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economiaepolitica

Gli effetti di un’uscita dall’euro su crescita, occupazione e salari

Riccardo Realfonzo e Angelantonio Viscione

L’analisi tecnica dimostra che hanno torto sia i catastrofisti sostenitori dell’euro senza se e senza ma sia gli ingenui teorici della moneta unica come origine di tutti i mali. L’euroexit potrebbe essere una strada per tornare a crescere, ma al tempo stesso cela gravi rischi, soprattutto per il mondo del lavoro. A ben vedere, tutto dipende da come si resta nell’euro e da come, eventualmente, se ne esce.

arton149511. Con l’austerity l’euro non regge

È dalla fine del 2007 che l’eurozona ha smesso di crescere e i processi di divergenza tra i Paesi centrali e quelli periferici si fanno sempre più impetuosi[1]. Continuando con le politiche economiche di austerità imposte dai Trattati la crisi dell’eurozona è solo questione di tempo[2]. D’altra parte, la permanenza dei paesi periferici nell’euro, nel quadro delle politiche restrittive, produce effetti sociali ed economici drammatici. Il caso italiano è eloquente: stiamo assistendo a un lento, progressivo, declino; con una economia ampiamente decresciuta, la disoccupazione dilagante, una distribuzione del reddito sempre più diseguale, la ritirata dello stato sociale. Certo, cambiare il segno delle politiche europee sarebbe senz’altro l’opzione migliore. Ma si tratta di una soluzione politicamente sempre meno probabile, dal momento che la Germania e i suoi paesi-satellite continuano a respingere ogni apertura in tal senso. Bisogna quindi domandarsi quali potrebbero essere le conseguenze di una fuoriuscita dall’euro.

Naturalmente, non è semplice prevedere gli scenari successivi a una crisi dell’euro. Anche perché molto dipenderebbe dalla possibilità che l’euroexit coinvolga uno o più Paesi, e grande rilievo avrebbe il “peso” economico-politico di tali paesi. Ancora, le cose cambierebbero molto se le fuoriuscite fossero o meno coordinate e se sfociassero o meno in uno o più accordi di cambio. Ed è inutile dire che su tutto ciò per adesso si brancola nel buio.

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lantidiplomatico

"Non è affatto detto che la fine dell’euro comporti una svalutazione di una 'nuova lira' italiana"

Cesare Sacchetti intervista Gennaro Zezza*

nuova-moneta-fiscale-per-vincere-la-crisi-477Professore secondo i recenti dati dell’Istat, l’Italia nell’ultimo trimestre del 2014 ha superato il rapporto deficit/PIL dei parametri di Maastricht, toccando quota 3,5%. Il Governo ha dichiarato che con le misure correttive inserite nella legge di stabilità, conta di ridurre la percentuale fino al 3% nel corso dell’anno. Lei crede che tutto ciò basterà a Bruxelles, o corriamo il rischio di nuove misure correttive con un commissariamento ancora maggiore? Quali sono gli effetti delle politiche procicliche di riduzione del deficit in questa fase congiunturale?

Quanto è successo in Europa, ed in particolare in Grecia, negli ultimi anni dovrebbe aver chiarito che il tentativo di ridurre il rapporto tra debito pubblico e PIL con una contrazione fiscale – aumentando le tasse e riducendo la spesa pubblica – ha effetti devastanti sull’economia. Il reddito diminuisce, e con il reddito cala anche il gettito fiscale, l’economia va a rotoli e – se pure si riesce a diminuire il deficit, la caduta contestuale del PIL rende la manovra insostenibile per il Paese. La Grecia ha raggiunto a stento un precario equilibrio dei conti pubblici, pagando un prezzo esorbitante in termini di disoccupazione e di povertà. I governi italiani non sembrano aver imparato la lezione: a mio avviso la lunga recessione italiana è dovuta in gran parte alla politica di “risanamento” dei conti pubblici attuata nel momento peggiore. Sarebbe invece urgente sospendere i vincoli imposti dai trattati europei per pensare alla creazione di posti di lavoro.

