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lantidiplomatico

"La Consulta troppo debole di fronte alla distruzione, decisa a Bruxelles, della Costituzione"

Cesare Sacchetti intervista Luciano Barra Caracciolo

E Renzi prosegue nell'accettare la decrescita infelice imposta da Bruxelles

geab62Luciano Barra Caracciolo, Presidente della VI Sezione del Consiglio di Stato, che ha denunciato nel suo libro “Euro e (o?) democrazia costituzionale - La convivenza impossibile tra Costituzione e Trattati europei “ l’incostituzionalità dei Trattati europei, descrive l’inefficacia delle politiche di riduzione del deficit pubblico, basate sul modello economico neoliberista caro alla Commissione Europea. Politiche che di fatto continuano a precipitare il Paese in una recessione ancora maggiore, con il Governo che puntualmente elabora previsioni di ripresa che fino ad ora non si sono mai realizzate.

 

- Dottor Barra Caracciolo, partiamo dalle previsioni d’autunno della Commissione Europea, secondo le quali l’Italia non raggiungerà il pareggio di bilancio nel 2017. Secondo la Commissione il disavanzo strutturale aumenterà dallo 0,9 % all’ 1%. Kaitanen, vicepresidente con delega alla crescita, agli investimenti, e all’occupazione sottolinea l’importanza di rispettare il Patto di Stabilità. All’Italia saranno chieste misure correttive? Se sì, di che tipo?

Parlare di decimali su indicatori come “disavanzo strutturale” e crescita, in relazione ai modelli economici utilizzati dalla Commissione è praticamente privo di senso. Le previsioni effettuate in base al loro modello economico si rivelano costantemente sbagliate. Questo perché muovono dal presupposto neo-liberista della “neutralità” del deficit pubblico, la cui riduzione sarebbe “espansiva” in base ad uno spiazzamento dal bilancio pubblico agli investimenti privati. 

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sinistranoeuro

L’Euro e la nuova fase della crisi sistemica*

Piero Pagliani

Pan-Dora-2001-130x120-olio-su-telaDa quando a sinistra si è iniziato a dibattere sulla necessità di uscire dalla moneta unica, sono cambiate molte cose. Siamo infatti entrati in una fase nuova della crisi sistemica che obbliga necessariamente a rivedere i termini della questione.

Innanzitutto, la questione dell’Euro non è mai stata posta solo a sinistra. Oggi non passa giorno che sui media mainstream non si legga una critica all’Euro e persino fondate motivazioni economiche per abbandonarlo.

Tuttavia, come ben si sa, il diavolo si nasconde nel dettaglio e lo schieramento anti-Euro è differenziato da più di un dettaglio politico. Allo stesso modo io non credo che i proclami contro l’austerity di Renzi o Hollande abbiano nulla a che vedere con la battaglia contro l’austerity condotta ormai da anni da alcune forze minoritarie della sinistra. Premesse differenti per conclusioni necessariamente differenti.. Si potrebbe, in linea puramente teorica, immaginare un variegato fronte anti-Euro solo se si pensasse che la moneta unica sia stata una distorsione che ha causato la crisi attuale. Ma l’Euro non ha causato la crisi sistemica attuale. Anzi, è stato un tentativo di risposta alla crisi sistemica ma, come vedremo, destinato al fallimento e a lasciare dietro di sé enormi danni.

La crisi sistemica attuale inizia a profilarsi alla fine degli anni Sessanta a partire dagli USA come crisi di sovraccumulazione. I capitali accumulati durante il “ventennio d’oro” del dopoguerra erano ormai troppi rispetto alla loro possibilità di impiego profittevole in commercio e industria e si intralciavano a vicenda.

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sinistranoeuro

Sinistra, sovranità nazionale, socialismo*

di  Mimmo Porcaro

1uscita-a-sinistraAbbiamo organizzato questo convegno perché riteniamo che da qualche tempo, nell’ambito di una parte della sinistra, iniziano a presentarsi alcune idee nuove, o comunque inusuali.

La prima è che esiste un divario ormai insuperabile tra le esigenze dei lavoratori, e dell’intero paese, e le risposte dei gruppi dirigenti italiani, inclusi quelli di una sempre più sparuta sinistra, divisa tra subalternità e minoritarismo.

