Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email
linterferenza

La cavalcata populista verso l’Eliseo di Marine Le Pen

e lo sfondamento a sinistra del Front National: un’analisi

Matteo Luca Andriola

marine-le-penCon quasi il 24,8% Marine Le Pen fa tremare i palazzi di Parigi e quelli della trojka, mandando a Bruxelles 25 deputati, seguita dai gollisti dell’Ump col 20,8%. La Francia, inutile dirlo, è ormai schierata a destra, molto a destra. La leader del Front infatti, non perde tempo e la sera stessa del suo trionfo manda l’avviso di sfratto a Hollande: «Non vedo come il Presidente della Repubblica non possa non prendere la decisione che si impone per rendere l’Assemblea nazionale rappresentativa. E questo esige evidentemente una modifica delle modalità del voto», dice raggiante il leader del partito populista francese. «Ed è solo il primo passo» ha commentato la Le Pen, arrivando all’Elysee Lounge, un ristorante molto chic a pochi metri dall’Eliseo, scelto dal Front national per festeggiare la valanga di voti che lo hanno incoronato primo partito dell’Esagono, ora proiettato all’Eliseo: «Hollande adesso deve indire elezioni politiche anticipate. Oggi l’assemblea nazionale non è più nazionale. Cos’altro può fare il presidente della Repubblica – continua Marine – se non sciogliere le Camere dopo un fallimento così grande come quello che abbiamo appena visto?». Insomma, la tenuta dell’Unione europea potrebbe passare anche dalla tenuta del governo socialista, ridotto ai minimi termini col 14% dei consensi. Più di un elettore su quattro infatti, in uno dei pilastri dell’Unione europea, entità a trazione franco-tedesca, ha votato un partito xenofobo. Ma Hollande, inutile dirlo, non vuole dimettersi: «Ci vuole tempo e io chiedo tempo», ha detto il primo ministro Manuel Valls, intervistato dalla radio Rtl.

Print Friendly, PDF & Email
orizzonte48

La morsa istituzionale UEM e "interna"

Tra fallimenti nascosti e incostituzionalità conclamate

Quarantotto

foto31. Una delle cose più tristi della crisi italiana è che la stragrande maggioranza degli italiani non ne capisce gli eventi, limitandosi a subirne le conseguenze come un fatto ineluttabile. 

 

Tutto quel che i media consentono di "capire", attraverso un'attenta disseminazione di slogan e paralogismi di espertoni vari, è che le cose vanno male per via della corruzione e, in stretta connessione, dell'eccesso di spesa pubblica; questi "mali", ormai plebiscitariamente considerati incontestabili, confluiscono nell'indicare la causa dell'eccesso di prelievo fiscale, la cui attenuazione viene promessa, appunto,come conseguenza dell'abbattimento di corruzione e spesa pubblica (senza alcuno spiraglio di credibilità delle misure proposte, che non sia mero annuncio, che dico, bombardamento!, mediatico).

Mi potrete obiettare che queste cose ve le ho dette molte volte e con mille sfaccettature: ma la premessa serve a richiamare il "perchè", ora e in concreto, cioè nei fatti in preparazione per tutti noi, la situazione promette di virare dal male al peggio.

Siamo di fronte ad un accanimento che si avvale della saldatura di un duplice livello istituzionale: cioè di scelte politiche che si traducono in super-norme che realizzano lo schemino propagandistico riassunto in premessa, con l'effetto di acutizzare la crisi, operando in modo inutile ed anzi opposto rispetto all'obiettivo (immaginifico) della sua risoluzione.

Print Friendly, PDF & Email
sbilanciamoci

L'Europa in crisi e il mistero della competitività

Andrea Ginzburg , Annamaria Simonazzi

Come dimostra la Germania, lo sviluppo economico dei paesi dell'Eurozona dipende dalla specializzazione della produzione