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lantidiplomatico

"Il Piano Draghi ideato per salvare l'euro e imporre l'Unione Politica non è sostenibile"

Intervista a Piergiorgio Gawronski*

Piergiorgio Gawronski. Economista, pubblicista. In passato ha lavorato all’ufficio studi della BNL, all’OCSE, all’UNCTAD, alla “policy unit” della Presidenza del Consiglio. E’ stato attivista e consulente di numerose Ong in Italia e all’estero (Amnesty International, Observatoire de la Finance). Cura un blog sul Fatto Quotidiano

700x350c50Keynes definì i politici che gestirono la crisi degli anni '30 come dei “pazzi al potere”. Come dobbiamo definire i politici che dal 2011 ad oggi hanno catapultato l'Europa nella disoccupazione di massa, nella povertà diffusa, nella deflazione e nella rinegoziazione di diritti sociali acquisiti per seguire le stesse strategie fallimentari di quegli anni? 

Sembra un andare sopra le righe, ma in realtà è proprio così. In passato, personalmente, nel 2011 li ho definiti personaggi straordinariamente incompetenti e mi riferivo in particolare alla Banca centrale europea, quella stessa istituzione che - Draghi ha coraggosamente ammesso, nel celebre discorso dell’Agosto 2014 di Jackson Hole - ha provocato il disastro attuale. Il presidente della Bce ha, nello specifico, sottolineato che gli spread schizzarono in su “non tanto per i debiti pubblici, bensì per l'assenza di una rete protezione adeguata della Bce”. Già…

Naturalmente ci sono altre motivazioni, oltre all'incompetenza. L’ho scritto in un mio articolo intitolato “La strategia della tensione della zona euro”, dove riportavo un dialogo con un mio caro amico.

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sbilanciamoci

Quale cultura per ridisegnare l'Europa

di Sergio Bruno

Gli economisti dell’austerità fanno coincidere cultura, lungimiranza ed etica con rigore, mercato e vincoli. Ma è la stessa esperienza in corso che boccia una tale visione

wally-with-a-red-blouseHo detto che, ove si riuscisse ad arrestare l’attuale deriva delle strategie europee, occorrerebbe poi dotarsi di più strumenti culturali, di più lungimiranza, di più etica. Gli economisti dell’austerità fanno coincidere cultura, lungimiranza ed etica con rigore, mercato e vincoli. A mio avviso è la stessa esperienza in corso che boccia una tale visione. Occorre invece tornare agli insegnamenti suggeriti dall’esperienza storica e da una buona parte degli economisti e dei politici della prima parte del secolo scorso, aggiornando il quadro problematico per raccordarlo meglio alle trasformazioni intervenute da allora.

Il lungo periodo di grande espansione ed evoluzione che è durato dalla fine del 1800 agli anni 1970, sia pure con alti e bassi, con momenti di crisi evidenti come quelli degli anni 1930, con accelerazioni dai risvolti crudeli quali quelle dovute agli sforzi bellici, ha molto da insegnarci. Il processo espansivo ha visto sempre come protagonisti complementari lo stato, le imprese, i sindacati. Le egemonie sono state di volta in volta diverse. Una buona parte di tali esperienze è stata innescata dalle grandi imprese innovative, quelle che maggiormente hanno raccolto i frutti delle grandi invenzioni maturate in sede scientifica a partire dalla fine dell’ 800, spesso contribuendo alla loro maturazione e sempre al loro successo.

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micromega

"L’eurozona? Insostenibile. Tsipras valuti anche l’uscita dall’euro”

Giacomo Russo Spena intervista Emiliano Brancaccio

merkel-tsipras-510Secondo l’economista l'abbandono della moneta unica è un’opzione difficile, che al momento Syriza non contempla. Ma la storia europea potrebbe intraprendere sentieri molto diversi a seconda di quali forze politiche, per prime, si assumeranno il compito di trarre le conseguenze del fallimento dell’eurozona: “Oggi l’egemonia politica è contesa tra liberisti e razzisti. Se la sinistra affrontasse per prima i nodi dell’euro, le prospettive europee potrebbero farsi meno cupe”.

