazifascisti di Germania e Italia, entrati di forza nel conflitto con l’invio di armi, in particolare aerei e carri armati, e uomini al fianco del generale golpista, tutte le “democrazie occidentali” imposero, di fatto, il disarmo della Repubblica spagnola e la conseguente vittoria della dittatura clerico–fascista [66]. Una vittoria ben distante dall'avere un semplice effetto locale ma che rafforzò il nazifascismo su scala continentale. Solo l'Unione sovietica ebbe di ciò piena consapevolezza. Non per caso, l'URSS e l'Internazionale comunista, si spesero non poco per arginare e sconfiggere il fascismo in Spagna avendo ben a mente gli effetti nefasti che, quella vittoria, avrebbe comportato sull'insieme degli assetti politici europei prima, internazionali poi. Quanto la “partita spagnola” non fosse altro che l'incipit del futuro prossimo fu, sotto l'aspetto analitico, chiaro ed evidente solo al movimento comunista internazionale il quale si adoperò per la realizzazione del più ampio fronte antifascista di massa possibile. Le “Brigate internazionali” [67] di ciò ne rappresentarono la sintesi –militare migliore. In compenso tutte le forze borghesi si mostrarono irriducibilmente avverse a una politica di fronte.

Certo, nelle “Brigate internazionali” confluirono anche numerosi non comunisti [68]. Democratici, antifascisti e socialisti, gli anarchici non possiamo che considerarli soggettivamente appartenenti al movimento di classe e quindi naturalmente interni a questo fronte, andarono a riempire le fila delle “Brigate internazionali” ma, ed è questo il punto, in virtù di una scelta individuale. La socialdemocrazia internazionale, in particolare, si guardò bene dal fare sua questa battaglia allineandosi alla politica del “non intervento” ipocritamente perseguita dalle “democrazie occidentali”. A conti fatti, in Spagna, tutte le frazioni politiche della borghesia cedettero senza troppe ambasce al fascismo internazionale. In realtà quanto accaduto in Spagna non era neppure una novità poiché poteva vantare almeno due precedenti di non poco conto. Il 13 gennaio del 1935 i nazisti misero a segno il primo colpo finalizzato a neutralizzare il Trattato di Versailles. Attraverso un plebiscito, che vide la partecipazione di circa il 98% della popolazione, con oltre il 90% di consensi i territori del bacino della Saar, che al termine della guerra erano stati sottoposti sotto la giurisdizione della Società delle Nazioni, ritornarono alla Germania e, con questi, anche tutte le risorse minerarie del bacino che, sino ad allora, erano state date in sfruttamento alla Francia. Il primo marzo del 1935 il Consiglio della Società delle Nazioni ratificò gli esiti del plebiscito riconsegnando il bacino della Saar alla Germania. L'effetto immediato di questo cedimento, il primo di una lunga serie, fu il rafforzamento del regime hitleriano all'interno e un protagonismo sempre più accentuato in politica estera. Esattamente un anno dopo, il 7 marzo 1936, Hitler, forte del successo conseguito nella Saar, diede il via alla rimilitarizzazione della Renania. La smilitarizzazione della Renania era stata imposta alla Germania con il trattato di Versailles. Il suo scopo, ancora prima che politico, era di natura strategica. Questa garantiva, alla Francia ma anche al Belgio, una maggiore sicurezza dei propri confini poiché rendeva improbabile, se non impossibile, il reiterarsi di quanto accaduto nel 1914 quando, proprio dalla Renania, l'esercito tedesco dilagò in Belgio e in Francia, ma non solo. Sulla smilitarizzazione della Renania poggiavano per intero le garanzie offerte dal sistema di alleanze francese ai paesi dell'Europa orientale [69]. Nel caso di un attacco tedesco alla Polonia o alla Cecoslovacchia, saldamente, almeno in apparenza, legate alla Francia da accordi diplomatici e militari, l'esercito francese, attraverso la Renania, avrebbe potuto raggiungere con notevole facilità la Ruhr, cuore industriale della Germania e del suo apparato bellico, avendo così la possibilità di mettere facilmente in ginocchio l'industria pesante e con lei l'esercito tedesco. Hitler, attraverso la rimilitarizzazione della Renania, non solo stracciava, di fatto, gli accordi di Versailles, il che gli valse un rafforzamento non secondario del regime tra tutta la popolazione tedesca, ma faceva saltare i presupposti stessi sui quali poggiavano gli accordi e le alleanze tra la Francia e i paesi dell'Europa orientale. Adesso, per l'esercito francese, raggiungere la Ruhr non sarebbe stata una passeggiata. Per comprendere le ricadute a trecentosessanta gradi che la rimilitarizzazione della Renania avrebbe comportato non occorreva una particolare genialità eppure, sia il governo francese che quello inglese, le potenze europee sulle quali poggiavano gli equilibri politici e militari scaturiti dalla Prima guerra mondiale, lasciarono mano libera ai nazisti. Non diversamente si comportarono nel marzo del 1938 quando Hitler attuò l'Anschluss nei confronti dell'Austria. Anche in questo caso i nazisti ottennero un duplice obiettivo: realizzavano una parte del “progetto pangermanista” [70], consolidando un prestigio di massa non indifferente, si aprivano, ed era l'obiettivo strategico centrale, la strada verso Praga. Non è per nulla secondario notare, al proposito, l'attenzione con la quale, ogni volta, i nazisti coniugano la realizzazione strategica dei loro progetti imperialisti su scala internazionale con, all'interno, il processo di “nazionalizzazione delle masse” [71]. Tanto la Renania quanto l'Austria sono parti integranti di quel progetto del volk posto alla base dell'ideologia nazista. Un progetto che sarà alla base anche del successivo passo posto in cantiere dall'imperialismo nazista: la conquista della Cecoslovacchia. È noto, infatti, come il tutto si giocò attraverso i “diritti calpestati” della minoranza tedesca interna allo stato cecoslovacco. Qua, però, i giochi cominciarono a farsi più complicati poiché la Cecoslovacchia, oltre che con la Francia, aveva un trattato di alleanza anche con l'URSS.