La seconda è che le ragioni dell’inefficacia della sinistra stanno anche nell’incapacità di affrontare alcuni nodi strategici decisivi, che io ora proverò ad indicare dandone, ovviamente, un’interpretazione personale che però so non essere del tutto diversa da quella dei nostri interlocutori.

 

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L’epoca in cui viviamo è ormai chiaramente quella dello scontro tra potenze mondiali, e questo scontro determina e determinerà sempre di più i tempi e i modi dello stesso conflitto di classe. Di fronte ad un tale scontro non sembra più sufficiente invocare la pace, ma è necessario costruire, per l’Italia e l’Europa, una posizione di neutralità attiva che si identifica con un allontanamento dagli Stati Uniti e un avvicinamento ai Brics.

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sbilanciamoci

Il modello dell'Euroeccesso

di Thomas Fazi

Il surplus europeo delle partite correnti è il più grande surplus mai generato nella storia dei mercati finanziari globali. Un recente rapporto di Deutsche Bank spiega perché questo rappresenta un serio pericolo. Per l’Europa, ma anche per il resto del mondo

resize10Per la Germania, il suo enorme surplus commerciale – il più alto al mondo – è un motivo di orgoglio nazionale. La dimostrazione della superiorità del suo modello economico. Ma, come ormai sostengono anche vari economisti tedeschi (vedi il mio recente articolo sul tema, Germania: il vero malato d’Europa), si tratta di una pericolosa illusione: il “miracolo” delle esportazioni tedesche non è tanto da imputare a una maggiore “produttività” o “efficienza” del sistema tedesco, quanto piuttosto a una ferrea politica di compressione dei salari e della domanda interna che ha permesso al paese di acquisire un vantaggio competitivo rispetto ai suoi partner europei. E al fatto che gli altri paesi del continente non hanno seguito la stessa politica salariale, ma hanno invece mantenuto un livello di domanda tale da poter assorbire le esportazioni tedesche, accumulando così ampi disavanzi commerciali. Anche in virtù di bolle speculative alimentate proprio dal settore finanziario tedesco, che hanno permesso ai consumatori di questi paesi di continuare ad importare prodotti della Germania.

Da cui si evince quanto sia fallace l’idea che il “modello tedesco” possa rappresentare un modello per l’eurozona o per l’Europa nel suo complesso, poiché risulta evidente che esso può funzionare solo se c’è qualcuno che si fa carico di trainare le esportazioni, stimolando la domanda interna.

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micromega

Sinistra svegliati, la casa europea brucia

di Enrico Grazzini

Il legame strettissimo tra la politica recessiva dell’Unione Europea e quella liberista, iniqua e inconcludente del governo Renzi sembra stranamente sfuggire alla sinistra italiana. Che sulla natura della UE si dimostra ancora illusa sul piano teorico e impotente sul piano politico

illusione-europeista-510Grazie alle istituzioni europee la destra neoliberista, amica intima della grande finanza, provoca continue e drammatiche crisi e, con la complicità (attiva o passiva) delle forze di centrosinistra, genera disoccupazione e povertà. L'Unione Europea svuota la democrazia e abbatte lo stato sociale. Il crollo dell'euro è tutt'altro che escluso. Ma sulla natura della UE gran parte della sinistra si dimostra illusa sul piano teorico e impotente sul piano politico.

Intendiamoci: la sinistra in Europa e in Italia esiste ancora, nonostante sia ormai estremamente minoritaria e confusa, e nonostante che molti credano che il concetto stesso di sinistra (associato a quello di giustizia ed eguaglianza sociale) sia superato e inutile. Purtroppo però la sinistra è imbelle di fronte a questa UE, anche se la UE persegue apertamente lo smantellamento di una qualsiasi cultura progressista e della stessa civiltà europea, storicamente fondata sul conflitto sociale, sui diritti democratici e sul welfare. Sembra insomma che la sinistra faccia di tutto per restare minoritaria e ininfluente.

La sinistra è incline a fare un'opposizione morbida e riverente a sua maestà la UE, considerata sempre e comunque come sacra in quanto supposta “patria dei popoli europei”. Ma questa UE non è la “casa dei popoli”, anzi, opprime i popoli d'Europa. La protesta verso l'Unione Europea – e verso la moneta unica che strangola le economie in tutta Europa e che è diventata il brand ufficiale della UE – cresce, anche se non è ancora diventata maggioritaria.

