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Regimi di cambio, exit strategy dall'Euro e MMT

Intervista a Nadia Garbellini

1. Lei è coautrice con Brancaccio di uno studio che esamina gli effetti derivanti dallo sganciamento da regimi di cambi fissi. Cosa avete concluso dal vostro studio? Sganciarsi da regimi di cambi fissi porta a disastri finanziari, oppure il recupero della flessibilità del cambio, accompagnato da un maggior margine di manovra per la politica fiscale, porta a risultati migliori?

Lo studio che abbiamo condotto riguarda 28 episodi di svalutazioni avvenute contestualmente alla transizione da un sistema di cambi fissi ad uno relativamente più flessibile. Tutti gli episodi analizzati hanno avuto luogo nel periodo 1980-2013.

Va innanzitutto precisato che gli episodi inclusi nel campione da noi analizzato sono assai eterogenei, sia per quanto riguarda le caratteristiche specifiche di ogni paese, sia per l’entità e la persistenza della svalutazione. In particolare, se nei paesi ad elevato reddito pro capite la svalutazione è stata in genere piuttosto modesta e limitata ad uno o al massimo due anni, nei paesi a basso reddito le svalutazioni sono state molto più forti e ripetute negli anni successivi.

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Euro, come recuperare la sovranità monetaria

di Enrico Grazzini

Il progetto Bancor, la moneta comune globale che Keynes presentò a Bretton Woods, può rappresentare la soluzione per uscire dalla drammatica crisi dell'euro. Il progetto euro-Bancor può salvare la cooperazione europea dalla fallimentare moneta unica (1)

Il progetto Bancor, la moneta comune globale che John Maynard Keynes presentò a Bretton Woods settanta anni fa per rilanciare su basi efficienti, eque e pacifiche il commercio internazionale dopo il rovinoso conflitto mondiale, può rappresentare la possibile soluzione per uscire dalla drammatica crisi dell'euro. Per Keynes il Bancor era una moneta dedicata alla pace mondiale e alla cooperazione perché rendeva possibile l'equilibrio degli scambi commerciali (2). A Bretton Woods il progetto di Keynes fallì, e venne adottata la proposta statunitense basata sul dollaro come moneta internazionale egemone. Oggi però forse solo l'idea del Bancor di Keynes potrebbe salvare l'eurozona. È infatti possibile e auspicabile trasformare la moneta unica a guida tedesca, l'euro, in una moneta comune, l'eurobancor, in grado di incentivare i Paesi europei a cooperare sviluppando in maniera equilibrata e redditizia gli scambi senza produrre né vincitori né vinti. L'eurobancor costituirebbe un sistema di finanza cooperativa a beneficio dell'unità europea (3).


La situazione attuale: l'euro come moneta unica

Le elezioni europee si avvicinano, e la questione dell'euro diventa sempre più centrale nel dibattito politico ed economico.

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Non esistono paesi allegorici

Claudio Giunta

Ero a Reykjavík nel 2008, nei primi momenti del primo atto della Bancarotta Nazionale, e mi ricordo bene dei cortei di protesta davanti al parlamento, i cortei contro i banchieri ladri e i politici distratti o collusi che li avevano lasciati rubare. Solo che non erano cortei di proletari, erano cortei di ex proletari che nei decenni della lenta inesorabile crescita economica post-seconda guerra mondiale erano diventati piccoli e medi borghesi, e poi, negli anni della turbo-crescita fondata sul denaro elettronico, 2000-2008, gli anni della truffa di Icesave e della corona islandese dopata, avevano provato a diventare ricchi prendendo soldi a prestito a tassi d’interesse ridicoli e comprando seconde e terze case sul mare, SUV, biglietti A/R per Londra quasi ogni week-end per far la spesa da Harrods, pacchetti-vacanze alle isole Fiji.

Ma qualcosa, o meglio, tutto non aveva funzionato, le banche islandesi erano fallite ed erano state nazionalizzate (con la spiacevole conseguenza che il loro debito finiva per scivolare sulle spalle dei contribuenti, mentre i banchieri si ritiravano nei loro attici di Londra e Berlino), e a decine di migliaia di islandesi adesso (2008) restavano solo le rate da pagare, rate che nel frattempo si erano quintuplicate alla stessa velocità con cui la corona islandese aveva perso più o meno i due terzi del suo sopravvalutatissimo valore pre-crisi.