Questa, di fronte alle minacce hitleriane, non perse tempo offrendo alla Cecoslovacchia a tutto il peso del suo potenziale militare. Per poter intervenire, però, non avendo confini con la Cecoslovacchia, avrebbe dovuto attraversare i territori della Polonia e della Romania con l’esercito e il loro spazio aereo con l’aviazione. I governi di questi due paesi, che si stavano già stringendo il cappio al collo con le proprie mani avendo iniziato a coltivare entusiastici rapporti di buon vicinato e amicizia con i nazisti, si opposero alle richieste sovietiche. La Francia, alla quale l’URSS chiese di intercedere con tutta la sua forza diplomatica verso i governi dei due paesi recalcitranti al fine di ottenere il lasciapassare, si guardò bene da operare in tal senso. L’Inghilterra, per parte sua, scoraggiò ogni iniziativa bellica risultando la principale artefice dell’ignobile trattato di Monaco che consegnava anche la Cecoslovacchia al dominio nazista. La farsa consumatasi a Monaco, tuttavia, non fu che una tappa della debacle alla quale andarono incontro le potenze democratiche. Come recita un proverbio algerino: “quando si è toccato il fondo, si può sempre iniziare a scavare” ed è esattamente ciò che le “democrazie occidentali” fecero poco dopo Monaco.

Le mire naziste, nonostante le reiterate assicurazioni di pace declamate da Hitler, non si fermarono certo con l'acquisizione dei territori cecoslovacchi. Il che, in fondo, è ampiamente comprensibile. Austria e Cecoslovacchia avevano senso, nella logica del progetto imperialista nazista, solo come tappe intermedie della propria ipotesi complessiva di dominazione. Limitarsi all'acquisizione di esse, a conti fatti, non comportava una radicale ridefinizione delle gerarchie imperialiste a livello internazionale. Nella migliore delle ipotesi queste avrebbero garantito alla Germania lo status di potenza regionale ben distante, però, da insidiare il peso e la potenza dell'imperialismo francese e, soprattutto di quello inglese. Ma le mire naziste miravano esattamene a scardinare le gerarchie imperialiste internazionali concretizzatesi a Versailles. La Polonia, a questo punto, non poteva che entrare nel mirino della politica di conquista nazista. Diventava così evidente come, l'acquisizione della Cecoslovacchia rappresentasse, per la Germania, un nodo strategico-militare di primaria importanza in vista dell'attacco alla Polonia. Il governo polacco, che in maniera a dir poco miope nell'operazione nazista contro la Cecoslovacchia aveva intravisto la possibilità di annettersi quote territoriali di quest'ultima e aveva perciò negato il transito all'esercito sovietico sul proprio territorio, si ritrovò completamente sguarnito sul lato sud. Per la Germania, a questo punto, l'operazione polacca si mostrava poco più di una formalità.

Partendo dalla “questione Danzica” e dei territori tedeschi che Versailles aveva consegnato alla Polonia, i nazisti si apprestarono a liquidare e inglobare anche la Polonia. Anche in questo caso i nazisti seguirono una linea di condotta in grado di unire i progetti imperialisti coltivati dall'élite borghesi al potere con quanto faceva parte dell'humus popolare. Va ricordato infatti che neppure la Repubblica di Weimar aveva mai accettato i nuovi confini orientali definiti dalle potenze vincitrici del Primo conflitto mondiale [72]. Per la Germania, Danzica e dintorni, era una ferita rimasta aperta e considerata tale da gran parte della popolazione. Non stupisce pertanto che, agli occhi della popolazione tedesca, Hitler potesse apparire più il nazionalista che combatteva una giusta “guerra di riscossa nazionale” che la sintesi politico-militare delle élite imperialiste di cui era effettivamente espressione. Ma torniamo alle vicende che, passo dopo passo, conducono alla deflagrazione del Secondo conflitto mondiale e alle linee guida perseguite dalle “democrazie occidentali” nel suo approssimarsi.

