Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email

economiaepolitica

L’Italia, L’Europa e la crisi da coronavirus

di Antonella Stirati

coronavirus unione europea 640x342Nelle ultime settimane in Italia e in Europa si è affacciata con prepotenza la questione economica legata alla pandemia in corso, e si sono moltiplicate le prese di posizione relative a come questa dovrebbe essere affrontata.[1]

Pur in una situazione in continua evoluzione, provo qui a mettere in ordine i problemi e gli strumenti disponibili, sia in via di principio che in concreto, con l’auspicio che questo possa aiutare a chiarire i termini delle questioni in discussione.

 

1. Il contesto

E’ sempre più evidente che la pandemia e le misure di contenimento del contagio adottate in tutto il mondo provocheranno una profonda recessione in conseguenza del blocco di una parte importante dell’attività produttiva e la scomparsa dei redditi generati da quelle attività. Molte previsioni sono concordi nell’affermare che si avranno riduzioni del PIL maggiori di quelle causate dalla crisi finanziaria globale del 2008, e che esse non saranno transitorie.

In tutti i paesi la combinazione della caduta significativa del PIL e degli aumenti di spesa pubblica e riduzione delle tasse per fronteggiare l’emergenza faranno lievitare il rapporto tra deficit e PIL e tra debito pubblico e PIL.

Si deve notare tuttavia un elemento di estrema importanza fino ad oggi spesso sottovalutato o addirittura ignorato – in modo totalmente anti-scientifico – nel dibattito politico su questi temi: il denominatore (il PIL) non è indipendente dalla politica di bilancio pubblico, cioè dalle variazioni della spesa pubblica o delle tasse. In altri termini, più spesa pubblica implica minore caduta del PIL.

Print Friendly, PDF & Email

orizzonte48

Il "mutamento apparente" del quadro delle regole dell'eurozona nell'emergenza coronavirus: troppo poco e troppo ESM

di Quarantotto

berlino001. Proviamo a decifrare la situazione che si sta creando a seguito dell'emergenza sanitaria causata dall'epidemia di coronavirus.

Come possiamo constatare dalle azioni annunciate dagli altri Paesi Ue, in particolare aderenti all'eurozona, in simultanea alle misure straordinarie di prevenzione e terapia sanitaria, si sta verificando un evidente "fermo" di una parte consistente e crescente delle attività economiche che producono il reddito e che, nel loro complesso, formano il c.d. PIL.

Si produrrà pertanto una forte recessione la cui misura potrà arrivare a livelli senza precedenti, a seconda degli attualmente imprevedibili sviluppi nella prosecuzione del contagio, dell'ondivaga risoluzione a livello strutturale dell'emergenza assoluta dell'organizzazione medico-sanitaria, e della connessa durata ed estensione crescente dell'arresto delle attività produttive.

Per capirci: un blocco del sistema economico al 40% (come esemplificazione indicativa), prolungato per 3 mesi, porterebbe a una perdita di PIL di circa 175 miliardi, cioè di circa il 10% del PIL del 2019.

Quali siano le possibilità di successiva ed immediata ripresa della crescita non è allo stato esattamente pronosticabile; sia perché non è possibile preventivare quanta parte delle limitazioni emergenziali, e quindi dei limiti all'attività produttiva, dovranno essere mantenute nel tempo (o, in caso di riaccendersi di focolai di contagio, re-incrementate), sia perché, ogni ripresa successiva ad una recessione di rilevante entità dipende dall'adeguatezza e dalla fattibilità, giuridica e finanziaria, di un combinato di misure che inevitabilmente dovrebbe essere lo Stato a poter adottare.

Print Friendly, PDF & Email

tempofertile

Le prime manovre: Von der Leyen, Bce, mobilitazioni, riposizionamenti. Cronache del crollo

di Alessandro Visalli

fisher905 675x904Giorni pieni e convulsi.

Venerdì si è tenuto in teleconferenza il Consiglio Europeo, che ha visto uno scontro frontale e prolungato tra Spagna e Italia contro Olanda e Germania, la Francia leggermente defilata e gli altri spettatori attoniti. Al termine un veto di Spagna e Italia ha determinato il rinvio di quindici giorni con mandato alla Commissione ed alla Bce di elaborare proposte da riportare al tavolo.