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Unione europea, colpo di stato?

di Isidoro Davide Mortellaro

Una bella novità

«L’acqua che non ha fatto in cielo sta». Con questa levantina versione del “tutti i nodi vengono al pettine”, da tempo ci si dispone al diluvio che da destra s’addensa sulle urne europee. Larga fa presa una rassegnata e fatalistica aspettativa: il voto certificherà un divorzio profondo tra Unione europea, istituzioni e grandi settori della società europea.

Ci fu un tempo in cui la collera dei più s’apriva alla speranza e la nutriva, alimentava ricerca di verità, provava a marchiare il futuro. Anche in giorni a noi più vicini, però, si è potuto salutare movimenti vogliosi di riplasmare la globalizzazione, contrastare, come «seconda superpotenza», l’unilateralismo della folle guerra al terrorismo e magari riaffermare regolazioni condivise dell’umano consorzio e dei suoi beni. Da tempo, invece, viviamo un mondo sfrangiato da folate di collera e rancore sociale: generazioni precarie s’accalcano in sequenza, frammiste a ceti medi smagriti, denudati dei paramenti abituali, del welfare che fu. Come mercurio scosso schizzano e s’aggrovigliano senza sosta. Sul web o in raduni selvaggi, su piazze punteggiate da forconi, Bonnetts Rouges o svastiche dalle fogge più varie.

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marx xxi

L'apocalittico Martin Schulz, il Dollaro risorto e l'Euro da liquidare

di Domenico Moro

Sull’inserto domenicale del Sole24ore del 16 febbraio è apparso un articolo di Martin Schultz sull’euro e sull’Europa, tratto da un suo libro recentemente tradotto in Italia. Schultz è uno dei massimi dirigenti socialdemocratici tedeschi ed è stato presidente del gruppo al Parlamento europeo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici, emanazione del Partito socialista europeo (Pse). Alle prossime elezioni europee sarà il candidato presidente della Commissione europea del Pse, al quale il Pd di Renzi ha chiesto di aderire a pieno titolo.

Secondo quanto dice Schultz nell’articolo in questione, siamo arrivati ad un bivio: o si prosegue con l’integrazione europea o si imbocca la strada della rinazionalizzazione ovvero dell’abbandono dell’Unione Europea. Schultz vede quest’ultima prospettiva come fumo negli occhi. In primo luogo, si tratterebbe di una prospettiva antistorica, in quanto “Nessuno Stato si può sottrarre alla storia mondiale”.

Per storia mondiale Schultz intende la globalizzazione ed i suoi processi. In secondo luogo, il socialdemocratico tedesco ritiene che i Paesi fuori dalla Ue e dall’euro non se la passino meglio di quelli che stanno all’interno.

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"Politiche monetarie, banche centrali e crisi dell'Euro"

Una moneta del comune per il reddito di cittadinanza in Europa

Beppe Caccia intervista Christian Marazzi

Abbiamo intervistato Christian Marazzi a Lugano, nei giorni della tempesta che ha investito le valute delle potenze economiche emergenti e all'indomani del referendum con cui oltre il 50 per cento degli elettori svizzeri hanno chiesto misure restrittive nei confronti dell'immigrazione proveniente dai paesi dell'Unione Europea. Ne è venuta fuori una lettura originale e stimolante delle politiche monetarie seguite dalla Federal Reserve Bank americana e dalla Banca Centrale Europea, nel quadro dell'evoluzione della crisi finanziaria globale. E alcune utili indicazione per i movimenti sociali costituenti in Europa.


Anche nella comunicazione dominante, la narrazione della “ripresa” ha sostituito la retorica dei “sacrifici”: dalle “lacrime e sangue” dell’austerity si è passati a descrivere l’apertura di un nuovo ciclo, di una nuova fase economica di superamento della crisi. Quanto c’è di reale in questo discorso, guardando ovviamente alle diverse aree economiche e politiche del pianeta? Un discorso vale sicuramente per gli Stati Uniti, un discorso vale per le cosiddette “economie emergenti”, un discorso vale per l’Europa.

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Uscire dall’incubo dell’euro: le asimmetrie dell’Eurozona

di Alberto Montero Soler*

Passano i mesi, diventano anni, e la possibilità che i paesi periferici dell’Eurozona superino questa crisi attraverso un percorso diverso da una soluzione di rottura si allontana sempre di più all’orizzonte.