Dopo Monaco, Francia e Inghilterra, pensano che gli equilibri europei si siano definitivamente assestati mentre di natura ben diversa è la valutazione alla quale perviene, per bocca di Stalin, l'URSS. Su questo torneremo dettagliatamente più avanti. Torniamo a Francia e Inghilterra. Per entrambi, Monaco, può considerarsi, e qua ancora una volta si mostra come il tragico si trasformi velocemente in comico, una vittoria poiché, e dal loro punto di vista è la cosa essenziale, ha tagliato fuori l'URSS dagli scenari diplomatici-strategici internazionali. Ciò va tenuto costantemente a mente poiché, per le “democrazie occidentali”, a essere percepito come il vero problema e l’autentico nemico non è tanto il nazismo, quanto l'URSS, il movimento operaio e comunista internazionale e i popoli che, come in Cina, stanno combattendo una guerra di liberazione nazionale antimperialista. Con la stessa ottica, a conti fatti, Francia e Inghilterra affrontano il nodo polacco pur sapendo che, questa volta, ben difficilmente il conflitto potrà rimanere localmente circoscritto.

Incalzate sia dall'opinione pubblica interna, una parte della quale comincia a intuire che le mire germaniche puntano al dominio dell'intera Europa e che, pertanto, l'URSS deve essere un interlocutore privilegiato al fine della messa a punto di una strategia militare di sicurezza internazionale, sia dalla persistente iniziativa diplomatica sovietica che sollecita senza sosta le “democrazie occidentali” alla costituzione di un fronte militare antinazista, i governi anglo/francesi riprendono tenue trattative con i sovietici. Trattative che, come vedremo tra breve, sembrano avere più lo scopo di accontentare gli oppositori e l'opinione pubblica del proprio paese, la quale inizia a coltivare più che un dubbio sulla sensatezza della linea di condotta perseguita dai propri governi, piuttosto che giungere ad accordi chiari e stringenti con l'URSS. Di ciò se ne ha ampia conferma ricordando gli eventi che si svolgono tra il 12 e il 21 agosto 1939. Dopo numerosi tentennamenti i governi di Francia e Inghilterra accettano di inviare a Mosca una missione diplomatico-militare . Si tratta, però, di una missione priva di qualunque mandato ossia gli uomini che la compongono, tra l'altro di basso profilo politico, diplomatico e militare, non sono autorizzati ad assumersi alcun impegno. A conti fatti si tratta di una semplice “missione esplorativa”. Mentre lo stato sovietico, per bocca della sua più alta autorità militare, il maresciallo Voroscilov, espone dettagliatamente il modo in cui l'Armata rossa si accinge a entrare nel conflitto e fornisce dati inequivocabili: 136 divisioni, 5.000 cannoni, 10.000 tanks, 5.000 aerei oltre a un numero cospicuo di carri armati dei quali, però, non è fornito il numero, i rappresentanti di Francia e Inghilterra non sono in grado di mettere sul piatto nulla. L'Inghilterra, candidamente, ammette di non avere praticamente esercito di terra da impiegare, al massimo è in grado di mobilitare 5 divisioni, mentre il rappresentante francese temporeggia asserendo di non essere autorizzato a svelare i piani militari della Francia. In questo clima surreale i colloqui si protraggono per altri nove giorni nel corso dei quali, il governo sovietico, chiede che Francia e Inghilterra convincano almeno la Polonia, in caso di attacco nazista, a far entrare in sua difesa l'esercito sovietico. Il 20 agosto il governo polacco, non particolarmente sollecitato da Francia e Inghilterra, respinse anche questa offerta; il giorno dopo, senza un nulla di fatto, francesi e inglesi ritornarono a Parigi e a Londra [73]. Il primo settembre, alle ore 4.45, le truppe tedesche penetrano in Polonia. Esattamente ventotto giorni dopo i resti dell'armata polacca si arrendono. L'ultima e irriducibile resistenza polacca, concentrarsi nella penisola di Hela, viene definitivamente spenta il 30 ottobre. La Seconda guerra mondiale era iniziata.

Di lì a poco le “democrazie occidentali” furono poste sotto scacco dall'imperialismo tedesco. Per altro verso, in Estremo Oriente, le cose non andarono molto diversamente. Nei confronti dell'intraprendenza giapponese, le “democrazie occidentali” non dimostrarono meno arrendevolezza. Non mossero un dito quando questi iniziò le sue operazioni militari nel Nord della Cina e quando, poco dopo, iniziò a puntare in altre direzioni, ripiegarono senza colpo ferire. Così Shanghai, cuore del capitale straniero in Cina, passò in mano al Giappone. A una sorte analoga andò incontro Canton, centro strategico dell'imperialismo inglese nella Cina meridionale con conseguente accerchiamento di Hong - Kong. Poco dopo Hainan fu ceduta ai giapponesi. Abbiamo riportato questa sintesi storica perché la riteniamo particolarmente utile ai nostri fini. Cosa emerge principalmente dalla pur breve esposizione degli eventi che hanno fatto da incipit alla Seconda guerra mondiale? Una cosa: la sostanziale cecità delle “democrazie occidentali”. Dobbiamo chiederci da dove derivi simile palese dabbenaggine. La spiegazione, alla quale approdano anche storici di valore come Roberto Battaglia, che individuano, come si ricava dal testo che riportiamo di seguito, l'origine dell'arrendevolezza dei governi occidentali negli interessi comuni coltivati da alcuni circoli industriali-finanziari delle “democrazie occidentali” con il nazismo, appare piuttosto dubbia.