nina-quadroCome scrive Mariana Mazzucato nel suo libro Lo Stato imprenditore, la cosiddetta ‘economia dell’offerta’ lanciata negli anni ’80, indirizzata a ridurre le tasse sui profitti per rilanciare gli investimenti, ha avuto scarsi effetti sugli investimenti stessi e quindi sulla crescita, ma effetti importanti sulla distribuzione del reddito. Si potrebbe facilmente estendere questa conclusione anche alle riforme del mercato del lavoro attuate in Italia negli ultimi 15-20 anni. Come ha documentato Maurizio Zenezini in un’analisi molto dettagliata della relazione fra queste riforme e la crescita (Economia e società regionale, 2, 2013), mentre l’Italia—attesta l’OCSE—ha sperimentato negli ultimi 15 anni la più forte deregolamentazione del mercato del lavoro della maggior parte dei paesi OCSE, l’economia ha smesso di crescere ancor prima del collasso del 2009 e le riforme recenti, “pur considerate imponenti dagli stessi responsabili della politica economica” sembrano incapaci di rivitalizzare l’economia, così che le previsioni di crescita sono state continuamente riviste al ribasso. Ad un’analisi retrospettiva, gli effetti di queste riforme sulla crescita appaiono nulli nel breve periodo e modesti, nel migliore dei casi, nel lungo periodo. Contemporaneamente, le retribuzioni contrattuali reali per l’intera economia italiana sono rimaste ferme fra il 1993 e il 2011. In quest’ultimo anno, valevano il 77% della media dei paesi OCSE, mentre erano pari all’85% della media dodici anni prima. Non c’è bisogno di ricordare qui i disastrosi dati sulla caduta, in Italia, dei livelli di occupazione e sulla crescente incidenza del lavoro precario.

Print Friendly, PDF & Email
sinistra

Elezioni europee, gattopardismo in salsa fiorentina e nuovo partito di massa del capitale

Domenico Moro

“Non eravamo esattamente d’accordo con l’incentivazione degli 80 euro, ma non mi sono azzardato ad avanzare alcun tipo di critica, ho compreso la necessità del governo di bloccare un voto anti europeo.”
Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.”
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo

index1. Il quadro europeo: crisi del bipolarismo e del bipartitismo e ascesa degli euroscettici

Negli ultimi mesi i mass media annunciavano e le forze politiche principali temevano la “tempesta perfetta” del voto euro-scettico. Il 22 maggio il Sole24ore titolava: <<Il voto europeo preoccupa i mercati>>, e il 25 maggio, giorno delle consultazioni, aggiungeva: <<Europa alle urne: mercati e riforme appese al voto>>. Invece, martedì 27 lo stesso quotidiano tirava un sospiro di sollievo: <<Piazza affari vola dopo il voto, Milano (+3,61%) miglior listino d’Europa>>. Anche le altre borse non se la sono cavata male: Madrid +1,22 per cento, Francoforte +1,28 per cento, persino Parigi cresce pur con un modesto +0,75 per cento.

La borsa è uno dei termometri che misurano l’opinione del capitale rispetto all’andamento della politica. Quindi, tutto bene per i circoli dominanti dell’establishment economico e politico? No, non proprio tutto bene. L’ondata euroscettica si è manifestata con forza, sebbene non così potente dappertutto come l’establishment europeista diceva di temere. A questo proposito, due sono gli aspetti più interessanti.

Print Friendly, PDF & Email
marx xxi

Euro e pieno impiego: la conferenza di Grenoble

di Lorenzo Battisti

grenoble conferenza2014L’attuale situazione economica rappresenta una sfida per tutti gli economisti, compresi quelli “eterodossi” che pure avevano avvertito con anni di anticipo l’arrivo di una crisi di grandi proporzioni. In particolare va analizzata l’Unione Europea e il ritorno della disoccupazione di massa.

Il 15 e 16 Maggio alcuni tra i maggiori economisti critici a livello mondiale si sono riuniti a Grenoble, in Francia, per discutere e confrontarsi su questi argomenti.

 

Il pieno impiego in Europa: con o senza l’Euro?

Il dibattito sull’Euro attraversa ormai molti paesi, sia del Nord che del Sud Europa, poiché la crisi, iniziata negli Stati Uniti, sembra non trovare un termine in Europa. Molti pensano che la differenza tra la durata e gli effetti della crisi in queste due aree sia dovuta alla costruzione europea. Il dibattito tra gli economisti ha quindi cercato di indagare se questa sia davvero la causa, e, in questo caso, se sia meglio riformare l’Euro oppure abbandonarlo. Molti libri negli ultimi anni hanno trattato questi temii ricevendo sempre maggiore attenzione dal grande pubblico.