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paginauno

L’Europa vista da sinistra

Giovanna Cracco

europa spine ragazzi bandiera rossaQuando i toni della propaganda sfiorano, anzi invadono, il campo del ridicolo, ricordando quelli del Cinegiornale Luce – al punto da domandarsi chi possa crederci, se il popolo sia davvero così bue o se lo creda tale solo la classe dirigente – significa che c’è un problema. Talmente serio da far venir meno la consueta sicurezza e lasciar trasparire una insolita coda di paglia: “Informare, non influenzare” recita la scritta finale degli spot Rai sull’Europa in onda da aprile scorso. La costruzione stessa dei ‘video promozionali’, l’abbondanza di enfasi, i simboli e i valori richiamati, danno la misura di quanto sia temuto il dissenso dei cittadini verso la Ue – non perché abbia un potere effettivo, ma perché sapientemente cavalcato da alcuni partiti per ottenere voti alle ultime elezioni europee. C’è dunque bisogno di agire sull’immaginario collettivo, costruire un mito, una narrazione epica dell’Unione, aspetto fino a oggi trascurato dalla classe dominante. Si può dire che se finora l’approccio comunicativo della propaganda europea è stato ‘freddo’ – principalmente argomenti economici, volti a sottolineare razionalmente la convenienza, e l’ineluttabilità, di una Ue – ora è divenuto ‘caldo’, con temi che puntano alla sfera emotiva e irrazionale: gli spot evocano i milioni di morti delle due guerre mondiali e legano la nascita dell’Unione a “sessant’anni di prosperità e democrazia ma soprattutto di pace”; richiamano la creazione della Ceca, affermando che “non è nata per ragioni economiche ma per mettere in comune le materie prime degli armamenti e rendere materialmente impossibile un’altra guerra”; citano “l’inno che parla di gioia” e celebrano “l’idea straordinaria di due giovani antifascisti al confino nata sulla piccola isola di Ventotene”.

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controlacrisi

"La deflazione che avanza misura l'inadeguatezza delle politiche della Bce"

di Domenico Moro

154-dI dati ufficiali, rilasciati dall’Istat e riguardanti l’inflazione di settembre, confermano la tendenza alla deflazione in Italia. Tali dati sono importanti per valutare la natura della crisi in atto e delle politiche delle istituzioni europee.

L’Istat usa due indici per calcolare l’inflazione, il NIC, riferito ai consumi dell’intera comunità nazionale e il FOI, riferito ai consumi di operai e impiegati. Il NIC registra a settembre 2014 un calo dei prezzi del -0,2% rispetto a settembre 2013 e del -0,4% rispetto ad agosto 2014. Risultati pressoché identici sono registrati con il FOI, che diminuisce del -0,1% rispetto all’anno precedente e del -0,4% rispetto al mese precedente. Tali risultati rientrano in una tendenza di fondo caratterizzata dal calo progressivo dell’inflazione, che parte dal +0,9% (NIC) di settembre 2013 e arriva alla deflazione attuale. La deflazione, ad ogni modo, non si limita all’Italia: nell’Eurozona si è registrato un calo del -1,4% dei prezzi alla produzione industriale ad Agosto 2014 sullo stesso mese dell’anno precedente.

Quali sono le ragioni del calo dell’inflazione e del presentarsi della deflazione? Secondo l’Istat la deflazione dipende in gran parte dai beni energetici, i cui prezzi calano del -4,5% tra settembre 2014 e settembre 2013. Comunque, ad essere in calo sono i beni in generale (-0,6%), soprattutto, oltre a quelli energetici, i beni durevoli, i tabacchi, e gli alimentari non lavorati, mentre i servizi crescono (+0,6%). Quindi, la ragione della deflazione è, almeno in parte, dipendente dal calo dei prodotti energetici, ben rappresentato dal crollo del prezzo del petrolio greggio, che da 147 dollari per barile del 2008 è passato, per il Brent, a 88,11 dollari, rischiando di scendere sotto i 70 dollari.