“Se Hitler ha tanta fiducia di poter risolvere la questione dell'Austria “pacificamente” non è certamente perché egli sia convinto sul serio dell'entusiasmo del popolo austriaco per tale soluzione, né perché egli si affidi esclusivamente all'opera dei suoi agenti oltre frontiera. Egli sa benissimo che le condizioni del successo in Austria sono già assicurate da un fatto preliminare e determinante: dal fatto che la grande borghesia austriaca ha già da tempo costituito il suo Anschluss economico con quella tedesca, che già s'è allineata fino a tal punto a fianco di quest'ultima da rendere pressoché impossibile distinguere dove finiscano gli interessi dell'una e dove cominciano quelli dell'altra”. [74]

Sicuramente i nazisti potevano vantare entrature non secondarie tra gli uomini politici e i circoli imperialisti di numerosi paesi europei ma, ed è questo il punto, occorre comprendere l'origine di tale entratura. Prendiamo l'Inghilterra, il paese che, con la sua linea di condotta negli anni tra le due guerre, ha facilitato non poco la politica nazista. Anche in questo caso la tesi della comunanza di intenti tra borghesia imperialista britannica e imperialismo germanico non è molto convincente:

“In realtà la posta in palio è più grossa poiché dietro alla crisi governativa (quella verificatasi tra il Primo ministro Chamberlain, favorevole a una politica di accomodamento con la Germania, e il suo ministro degli esteri Eden, fautore di una linea intransigente verso l'espansionismo nazista ndr.) premono gli interessi del “gruppo Cliveden”, il gruppo più reazionario della vita politica inglese che ha nello stesso Chamberlain uno dei maggiori esponenti. Il gruppo – che deriva il suo nome dalla residenza estiva dei magnati filonazisti Astor – cela sotto la maschera del “pacifismo” e del compromesso con la Germania la fitta rete d'interessi economici che lo collega all'industria tedesca, per il fatto preciso che molti dei suoi uomini siedono fianco a fianco con gli esponenti del III Reich nei consigli d'amministrazione.

Perciò la sua vittoria e il suo controllo incondizionato del governo, significa qualche cosa di più d'un semplice mutamento di politica interna inglese: significa che da quel momento in poi Hitler avrà anche oltre Manica dei fedeli alleati, che la classe dirigente in Europa avrà avuto un diverso “assestamento”, infinitamente più favorevole all'espansione del III Reich proprio nel paese in cui appaiono più forti e solide le istituzioni della democrazia parlamentare” [75]

Sicuramente il “gruppo Cliveden” ha influenzato pesantemente la morbidezza governativa nei confronti della Germania. Questo è un fatto. Ma all'origine di ciò vi era la comunanza di interessi del medesimo campo imperialista, il che avrebbe comportato un'alleanza strategica tra imperialismo britannico e imperialismo germanico, oppure, più realisticamente, gran parte della borghesia imperialista inglese favorì il nazismo, non diversamente da quella francese, belga e olandese perché consideravano come vero nemico l'URSS e individuavano nella Germania nazista uno strumento da usare contro il Paese dei Soviet e il movimento operaio e comunista internazionale? Le “democrazie occidentali” avevano concettualmente chiara l'idea del conflitto interimperialistico? Non pensavano, invece, di usare a loro vantaggio il nazifascismo e il militarismo giapponese spingendoli in direzione dell'URSS? Questa ipotesi, e non la comunanza di interessi, sta alla base della politica di appeasement coltivata dalle maggiori potenze europee verso il nazismo . Le “democrazie occidentali” avevano messo a fuoco il fatto che la posta in palio dei giovani imperialismi apparsi sulla scena internazionale non poteva che avere l'obiettivo di scalzare proprio le loro postazioni di forza e di dominio? No, di questo non avevano alcun sentore. In fondo per le “democrazie occidentali” Hitler e i nazismo erano elementi forse irrequieti ma pur sempre stabilizzatori e tranquillizzanti. Del resto, negli anni a ridosso dello scoppio del secondo conflitto mondiale, quale borghesia non avrebbe sottoscritto le parole di Hitler:

“La Germania ha fatto quanto era in suo potere per assicurare la pace nel mondo. Se l'Europa dovesse essere travolta da una guerra, ciò accadrà per colpa del caos comunista” (L. S. Diario pag. 13) [76]

o ancora:

“Soltanto i pigmei privi di cervello non riescono a capire che la Germania è stata la diga che ha contenuto la marea comunista, marea che avrebbe sommerso l'Europa e la sua cultura.” (idem) [77].