Sabato, con un’inaudita dichiarazione la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, ha dichiarato che il suo mandato è di elaborare un “piano di ricostruzione” e non di lavorare sull’emissione di bond comuni. Questi, dice, sono ostacolati da “chiari confini giuridici” in quanto dietro c’è “la questione delle garanzie”. Ovvero la vecchia questione secondo la quale la Germania e gli altri paesi rifiutano quella che chiamano “un’unione di trasferimenti”, ovvero di garantire con le proprie risorse fiscali trasferimenti, in una forma o nell’altra, ovvero anche sotto forma di garanzie, ad altri paesi. Dunque, continua, “su questo le riserve della Germania come di altri paesi sono giustificate”. L’economista Sergio Cesaratto ha avuto una parola sola e semplice per questo: traditrice. Il Presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, invece in una conferenza stampa di qualche minuto fa ha detto, rispondendo[1] ad una domanda del giornalista del Corriere della Sera, che “il compito di elaborare la proposta non l’abbiamo dato alla Presidente della Commissione Europea, all’esito abbiamo dato all’Eurogruppo 14 gg per elaborare delle proposte che poi il prossimo Consiglio Europeo possa prendere in considerazione. Quel che mi permetto di dire e sarò inflessibile: qui c’è un appuntamento con la Storia, l’Europa deve dimostrare se è all’altezza di questa chiamata della storia. Uno shock simmetrico che riguarda tutti i sistemi degli stati membri. Si tratta di dimostrarsi adeguati o no”.

Print Friendly, PDF & Email

economiaepolitica

L’Italia e l’Unione Europea alla prova del Coronavirus

di Salvatore Perri

200303192318 20200304 coronavirus conspiracy theory large 169La pandemia causata dal Covid-19, oltre alle perdite umane, provocherà un tracollo economico difficilmente quantificabile in valore ed in durata. Il declino produttivo, il pesante debito pubblico, le disuguaglianze economiche, rendono l’Italia sempre più dipendente dalle scelte che saranno compiute in sede europea. Gli interventi per salvare l’Italia, e l’Europa, dovranno avere necessariamente due caratteristiche: dovranno mobilitare risorse a lungo termine per gli investimenti e dovranno essere sostenibili politicamente anche per i paesi del nord Europa alle prese con pulsioni sovraniste. Non può essere più rinviata la questione di una figura Europea politicamente forte, con poteri e budget, in grado di concordare con la BCE interventi in una prospettiva decennale di reale integrazione sistemica.

 

Il Coronavirus e l’Economia Italiana

L’Italia affronta la crisi del coronavirus da una posizione di estrema debolezza. Il sistema produttivo non aveva ancora recuperato dagli effetti negativi della crisi finanziaria globale del 2007, il debito pubblico ha continuato la sua corsa, la produttività è stagnante e non ci sono segnali di convergenza interna dal punto di vista territoriale, e inoltre, si stanno consolidando differenze stratificate anche all’interno del mondo del lavoro con la crescita dei c.d. working poors[1] (Dell’Arringa, 2019). La contrazione economica ed il blocco della produzione di molte merci potrebbe accentuare anche dinamiche negative ben note, dalle delocalizzazioni industriali alle esterovestizioni societarie[2], perché è inevitabile che le aziende tentino di ridurre le perdite con ogni mezzo consentito.

Print Friendly, PDF & Email

militant

Il desiderio dell’uomo decisivo

di Militant

1543254843185.jpg draghi parla gia da premier fare piu debito per salvare l economia Che Mario Draghi trovi sostegno in un certo ambiente economico, è nelle cose. Che su Mario Draghi stia convergendo tutta la politica italiana, è un’altra cosa. Dal Pd alla Lega al vasto mondo della critica keynesiana, il quadro politico sembra chiudersi attorno alla soluzione migliore per tutti (o quasi: l’unico a rimanere col cerino in mano sarebbe Conte, e con lui il M5S). I motivi di questo interesse sono facilmente intuibili. Meno i problemi politici che verrebbero a generarsi dall’unità nazionale attorno all’uomo delle banche.

