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Errori e illusioni della Renzinomics

di Paolo Pini e Roberto Romano

Nessuna svalorizzazione del lavoro potrà risolvere i nodi strutturali di un sistema produttivo nazionale diventato progressivamente marginale nel consesso europeo. Le misure economiche del governo Renzi rischiano invece di riprodurre un modello che impoverirà sempre di più il Paese

È stata una settimana indubbiamente impegnativa la scorsa per il primo ministro Matteo Renzi. Dopo lo show del 12 marzo, ha fatto il giro dell’Europa che conta e che decide per comunicare i sui impegni di governo. Prima Parigi, poi Berlino e quindi Bruxelles con tutti i presidenti e capi di governo per il Consiglio Europeo. L’Economist lo ha definito Gambler in a rush[1].

A Parigi si è rivolto al Presidente francese Hollande che era stato eletto per giocare il ruolo di baluardo nei confronti delle politiche di austerità tedesche e per propiziare una svolta per la crescita e l’occupazione. Peccato che nel frattempo si sia convertito alla tesi dell’”offerta che crea la sua propria domanda” e persegue ora la riduzione del cuneo fiscale a favore delle imprese francesi come unico modo per accrescere la loro competitività, mandando in soffitta Keynes, come noi peraltro lo abbiamo espurgato dalla Costituzione italiana nel 2012. I francesi gli hanno detto che il rapporto con gli amici tedeschi sarebbe rimasto la loro priorità, pur apprezzando gli sforzi italiani di uscire dal pantano.

A Berlino sembra che abbiano capito cosa sia la “Renzieconomics”, ovvero riforme strutturali sul mercato del lavoro anzitutto, con un occhio al modello continentale-europeo della flexsecurity, insaporita da alcuni interventi spot sui redditi da lavoro in vista delle prossime elezioni europee.

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Se la sovranità nazionale è di sinistra

di Enrico Grazzini

La sinistra dovrebbe lottare per recuperare la sovranità nazionale. Solo così sarà possibile contrastare questa Unione Europea contro i popoli e rifondare l'Europa democratica. La destra avanza in Europa denunciando che l'euro e la UE producono povertà e sottomissione alle misure autoritarie calate dall'alto della tecnocrazia di Bruxelles. Come si è visto nella Francia di Hollande, la progressione della destra è simmetrica rispetto al calo socialista e all'aumento dell'astensionismo di sinistra. Il problema è che il socialismo europeo è ormai profondamente compromesso con questa Europa liberista e della finanza. Ma anche la sinistra radicale europea, soprattutto quella italiana, soffre di una grave ritardo culturale e politico nei confronti dell'Europa reale.

La sinistra aristocratica italiana sottovaluta i guasti dell'Europa reale e dell'euro e sogna la democrazia dell'Europa federata e di uno stato federale; rischia così di rimanere elitaria, isolata e senza troppo popolo (e voti). Rischia di rimanere minoritaria se non minuscola, e che alle elezioni europee vincano le proposte della destra conservatrice o fascista; o che, nel migliore dei casi, stravinca il populismo né di destra né di sinistra di Grillo che ha una politica confusa e chiusa verso l'Europa, ma che è assai più pronto a intercettare gli umori popolari contro questo euro disastroso.

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L'euro dei nazi e il nostro

di Giorgio Gattei

La storia si ripete perchè la si dimentica
Antonio De Viti De Marco

1.

È stato con intelligenza che la Rete dei Comunisti, quando Toni Negri si mise a profetare dopo il crollo dell'URSS l'avvento dell'Impero unipolare americano1, gli oppose invece il precipitare del mondo in una condizione di imperialismi in competizione globale tra loro2. E fu altrettanto acuto il riconoscimento, fin da subito, della natura imperialista della Unione Europea in via d'accelerata espansione dopo l'introduzione dell'euro3. Però adesso che la contrapposizione degli interessi geo-economico-politici tra USA ed UE è più o meno generalmente riconosciuta, bisogna andare oltre prendendo ad esaminare anche la costituzione interna del polo imperialistico europeo che non è affatto formato da un insieme di nazioni omogenee e convergenti verso gli Stati Uniti d'Europa. Al contrario: esso risulta organizzato dal "nocciolo duro" di Germania e suoi satelliti attorniato dalla "periferia" dei Paesi mediterranei cosiddetti "maiali" (PIGS = Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), mentre la Francia si presenta sospesa tra l'appartenenza al "nocciolo duro" (come ritenuto a suo tempo da Mitterand e Sar
kozy) oppure alla "periferia", come invece cominciano a temere le agenzie internazionali di rating.