Nel corso degli anni '30 nessuna classe dirigente europea ipotizzò neppure alla lontana che, a breve, le armate naziste sarebbero sfilate tra le vie delle proprie città, si sarebbero impossessati di tutte le risorse economiche e finanziarie delle loro nazioni e, per farlo, come nel caso dell'Inghilterra gli avrebbero raso al suolo, attraverso i bombardamenti aerei, intere città. Nessuna classe dirigente europea allora paventò di arrivare al punto di potersi, nel caso migliore, ritagliarsi uno spazio come un “Quisling” qualunque, oppure diventare, nel caso Hitler avesse deciso di essere particolarmente magnanimo, un clone del governo Vichy. Nessuna di esse preventivò il rischio di cessare di esistere quale potenza imperialista autonoma a causa dell’attacco e della vittoria nazista. Questa incomprensione è alla base della loro disfatta.

Prima di proseguire fermiamoci a osservare ciò che avviene nel campo opposto all'imperialismo ovvero in Unione Sovietica e nell'Internazionale comunista. Per farlo riportiamo alcuni brani tratti dagli interventi dei principali rappresentanti del movimento comunista: Dimitrov, Togliatti e Stalin.

Partiamo dall'intervento di Stalin al XVIII Congresso del partito.

“Ecco gli avvenimenti più importanti del periodo considerato, che hanno segnato l'inizio della nuova guerra imperialista. Nel 1935 l'Italia ha aggredito l'Abissinia e l'ha conquistata. Nell'estate del 1936, la Germania e l'Italia hanno intrapreso un intervento militare in Spagna, durante il quale la Germania si è installata nel Nord della Spagna e nel Marocco spagnolo, e l'Italia nel sud della Spagna e nelle isole Baleari. Nel 1937, il Giappone, dopo essersi impadronito della Manciuria, ha invaso la Cina settentrionale e centrale, ha occupato Pechino, Tientsin, Shanghai e ha cominciato a cacciare dalle zone occupate i propri concorrenti stranieri. All'inizio del 1938, la Germania si è impadronita dell'Austria e, nell'autunno del 1938, della regione dei Sudeti in Cecoslovacchia. Alla fine del 1938, il Giappone si impadronì di Canton e, all'inizio del 1939, dell'isola di Hainan.

In tal modo la guerra, avvicinatasi ai popoli in modo così inosservato, ha coinvolto nella sua orbita oltre 500 milioni di uomini, estendendo la sfera della propria azione a un territorio immenso, da Tientsin, Shanghai e Canton, attraverso l'Abissinia, fino a Gibilterra. Dopo la prima guerra imperialista gli Stati vincitori, soprattutto l'Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti d'America, avevano creato un nuovo regime di rapporti tra i paesi, il regime di sicurezza del dopoguerra. Questo regime aveva per basi principali, in Estremo Oriente, il trattato delle nove potenze e, in Europa, il trattato di Versailles e un'intera serie di altri trattati. La Società delle Nazioni era chiamata a regolare le relazioni tra i paesi nel quadro di questo regime, sulla base di un fronte unico degli Stati, sulla base della difesa collettiva della sicurezza degli Stati. Tuttavia i tre Stati aggressori e la nuova guerra imperialista da essi scatenata hanno rovesciato da cima a fondo tutto questo sistema del regime di pace del dopoguerra. Il Giappone ha fatto a pezzi il trattato delle nove potenze; la Germania e l'Italia hanno fatto a pezzi il trattato di Versailles. Per avere le mani libere, tutti e tre questi Stati, sono usciti dalla Società delle Nazioni.” La nuova guerra imperialista è diventato un fatto". [78]

Siamo nel marzo del 1939, tutti i dati esposti da Stalin sono ampiamente noti. Questi stessi dati sono tra le mani di tutti gli uomini politici del mondo, dei loro generali e apparati diplomatici. Inoltre è lecito supporre che, accanto a questi dati di dominio pubblico, tutti i governi dispongano di un certo numero di informazioni riservate forniti loro dalle intelligence. Dati che, pare lecito sostenerlo, avrebbero dovuto colorare in maniera ancora più fosca il quadro politico internazionale. Ma, mentre in Stalin, la concatenazione degli eventi ricordati lo porta a sostenere senza tentennamenti che la nuova guerra mondiale è già iniziata, gli uomini politici delle “democrazie occidentali” li considerano episodi a sé ognuno dei quali ha una “particolare” origine e uno “specifico” fine e, soprattutto, privi di alcun legame tra loro. Ogni episodio è affrontato come una storia a sé. Nessuno è in grado di cogliere l'insieme di questi fatti. Costoro vedono i singoli conflitti localmente distribuiti, nessuno percepisce il conflitto nella sua complessità. Soprattutto nessun esponente politico delle “democrazie occidentali” sembra sentirsi direttamente coinvolto in ciò che si va, ogni giorno che passa, delineando all'orizzonte. Per questo diventa ancor più interessante e utile ascoltare Dimitrov e il suo discorso pronunciato nel marzo del 1936.