Contro quanti insistono nel sostenere che esistano soluzioni riformiste capaci di affrontare l’attuale situazione di deterioramento economico e sociale, la realtà si sforza di dimostrare che la fattibilità di queste proposte richiede una condizione previa ineludibile: la modificazione radicale della struttura istituzionale, delle regole di funzionamento e della linea ideologica che guida il funzionamento dell’Eurozona.

Il problema di fondo è che questo contesto risulta funzionale ed essenziale al processo di accumulazione del grande capitale europeo; ma è anche funzionale, ed è qualcosa che dobbiamo avere sempre presente, al consolidamento del ruolo egemonico della Germania in Europa, e del ruolo al quale essa aspira nel nuovo ambito geopolitico multipolare in costruzione. Per questo motivo possiamo avanzare almeno due argomenti fondamentali per rafforzare la tesi della necessità della rottura del contesto restrittivo imposto dall’euro, se si desidera aprire il ventaglio di possibilità a percorsi di uscita da questa crisi che consentano una minima possibilità di emancipazione per l’insieme dei popoli europei.

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Le illusioni di Maastricht e l’Europa reale

Luigi Pandolfi

Sono passati ormai più di vent’anni da quel 7 febbraio del 1992, quando i paesi pionieri della Comunità europea firmavano il trattato istitutivo della nuova Europa. Nel frattempo sono cambiate tante cose, a cominciare dalla percezione del processo di integrazione. Si può dire che un ciclo si è ormai irrimediabilmente chiuso?


Sul piano storico il documento siglato a Maastricht costituiva un atto di grande valore simbolico, se non altro perché veniva adottato dopo la caduta del Muro di Berlino, l’evento politico più dirompente dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Oltre il dato formale, esso celebrava la vittoria del capitalismo e del libero mercato sul socialismo dirigista del vecchio blocco sovietico.

C’era enfasi nelle sue parti iniziali. La nuova Europa avrebbe dovuto assicurare “uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche nell’insieme della Comunità”, “alti livelli di occupazione e di protezione sociale”, “il miglioramento del tenore e della qualità della vita” delle persone, un “elevato grado di convergenza dei risultati economici”, perfino la “solidarietà tra gli stati membri”.

Di questi macro-obiettivi non se ne è realizzato nessuno.

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gramsci oggi

Più Europa? No, grazie!

Quale sinistra per quale Europa

Spartaco A. Puttini

 La crisi ha mostrato il vero volto del processo d’integrazione europeo. A dispetto di tanta pubblicità, oggi la Ue non gode di grande reputazione presso i popoli europei. Quando si parla di Europa occorre evitare i facili equivoci. L’Unione europea non è infatti l’Europa, ma una sua parte e l’Eurozona è, a sua volta, una parte della Ue. Ciononostante nel linguaggio corrente i termini sono interscambiabili.

Il processo di integrazione europeo si è ammantato di nobili ideali e anche di qualche utopia, rincorrendo il sogno federale degli Stati Uniti d’Europa ma realizzando l’incubo sovranazionale della Ue, cioè dell’Europa degli Stati Uniti.

Europa degli Stati Uniti sia nel senso che ad integrarsi sono stati i paesi di quella parte d’Europa soggetta all’egemonia Usa (significativo che l’allargamento dell’Ue ad est avvenga parallelamente all’espansione ad est della Nato), sia nel senso che la costruzione dell’unione avviene sotto la tutela americana, all’insegna dell’accettazione piena della reazione neoliberista già in voga nel mondo anglosassone e, in definitiva, come ulteriore tappa del processo di mondializzazione1.

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L'Europa ipocrita e l'Euro-sclerosi

di Pier Giorgio Ardeni

Il concetto di euro-sclerosi fu coniato negli anni 80 per indicare un mercato del lavoro sclerotico. Oggi le arterie della vecchia europa sono di nuovo intasate. E la più grave crisi da ottanta anni a questa parte non ha ancora trovato una chiave di lettura

Forse in pochi ricordano un termine venuto di moda in certi circoli negli anni '80 – Euro-sclerosi – per indicare un mercato del lavoro "sclerotico", come fossero le arterie otturate della vecchia Europa, a fronte di un'economia comunque in crescita che non lasciava fluire i lavoratori dentro e fuori, a differenza di quello americano a quel tempo più "dinamico". Ne parlarono Olivier Blanchard e Larry Summers, allora "giovani economisti" promettenti, in un famoso articolo del 1986 sull'isteresi della disoccupazione europea (agli economisti è sempre piaciuto rifarsi ai fisici e prenderne a prestito i termini con ben altro significato). L'Euro-sclerosi come sinonimo di alta disoccupazione e bassa mobilità. Non che gli Stati Uniti stessero poi così meglio, a quel tempo, e con il senno di poi lo si può ben dire, visto che il productivity slowdown cominciato alla fine degli anni '70 faceva ancora sentire i suoi strascichi. E, anche lì, giù a dare la colpa al mercato del lavoro. Gli anni sono passati, e di acqua sotto i ponti ne è passata al punto di allagare, esondare, ritirarsi in siccità e cambiare il mondo.