Le elezioni in Grecia del prossimo 25 gennaio hanno assunto una valenza europea. La vittoria di Syriza e del suo leader Alexis Tsipras incutono paura alla finanza e ai poteri forti dell’Unione Europea. Il presidente Juncker ha invitato a “non votare in modo sbagliato”, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato la sospensione dei negoziati sugli aiuti alla Grecia fino alla formazione del nuovo governo, mentre i mercati hanno mandato a picco la borsa di Atene facendo schizzare in alto i tassi sui titoli di Stato. Indicazioni arrivano anche dalla Germania: la Cancelliera Angela Merkel ha ribadito che dopo le elezioni la Grecia non dovrà abbandonare le politiche di austerity e di competitività salariale, mentre il ministro delle Finanze Wolfgang Schauble ha dichiarato che solo rispettando i “memorandum” imposti dalla Troika i greci potranno rimettere i conti in ordine e avviare la ripresa. Che partita si sta realmente giocando ad Atene? Ne parliamo con Emiliano Brancaccio, docente di Economia all’Università del Sannio e promotore del “monito degli economisti”, un documento pubblicato sul Financial Times nel 2013, alquanto scettico sulle future possibilità di sopravvivenza dell’euro.

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euronomade

Per una politica delle lotte: Syriza, Podemos e noi

di Sandro Mezzadra e Toni Negri

f1 0 bruxelles-sindacati-europei-ces-contro-l-austeritaIl 2014 si è chiuso con la mancata elezione del Presidente della Repubblica in Grecia, e dunque con la convocazione di elezioni politiche anticipate. E’ un passaggio politico di grande importanza, destinato a segnare un anno che, in Europa, si concluderà con le elezioni in Spagna (dove già a maggio si voterà per i municipi e le “autonomie”). E’ del tutto evidente che quelle greche non saranno semplici elezioni “nazionali”: le pesanti ingerenze del governo tedesco e della Commissione europea, destinate a intensificarsi nelle prossime settimane, mostrano chiaramente come in gioco vi sia l’assetto complessivo delle istituzioni europee, ridefinito in questi anni attraverso la gestione della crisi. La reazione della Borsa di Atene al semplice annuncio da parte di Samaras della decisione di anticipare le elezioni presidenziali il 9 dicembre, con un crollo superiore al 12%, aveva del resto già lasciato intendere quale sarebbe stato il ruolo di un altro attore fondamentale, ovvero del capitale finanziario.

In queste condizioni, la partita che si appresta a giocare Syriza è evidentemente complicata, e ci sembrano davvero un po’ ingenue le posizioni che all’interno della sinistra europea, magari ammantandosi di realismo politico, propongono scenari lineari di superamento del neoliberalismo e dell’austerity, attraverso un recupero della sovranità nazionale.

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manifesto

I nove passi per ripudiare il debito pubblico

Guido Viale

La tenuta del progetto di «rinegoziazione radicale» lanciato da Syriza (e dell’Altra Europa) è l’unica chiave per superare la crisi devastante dell’eurozona. Uscire dalla moneta unica come vogliono Salvini e Le Pen, infatti, massacrerebbe soprattutto lavoratori e famiglie

03lettere-intervento-debito-729866La rine­go­zia­zione radi­cale dei debiti pub­blici dei paesi dell’eurozona in dif­fi­coltà, inclusa da tempo nel pro­gramma di Syriza e con­di­visa dall’Altra Europa, pre­senta risvolti com­plessi e deli­cati che vanno affron­tati anche in sede tec­nica: per pre­ve­derne le con­se­guenze macroe­co­no­mi­che più dirom­penti e cer­care di pre­ve­nirle; ma soprat­tutto per pro­teg­gere i pic­coli risparmiatori.

Nell’affrontare que­sti pro­blemi occorre met­tere però al primo posto la «poli­tica» e non l’«economia», le scelte che pos­sono orien­tare il con­flitto sociale e non l’idea che il sistema possa con­ti­nuare o addi­rit­tura ripren­dere a fun­zio­nare come sempre.