Print Friendly, PDF & Email

sbilanciamoci

La chimera della crescita

di Paolo Pini

Negli ultimi anni la politica di svalutazione caricata sul lavoro non ha fatto altro che aggravare gli effetti negativi dell'austerità sulla domanda interna. Eppure l'Ue, anche nelle ultime Raccomandazioni, continua a prescrivere continuità nelle politiche di flessibilità del mercato del lavoro, contrattuali e retributive

L-Europa-a-crescita-sotto-zero-l-Italia-frena-la-caduta-del-PilIeri la Commissione europea ha presentato le sue “Raccomandazione 2014-2015” per i singoli paesi dell’Unione. Il responso elettorale ha ammorbidito il timing delle stesse ma non la loro sostanza. La rotta non muta: vincoli di bilancio da rispettare, consolidamento fiscale da proseguire, riforme strutturali da realizzare. D’altra parte non vi erano aspettative per un cambiamento, semmai per una “non indisponibilità” a fornire qualche forma di flessibilità a seguito della richiesta del nostro ministro dell’Economia e Finanze a seguito dell’approvazione del Def 2014. Nel caso italiano, la Commissione ha attestato che non siamo allineati nel percorso di rientro dal debito e quindi nel raggiungimento degli obiettivi di medio termine di pareggio del bilancio strutturale. Si richiede che entro settembre 2014 si realizzi questo allineamento con interventi aggiuntivi, oltre che rispetto degli impegni assunti sul terreno di tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni, riforme sul mercato del lavoro, ed altro ancora, rinnovando le precedenti raccomandazioni e chiedendo un più attento monitoraggio e verifica degli interventi realizzati e programmati. Come dire “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. La via dell’austerità espansiva non deve essere abbandonata!

Ricordiamo che solo due settimane orsono sono stati resi pubblici i dati congiunturali di crescita del reddito nei paesi europei per i primi tre mesi del 2014 e di crescita tendenziale ad un anno, rispetto allo stesso periodo del 2013.

La rappresentazione era sconfortante, ma allo stesso tempo non sorprendente.

Print Friendly, PDF & Email
asimmetrie

Un external compact per rilanciare l’Europa

Alberto Bagnai*

defaultAbstract: La crisi dell’Eurozona è ormai certificata dalla sua performance estremamente deludente in seguito allo shock esterno provocato dalla crisi dei subprime. La richiesta di un ridisegno delle regole è unanime, e in parte già accolta dalle stesse istituzioni europee. La diagnosi sulle cause della crisi è largamente condivisa dalla letteratura scientifica e dalle istituzioni multilaterali, e vede la causa nell’eccesso di indebitamento privato estero intra-Eurozona. In questo articolo sosteniamo che se questa diagnosi è corretta, allora il ridisegno delle regole europee deve partire da un cambio radicale di prospettiva, che parta dalla tutela della domanda interna nel Mercato Unico, anziché dalla rincorsa della domanda estera fra i mercati nazionali dei paesi membri, e riconosca il ruolo ineludibile della flessibilità del cambio come strumento di enforcement degli accordi economici intrapresi, e come strumento di signaling, essenziale ai mercati per assicurare una corretta allocazione delle risorse finanziarie.

 

Introduzione

Il fallimento dell’Eurozona è nei numeri. L’ultima edizione del World Economic Outlook certifica che l’Eurozona è l’unica macroarea dell’economia globale a non essersi ripresa dallo shock Lehman del settembre 2008 (Tav. 1), e i tempi di recupero si presume siano di diversi anni.

Questo se per recupero intendiamo il ritorno al livello di reddito pro capite precedente alla crisi. Se invece per recupero intendiamo il ritorno sul precedente trend di crescita, allora, in tutta evidenza, occorreranno diversi decenni: nel 2018 il gap rispetto alla tendenza pre-crisi apertosi con lo shock del 2008-2009 sarà ancora ben lungi dall’essere colmato (Fig. 1). Tutto questo, beninteso, nelle previsioni spesso rosee degli analisti del Fondo Monetario Internazionale (2013).

Print Friendly, PDF & Email

il ponte

Sudditanza e contro

di Mario Monforte

2013-03-grilloElezioni del 25 maggio 2014 (europee, ma di primaria valenza interna al paese, pur nel rapporto con l’Ue, e inoltre estese amministrative): al Pd una messe di voti, verso il 41%; «successo storico» (tutto è ormai detto «storico», quanto meno lo è); Renzi, «commosso e determinato», si presta ai «bagni di folla» e va allo «sblocca Italia»; la Boschi parla di «partito rivoluzionario», beninteso «nelle idee» (ormai discorsi e misure, peraltro piú che discutibili, sono detti «rivoluzionari», nella banalizzazione pubblicitaria dei termini) – e via sciorinando retorica e scempiaggini.