Oggi siamo nel mondo del post, il postmoderno, il post-capitalismo, il post-comunismo (ce lo siamo già dimenticati).

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Riflessioni sul voto svizzero

I limiti di una lettura razzista e l’esigenza di una riposta internazionale di classe

Collettivo Scintilla

Torniamo nuovamente sul voto svizzero dello scorso 9 febbraio e lo facciamo con il contributo a firma dei compagni e delle compagne del Collettivo Scintilla (Ticino). Un contributo interessante perché evidenzia, a nostro avviso, come il caso svizzero sia meglio comprensibile se guardato da un punto di vista più ampio (e di classe), capace di tenere dentro la discussione la complessità dei rapporti tra la Confederazione svizzera e l’Unione Europea. A loro vanno i  nostri ringraziamenti per il contributo; buona lettura!

Il 29 novembre 2009, gli elettori svizzeri accettavano l’iniziativa popolare : “Contro la costruzione di minareti”. Questa iniziativa, destinata ad avere ampio risalto nelle testate giornalistiche di tutta Europa, iscriveva nella Costituzione Federale l’esplicito divieto di edificazione delle caratteristiche “torri” dalle quali i muezzin sono soliti chiamare alla preghiera i fedeli mussulmani. All’epoca della votazione esistevano in Svizzera, ed esistono tuttora d’altronde, quattro moschee provviste di minareto, nessuna delle quali eseguiva appelli pubblici alla preghiera.

L’iniziativa venne approvata contro ogni previsione. Portata avanti dalla sola Unione Democratica di Centro (UDC) [1] contro il parere di tutte le altre formazioni politiche e autorità istituzionali, fu salutata dalla destra xenofoba autoctona e straniera come il trionfo della volontà popolare e della democrazia (semi)diretta: Il popolo, di nuovo sovrano, rispondeva alla “minaccia” dell’”islamizzazione” e dell’inforestieramento, utilizzando lo strumento del voto per imporre il proprio volere ad un esecutivo giudicato troppo tollerante e passivo.

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Necessario un progetto sovranazionale per rompere l'Europa dei mercati

N.Fragiacomo intervista Franco Russo

Franco Russo, classe 1945, vanta una lunga e coerente militanza a sinistra: iscrittosi nel 1961 alla FGCI - da cui venne espulso sei anni dopo per aver promosso il Centro antimperialista Che Guevara - ha preso parte al movimento del ’68 romano; cofondatore di Democrazia Proletaria (del cui gruppo parlamentare è stato presidente) e tra gli animatori della sinistra rosso-verde, ha poi aderito a Rifondazione Comunista, ricoprendo dal 2006 al 2008 la carica di deputato. E’ stato anche attivo nel Social Forum europeo da ‘Firenze 2002’. Nel 2012, assieme a Giorgio Cremaschi e ad altri, ha dato vita a Ross@.

Non è il classico politico che parla di tutto senza approfondire nulla: Russo conosce come pochi – non solo a sinistra – la complessa materia dei trattati e del diritto europeo. La sua posizione è chiara: il 14 dicembre, all’assemblea di Ross@, ha letto una relazione intitolata “Rompere l’Unione Europea” – unica via, sostiene, “per battere centrosinistra e centrodestra, al governo insieme in Italia, che portano avanti le politiche antipopolari dell’austerità. L’altro nostro nemico è il populismo.”

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“Dual mandate” per la Bce

di Agenor

Banche da legare/5 L'ossessione della grande finanza per il tapering, il programma di acquisto di titoli di stato americani da parte della Federal Reserve

Mentre a Bruxelles e Francoforte si continua a discutere di indefinite e “infalsificabili” riforme strutturali per risolvere gli squilibri macroeconomici e finanziari causati da trent'anni di ideologia neoliberista e pessimo senso dello Stato, nei circoli della grande finanza si sente parlare sempre più di 'tapering' e dei rischi che questo possa comportare per l'economia globale e I mercati emergenti.