Siamo di fonte o alla vigi­lia di una grande rot­tura: «L’Europa è a un bivio», come recita l’incipit dell’appello da cui è nata la lista L’Altra Europa con Tsi­pras. Per que­sto, prima di entrare negli ine­lu­di­bili aspetti tec­nici è oppor­tuno fis­sare alcuni punti di carat­tere generale.

 

1. I debiti pub­blici di alcuni paesi dell’eurozona, tra cui Gre­cia e Ita­lia, ma non solo, sono inso­ste­ni­bili. Quale che sia lo spread, gli inte­ressi da pagare sono tali che divo­rano le risorse senza con­sen­tire, non solo una «cre­scita» dura­tura, ma nem­meno il livello di atti­vità eco­no­mica rag­giunto in pas­sato.

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sollevazione2

La Grecia al voto

di Leonardo Mazzei

SyrizaFlagsDunque è ufficiale: la Grecia andrà al voto il prossimo 25 gennaio. L'elezione del tecnocrate eurista Stavros Dimas è fallita. I 168 voti di martedì scorso sono rimasti tali e quali anche nel terzo scrutinio di stamattina. La campagna acquisti di Samaras non ha funzionato, e ora tutto si giocherà in una battaglia elettorale che si preannuncia davvero infuocata.

Questo esito non deve sorprendere. L'obiettivo del capo del governo di Atene è stato, fin dal principio - cioè dalla decisione di anticipare l'elezione presidenziale -, quello di drammatizzare lo scontro per ribaltare i sondaggi elettorali che attualmente prevedono la vittoria di Syriza.

In realtà il margine tra il partito guidato da Tsipras e Nea Dimokratia sembrerebbe assai limitato, da due a sei punti percentuali. Un distacco che Samaras, spalleggiato in pieno dall'Unione Europea e dal Fondo monetario internazionale, pensa di poter colmare. E non è affatto detto che questo disegno sia destinato al fallimento.

Alla fine è molto probabile che tutto si giochi per una manciata di voti. E siccome il sistema elettorale assegna un premio di maggioranza di 50 parlamentari (su 300) a chi arriva primo, è prevedibile una fortissima polarizzazione del voto tra i primi due partiti, come già avvenne nelle elezioni del giugno 2012.

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micromega

Il destino dell’Europa fra retorica sovranazionale e antipolitica populista

di Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli

templari-256x200La crisi dell’euro ha generato e continua a generare disoccupazione, povertà e de-industrializzazione nei paesi cosiddetti periferici (periphery countries) dell’Eurozona, come Grecia, Spagna e Italia. Per quanto riguarda l’Italia in particolare, i dati economici peggiorano di mese in mese, in maniera sempre più drammatica. In tutta l’Eurozona, la crisi ha accelerato lo smantellamento dei sistemi di protezione sociale e la de-regolamentazione del mercato del lavoro.

Nei paesi cosiddetti centrali (core countries) dell’unione monetaria, e in particolare in Germania, la crisi ha garantito stabilità alle élite politiche dominanti. Queste élite germaniche e nordiche si son rese responsabili di politiche di svalutazione interna, e quindi di repressione salariale. Questi politici si vantano di riforme del mercato del lavoro – incluse quelle del socialdemocratico Schröder – che vanno contro gli interessi dei lavoratori e di coloro che il lavoro lo cercano, indicando ai propri elettori la necessità di queste riforme per evitare lo sciagurato destino dei paesi periferici, e nascondendo come le politiche mercantilistiche perseguite a livello domestico dai paesi centrali abbiano pesantemente contribuito ai problemi dei paesi periferici.

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sollevazione2

Te lo do io il quantitative easing!

di Leonardo Mazzei

draghi mosse2Raramente la verità delle cose si mostra fin da subito nella sua pienezza. Anzi, di solito, essa ama nascondersi nelle pieghe degli eventi e dei processi che segnano la storia, i cui svolgimenti sono in genere tortuosi e non privi di contraddizioni. Ed il percorso dissolutivo dell'Unione Europea, realisticamente preceduto dalla fine della moneta unica, non fa certo eccezione.