La crisi economica, già in corso e che seguirà la fine o il contenimento dell’epidemia, sarà di vaste proporzioni. Tutti i paesi, nessuno escluso, subiranno il contraccolpo dell’arresto dei flussi commerciali misurandolo in vari punti percentuali di calo del Pil. Per l’Italia, questo non potrà non aggirarsi in una forbice che va dal -5 al -15%. Percentuali da economia di guerra, come evidente e come stanno dicendo un po’ tutti, Draghi per primo. Se in tempo di pace la questione poteva essere affrontata (e aggirata) attraverso l’accelerazione export oriented dell’economia del paese, dinamica che ha portato l’Italia alla ventennale stagnazione economica, le soluzioni per questa crisi non potranno replicare quanto è stato fatto fino ad ora. Per risollevare un paese in profonda recessione è inevitabile stimolare la domanda interna, rafforzando il mercato domestico di produzione e circolazione di beni e servizi. Altrimenti quel -15% lo recuperiamo nel 2050, come infatti (non) è avvenuto con la crisi scoppiata nel 2008: il Pil dell’Italia nel 2019 non ha ancora raggiunto i livelli a cui era arrivato nel 2007. Ci stiamo rimpicciolendo drasticamente e troppo velocemente nel tempo, e questo è uno dei motivi dello scarso peso politico dei nostri governi in Europa.

Print Friendly, PDF & Email

antropologiafilosofica

La resa dei conti

di Andrea Zhok

GettyImages 12016474801) Premessa

Come ampiamente previsto, l’incontro dell’Eurogruppo di ieri si è concluso con un nulla di fatto.

Che gli incontri europei si concludano con un nulla di fatto è peraltro oramai una tradizione consolidata. Settimane fa si erano concluse con un nulla di fatto le trattative per una variazione dello zero virgola nel budget europeo. Per anni si erano concluse con un nulla di fatto le richieste di rivedere le regole sull’accoglienza dei migranti da parte dei paesi dell’Europa meridionale. Incartarsi ad arte per rinviare sine die ogni decisione è una specialità in cui le istituzioni dell’UE hanno dimostrato da tempo straordinario talento.

E naturalmente non è un caso.

Il sistema dei trattati è stato disegnato per funzionare precisamente come una tonnara: una volta entrati non esiste nessuna possibilità di uscirne sani né di cambiare niente di significativo. (L’unanimità necessaria la puoi raggiungere solo su imperdibili iniziative simboliche come l’equiparazione di comunismo e nazismo.)

 

2) Prima del diluvio

L’emergenza coronavirus tende a farci dimenticare che l’UE non è mai davvero uscita dalla crisi del 2007. L’economia è rimasta lenta, e anche la famosa ‘locomotiva tedesca’ aveva iniziato ad arrancare.

Ben prima che il virus comparisse all’orizzonte si discuteva animatamente di una perdurante stagnazione dell’economia europea (con Italia e Germania in fondo alla classifica della crescita).

Print Friendly, PDF & Email

il rasoio di occam

Da emergenza sanitaria a stato di eccezione politico?

di Geminello Preterossi

L'attitudine critica non può essere quella di negare o relativizzare il problema coronavirus, ma di denunciare abusi, irrazionalità, eccessi, logiche e rischi "di fondo". Bisognerà, poi, subito riorganizzarsi socialmente e politicamente