E stata questa la conseguenza della nascita di un rapporto economico asimmetrico europeo imposto dal "nocciolo duro" (d'ora in poi il "centro") a danno della periferia. Questo rapporto di sfruttamento (perchè proprio di ciò si tratta) non ha tuttavia i caratteri classici del colonialismo con il centro che esporta manufatti in periferia ricevendone in cambio materieprime, perchè nella Zona Euro la periferia non arriva a coprire le proprie importazioni dal centro con esportazioni equivalenti (la sua bilancia commerciale infattiè in passivo, all'opposto di quella del centro che è in attivo), ma salda il disavanzo pagandolo nell'euro che è la moneta comune ad entrambi.

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marx xxi

L’insostenibile pesantezza dei vincoli monetari e di bilancio*

di Vladimiro Giacché

Ringrazio Stefano Fassina per questa occasione di confronto che ha voluto estendere al di là dei confini del PD.

Credo che il modo migliore per contribuire a questo incontro sia offrire il proprio punto di vista alla discussione, nel modo più diretto possibile.

Credo infatti che il primo dovere nei confronti di noi stessi sia quello della chiarezza.

In primo luogo sulla gravità della situazione. Il nostro paese ha perso, dall’inizio della crisi, poco meno del 10% del prodotto interno lordo, il 25% della produzione industriale, il 30% degli investimenti. A chi paventa catastrofi nel caso di un’eventuale fine dell’euro – è stato fatto anche qui – io rispondo che al punto in cui siamo l’onere della prova va rovesciato, perché la catastrofe c’è già. La priorità non può essere rappresentata dai moniti relativi a una catastrofe eventuale, ma dal tentativo di comprendere come siamo finiti nella catastrofe attuale e cosa si debba fare per uscire dal disastro economico in cui ci troviamo.

“Catastrofe”, “disastro”: purtroppo non si tratta di iperboli. Come hanno dimostrato i ricercatori del Centro Europa Ricerche nel luglio scorso (Rapporto CER n. 2/2013), ci troviamo, molto semplicemente, nella peggiore crisi dopo l’Unità d’Italia: peggiore di quella del 1866, e peggiore di quella del 1929.

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Gli undici taglieggiatori

Leonardo Mazzei

E' in arrivo la maxi-tassa per l'Europa: mille euro all'anno per persona per vent'anni
L'ultimo mostro targato UE: il Debt Redemption Fund (Fondo di Redenzione del Debito)

Altro che le buffonate del berluschino fiorentino! Altro che l'altra Europa dei sinistrati dalla vista corta! E' in arrivo sul binario n° 20 (anni) un trenino carico di tasse targate Europa. Ma come!? E le riduzioni dell'Irpef dell'emulo del Berluska? Roba per le urne, che le cose serie verranno subito dopo.

Di cosa si tratta è presto detto. Tutti avranno notato lo strano silenzio della politica italiana sul Fiscal Compact, quasi che se lo fossero scordato, magari con la nascosta speranza di un abbuono dell'ultimo minuto, un po' come avvenne al momento dell'ingresso nell'eurozona per i famosi parametri di Maastricht.