Ciò che si vuole gradualmente ridurre (per l'appunto 'tapering'), è un programma di acquisto di titoli di stato americani da parte della Federal Reserve – la banca centrale americana - volto a sostenere l'economia domestica, la casse dello stato e l'occupazione. Sembrerà strano a chi legge la stampa italiana, ma tutte le principali banche centrali del mondo, dalla Banca d'Inghilterra alla Fed, alla Banca del Giappone, stanno da diverso tempo acquistando quantità massicce di debito pubblico o garantito dal pubblico nel mercato secondario. Tutte ad eccezione della Banca Centrale Europea.

Come documentato in un precedente articolo, risale a circa un anno fa il tanto conciso quanto epocale annuncio con cui la federal reserve comunicava che avrebbe mantenuto i tassi d'interesse vicini allo 0% ed acquistato debito pubblico americano e obbligazioni private in mano ad agenzie statali (prevalentemente mortgage-backed securities) al ritmo di $85 miliardi al mese finché il tasso di disoccupazione sarebbe rimasto sopra il 6,5% e le aspettative di inflazione ancorate attorno al 2%.

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Attenti ai gattopardi

Giovanni Bucchi intervista Emiliano Brancaccio

Euro, disegnato per la Germania: in cinque anni l’occupazione tedesca cresciuta di 1,5 mln, nei paesi periferici calata di 6 milioni. Il disastro non si può evitare col buonismo comunitario. Sì a un “piano B” di uscita dall’euro ma attenzione ai gattopardi del liberismo

L’Italia ha bisogno di un “piano B” per uscire dall’euro, ma bisogna intendersi su come intraprendere questo percorso. Parola di Emiliano Brancaccio, docente all’Università del Sannio, uno di quegli economisti ai quali non si può addebitare la colpa di non aver previsto la crisi, viste le sue ricerche del decennio scorso che avanzavano dubbi sulla tenuta dell’eurozona. Nel settembre 2013 Brancaccio ha promosso un “monito” pubblicato sul Financial Times e sottoscritto da alcuni tra i principali esponenti della comunità accademica mondiale (www.theeconomistswarning.com), dove si legge che le politiche di austerity portano dritto all’uscita dall’euro. Gli abbiamo chiesto un parere sul manifesto del prof. Paolo Savona, che propone un “piano B” di uscita dall’eurozona, sia pure come ipotesi estrema.


Professor Brancaccio, quali sono i motivi di questa avversità crescente verso la moneta unica?

“Negli auspici dei padri fondatori, l’Unione monetaria europea avrebbe dovuto creare più collegialità nelle decisioni di politica economica, in modo da arginare il potere soverchiante della Germania unificata. Oggi sappiamo che quelle speranze erano vane.

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"E' la prima volta nella storia dell'umanità che abbiamo un sistema monetario così assurdo"

Alessandro Bianchi intervista Alberto Bagnai

Nel Consiglio europeo di giovedì 19 dicembre, Angela Merkel, di fronte all'impossibilità di far accettare ad i suoi “alleati” i cosiddetti contratti di riforma vincolanti, ha sostenuto come “senza la coesione necessaria, l'euro prima o poi esploderà”. Sarà la Germania a staccare la spina? E ci troveremo, quindi, di fronte ad una beffa assoluta per i paesi del sud che hanno deciso la via della povertà, della disoccupazione di massa e della rinegoziazione dei diritti sociali pur di restare nella moneta unica?

Farei una riflessione iniziale di principio. E' assolutamente ovvio come un'unione monetaria tra paesi diversi, creando distorsioni e tensioni derivanti dall’abolizione di quello strumento difensivo che è il cambio flessibile, non possa sopravvivere senza un coordinamento o una cooperazione. Questa esigenza basilare, iscritta in modo molto chiaro nei Trattati europei soprattutto per quel che riguarda le politiche sociali, si può realizzare in tanti modi. Quello che Angela Merkel propone oggi è abbastanza simile ad una resa senza condizioni, come ha commentato in modo molto efficace Jacques Sapir

L'Unione Europea nasce fra paesi diversi, alcuni dei quali erano in un ritardo quantificabile in termini di Pil pro capite in una ventina di anni rispetto al paese leader, la Germania. In questo contesto, il sogno era quello di creare una comunità di eguali per competere con i big player del mondo, ma per arrivare a questo, i paesi del sud dovevano essere aiutati da quelli del nord ed una cooperazione positiva di questo tipo non si è verificata.