Verso il 41%, sí, ma dei votanti, i quali, in base ai dati (quelli ufficiali), sul complesso degli aventi diritto (49.250.169), sono stati il 58,69% (28.908.004), di cui il 5,30% (1.536.257) ha posto nell’urna schede nulle, bianche, contestate. Il votovalido è stato il 54,39% (27.371.147), mentre il non-voto (astenuti, voti nulli, bianchi, contestati) è stato il 45,61% (21.779.002). Dunque, il Pd di Renzi ha avuto il consenso del 22,19% degli elettori; per l’insieme di M5S, Lega Nord, Lista Tsipras, Fd’I-An, ha votato il 20,06% degli elettori; per Forza Italia, Ncd, Idv e altri, ha votato il 12,14%. Detto questo per la precisione, che ridimensiona la “storicità” del successo di Renzi-Pd, fatto invece apparire come maggioranza totale, o comunque travolgente.

Print Friendly, PDF & Email
correttainf

Renzi trionfa, noi rilanciamo il conflitto

di Piotr Zygulski e Alessandro Volpi

renziNon c’è dubbio: il vincitore delle elezioni europee è Matteo Renzi e di conseguenza hanno vinto anche le oligarchie economiche che hanno sostenuto la sua scalata a Palazzo Chigi; da questo dato di fatto deve partire ogni valutazione politica.

Il significato della tornata elettorale, come era prevedibile, è stato prevalentemente nazionale: il boom del PD ha fornito la tanto agognata legittimazione popolare che mancava al “sindaco d’Italia”, e a tutti gli indecisi l’occasione per salire sul carro del vincitore. Con il senno del poi risulta evidente che la sostituzione della marionetta Letta – il quale, a un anno dal giuramento, avrebbe sofferto di una fase ciclica negativa – con Renzie era stata fatta con una puntualità svizzera. L’esplosione dei consensi era annunciata. Si è verificato quel processo che tecnicamente viene definito «overconfirmation», secondo la teoria dei politologi Schmitt e Reif che nel 1980 mostrarono la correlazione tra consenso ai partiti di governo e tempo che intercorre tra entrata in carica del governo e “elezioni di secondo ordine” come, nel nostro caso, le europee.

Forte dell’entusiasmo delle prime settimane di governo, delle promesse appena lanciate – dalla nuova legge elettorale agli 80 euro in busta paga – e dell’ampio sostegno mediatico di regime, «l’ebetino di Fi-Renzi» non poteva che fare il boom: è stata una perfetta operazione di marketing che ci ricorda i tempi d’oro del Berlusca.

Print Friendly, PDF & Email
antiper

Uscire dall’euro? C’è modo e modo

Emiliano Brancaccio con Chiose1[in rosso] di Antiper

grunewald matthias 514 isenheim altarpiece first viewIl tentativo di salvare la moneta unica a colpi di deflazione salariale nei paesi periferici dell’Unione potrebbe esser destinato al fallimento.

Brancaccio sembra attribuire la “deflazione salariale” (cioè la diminuzione dei salari che sta avvenendo nei “paesi periferici”) al tentativo di “salvare la moneta unica”. Ma qui sorge subito una prima questione: la politica della riduzione dei salari è davvero una novità dovuta alla “moneta unica” (ed al tentativo del suo salvataggio)? Nei paesi in cui non vige questa questa “moneta unica” (leggi Gran Bretagna o USA) la deflazione salariale non si è realizzata?

Ovviamente le cose non stanno in questo modo. La riduzione del salario è infatti un obbiettivo permanente di ogni capitalista visto che minore è la quota salari pagata e maggiore è la quota profitti incassata; e del resto, in Italia, la “politica dei redditi” – come fu eufemisticamente battezzata - ha avuto anche l'imprimatur della sinistra istituzionale e del sindacato di regime fin dalla lontana “svolta dell'EUR” del 1978: da lì in poi, imprese, sindacati e governi si sono coordinati neo-corporativisticamente per impedire l'aumento del salario dei lavoratori italiani che infatti è, oggi, lo stesso di 24 anni fa (nonostante la maggiore ricchezza prodotta in questi anni). La stessa “scala mobile” ovvero il meccanismo di adeguamento automatico del salario al costo della vita (e che oggi sarebbe tanto di aiuto per i lavoratori) venne introdotta soprattutto per impedire che l'aumento dei salari superasse quello dei prezzi e quindi che vi fosse una crescita della “quota salari”.

L’eventualità di una deflagrazione dell’eurozona è dunque tutt’altro che scongiurata.