Ma mentre i politicanti italiani fingono che le priorità siano altre, a Bruxelles c'è chi lavora alacremente per dare al Fiscal Compact una forma attuativa precisa quanto atroce. Anche in questo caso, come in quello dell'italica Spending Review, sono all'opera gli "esperti": undici tecnocrati di provata fede liberista, guidati dall'ex governatrice della banca centrale austriaca, la signora Gertrude Trumpel-Gugerell. Entro marzo, costoro dovranno presentare al presidente della Commissione UE, Barroso, le proprie proposte operative. Poi arriverà la decisione politica, presumibilmente dopo il voto degli europei che di quel che si sta preparando niente devono sapere, specie se sono cittadini degli stati dell'Europa mediterranea.

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one euro

Ma Renzi lo conosce il Fiscal Compact?

di Thomas Fazi

E se la risposta è no, cosa ne avrà pensato Angela Merkel?

Cosa avrà detto ieri alla Merkel Matteo Renzi? Avrà senz’altro ammorbidito i toni rispetto a qualche anno fa – quando da sindaco si diceva pronto a violare il “patto di stupidità” –, e avrà ribadito che “nessuno si sogna di sforare il tetto” del famigerato 3% di rapporto deficit/Pil stabilito dal Trattato di Maastricht, come ha ripetuto in conferenza stampa. Chissà però se Renzi ha ripetuto quello che ha detto agli italiani e cioè che vorrà sfruttare il più possibile i “margini” che secondo lui offrirebbe il Patto. La logica renziana è quanto segue: poiché si prevede che nel 2014 l’Italia registrerà un rapporto deficit/Pil del 2.6% –  dunque al di sotto della soglia del 3% – l’Italia avrebbe “un margine ulteriore di 6 miliardi di euro” (0.4% del Pil) che potrebbe coprire una buona parte dell’annunciato taglio di 10 miliardi del cuneo fiscale. L’annuncio sarebbe senz’altro apprezzabile, se non fosse che esso si basa su una lettura molto semplicistica (e fondamentalmente sbagliata) del Fiscal Compact, cosa che sembra la Merkel gli abbia ricordato. Non sappiamo se nella sua immaginazione lo abbia messo dietro una lavagna con finte orecchie da asino, però Angela ci ha tenuto a precisare che quello che bisogna rispettare non è più tanto Maastricht, ma il nuovo Patto di stabilità, il  Fiscal Compact che entra in vigore quest’anno e le cui regole sono state stabilite con i pacchetti di regolamenti two-pack e six-pack. Non sappiamo se Renzi stia facendo il finto tonto oppure effettivamente non conosca bene le norme del Fiscal Compact. Sembra che i tedeschi si siano orientati su quest’ultima possibilità.

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Il moltiplicatore monetario è morto

di Frances Coppola

Come riporta Frances Coppola sulla piattaforma Pieria, la Bank of England nella sua rivista trimestrale conferma che la moneta è endogena (vedi nella sezione didattica): l'idea che la banca centrale possa controllare perfettamente la quantità di moneta circolante viene confutata dalla stessa Banca Centrale d'Inghilterra

Il report trimestrale della Banca d'Inghilterra (BoE) contiene una descrizione dettagliata di come funziona la creazione di moneta nell'economia a corso forzoso del Regno Unito.

Dotata di un manuale sulla moneta e di un paio di video esplicativi piacevolmente ambientati nei caveau dell’oro (vorrei sapere: dov’è il bancale etichettato "Germania"?), è una guida completa e  chiara.

Ed è controversa. Rigetta le teorie convenzionali sui prestiti bancari e sulla creazione di moneta (il grassetto è mio):

 “Il vero modo in cui viene creata oggi la moneta differisce dalle descrizioni che si trovano in alcuni testi di economia:

• Non succede più che le banche ricevono depositi quando le famiglie risparmiano e poi li prestano, sono i prestiti bancari che creano i depositi.
• Normalmente, la banca centrale non determina la quantità di moneta in circolazione, e la moneta della banca centrale non viene ‘moltiplicata’ in altri prestiti e depositi.”


Di certo, numerose pubblicazioni di molti eminenti ricercatori e prestigiose istituzioni (inclusa la FED, l’FMI, la BCE e la Banca dei Pagamenti Internazionali) hanno dubitato che la teoria convenzionale fornisca una spiegazione adeguata della creazione di moneta in un moderno sistema a corso forzoso.