“Sarebbe inesatto pensare che la guerra che sta per scoppiare minacci soltanto l'Unione Sovietica o che in prima linea minacci l'Unione Sovietica. È un fatto che l'occupazione della Renania da parte dell'esercito hitleriano rappresenta un'immediata minaccia per la Francia, il Belgio e gli altri paesi europei. È pure un fatto che i prossimi piani di conquista di Hitler mirano ad asportare dei territori agli stati confinanti in cui si trovano dei gruppi etnici tedeschi. Se Hitler parla oggi di sovranità della Germania, egli parlerà domani della sovranità di tutti i Tedeschi. Sotto questa parola d'ordine egli cercherà di realizzare l'annessione dell'Austria, la distruzione della Cecoslovacchia come stato indipendente, la conquista dell'Alsazia-Lorena, di Danzica, della parte meridionale della Danimarca, di Memel, ecc. E tutto ciò è ben comprensibile: è infatti molto più facile per il fascismo tedesco mandare un esercito, in primo luogo, alla conquista di territori degli stati confinanti, sotto la parola d'ordine dell'unione nazionale di tutti i Tedeschi. Successivamente questo esercito marcerà contro il potente Stato sovietico. Il fascismo germanico, rafforzandosi sul Reno, minaccia anche l'indipendenza del popolo polacco, prescindendo dal fatto che gli attuali governanti della Polonia si trovano con esso in posizione di alleati. Per quel che riguarda l'Estremo Oriente, è cosa indiscutibile che l'attacco colpisce direttamente il popolo cinese, per quanto i guerrafondai fascisti del Giappone preparino la guerra anche contro l'Unione Sovietica ed abbiano stipulato all'uopo un accordo con Berlino. Il Giappone ha già occupato la Manciuria e ora va conquistando l'una dopo l'altra le provincie della Cina. L'imperialismo giapponese mira ad assoggettare tutti i popoli dell'Asia, l'India compresa, a conquistare le Filippine e l'Australia. Esso si prepara a una lotta decisiva contro gli Stati Uniti d'America e la Gran Bretagna. Perciò è evidente che i popoli occidentali commetterebbero un errore mortale se si cullassero nell'illusione che gli istigatori di guerra fascisti in Europa e nell'Estremo Oriente non costituiscono una minaccia anche per loro. Soprattutto i popoli confinanti con la Germania devono pensare seriamente a difendere la loro indipendenza e libertà.” [79]

Le parole di Dimitrov non hanno bisogno di un qualche commento. Siamo nel marzo del 1936 e, almeno per quanto riguarda la Germania, in concreto non vi è altro che l'azione in Renania al quale va sicuramente aggiunto, perché ha rappresentato l'incipit della politica internazionale nazista, il plebiscito della Saar del 1935. Da questi “semplici” episodi, che tutte le potenze occidentali considerano pari a un eccesso di esuberanza da parte del giovane regime tedesco, Dimitrov descrive con impressionante lucidità tutti i passi successivi del regime hitleriano. In particolare, mentre le “democrazie occidentali” considerano, con un certo grado di benevolenza, il nazismo per la sua obiettiva funzione antibolscevica, Dimitrov le avverte che, proprio in quanto potenza imperialista, la Germania nazista, insieme al Giappone, non potrà che entrare velocemente in conflitto con loro. Francia, Inghilterra e Stati Uniti sono già entrate nel mirino degli imperialismi emergenti. Quanto lucida e anticipatrice si mostrerà tale analisi pochi anni dopo sarà evidente a tutti. Di ciò ne abbiamo un'ulteriore riprova per bocca di Togliatti che già nel 1935, nel suo rapporto al VII Congresso dell'Internazionale comunista, evidenziava con estrema lucidità la ben poco tranquillizzante scena della situazione politica internazionale:

“Del sistema di Versailles non restano oggi in piedi altro che le frontiere europee del dopoguerra e la ripartizione delle colonie e dei mandati coloniali, vale a dire non resta in piedi se non ciò che può esser distrutto soltanto dalla forza delle armi, con i mezzi della violenza e della guerra. D'altra parte, non resta più nulla del trattato di Washington. Le clausole di questi trattati, che concernevano i rapporti di forza tra le grandi potenze marittime, sono state denunciate e hanno ceduto il posto a una corsa sfrenata agli armamenti navali. Per quanto concerne la Cina, gli eserciti degli imperialisti giapponesi, che hanno invaso e occupato la Manciuria e la Cina del nord senza preoccuparsi delle proteste di Ginevra e dei pacifisti e che continuano con la loro marcia verso l'occupazione di tutto il territorio cinese, hanno calpestato anche le ultime vestigia degli accordi di Washington.” [80]

A partire da questa visione d'insieme Togliatti giunge immediatamente al sodo osservando quali sono le potenze che stanno preparando la guerra e quali fini si propongono. L'imperialismo nipponico è immediatamente individuato come l'imperialismo che da più tempo si sta attrezzando a una guerra su scala internazionale:

“La potenza imperialista più aggressiva, che prepara febbrilmente la guerra, è il Giappone. Fin dal 1931 la cricca militare che governa il Giappone ha iniziato il rimaneggiamento della carta del mondo con la forza delle armi. Dopo aver occupato militarmente la Manciuria, l'imperialismo giapponese è passato all'occupazione della Cina del nord, e manifesta l'intenzione di istituire un suo protettorato su tutta la Cina. Oggi l'imperialismo giapponese si prepara a continuare la marcia verso il centro della Cina, aiutato dai suoi agenti del Kuomintang, traditori del popolo cinese e della sua lotta per l'indipendenza. Lo scopo che il Giappone imperialista persegue e che è confessato, apertamente confessato, dai suoi uomini di Stato è l'egemonia giapponese non soltanto in Estremo Oriente, ma in tutta l'Asia orientale e sulle coste occidentali dell'oceano Pacifico. Per raggiungere questo scopo, il Giappone ha bisogno innanzi tutto di crearsi una base di materie prime per l'industria pesante che ora gli manca e che pensa di procurarsi impadronendosi con la violenza dell'Estremo Oriente sovietico e delle più ricche province cinesi. La guerra contro l'Unione Sovietica si presenta dunque ai militaristi giapponesi come la prima tappa per l'egemonia giapponese nell'oceano Pacifico.” [81]

Non meno intrise di realismo sono le osservazioni relative alla Germania e all'avvento del fascismo in Europa:

“La vittoria del fascismo in Germania e in parecchi altri paesi d'Europa e l'avanzata generale del fascismo è il terzo fatto nuovo che contribuisce a determinare la situazione internazionale. L'avanzata del fascismo è la risposta brutale del capitalismo in putrefazione al trionfo del socialismo nel paese della dittatura del proletariato. Esso procede di pari passo con l'estremo acutizzarsi della lotta di classe e, per conseguenza, con l'estremo aggravarsi del pericolo di guerra. Il compagno Stalin ha richiamato più volte la nostra attenzione sul fatto che la dittatura fascista è una forma di organizzazione del retrofronte della borghesia per una nuova guerra. La dittatura fascista è direttamente legata alla preparazione della guerra. L'instaurazione della dittatura fascista dà alla preparazione della nuova guerra imperialista un'impronta e una direzione particolari. L'avanzata del fascismo è una delle forme più evidenti dello slittamento del mondo capitalistico verso una nuova guerra mondiale.” [82]

Ancora più interessante diventa la puntuale analisi della politica estera nazionalsocialista. In poche battute è colto il cuore strategico, che in gran parte di lì a poco i nazisti realizzeranno, del progetto imperialista germanico. Un progetto che, ed è ciò che sfugge per intero alle Cancellerie europee, le vedrà coinvolte in prima persona:

“L'accordo con la Polonia ha servito da trampolino al nazionalsocialismo tedesco per estendere la rete dei suoi intrighi. Questo accordo ha avuto come conseguenza diretta un aggravamento delle minacce contro la frontiera cecoslovacca e contro l'indipendenza della Cecoslovacchia, ha reso più aggressivo il nazionalsocialismo tedesco nella sua lotta per mettere fine all'indipendenza dei paesi baltici, ha inasprito all'estremo la questione austriaca. Dopo aver distrutto l'alleanza franco-polacca il nazionalsocialismo vuol giungere a disgregare la Piccola Intesa e a sostituirle nell'Europa centrale un nuovo blocco di potenze fasciste, l'asse del quale dovrebbe essere formato dalla Polonia, dalla Ungheria e dalla Bulgaria. I nazionalsocialisti tedeschi promettono alla Jugoslavia una parte dei territori austriaci e tentano in questo modo di attrarre anch'essa in questo blocco, così come si sforzano di modificare l'orientamento della politica estera della Romania” [83]

Sul momento nessuna “democrazia occidentale” però prese minimamente in considerazione il realismo e l'obiettività di queste argomentazioni. Tra lo “stato maggiore” comunista e gli stati maggiori delle democrazie borghesi imperialiste le valutazioni sulla Renania, e in seguito su tutti le altre “forzature” tedesche, italiane e giapponesi, si fecero sempre più distanti. Eppure, per il movimento comunista, il corso delle cose si era già ben delineato da tempo. Sotto tale aspetto l'ultimo brano che riportiamo è quanto mai esplicativo. A pronunciarlo è ancora Stalin, siamo nel 1934.