Print Friendly, PDF & Email
sinistracontroeuro

Di classe, quindi nazionale

Per una politica all’altezza dei tempi

di Mimmo Porcaro

incontro di teano1In un paese abitato da gente meno disposta a farsi ingannare dalle evidenti bischerate dei propri governanti, le elezioni di fine maggio avrebbero visto non il 60, ma il 100% di affluenza e avrebbero premiato non col 40, ma col 50% e più un partito capace di dire l’opposto di quanto strombazzato dal trionfale, ma precario, vincitore di oggi.

Capace di dire, cioè, che l’Italia, se vuole interrompere la sua costante discesa, deve mutare la propria collocazione internazionale e trasformare decisamente i propri rapporti sociali. Deve uscire dall’Unione europea e dall’euro trovando nuovi partner e cercando anche (se possibile) di ricostruire l’europeismo su basi paritarie. Data la tirchieria del capitalismo nostrano e l’inaffidabilità dei capitali esteri, deve sostituire l’iniziativa pubblica all’inerzia privata, riappropriandosi del sistema bancario e nazionalizzando le più grandi imprese. Deve tornare alla repressione finanziaria e ad un ragionevole controllo del flusso dei prodotti, ma soprattutto dei capitali. Deve creare le condizioni occupazionali, salariali e giuridiche perché i lavoratori cessino di essere umiliati e divengano invece protagonisti attivi del processo produttivo, e quindi fonte di innovazione. Deve centralizzare molte delle competenze attualmente attribuite alle Regioni (che sono origine, come disse a suo tempo l’inascoltato Ugo la Malfa, di innumeri sprechi) e con i conseguenti risparmi finanziare un ammodernamento dell’apparato di stato fatto sia di occupazione giovanile sia di moduli organizzativi basati sull’interazione cittadini/amministrazione.

Print Friendly, PDF & Email
alfabeta

Europa, quando perseverare è ideologico

di Lelio Demichelis

Urge che il demos si riprenda il potere, uscendo dall’incubo della biopolitica/tanatopolitica neoliberale. Cercando, fuori dall’ideologia, un’idea virtuosa e umana di Europa

Fotolia 3578019 SUn po’ di filosofia e di psicanalisi; spunti dalla riflessione di Hannah Arendt sul totalitarismo, ma applicandola al capitalismo; e Michel Foucault. Sono alcuni degli strumenti utili per capire la crisi di questa Europa.

Dal 2008 gli europei vivono un incubo che coniuga ideologia (il neoliberismo), autoritarismo (lo stato d’eccezione, i governi di larghe intese, il non poter votare e decidere), volontà di potenza (il capitalismo totalitario), moralismo religioso (protestante), inquisizione (cattolica), nichilismo (ancora il capitalismo), pulsioni libidiche e aggressive (l’austerità e il pareggio di bilancio). Secondo una colossale menzogna (sempre l’ideologia neoliberista), che ha prodotto (come ogni ideologia) altrettanto colossali meccanismi difalsificazione della verità e della stessa razionalità economica (l’austerità come via virtuosa per la crescita, mentre è una politica pro-ciclica che peggiora la crisi, non correggendone le cause). Il tutto emarginando ogni tentativo di fare parresia. Di dire ilvero contro la menzogna.

L’Europa (gli europei): in questo incubo l’hanno portata le sue classi dirigenti (sic!) e le oligarchie economico-finanziarie.

Non per un incidente della storia, ma perché la loro azione era ieri ed è ancora oggi finalizzata ad una trasformazione politica in senso antidemocratico e totalitario del potere; ed economica in senso definitivamente neoliberista. Suda, soffre, si impoverisce ma l’Europa subisce in silenzio questa ideologia neoliberista e questo collegato sadismo economico del capitalismo.

Print Friendly, PDF & Email
linterferenza

Contro l’Europa delle banche e della finanza, ritorno allo Stato-nazione?

Claudio Valerio Vettraino

eu stranglingDa più parti oggi si evoca il ritorno allo stato nazione, alla sovranità nazionale economico-produttiva, bancaria e fiscale, come antidoto “autarchico” all’apparato sovra-nazionale (ma anch’esso – paradossalmente – nuovo e più allargato stato-nazione a 24) dell’Europa unita e della cosiddetta “troika”.

Come spesso accade, si ragiona sugli effetti e mai concretamente sulle cause delle importanti e decisive trasformazioni in atto.