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the walking

Viaggio in Italia

Maurizio Sgroi

Nella morsa degli opposti automatismi

E poi a un certo punto mi viene da ridere.

Stavo leggendo con raro masochismo l’ultimo Macroeconomic imbalances dedicato all’Italia della Commissione europea, di cui tutti hanno parlato ma chissà quanti hanno letto. I giornali se la sono cavata con i soliti titoli riciclati sulla bocciatura italiana e l’hanno subito buttata in politica: Saccomanni qua, Renzi là, e il solito balletto di frasi fatte e indignazioni.

Un vero peccato. Perché nelle 68 pagine del rapporto europeo ci stanno un sacco di informazioni che aiutano a capire bene lo straordinario cul de sac nel quale siamo finiti.

Una di quelle situazioni da romanzo nelle quali qualunque cosa fai sbagli.

Solo che non è un romanzo.

Perciò a un certo punto mi viene da ridere. Mi trovo a pagina 44 e leggo “che un calo nella domanda domestica in Italia colpisce negativamente i paesi dell’area euro”. E poco prima, sempre la commissione, aveva ammonito sulla delicatezza dei link finanziari fra banche italiane e del resto del mondo, europeo in particolare.

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Europeismo, euroscetticismo e sovranità nazionale

di Enrico Grazzini

E' necessario battersi per riformare i trattati europei e per un'Europa alternativa a quella della Troika. Ma solo recuperando la sovranità monetaria i popoli potranno difendersi dalle rigide politiche liberiste e neocoloniali della UE e della Germania e sperimentare nuovi modelli di sviluppo sostenibile

La sinistra vuole un'altra Europa, una Europa rifondata: ma prima occorre prendere coscienza che per realizzarla è necessario smantellare l'attuale architettura dell'Unione Europea e demolire i presupposti alla base dell'unione monetaria. Riformare i vigenti trattati europei è un tentativo nobile. Ma è anche una missione pressoché impossibile perché occorre l'unanimità del voto di tutti i 28 paesi UE per modificare il trattato di Maastricht. Anche per innovare lo statuto della Banca Centrale Europea occorre l'assenso dei 28 paesi. Basterebbe l'opposizione di un solo stato, di un solo governo, per bloccare ogni tentativo di riforma! E' più facile ripudiare o abolire i trattati che modificarli!

Sul piano politico, è improbabile riformare la UE in senso progressista dal momento che i governi europei che contano, con l'eccezione della Francia socialista, sono conservatori (Gran Bretagna), di centrodestra (Spagna) o di larghe intese (Germania, Italia). Per costruire un'Europa socialmente e ambientalmente sostenibile occorrerebbe però (condizione necessaria ma certo non sufficiente) che nei maggiori paesi della UE, Germania compresa, nel giro di pochi anni andassero al potere governi di sinistra. Tuttavia lo spostamento a sinistra dell'Europa è davvero molto difficile. E' già arduo riuscire a eleggere un governo di sinistra in un solo paese, figuriamoci nella maggioranza dei 28 paesi!

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La trappola del Fiscal compact

di Thomas Fazi

Per mezzo dell’invenzione del bilancio strutturale, il Fiscal compact prima, il six pack e il two pack poi, hanno eliminato definitivamente anche quell’esiguo margine di manovra fiscale previsto dal Trattato di Maastricht. Condannando così l’Europa all’austerità permanente

Si parla tanto del Fiscal Compact ma pochi sanno come funziona veramente. E non solo in Italia. Nei corridoi di Bruxelles la voce che gira è che il testo completo del patto “l’hanno letto in 10 e capito in 3”. Quanto c'è di vero, dunque, su quello che si sente in giro?