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sbilanciamoci

Germania: il vero malato d’Europa

di Thomas Fazi

Il "modello tedesco" viene presentato (anche da Renzi) come un esempio da seguire. La verità è che esso rappresenta una seria minaccia, per l'Europa e per la Germania stessa

modello-tedescoMatteo Renzi non perde occasione di ripeterlo: se l’Italia vuole rimanere competitiva deve seguire l’esempio della Germania e fare “le riforme” (alla tedesca). Non è ovviamente l’unico a sostenere questa posizione. L’idea che la Germania sia uno dei pochi paesi in Europa ad “avercela fatta”, e che rappresenti dunque un modello per il resto del continente, è un fatto che viene dato per assodato dalla maggior parte dei politici e commentatori, al punto che oggi quel processo di “germanizzazione dell’Europa” (e, nel caso specifico, dell’Italia) in corso viene salutato da molti come un fatto positivo se non addirittura inevitabile. Trattasi però di una pericolosa illusione: il “modello tedesco”, lungi dall’essere una best practice da esportare nel resto d’Europa, rappresenta un serio pericolo non solo per gli altri paesi ma anche per la stessa Germania.

A dirlo non è qualche “gufo” del Sud Europa, ma nientedimeno che Marcel Fratzscher, presidente di uno dei principali istituti di ricerca economica tedeschi, il DIW, in un libro intitolato appunto Die Deutschland-Illusion (“L’illusione tedesca”; a tal proposito si veda anche questo articolo di Vincenzo Comito).

Secondo Fratzscher, il mito del modello tedesco si basa su una serie di false illusioni, prima fra tutte l’idea che l’enorme avanzo commerciale accumulato dalla Germania in seguito all’introduzione dell’euro (a fronte di un disavanzo commerciale altrettanto grande nei paesi della periferia) sia da imputare alla maggiore “produttività” ed “efficienza” dell’economia tedesca, a sua volta il risultato della famosa riforma del mercato del lavoro (detta “Hartz”) introdotta da Schröder nel 2003-5 – quella a cui si è ispirato Renzi per il suo “Jobs Act” –, a cui andrebbe il merito di aver ridotto la disoccupazione e rilanciato la crescita nel paese.

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micromega

“L’Ue è fallita, la sinistra ragioni sull’euro”

Giacomo Russo Spena intervista Emiliano Brancaccio

austerita-510a“Proseguendo con le politiche di austerity l’eurozona è destinata a deflagrare. Per questo, una sinistra degna di questo nome avrebbe il dovere di ragionare anche sulle modalità di uscita dalla moneta unica, per non lasciare il campo soltanto alle destre”. L’economista Emiliano Brancaccio è un convinto europeista. Nel 2011 fu invitato a Parigi dal Partito socialista europeo a presentare lo ‘standard retributivo’, una proposta per interrompere la gara al ribasso tra i salari dei paesi membri dell’Unione. “Ma i tedeschi si opposero. Di quella, come di altre ipotesi di coordinamento europeo, anche le più blande, non se ne fece nulla. Anzi, da allora i conflitti tra paesi sono aumentati”. Di fronte alla dura realtà dei fatti, Brancaccio intravede la rottura del giocattolo Europa. Per questo, accantonando utopie e impossibili riformismi, si batte da tempo per una vera discussione sul destino della moneta unica: “Il tema è complesso e va analizzato attentamente, per sgombrare il campo dalle farneticazioni”.

 

Pochi giorni fa una Napoli blindata ha ospitato l’incontro della Bce. Si è deciso di continuare con la linea della “austerità espansiva”, ovvero con le politiche del rigore. Di questo passo sarà mai possibile una ripresa economica dei Paesi ora in maggiore difficoltà?

Sotto l’influenza del governo tedesco, il vertice Bce ha ribadito che i singoli stati nazionali dovranno restare fedeli alla linea dell’austerity. Inoltre, dal vertice di Napoli è emerso un altro elemento che getta nuove ombre sul futuro dell’eurozona.

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bandierarossainmov

Viktor Orban è bianco o nero? O è grigio?

di Riccardo Achilli

orban-nationE’ di un certo interesse analizzare la situazione politica interna all’Ungheria del premier Orbán, perché rappresenta un possibile “caso di studio” di Paese che si colloca fuori dall’euro e dalle sue politiche. Un caso di studio che diverrebbe anche attuale, nell’ipotesi in cui le politiche economiche europee non cambiassero, costringendo, per motivi di sopravvivenza, i Paesi più sotto pressione ad uscirne, oppure ad iniziare una linea della disobbedienza sistematica nei confronti dell’Europa.