L’unione europea, nata a Roma nel lontano 1957 con la CECA e che ha accelerato il suo processo di unificazione – primariamente economico e finanziario – dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, non è altro che il tentativo “disperato” delle borghesie e delle cancellerie europee di coalizzarsi – dopo secoli e secoli di guerre intestine e fratricide – nell’ottica strategica di contrastare (o quanto meno depotenziare, influenzare) l’ascesa dei famosi “BRIC” (Brasile, Russia, India, Cina, a cui oggi possiamo aggiungere Messico, Indonesia, Sudafrica, Corea del Sud, ecc.), per ritagliarsi un ruolo da protagonista nella nuova contesa mondiale che oggi, a differenza che nell’Ottocento e nel Novecento in cui sulla scena si muovevano i tradizionali stati-nazione, si gioca tra potenze di stazza continentale.

Print Friendly, PDF & Email
orizzonte48

Chi (e come) ha veramente vinto in Europa?

Quarantotto

crisis1.al4e35q2go0ggkgwggcgkw800.brydu4hw7fso0k00sowcc8ko4.thVi propongo una serie di riflessioni "peculiari", cioè non focalizzate sulle vicende convulse che si stanno svolgendo nei singoli paesi dell'UE e che ci rimbalzano le mosse post-elettorali e le contromosse della governance ordoliberista, impegnata nel mantenimento del potere per poter finire il lavoro iniziato, secondo i propri immutabili programmi. 

Vale a dire il regolamento di conti finale con il fattore "lavoro" i cui effetti sono tanto disastrosi per l'economica quanto "utili ed efficienti" per consolidare il potere finora esercitato dalle oligarchie.

Insomma, non è realisticamente da attendersi che la questione "teologica" e di riconquista del potere, mostrateci da Galbraith e Kalecky, come più volte illustrate su questo blog, si possa mai arrestare sulle soglie delle prime difficoltà che, probabilmente, ESSI avevano già immaginato di dover affrontare.

Perciò mi focalizzerei su come possano oggi essere giocate le carte "continuiste" delle governance UEM. 

Come paradigma di riferimento, non necessariamente solo "teorico", prendiamo l'atteggiamento di Christine Lagarde, "direttrice" del FMI, da sempre il punto di sintesi (almeno tentata) tra il modello neo-liberista e liberoscambista USA e l'ordoliberismo strategico UE.

Print Friendly, PDF & Email

Ancora sulle elezioni europee

(...precedente)

utopiarossa2

L’illusorio successo di Renzi

di Michele Nobile

È incredibile e inaccettabile che, in presenza di un’astensione che raggiunge oramai il 30-40% del corpo elettorale, si continui a ragionare sui risultati elettorali calcolati solo sulla base dei voti validi. Con percentuali tanto elevate di rigetto della casta politica, qualsiasi ragionamento che si basi unicamente sui voti validi non potrà che distorcere gravemente il grado di consenso reale dei cittadini nei confronti dei partiti, con gravi effetti sul discorso politico. La tenacia con cui i commentatori restano abbarbicati a questa metodologia, scientificamente infondata e politicamente mistificante, è tanto più assurda quando praticata da chi pretende di andare contro la casta governante, se non contro il sistema.

In queste elezioni europee, in Italia non hanno votato 20,3 milioni di cittadini, nove milioni in più degli astenuti nelle politiche del 2013, un milione e mezzo di più che nelle europee del 2009.

Leggi tutto

 

megachip

Europa: le elezioni immaginarie

di Nicolai Caiazza

Le elezioni europee sono state immaginarie. E sono state immaginarie nel senso proprio che la immaginazione è stata la forza portante e conseguente sia tra gli eletti che tra gli elettori. Cioè la scelta degli elettori non è stata dettata da un interesse sociale di miglioramento della propria condizione sia personale che di classe. Né tanto meno la scelta è stata conseguente alla volontà di perseguire un ideale di trasformazione della società in una direzione o in un'altra.

Ciò che ha mosso la votazione per l'una o per l'altra formazione é stata l'adesione a una forma, a una immagine mentale, a una illusione di movimento.

Le Pen e Renzi però hanno vinto e convinto persone che avevano deciso di partecipare alla rappresentazione delle elezioni. L'altra metà della popolazione, che non ha partecipato, ha preferito dedicarsi ad altro.

Leggi tutto

 

sollevazione2

Ma perchè ha vinto Renzi?

di Piemme

Capisco che sotto botta ci si interroghi anzitutto sulle ragioni dell'insuccesso dei cinque stelle. Tuttavia, se sono le dimensioni del successo del Pd renziano il vero fatto eclatante, è sulle ragioni di questa inattesa avanzata che occorre interrogarsi.