filosofia e coronavirus5Gli interventi di Giorgio Agamben sulle conseguenze politiche del coronavirus impongono alcune riflessioni. In generale, condivido la critica alla normalizzazione dell'emergenza, trasformata in "calamità" (anche quando si tratta, ed è la maggior parte dei casi, di questioni politiche, economiche, sociali e non certo di "oggettività" naturali o tecniche). Ora però il problema esiste e, soprattutto in Lombardia, ha creato una situazione drammatica dal punto di vista sanitario. Quindi una reazione mirata, ma adeguata, è necessaria. Certo, il rischio che si trasformi un'emergenza sanitaria reale in uno stato di eccezione politico c'è, è davanti ai nostri occhi. Delegare in toto agli esperti (che peraltro manifestano posizioni non sempre univoche) le scelte politiche è pericoloso: i tecnici devono fornire i dati da valutare, ma la decisione deve essere politica, perché solo così si può tenere conto della complessità dello scenario. Occorre saper distinguere, rendersi conto delle soluzioni che hanno funzionato e di quelle che non hanno funzionato, essere flessibili per aggiustare le strategie. Nessun fideismo emergenzialista, dunque. Abbiamo bisogno, piuttosto, di ragion pratica. La vita pubblica è cosa diversa da un laboratorio: altrimenti si trasforma la società intera in un “laboratorio”. Ciò, sia chiaro, non per ridimensionare il quadro, che è grave e preoccupante, ma per mantenere in funzione la capacità di valutare criticamente e deliberare di conseguenza (a proposito, siamo sicuri che le istituzioni rappresentative debbano eclissarsi, in un contesto del genere?). Inoltre, quando sarà passata questa buriana, bisognerà mettere in fila tutto: non solo errori, atteggiamenti ondivaghi e opachi, mancanze, ma la logica di fondo, i rischi politici che si corrono, le finalità perseguite dai “poteri indiretti” e il conto che verrà fatto pagare ai più deboli.

Print Friendly, PDF & Email

lantidiplomatico

"Richiedere il MES? Gualtieri così perde tempo e rischia di peggiorare la crisi"

Intervista a Vladimiro Giacché

"Questo modo scomposto di procedere è già di per sé tale da confermare l’estrema debolezza del nostro Paese, con tutte le conseguenze del caso per quanto riguarda l’andamento dei nostri titoli di Stato. Ma in secondo luogo questa proposta ignora il fatto che il MES non può bloccare una crisi del debito. L’unico attore in campo in grado di riuscirci è la BCE".

0f3bd8dce50d948ba6dede44aef27cf6All'emergenza sanitaria seguirà il difficile, difficilissimo momento della ricostruzione economica. Se questa crisi sarà un'oppportunità per rottamare per sempre un sistema, un modello e una propaganda fallita e fallimentare impostasi negli ultimi trent'anni, dipenderà anche dalla mobilitazione popolare e dell'opinione pubblica da subito.

Come AntiDiplomatico vi proporremo un percorso di interviste per iniziare a delineare la situazione attuale, immaginare i prossimi scenari e sensibilizzare il più possibile sui fallimenti del passato da non ripetere più in futuro.

Iniziamo questo percorso con Vladimiro Giacché*, economista, filosofo e, negli ultimi anni, uno degli osservatori più acuti della situazione macro-economica europea (Intervista esclusiva per l'AntiDiplomatico).

* * * *

La Spagna requisisce la sanità privata, la Francia annuncia nazionalizzazioni di imprese in crisi e la Germania prepara un bazooka da 550 milioni per salvare le sue aziende. Le misure del governo italiano sono state invece molto più contenute e rispettose delle regole europee: non è che l'Italia è rimasta la sola a cercare una via condivisa di uscita dalla crisi?

Io credo che questa crisi stia costringendo tutti a fare i conti con una semplice verità: il mito di certi liberisti, una società che si dovrebbe reggere soltanto sul coordinamento ex post dell’attività economica rappresentato dal mercato (ossia dalla legge della domanda e dell’offerta), è per l’appunto un mito, qualcosa che non è mai esistito e mai esisterà.

Print Friendly, PDF & Email

nuovadirezione

Christine La “gaffe” (!?!)

di Carlo Formenti

Screenshot from 2020 03 17 10 23 29aLa prima pagina del Corriere del 13 marzo dedica alla cosiddetta “gaffe” della presidente della BCE, Christine Lagarde, uno spazio assai più contenuto di quello di altri quotidiani nazionali, a ulteriore conferma della sua linea Europa uber alles. Tuttavia, dal momento che l’uscita della cinica rappresentante degli interessi della finanza globale è stata di portata tale da suscitare, oltre a pesanti effetti depressivi sulle borse, reazioni stizzite persino da parte del tremebondo Mazzarella e del dirigente della Confindustria Lombardia, Marco Bonometti, il quotidiano milanese non ha potuto esimersi dal dedicare due pagine (la 8 e la 9) alla scandalosa battuta della segaligna Lagarde (“Non siamo qui per chiudere gli spread”). Così come ha indotto il pur inossidabile europeista Federico Fubini – nel taglio basso di pagina 8 – a farsi scappare alcune verità ormai troppo evidenti per essere ignorate.