E’ anche utile dare una visione oggettiva di Orbán, che rifugga dalle due estremizzazioni: da un lato una sinistra radicale acefala, che è diventata sovranista, e che vede in lui l’Eroe della Lotta di Liberazione dei Liberi Popoli Contro L’Euro, d’altro lato, i media e gli analisti di sistema, che, siccome Orbán sfugge al loro ricettario tecnocratico, lo qualificano come un satrapo da Repubblica centroamericana. Orbán, come vedremo, non corrisponde a nessuna delle due estremizzazioni, collocandosi in un’area grigia, che è importante analizzare  in modo il più possibile obiettivo (per quanto evidentemente chi scrive non provi nessuna simpatia nei suoi confronti).

Un caveat: va ovviamente premesso che l’Ungheria ha una serie di specificità che nessun Paese dell’area euro possiede. 

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sollevazione2

Arriva il Fiscal Compact

La prova del fuoco dell'Unione europea

di Leonardo Mazzei

fiscal2bcompact 001Cosa è successo in questi giorni tra Parigi, Roma e Berlino? Cosa è successo ieri a Napoli da mandare in tilt il listino di Milano, e non solo? E' successa una cosa semplice, semplice. Da noi da tempo prevista e del resto facilmente immaginabile. In breve: la crisi del mostro eurista sta giungendo ad un punto di svolta, rimettendo giocoforza al centro i diversi interessi nazionali.

Partiamo innanzitutto dai fatti.

Martedì scorso il governo italiano ha varato la nota di aggiustamento del DEF (Documento di Economia e Finanza), con la quale Renzi ha annunciato di voler riprendere nel 2015 una politica dideficit spending(spesa a debito), rinviando di due anni (al 2017) il pareggio di bilancio strutturale, e sospendendo almeno per il 2015 il percorso previsto dalfiscal compact.  

Il giorno dopo è toccato al governo francese, che per bocca del ministro delle Finanze Michel Sapin ha spostato di 3 anni (dal 2014 al 2017) l'obiettivo del 3% nel rapporto deficit/Pil. Una decisione, che insieme a quella italiana, ha suscitato l'immediata reazione della Merkel che ha ribadito la necessità di «rispettare le regole» e gli impegni presi.

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megachip

La rivoluzione (colorata) francese

di Piero Pagliani

Gli USA accelerano la deglobalizzazione conflittuale. Cambia tutto. Hollande attacca l'austerity tedesca, ma per riportare l'Europa nell'ovile del TTIP. Ecco lo scenario

news 218465Hollande in rotta di collisione con l'austerity della Merkel?

È una notizia buona o cattiva?

Per certi versi è la riesumazione di alcune delle idee con le quali il socialista francese approdò all'Eliseo nel 2012. All'epoca erano più o meno confezionate così: nei vincoli europei non deve essere conteggiata quella parte di deficit che serve a rilanciare lo sviluppo.

Un programma quindi tenuto in sonno per due anni, nonostante la situazione economica in Francia peggiorasse in termini esponenziali. Ora, evidentemente, qualche cosa è cambiato. Cosa? Molte cose. Per ordine d'importanza, anche se sono tutte interlacciate in modo complicato:

 

1) Gli USA stanno stringendo i tempi della deglobalizzazione conflittuale. Il golpe nazista a Kiev ha, in questo rispetto, contribuito a isolare la UE, e in primis la Germania, dalla Russia: Fuck the EU! (Victoria Nuland, responsabile per l'Europa della Segreteria di Stato USA).

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micromega

Come uscire dalla crisi senza uscire dall’euro

di Enrico Grazzini

In-fuga-dall-Euro.-O-No"Per rilanciare l’economia lo Stato deve creare nuova moneta – in forma di Certificati di Credito Fiscale – senza passare per le banche e la BCE". La proposta avanzata nel libro “Soluzione per l'euro. 200 Miliardi per rimettere in moto l'economia Italiana” di Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi (Hoepli) è forse la più convincente e praticabile finora suggerita. Vediamo perché.

Come raccogliere l'appello di Luciano Gallino contro la dittatura dell'Unione Europea?1 Come uscire dalla crisi sfuggendo ai diktat della UE e della BCE che controllano la moneta unica e che soffocano la nostra economia?