Tanto per cominciare, c’è da dire che il Fiscal Compact di nuovo introduce molto poco. Il testo poggia in buona parte sul Trattato di Maastricht (1991) e sul patto di stabilità e crescita (1999) – le tavole su cui sono incise le sacre regole di bilancio dell’Ue –, e poi riprende e integra un insieme di disposizioni proposte dalla Commissione nel periodo 2010-11 e per la maggior parte già adottate dal Consiglio e dal Parlamento europeo, come il Patto per l’euro e in particolare il six-pack e il two-pack.

Com’è noto, il Trattato di Maastricht – successivamente rafforzato dal Patto di stabilità e crescita – si componeva di due “regole d’oro”:

a. Il divieto per gli stati membri di avere un deficit pubblico superiore al 3% del Pil. Questo limite risultava l’unico soggetto a sanzioni in caso di mancato rispetto: la Procedura per deficit eccessivo (Pde) obbligava i paesi “in difetto” a intraprendere una politica di restrizione fiscale e a rendere conto delle sue decisioni in materia di spesa alla Commissione e al Consiglio e infine, eventualmente, a pagare una sanzione.

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Vecchi e nuovi soggetti sociali critici e antagonisti in Europa

di Alfonso Gianni

L’ ora più buia è sempre quella
prima dell’alba, si sta facendo
mattino, e io so che possiamo
ancora avere giorni cantati
Pete Seeger

In una intervista rilasciata al Manifesto (1), Etienne Balibar ha affermato che in Europa “c’è bisogno di resistenza e di protesta ma sfortunatamente la possibilità più visibile è quella offerta dalla destra e dall’estrema destra, anche se non siamo agli anni ’30, la storia non si ripete, non c’è un forte partito fascista, ma siamo di fronte a una crisi morale che può favorire derive molto pericolose nell’opinione pubblica. I socialdemocratici si accorgeranno troppo tardi di non avere fatto nulla per combattere questo”. E’ difficile trovare un’analisi più lucida e puntuale, per di più riassunta in poche parole, con una rapida pennellata verrebbe da dire, sulla questione politica europea.

A distanza di pochi mesi dal rinnovo del Parlamento europeo sono in diversi a preconizzare l’incremento tra quei seggi di rappresentanti del populismo di destra antieuropeo e antieuro (ovviamente le due cose non collimano concettualmente, ma spesso di fatto sì). Lo si vede in modo evidente ovunque si guardi, a Ovest come a Est, a Sud come a Nord, in lungo e largo per il Vecchio Continente. Ma Balibar giustamente, e questo è un punto da tenere ben fermo, ci mette in guardia dalla retorica del pericolo imminente di un ritorno del fascismo, ben consapevole che l’agitare un simile spauracchio è esattamente una delle giustificazioni delle politiche delle grandi coalizioni.

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politicaecon

Fassina: un passo avanti e due indietro

Sergio Cesaratto

Pubblico una breve e sgrammaticata cronaca dell'incontro alla Camera dei deputati, il sonoro è qui. Segue una traccia del mio intervento (letto solo in parte). Infine una postilla su ciò che penso.


Cronaca dell’evento


Il mio intervento ha un audio pessimo, colpa mia che ho parlato con troppa veemenza e vicino al microfono. Non è molto importante. Un commento più serio riguarda gli interventi finali. Mentre D'Antoni è stato più problematico Guerrieri è stato di nuovo totalmente arroccato nella difesa non solo dell'Europa (passi) ma dell'euro. Fino a che mi si dice che una rottura sarebbe complicata e rischiosa sono d'accordo, ma una difesa sperticata dell'euro con argomenti triti (cosa farebbero 17 piccoli paesi con la Cina lupo cattivo... come se non si potesse ricostituire una forma di unità europea senza euro con cambi fissi ma aggiustabili ecc.) Fassina che ci aveva promesso il piano B ha anche parlato di una rottura dell'euro come sconfitta storica, che se si rompe si sfascia tutto, il baricentro del mondo si è spostato, insomma il trito e ritrito.

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Haavelmo e la crescita impossibile nel 2014

Francia, Italia e la recessione "competitiva"

di Quarantotto

Come suggerito da Arturo , laddove si vede incidenza di competitività di prezzo e dei tassi di cambio reali. Come dire: l'euro in sè.