Per comprendere la portata di quanto sta avvenendo è utile tornare sulla vicenda del Quantitative easing (QE), sulla quale abbiamo già scritto pochi giorni fa (vedi Il QE della discordia). Le cose corrono infatti con la fretta dovuta dei momenti topici, e nuovi e decisivi elementi sulle manovre in corso sono ormai di pubblico dominio.

Due settimane fa avevamo ipotizzato uno scenario dove al successo d'immagine di Draghi, l'avvio del QE appunto, corrispondeva una vittoria del governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, sulla sostanza di questa operazione. Come dire: a Draghi le telecamere, a Weidmann gli euro-tedeschi ben chiusi in cassaforte.

Quel che è emerso in questi ultimi giorni non fa che confermare questa ipotesi, che comincia ad assumere contorni sempre più precisi quanto più inquietanti per i paesi dell'area mediterranea.

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vocidallestero

I motivi per non fare il QE dell’eurozona

di Frances Coppola

draghi-bce-quantitative-easingDal sito di Forbes, Frances Coppola spiega perché anche il tanto invocato acquisto di titoli di stato da parte della BCE non risolverà i problemi dell’eurozona. E arriva alla conclusione che sappiamo da tempo: nessun intervento centralizzato sulla politica monetaria potrà ricomporre gli squilibri e le divergenze  tra gli stati membri. E sono queste divergenze la vera causa dei problemi dell’eurozona.

 

Mentre il rischio di deflazione si avvicina, continuano ad aumentare le richieste che la BCE si imbarchi in un programma di acquisto titoli di stato in maniera simile a quanto fatto in anni recenti dalla Federal Reserve, dalla Banca d’Inghilterra e dalla Banca del Giappone. Finora, la BCE non ha ceduto a questa forma di allentamento monetario, preferendo offrire finanziamenti a basso costo alle banche, tassare i depositi inattivi, e più recentemente imbarcarsi nell’acquisto di prestiti cartolarizzati alle PMI  e covered bonds. Queste misure di allentamento del credito sono progettate per incoraggiare le banche a prestare sia alle famiglie sia alle imprese.

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sollevazione2

Primo: salvare le banche!

Il Quantitative easing di Mario Draghi

di Leonardo Mazzei

Il processo inarrestabile della disunione europea va avanti

563780 357961787645510 958738154 nQuantitative easing (QE): ecco il nuovo pomo della discordia di un'Europa sempre più divisa. La questione è da tempo sul tavolo della Bce, ma adesso il tempo stringe. Il problema è quello se utilizzare, oppure no, il QE per acquistare titoli di Stato. E, se sì, in quale misura. Su tutto ciò i paesi dell'eurozona sono divisi, e così pure il comitato esecutivo della Bce.

Il QE è un classico strumento di politica monetaria. L'acquisto di titoli - in generale non importa se pubblici o privati - è il mezzo per ottenere un significativo aumento della massa monetaria. Uno "stampare moneta" che, aumentando la liquidità, è normalmente orientato a far ripartire il credito e gli investimenti. Uno strumento, dunque, di una politica anticiclica utilizzato per contribuire all'uscita dalle recessioni più profonde. Che è quello che hanno fatto, con risultati significativi anche se non sempre univoci, le banche centrali degli Stati Uniti (Fed), del Giappone e della Gran Bretagna.

Il caso dell'eurozona è però palesemente diverso. E la diversità risiede nell'assurdità di una moneta unica per 18 stati con 18 diversi debiti, con 18 diversi tassi di interesse e 18 diversirating. Il tutto a rappresentare 18 economie piuttosto disomogenee tra loro. Ovvio che in questa situazione la Bce sia intervenuta di fatto, negli anni scorsi, solo a tamponare provvisoriamente la situazione nei momenti più drammatici della crisi del debito.