Solo in questo quadro segnalo la spiegazione di Gianluigi Paragone della sconfitta dei pentastellati. In piena controtendenza rispetto ai molti che addebitano la causa della sconfitta di M5S all'eccesso di "estremismo protestatario", Paragone sostiene che Grillo avrebbe perso perché ha dato retta a Casaleggio:

<«Il vero responsabile della sconfitta si chiama Gianroberto Casaleggio. Casaleggio era convinto di tenere in cassaforte i voti che prese alle politiche e perciò si dovesse “tranquillizzare” il voto moderato per tentare il sorpasso. Così ha messo la giacca e la cravatta ai suoi golden boy, li ha istruiti affinché parlassero come fighettini. E’ di Casaleggio la scelta di andare da Vespa e poi ai talk comodi, seduti, tranquilli».

Leggi tutto

 

mainstream

It's All About Italy

C. M.

L'ufficio studi della Jp Morgan, di cui abbiamo già potuto apprezzare le analisi, è convinto che la vittoria di Matteo Renzi renda l'Italia più forte a livello europeo, e più stabile l'Unione nel suo complesso. Cerchiamo di capire perché.

Occorre sottolineare che il PD di Renzi è stato il soggetto politico più votato in Europa, in termini assoluti (11 milioni e centomila suffragi contro i 10 milioni e trecentomila della portaerei di Angela Merkel, la CDU-CSU); in termini percentuali è superato solo dal Fidesz di Viktor Orbàn, dominatore incontrastato dell'Ungheria (51%). Ma Fidesz non è certo quel che si definirebbe una forza europeista; invece il PD di Renzi lo è, entusiasticamente. Questo partito, pur sommando due caratteristiche che in questi anni non hanno certo giovato dal punto di vista elettorale, e cioè l'europeismo e il trovarsi al governo, stravince nelle urne, in assoluta controtendenza rispetto allo scenario europeo.

Preme rammentarlo: le forze politiche "sistemiche", in primo luogo quelle riconducibili alle famiglie del PSE e del PPE, sono naufragate in molti importanti contesti nazionali. 

Leggi tutto

 

cambiailmondo

Da Atene a Berlino c’è anche Roma

di Roberto Musacchio

La fortuna aiuta gli audaci, diceva il vecchio detto latino. Quelle poche migliaia di voti che rappresentano quello 0,03 che fa superare alla lista Tsipras il quorum dell’assurda, e incostituzionale, legge italiana, possono far pensare che ci sia alla fine un premio per chi ha coraggio. Ma i latini sapevano bene che l’audacia poggiava sulla forza di un progetto, di una idea di società e di mondo. Diciamo allora che l’audacia di provare a vincere la sfida delle europee è stata figlia proprio di questa riscoperta, quella che è possibile avere un progetto e una idea di mondo, e cioè un punto di vista autonomo, proprio, su se stessi, della propria gente e della realtà in cui viviamo.

Alexis Tsipras è stato il simbolo, e la dimostrazione nella dimensione reale e concreta, di questa audacia possibile. Lui l’ha costruita per sé, costruendosela da sé ma fruendo anche dei materiali resi disponibili sul campo come l’esistenza di un partito della sinistra europea, alla cui nascita come italiani avevamo contribuito, l’esperienza delle lotte di resistenza alla austerità e dei movimenti.

Leggi tutto

 

orizzonte

I Piddino Boys e la Carosellonomics

Lameduck

Ieri sera a "Piazzapulita" abbiamo saputo da Edward Luttwak che, nel 2011, Merkel e Sarkozy andarono da Obama a chiedergli di rovesciare il governo Berlusconi perché alcuni ministri italiani si erano lamentati con i colleghi francesi e tedeschi che il Premier stava con la testa da un'altra parte e non era in grado di governare la crisi e fare le fottutissime riforme. Al che - non ridete ora - Obama avrebbe risposto sdegnato che gli Stati Uniti non intervengono nelle politiche degli stati sovrani e quindi ciccia. Vi lascio fare le vostre congetture sull'interpretazione da dare a questa parabola del falcone neocon e indovinare chi sarebbero le nuore che dovrebbero intendere e se il messaggio debba o no essere ascoltato alla rovescia per capirne il vero significato.

A proposito di falconi e operazioni condor, ricordate quel vecchio carosello anni '70 dove i cittadini del Paese Felice erano costantemente minacciati dal perfido Jo Condor ma quando invocavano "Gigante, pensaci tuuuuu!!!" arrivava uno spilungone ex machina che risolveva tutto con saggezza e comminando infine la giusta pena all'odioso pennuto?