La Francia è messa malino per il futuro immediato? Di più, a rigore, la Francia non ha un futuro nell''euro, dato che attualmente è impegnata, con Hollande in piena "svolta Hartz" , a correggere lo squilibrio delle partite correnti con l'uccisione della domanda interna. Come dire che si piegano alla Merkel mentre fanno la voce grossa con Putin. Ma come si fa quando ci si priva della domanda estera, grazie al cambio folle dell'euro (tranne che per la Germania) e non si può ricorrere alla domanda pubblica? Non si fa.

Il fatto è che questo problema è generale in UEM

E ce lo dicono sia alla BCE che alla Commissione UE: solo che per loro non cambia nulla, mentre cambia molto per i popoli coinvolti...che è l'ultima delle loro preoccupazioni. E infatti la BCE azzarda mirabolanti previsioni di crescita dell'Eurozona che non stanno nè in cielo nè in terra.

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L’insostenibile rimborso del debito

Giorgio Gattei, Antonino Iero

L’economia italiana deve convivere con la presenza ingombrante di un debito pubblico che ha ormai superato il 130% del prodotto interno lordo. Non è l’unico e, forse, neanche il più grave dei problemi che assillano il nostro sistema produttivo. Tuttavia, vista la rigida dipendenza dai mercati finanziari che l’adesione alla moneta unica europea ci ha imposto, la questione del debito pubblico assume una valenza particolarmente importante poiché foriera di rilevanti ricadute su tutto il quadro economico nazionale (dalla solidità del sistema bancario al flusso di credito verso le imprese, fino al livello dei tassi di interesse applicati al sistema economico).


Il contenimento del debito

In questo contesto, la strada intrapresa dai governi italiani per gestire l’enorme peso del debito pubblico è stata quella del perseguimento di importanti avanzi primari, con attivi spesso di dimensione non indifferente. Così, dopo il picco toccato nel 1994 (121,2% del Pil), il debito pubblico italiano aveva imboccato un sentiero in discesa fino al minimo locale di 103,3% nel 2007, ma poi lo scoppio della bolla immobiliare Usa, poi rovesciatasi sull’economia reale, ha dato luogo ad una pesante fase recessiva dalla quale i bilanci pubblici sono usciti malconci, sia per la riduzione delle entrate, legata alla contrazione delle attività economiche, che per l’aumento delle uscite, connesso con l’attivazione degli ammortizzatori sociali.

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marx xxi

L’impatto dell’euro sulle economie nazionali*

di Spartaco A. Puttini

Innanzitutto, ai fini della questione che dobbiamo affrontare, sono indispensabili alcune premesse.

Nonostante nel linguaggio comune Unione europea ed Europa vengano utilizzati come sinonimi, in realtà l’Unione europea non è l’Europa, ma una sua parte e l’Eurozona non è che una parte della Ue.

Mentre per quanto riguarda la costruzione degli Stati nazionali la spinta era venuta da quella che Renan definiva “la coscienza di aver costruito insieme cose importanti nel passato e la volontà di continuare a costruirle insieme in futuro”, il processo di integrazione europeo ha avuto come molla la paura dell’irrilevanza in cui il vecchio continente era precipitato in seguito all’esito del secondo conflitto mondiale e all’ascesa degli Usa e dell’Urss come attori di primo piano sulla scena internazionale. E’ stata questa irrilevanza all’ombra dell’equilibrio del terrore termonucleare tra le due superpotenze che ha garantito per alcuni decenni la pace sul vecchio continente e non il processo di integrazione.

Il processo di integrazione europeo è stato accompagnato da suggestioni federaliste e ipotesi unitarie. Quella più nota è la spinta verso gli Stati uniti d’Europa, formulata da Altiero Spinelli. Abbastanza nota è anche la propensione delle forze d’ispirazione democratica cristiana alla costruzione di un’Europa unita, intesa come terza forza tra le due superpotenze. Ma non furono solo forze democratiche, laiche o cattoliche, a definirsi europeiste.