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vincitori e vinti

Il bazooka che sparò coriandoli

di Paolo Cardena

mario-draghi-quantitative-easing-2A proposito della BCE e del possibile quantitave easing, ci sono due semplici concetti chiave da dover comprendere.

Il primo è che la BCE non puo' finanziare direttamente i governi e questo pregiudica la possibilità da parte della BCE di comprare direttamente debiti sovrani, cioè di fare un quantitative easing sul debito pubblico; la seconda è che la BCE ha come mandato quello di garantire la stabilità dei prezzi (cioè l'inflazione posta come target al 2%) e la stabilità del sistema finanziario. 

Ora, siccome la stabilità dei prezzi è minacciata da spinte deflazionistiche in molti paesi dell'area mediterranea che, peraltro, mettono a rischio anche la stabilità finanziaria dell'intera area poiché rendono i debiti pubblici difficilmente sostenibili, la BCE, in assenza di modifiche ai trattati istitutivi dell'euro e al proprio statuto,  potrebbe aggirare il primo divieto (quello di comprare debiti sovrani), facendo leva sulle attribuzioni del suo mandato che è quello di garantire la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria dell'intera area

Quindi, in altre parole, dovrebbe dire: "siccome la deflazione pregiudica la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria dell'intera area, come estrema ratio, non abbiamo alternativa che comprare debito pubblico finanziando direttamente gli stati, pur violando apertamente il principio secondo il quale la Bce non puo' finanziare i singoli governi". Un discorso del genere, benché reso più istituzionale da parte della BCE, è semplicemente qualcosa di logicamente improponibile da ascoltare ed è espressione delle innumerevoli contraddizioni della moneta unica. Non c'è nulla da dire: in questo,  i padri fondatori dell'euro sono stati dei veri fenomeni.

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micromega

Il Titanic Europa e le illusioni di Fassina

di Guido Iodice

upload02-titanic-eu-01Da alcuni mesi l'ex viceministro dell'economia si è unito al coro degli antieuro, auspicando un “superamento cooperativo” della moneta unica. Ma la vaghezza regna sovrana nella sinistra Pd e la sua analisi rischia di non reggere il confronto con la realtà, mentre rimangono fumosi i contorni della proposta politica.

 

Un repentino cambio di fronte

Le critiche di Stefano Fassina all'Europa si sono spinte negli ultimi mesi fino alla messa in discussione della moneta unica. Secondo l'ex viceministro, la situazione dell'eurozona sarebbe insostenibile. Ciò implicherebbe la necessità, da parte del nostro paese, e in particolare da parte della sinistra, di promuovere un “superamento cooperativo” dell'euro. Continuare sulla strada attuale sarebbe iniquo perché “se non si può svalutare la moneta, si svaluta il salario”.

Un concetto (che abbiamo già criticato su Micromega online) ripetuto anche nella direzione Pd alla vigilia del Jobs act. In quella sede, l'ex viceministro aveva spiegato che la cancellazione dell'articolo 18 era un diktat imposto dall'Europa e accettato da Renzi al fine di riequilibrare i differenziali di competitività nella zona euro.

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sinistra

Novità a sinistra sull'euro

Sergio Cesaratto interviene sulle novità che emergono nell'area dell'opposizione nel Pd. Di seguito un commento di Mimmo Porcaro su questo intervento.

sinistra-no-euro

 

La sinistra oltre l’euro

di Sergio Cesaratto

Le posizioni che Stefano Fassina ha espresso nelle passate settimane su (a) l’insostenibilità dell’euro a fronte del venir meno delle speranze di un cambiamento delle politiche europee, e (b) il fallimento di una dimensione democratica europea sovranazionale e la necessità di ripristinare una sovranità democratica nazionale, segnano una novità assoluta nel panorama della sinistra italiana. Sinora per ritrovare posizioni simili, la cui elaborazione in questi anni è ascrivibile a una manciata di economisti di sinistra, si doveva andare a cercare nei meandri delle sinistre più estreme, oppure a destra. Esaminiamo i due punti.