Non si è trattato di una gaffe, spiega Fubini, bensì dell’imbarazzante ammissione di quali interessi guidino certe scelte: non a caso quelle parole ricalcano alla lettera una frase di Isabel Schnabel, rappresentante tedesca nel comitato Bce; non impreparazione o lapsus dunque, bensì rigorosa applicazione dei dettami della Bundesbank. La battuta in questione rivela l’auspicio che l’Italia, in odore di recessione a causa dell’epidemia, sia prima o poi obbligata a chiedere un “salvataggio” dalla Ue, avviandosi a subire il destino della Grecia (anche se questo, naturalmente, Fubini si astiene dall’esplicitarlo). Mentre la stizza della Confindustria è un sintomo evidente della paura che la Germania (e in misura minore la Francia) colgano l’occasione per arraffare altre fette del nostro apparato produttivo e dei nostri mercati, riducendo definitivamente l’Italia allo status di semicolonia degli “imperi centrali” (a tale proposito ricordo che il direttore del Sole24Ore, qualche giorno fa, si è spinto ad affermare che se l’Europa insiste a comportarsi in un certo modo, “è giusto che l’Italia vada per conto suo”).

Print Friendly, PDF & Email

coniarerivolta

Chi esce dall’euro muore?

di coniarerivolta

costiuscitaSpesso e volentieri nel dibattito sul ruolo e il destino dell’Unione europea il sistema mediatico dominante lancia anatemi sugli enormi rischi derivanti da un’eventuale uscita. Si tratta di una strategia preventiva volta a chiudere il dibattito sul nascere presentando ogni opzione di eventuale rottura, o anche solo ogni voce critica, come un’irresponsabile e puerile fuga in avanti irrealizzabile o terribilmente dannosa.

Di recente ci ha pensato Floris, noto presentatore “Di martedì”, a terrorizzarci con un elenco dei costi che l’Italia dovrebbe sostenere se qualche folle si mettesse in testa di uscire dall’Unione europea. E lo ha fatto ricorrendo ad un breve schema ad effetto.

  1. obbligo di restituzione di 430 miliardi alla BCE;

  2. fuga di investitori e capitali, rischio default banche;

  3. maxi-inflazione, crollo potere acquisto salari e pensioni;

  4. mutui in euro più cari da ripagare in lire;

  5. aumento costo materie prime, aumento bollette.

Lo schemino di Floris ci fornisce lo spunto per fare chiarezza in particolare sul primo punto, quello relativo alla presunta restituzione di 430 miliardi alla BCE. Ci si riferisce al saldo di un conto, aperto presso la BCE, noto come Target 2.

Print Friendly, PDF & Email

eticaeconomia

Contrordine: austerità e tagli delle tasse non funzionano! Ce lo dice l’Europa

di Civil Servant

1390979187 euro7Fino alla Grande Recessione, il pensiero unico sulle politiche fiscali prescriveva tagli di tasse e spese per rilanciare la crescita, ovvero un ridimensionamento del ruolo dello stato nell’economia. La corrispondente ricetta per sostenere l’occupazione e gli investimenti era l’abbattimento delle tasse sulle imprese, che avrebbero impiegato le risorse liberate dal fisco per espandere la loro attività. Gli USA, con il loro tradizionale pragmatismo, furono tra i primi a violare questi tabù per contrastare la recessione, spendendo in deficit quasi 800 miliardi di dollari (pari al 5,5% del Pil) solo nel 2009. Nel frattempo la Commissione Europea resisteva ad ogni tentazione e continuava a concedere solo qualche decimale di “flessibilità” sui bilanci pubblici e ad imporre programmi di consolidamento fiscale lacrime e sangue nei paesi più indebitati. Grazie a questa lungimirante politica economica, la recessione è durata solo un paio di anni negli USA, mentre non è stata ancora completamente superata in parecchi paesi della UE, tra cui l’Italia.