Leggi tutto

 

aldogiannuli

Grillo deve “dimettersi”?

di Aldo Giannuli

Si stanno levando molte voci che chiedono le “dimissioni” di Beppe Grillo (ho visto una dichiarazione in questo senso anche di parlamentari del M5s o ex del movimento), anche in questo blog ci sono interventi che vanno in questo senso e qualche autorevole amico me lo ha scritto in una mail privata. Tutti, più o meno, ricordano la frase con cui Grillo diceva che si sarebbe ritirato se non avesse “vinto”. Bene, allora discutiamone.

In primo luogo: dimettersi da cosa? Grillo non ha cariche formali nel M5s, non ne è il segretario. Per cui la richiesta di dimissioni può significare solo che deve smettere di parlare e magari chiudere il suo sito. Mi sembra una richiesta eccessiva, che non si può fare neanche al leader più sconfitto del sistema solare: ma, allora, fatte le dovute proporzioni, uno come Veltroni cosa avrebbe dovuto fare? Per non dire di Paolo Ferrero.

Leggi tutto

 

carmilla

Different Trains*

di Sandro Moiso

Treni differenti hanno corso per le recenti elezioni europee. Alcuni sono deragliati, mentre altri sono arrivati a destinazione. E’ inutile girarci in tondo: per ora hanno vinto i peggiori. Anche se risultava davvero difficile individuare i migliori.
Analizzare brevemente il significato e i motivi di tutto ciò può, però, contribuire a non sbagliare ancora in futuro e a intravedere le possibilità di superamento del sistema attualmente, ed apparentemente, vincente.

Gli elementi che hanno infatti portato, a livello nazionale, Renzi e il suo partito alla vittoria sono estremamente diversi da quelli che, ad esempio, hanno caratterizzato la vittoria delle destre xenofobe e nazionaliste soprattutto in Francia e Gran Bretagna.
Paradossalmente, infatti, su un solo punto ha avuto ragione Grillo fin dall’inizio della sua carriera “politica”: il Movimento 5 Stelle è riuscito a contenere i possibili estremismi.

Leggi tutto

 

connessioni

La democrazia è nuda e il gioco si fa duro

Dalle elezioni europee: astensione e malessere sociale in crescita

Dino Erba

Questa domenica in Europa più che elezioni hanno avuto luogo delle non elezioni. Gli europei, in maggioranza, hanno deciso di restarsene a casa invece di andare alle urne. Le elezioni, quindi, saranno legali ma non legittime, se teniamo conto del terzo significato della definizione del concetto di: “sicuro, genuino e vero sotto qualsiasi profilo”. Le elezioni non sono state real-mente veritiere perché il demos (il popolo) – ovvero chi dà sostanza ai partiti – ha deciso in maggioranza di non votare: da ciò si deduce che, secondo logica, le elezioni non sono valide anche se sono legali. Chi rappresentano gli eletti? Che appoggio popolare avranno le loro decisioni future?
RAMÓN REIG, Las non eleciónes1.

Quasi ovunque, i governi dell'Unione europea hanno agitato lo spauracchio dell’astensione e del populismo antieuropeo, scatenando una propaganda dai toni ora allarmistici ora suadenti ... senza escludere messaggi trasversali che, a ogni piè sospinto, ci sussurravano i vantaggi dell’Europa unita.

Leggi tutto

 

militant

Sòle elettorali

Militant

Nonostante l’affermazione del PD, dell’UKIP di Farage e del Front National di Marine Le Pen, il Partito Popolare europeo ha vinto le elezioni e si ritrova in Parlamento con il maggior numero di deputati. Conseguenza liberale vorrebbe che il candidato presidente espressione di quel partito, Jean Claude Juncker, sia nominato presidente della Commissione Europea. Siccome però il Parlamento europeo nei fatti non conta nulla, il veto posto da Cameron ha subito fatto declinare la possibilità di Junker a presiedere la Commissione. Ci si sta accordando su una scelta che prevede un parterre di nomi di tutto rispetto, fra cui spicca Cristine Lagarde, direttrice del FMI. Le cose stanno peggio di come le descrivevamo qualche settimana fa. In un precedente pezzo, infatti, davamo per sicura l’elezione di Junker qualsiasi fosse stato il risultato elettorale, anche avesse vinto Tsipras. La realtà è addirittura peggio della (facile) previsione. La Commissione Europea, il governo della UE, viene eletta a prescindere da qualsiasi risultato elettorale. Anche se questa dovesse essere vinta dal principale sponsor della UE, ciò che conta è l’accordo fra gli Stati membri e le indicazioni della BCE.

Leggi tutto