“Come risultato di questa prolungata crisi economica, si è avuto un aggravamento, finora senza precedenti, della situazione politica dei paesi capitalistici, tanto all'interno di questi paesi che nei rapporti fra l'uno e l'altro. Il rafforzamento della lotta per i mercati esteri, la distruzione degli ultimi residui del libero commercio, i dazi doganali, la guerra commerciale, la guerra monetaria, il dumping e molte altre misure analoghe che rivelano un nazionalismo estremo nella politica economica, hanno inasprito al massimo grado i rapporti fra i vari paesi, hanno creato la base dei conflitti militari e hanno posto all'ordine del giorno la guerra come mezzo per una nuova spartizione del mondo e delle sfere di influenza a profitto degli Stati più forti. La guerra del Giappone contro la Cina, l'occupazione della Manciuria, l'uscita del Giappone dalla Società delle Nazioni e la sua avanzata nella Cina del Nord hanno resa ancora più tesa la situazione. L'accentuarsi della lotta per il Pacifico e l'aumento degli armamenti militari e navali nel Giappone, negli Stati Uniti, nell'Inghilterra e nella Francia, sono il risultato di questo aggravamento. L'uscita della Germania dalla Società delle Nazioni e lo spettro della rivincita hanno dato un nuovo impulso all'inasprirsi della situazione e all'incremento degli armamenti in Europa. Non c'è da stupirsi se il pacifismo borghese vivacchia oggi miserevolmente e se alle chiacchiere sul disarmo vengono sostituite delle conversazioni “realistiche” in vista dell'armamento e del riarmo.

Di nuovo, come nel 1914, si presentano in primo piano i partiti dell'imperialismo guerrafondaio, i partiti della guerra e della rivincita. E’ chiaro che si va verso una nuova guerra” [84]

Ciò che, in poche battute, Stalin pone all'ordine del giorno è l'oggettiva tendenza alla guerra propria dell'imperialismo e della crisi a cui è pervenuto. Sullo sfondo vi è la grande crisi del 1929, crisi che, con dovizia di particolari, Stalin affronta per intero nel corso del suo intervento al XVII Congresso del partito sovietico. Stalin, passando dall'astratto al concreto, non si limita a delineare la relazione crisi-guerra ma, a partire da ciò, individua con precisione le forze e le potenze che non possono far altro che preparare la guerra. Senza indugi Germania e Giappone vengono identificate come il concreto entro il quale la tendenza oggettiva alla guerra è destinata a prendere forma. A conti fatti, cinque anni prima che il mondo deflagrasse, il movimento comunista ha correttamente ipotizzato il delinearsi del corso storico. Al contrario, nel mondo borghese, di tutto ciò non vi è traccia. Dobbiamo domandarcene il motivo. Dobbiamo domandarci cioè se Dimitrov , Stalin e Togliatti furono in grado di anticipare il corso degli eventi storici in virtù della loro genialità, mentre la distribuzione dei geni era stata particolarmente avara con la borghesia, oppure la loro “genialità” poggiava su qualche altra cosa e, in questo caso, di che cosa si trattasse. Senza troppi parole è possibile dire che il vantaggio che Dimitrov, Stalin e Togliatti potevano vantare sul personale politico della borghesia fosse “semplicemente” l'avere dalla loro la scienza marxista. Qua dobbiamo aprire un inciso. Dobbiamo, cioè, tornare al punto d'approdo della filosofia classica borghese della sua grandezza ma anche dei suoi limiti [85]. Dobbiamo “ricordarci” che, in quanto classe storica parziale, la borghesia non è in grado di appropriarsi della totalità [86]. Da questo limite non è in grado di emanciparsi indipendentemente dalla bravura intellettuale dei suoi teorici. Per di più, ed è un altro aspetto che non va mai ignorato, la borghesia non può che seguire un iter storico che la porta da classe progressiva a classe reazionaria. Di questo non può che risentirne anche l’ambito della filosofia e della teoria politica [87]. Nel momento in cui, all’incirca nella prima metà dell’800, la borghesia inizia a perdere il suo tratto progressivo fino ad esaurirlo del tutto con l’avvento dell’era imperialista, il suo pensiero non può che regredire. Alla scala della storia nessun uomo politico borghese è stato più in grado di elevarsi alle vette di Robespierre, nessun militare al genio di Napoleone, nessun filosofo ai livelli di Hegel. A imbrigliare il pensiero politico-teorico della borghesia è un limite storico, oggettivo non una incapacità soggettiva. La borghesia non manca di uomini intelligenti ma questa intelligenza non può rompere la “gabbia d’acciaio” nella quale la storia l’ha rinchiusa. È il marxismo a rompere questo limite ma, per l’appunto, il marxismo è la scienza del proletariato. Solo in ciò è racchiusa la genialità di Dimitrov, Stalin e Togliatti.

Tornando alle vicende degli anni '30 del secolo scorso, ridotte all'osso, la differenza sostanziale tra i dirigente del movimento comunista e gli uomini politici delle “democrazie occidentali” sta nel fatto che questi ultimi videro gli alberi senza scorgere la foresta. Gli mancò, cioè, quella visione di insieme che, al contrario, rappresentava il presupposto stesso della base analitica di Dimitrov, Stalin e Togliatti. Inoltre per le “democrazie occidentali”, come si è detto, il vero nemico, più che il nazifascismo, era l'URSS. Oggi, in qualche modo e con tutte le tare del caso, si sta riproponendo uno scenario non dissimile.

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