Nei primi giorni del 2013 anche il Fondo Monetario Internazionale recitava un imbarazzante mea culpa sulle politiche di austerity applicate sulla pelle dei greci, attribuendo tutti gli errori ad una sottovalutazione dei moltiplicatori fiscali nel corso di una recessione. Fu come dare la colpa della morte per inedia di alcuni pazienti in cura per sovrappeso (purtroppo non solo metaforica) ad una bilancia rotta, ma fu comunque un passo in avanti rispetto ai dogmi difesi degli anni precedenti con tanto di scomuniche e roghi per gli eretici. Ora, quasi a babbo morto, anche la Commissione Europea sembra cospargersi il capo di cenere, riconoscendo che, in caso di recessione, è meglio aumentare la spesa pubblica, finanziandola con nuove tasse, piuttosto che tagliare servizi e investimenti. Tutto il contrario del mantra recitato da quasi tutte le forze politiche italiane, anche da quelle che si dichiarano progressiste.

Print Friendly, PDF & Email

sollevazione2

La via dell'Italexit

di Leonardo Mazzei

Alcuni lettori, per niente convinti dell'ITALEXIT, ovvero dell'uscita dall'euro, hanno mosso delle obiezioni alle tesi di MPL-P101 pubblicate giorni addietro.  "L'Italia è troppo piccola per reggere l'urto della reazione dei mercati", "col debito che abbiamo ci strangolerebbero", "i capitali fuggirebbero a gambe levate", "avremmo inflazione e... svalutazione". Volentieri entriamo nel dettaglio con questo articolo

maxresdefaultQuelli che... ormai è troppo tardi

Che l'euro sia un grave problema per l'economia italiana viene ormai riconosciuto con sempre maggior frequenza. Ma mentre la platea degli ultras della moneta unica si va pian piano svuotando, viene invece a riempiersi quella di chi, pur ammettendo i danni prodotti, sa solo concludere che ormai è troppo tardi per uscirne.

Insomma, se fino a qualche tempo fa si doveva assolutamente restare nell'eurozona per i presunti benefici di questa collocazione - moneta "forte", aggancio a sistemi produttivi considerati più avanzati, tutela del risparmio, eccetera - oggi si tende ad evidenziare i problemi connessi all'uscita. Segno dei tempi, senza dubbio, ma anche della manifesta impossibilità di continuare a sostenere la bontà di una scelta che ha fatto sprofondare l'Italia nella crisi più grave degli ultimi ottant'anni.

Certo, la recessione scoppiata nel 2008 ha avuto una dimensione non solo europea, ma il fatto che si sia rivelata più profonda e prolungata proprio nell'Unione, ed ancor più nell'eurozona, qualcosa dovrà pur dirci. Tanto più che tra i benefici dell'euro doveva esserci pure quello di attenuare i cosiddetti shock esterni. E' avvenuto invece il contrario, come dimostrato da tutti gli indicatori economici: da un lato l'Unione Europea è l'area dove la crisi ha picchiato più duro, dall'altro l'euro ha aumentato le asimmetrie tra le varie economie nazionali che la compongono.

Print Friendly, PDF & Email

la citta futura

Crisi, Mes e conflittualità interimperialistica

di Francesco Schettino

Il MES è lo strumento del capitale europeo per difendersi dalla concorrenza e scaricare i costi delle ristrutturazioni sui lavoratori. Ecco perché

be8530058adf85d5a4e7456ae2fbeb32 XLLa questione del Mes in pillole

Cavalcando il puledro del nazionalismo ormai palesemente vincente in larga parte d’Europa, l’estrema destra italiana ha colto l’occasione della cosiddetta riforma del Mes (Meccanismo europeo di stabilità) per gridare all’ennesimo schiaffo da parte della Germania verso l’Italia e i “poveri” paesi del sud del continente – tentando così di racimolare qualche voto in più in vista delle varie tornate elettorali locali che la vedranno principale attrice.