Non vi è alcun dubbio che la dittatura della UE si esprima soprattutto a livello economico nella forma di dittatura dell'euro. La moneta unica infatti impedisce i riallineamenti competitivi (cioè le svalutazioni monetarie dei paesi deboli e le rivalutazioni della moneta di quelli forti) e quindi provoca crescenti squilibri commerciali e debiti con l'estero. A causa dell'euro i paesi creditori, come la Germania e i paesi dell'area del marco (Olanda, Austria, Finlandia, ecc), possono dettare legge e strangolare economicamente i paesi debitori, i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) a cui bisogna aggiungere la Francia.

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doppiozero

Europa: speculazione a tempo

Un dialogo tra Slavoj Žižek, Srécko Horvat e Alexsis Tsipras

Igor Pelgreffi

1600 x 1200 ancient greece map 001Con Cosa vuole l’Europa? (2014) Ombre corte prosegue la pubblicazione di testi di Slavoj Žižek: se in Chiedere l’impossibile (a cura di Yong-june Park) uscito a fine 2013, era la riflessione di Žižek nel suo complesso l’oggetto esplorato, in Cosa vuole l’Europa?, scritto assieme al filosofo croato Srécko Horvat, il tema è più direttamente politico.

Sedici brevi interventi, otto a testa: un ping pong fra Žižek e Horvat nel quale gli autori tentano di mettere a nudo le contraddizioni economico-politiche che lacerano l’Europa odierna. Ciò che hanno in comune la bancarotta di Cipro, la necessità della Croazia per l’Europa, l’enigma (lo si insegna tuttora nelle scuole europee) dei Balcani, il caso dell’Islanda, oppure la «marcia turca» (pp. 73-77) è di essere focolai di contraddizione apparentemente marginali, ma in realtà profondamente intra-europei. Nell’impostazione mista tipicamente žižekiana, ossia materialistico-dialettica e psicoanalitica, tutti questi casi sono sia sintomi che reali centri-periferici di sofferenza europea. Ma, contemporaneamente, essi sono anche snodi virtualmente generatori di pensiero antagonista.

Per capire che cos’è l’Europa, l’altro (geografico o simbolico, poco importa) va sempre posto in rapporto dialettico con l’identità, come argomenta Horvat commentando Žižek: «lungi dall’essere l’Altro dell’Europa, la ex-Jugoslavia era piuttosto l’Europa stessa nella sua alterità, lo schermo su cui l’Europa ha proiettato il proprio rovescio rimosso» (p. 28).

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Draghi e l’oracolo svelato

Antonio Lettieri

Il presidente della Bce ha realizzato tutto ciò che la politica monetaria può contro la crisi. Che – ha avvertito – non basta: serve anche la politica fiscale (ma non ha spazi) e più ancora le “riforme strutturali”, soprattutto la deregolazione del lavoro. L’ennesima riaffermazione di una linea economica fallimentare ma che cerca di distruggere il modello sociale europeo

le-film-dart-paul-mounet-dans-le-studio-de-la-rue-chauveau-c3a0-neuilly-19082La crisi finanziaria culminata negli Stati Uniti nell’autunno del 2008 col collasso della Lehman Brothers fu immediatamente paragonata a quella del 1929. Una rievocazione che generò un grande allarme a livello globale. Quale giudizio sulla crisi possiamo formulare a sei anni di distanza? Vi sono quattro punti che possono dare un senso al confronto.

 

1. Il primo riguarda il tracollo del sistema bancario che, in entrambe le crisi, ha fatto da innesco alla più generale crisi economica. Qui sta una prima rilevante differenza. La crisi bancaria dell’autunno del 1929 si aggravò irreparabilmente nei mesi e negli anni successivi. Erano già trascorsi più di tre anni, quando Franklin D. Roosevelt, giunto alla presidenza, di fronte al panico di massa, che creava lunghe file di risparmiatori di fronte agli sportelli delle banche, diventate icone memorabili della Grande Depressione, decise la chiusura temporanea di tutte le banche, mentre l’amministrazione si accingeva ad assumere iniziative straordinarie di riforma.

Per fortuna si tratta di scene consegnate alla storia. Profondamente diverso è stato il corso della crisi dei nostri giorni. La crisi bancaria americana dell’autunno nero del 2008 non è durata anni, ma un numero limitato di mesi. Nell’estate del 2009, dopo aver eseguito il primo stress test del dopo-crisi, Tim Geithner, ex presidente della Federal Reserve di New York, nominato da Barack Obama ministro del Tesoro, annunciò la fine dell’allarme rosso. Il salvataggio delle grandi banche americane era cosa fatta.