Prima di tentare di capire come si colloca nella fase attuale e perché una lettura “locale” è giustamente coerente con un quadro proprio delle “teorie” nazionaliste, mentre è incompatibile con una visione di classe dei fenomeni economici, sembra corretto, senza alcuna velleità di essere esaustivi, data la brevità del saggio, almeno descrivere sinteticamente di cosa si tratta.

Per dirla in parole molto semplificate, il Meccanismo europeo di stabilità, come lo stesso acronimo suggerisce, nasce nello stesso ambito politico economico del processo di integrazione politica ed economica iniziato sostanzialmente negli anni ‘90 con il famoso patto di Maastricht, passando per l’adozione della valuta unica tra la fine dello stesso decennio e l’inizio del nuovo millennio, attraversando l’esplosione della crisi post 2008, l’imposizione della disciplina del pareggio di bilancio e il fallimento ellenico “gestito” dalla troika intorno all’anno 2012.

Print Friendly, PDF & Email

orizzonte48

Il nuovo uomo €uropeo

di Quarantotto

5653297722 a67668c582 b1. Con una certa titubanza, ed un elevato scetticismo sulla possibilità che le più varie formazioni politiche italiane possano (voler) accedere a un dibattito approfondito sui motivi della necessità di efficaci politiche anticicliche, torniamo a trattare il problema del deficit pubblico.

Su questo punto, in realtà, ove si assecondino e si intenda rendere incontestabili i postulati economici che soprassiedono alle regole dell'eurozona, avremmo delle certezze che non possono non essere definite come "diritto positivo".

Anzitutto, avremmo l'indicazione costituzionale fornita dal "nuovo" (ormai non più tanto) art.81 della Costituzione, che, come dovrebbe essere notorio, dispone, nelle parti più direttamente rilevanti sul tema del "livello" del deficit (denominato "indebitamento", sottintendendosi, con tale termine, l'annualità e la pertinenza al settore pubblico dello stesso, nell'ambito dei c.d. saldi settoriali della contabilità nazionale):

"Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali...
....Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei princìpi definiti con legge costituzionale."

Print Friendly, PDF & Email

economiaepolitica

Inasprire il vincolo esterno. Il Meccanismo europeo di stabilità e il mercato delle riforme

di Alessandro Somma

Riforma MES 1024x621 660x400Un Superstato di polizia economica

Nel corso degli anni l’Europa unita è divenuta un catalizzatore di riforme che elevano il principio di concorrenza a paradigma dello stare insieme come società, e impediscono a principi alternativi di persistere o eventualmente di riemergere. I Paesi membri sono chiamati a tradurre le leggi del mercato in leggi dello Stato, riducendo così l’inclusione sociale a inclusione in un ordine incentrato sul libero incontro di domanda e offerta. Il tutto presidiato da uno “Stato forte e indipendente” cui attribuire compiti di “severa polizia del mercato”: come sintetizzato anni or sono da un padre del neoliberalismo[1].

Spicca tra questi compiti il contrasto delle concentrazioni di potere economico, ovvero l’isolamento dell’individuo di fronte al mercato, al fine di condannarlo a tenere i soli comportamenti che costituiscono reazioni automatiche agli stimoli della libera concorrenza. E lo stesso deve valere per gli Stati, che si devono rendere incapaci di operare in senso difforme rispetto a quanto corrisponde alle aspettative dei mercati. Anche per questo i Trattati europei codificano il “principio del non salvataggio finanziario”, per cui “l’Unione non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni statali, dagli enti regionali, locali, o altri enti pubblici, da altri organismi di diritto pubblico o da imprese pubbliche di qualsiasi Stato membro” (art. 125 Trattato sul funzionamento Ue).

Il divieto di bail out non costituisce un presidio contro l’indebitamento pubblico, o almeno questa non costituisce la sua principale ragion d’essere. Prevale infatti una diversa finalità: costringere gli Stati a reperire risorse presso i mercati, a cui si conferisce così la funzione di disciplinare i comportamenti degli Stati.